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  1. .
    my zodiac? i'm a dumbass. moon in dramatic bitch.
    Che lo avesse detto tanto per dire qualcosa, incapace come al solito di starsene zitto, o perché l’avesse davvero (inconsciamente o meno) atteso, era impossibile dirlo: nelle parole di Elias era sempre possibile leggere tutto e il contrario di tutto, spesso nello stesso esatto momento.
    Lui stesso non si sarebbe stupito di uno o dell’altro esito, fin troppo abituato al fare (o dire) qualcosa solo perché. Se proprio, lo considerava parte del suo fascino.
    Fatto sta, qualunque fosse il motivo, rimase ancora un po’ con lo sguardo perso ad osservare il palazzo del ministero, prima di spostarlo lentamente sul ragazzetto che gli si era avvicinato. Lo studiò, lo guardò per bene e lo vide, che era più di quanto potessero dire di fare gli altri. Trovò quantomeno divertente il fatto di ritrovarsi faccia a faccia con le stesse costellazioni di efelidi che aveva già incontrato pochi giorni prima, su quel vagone della metro destinato a deragliare e a portare con sé confusione in più di un modo diverso. Lo trovò abbastanza divertente che si permise persino di tirare le labbra in un sorriso compiaciuto, prima di togliere la sigaretta dal suo legittimo posto dietro l’orecchio, e portarla tra quelle stesse labbra ancora sorridenti.
    Destino.
    O mera casualità, certo, dipendeva dai punti di vita; lo special era propenso a credere ad entrambi.
    Quasi dal nulla, fece apparire un accendino fluo e accese il cilindro di tabacco, riempiendo i polmoni e spuntando via il fumo dopo averlo trattenuto per un attimo in più del necessario, solo per sentire la fatica tornare come una vecchia amica, giusto per non rischiare di credere di essersi immaginato tutto — polmone perforato eccetera eccetera; poco ma sicuro, una conseguenza peculiare per un incidente in metro, specialmente quando nessuno aveva trovato alcuna giustificazione per quello che sembrava un foro di proiettile più che il buco lasciato da un palo, o dei detriti. Ma sapete cosa? Non la più strana ed inspiegabile delle sue ferite, perciò non ci faceva nemmeno caso.
    Era già andato oltre, gli piaceva solo riconoscere la familiare scarica di eccitazione mista a dolore nel provocarsi volontariamente quelle fitte, tutto qui.
    Alla prima domanda del biondino, non rispose.
    Si conoscevano?
    Difficile dirlo, quasi impossibile: Elias conosceva un sacco di gente e al contempo nessuno. E, nello stesso modo, in molti potevano dire di averlo visto ma nessuno mai ricordava di averlo fatto; anche quello era parte del suo fascino, nonché un punto cruciale per la sua professione.
    Si limitò ad aspirare altro fumo, riempire i polmoni di quel sostituto d’ossigeno di cui non poteva più fare a meno, e distogliere lo sguardo dal giovane solo per un attimo.
    Poteva dirgli di ricordare il suo come uno dei pochi messi a fuoco subito dopo la visione e subito prima dell’inevitabile impatto, ma non lo fece; dava spesso retta al suo sesto senso, il danese, e in quel caso gli stava sussurrando con prepotenza che non fosse necessario sottolineare quella parte. Che avesse lo stesso sapore dolceamaro di una menzogna, ma non di quelle che raccontava per lavoro; più vicina e familiare a quelle che raccontava a se stesso per andare avanti.
    (A tutte quelle che lui e Miks avevano usato come giustificazione nel corso degli anni.)
    Dirgli che ricordasse perfettamente che forma potesse disegnare unendo ogni singola efelide a macchiare la pelle candida del viso, aveva altrettanto poco senso — ed era, proprio per questo, la parte preferita di tutta quella storia. Impossibile, inspiegabile!, e maledettamente perfetta.
    «hai un'aria piuttosto familiare»
    Fumò ancora, accentuando il sorriso stretto intorno al filtro: dicevano di lui. Non abbassò lo sguardo verso quello che avrebbe dovuto essere uno sconosciuto e che allo stesso tempo, sfidando ogni logica, aveva tutta l’aria di qualcuno a cui Elias avrebbe certamente lasciato la possibilità di aiutarlo nel momento del bisogno — mah!; si limitò a rivolgergli un’occhiata di sbieco, da sopra le lenti scure degli occhiali, soppesando quel «hai per caso un fratello minore?»
    «oh, sì!» era emozionato all’idea di parlarne, non capitava mai! I suoi fratellini…! «ne ho svariati, a dire la verità. tutti figli dello stesso papà, ma abbiamo mamme diverse!» davvero una famiglia… peculiare, quella lì; e non avrebbe nemmeno iniziato a parlare del resto del Clan! O sarebbero stati lì per giorni. «ho tre fratelli, e due sorelle! beh, tre in realtà,» fece un vago cenno con la mano, senza stare a spiegare che con Joyce non ci fosse alcun legame di sangue, e che fosse comunque la sua preferita; chi fosse il maggiore e chi il minore, poi, a quel punto, era solo questione di dettagli e non interessava a nessuno — specialmente, poi, quando con il cambio di linea temporale quell’ordine lì era stato mescolato e distribuito alla rinfusa. «ho un fratello gemello!» aggiunse, quasi come un’ulteriore riflessione, ricordandosi che Mikkel fosse più di un fratello; una parte quasi speculare della sua stessa anima.
    Solo a quel punto, sporgendosi lateralmente verso il biondo e abbassando il tono di voce, lo informò che «io sono più carino, però» ed era vero, nail polish emoji e tutto il resto.
    Così preso dal rievocare cene di famiglia che Elias non ricordava, appartenute ad un’altra vita e ad un altro tempo, che quasi aveva dimenticato il punto della questione. Al suo compagno di chiacchiere, rivolse dunque un’espressione accigliata e un po’ confusa, sopracciglia platino ad aggrottarsi e il fumo della sigaretta a lasciare le labbra mentre formulava una domanda. «dicevamo?» Non era mai stato troppo bravo a seguire i flussi — di pensiero, di conversazione, del tempo. Viveva da sempre (e per sempre) su un piano tutto suo. Un piano astrale, metafisico, intangibile.
    Guardò intensamente il ragazzino, osservandolo come se lo vedesse in quel preciso istante per la prima volta. Ed esclamò, occhi sbarrati e tutto il resto: «sai che hai proprio un’aria familiare?!» Non lo faceva nemmeno di proposito ad essere cosi… così. Gli veniva naturale.
    «disegni?» come se quella potesse essere la via più naturale per proseguire quella conversazione, lo special indicò il quaderno stretto tra le braccia dell’altro, fin troppa curiosità a palesarsi sui lineamenti ancora giovani, nonostante l’età. Sollevò le sopracciglia, sempre più intrigato e felice di aver atteso ed essersi fidato dell’istinto misto al desiderio di non presentarsi al lavoro, quel giorno. «posso vedere?» Una domanda perfettamente innocente da fare, certo; e per niente invasiva, o assurda, se rivolta ad un completo sconosciuto.
    Una cosa così da Elias che solo chi non lo conosceva affatto l’avrebbe trovata strana.
    O fuori luogo.
    elias
    raikkonen

    'source'?
    bro, divine intuition.
    drama queen
    “loves acting in a melodramatic way”
    special born
    clairvoyance
    the messiah — 1991, danish, pavor spyIn the end, the choice was clear:
    take a shot in the face of fear.
    Fist up in the firing line.
    Times are changing.
    walk on water
    thirty seconds to mars
    moonmaiden, guide us
  2. .
    my zodiac? i'm a dumbass. moon in dramatic bitch.
    Se chiudeva gli occhi vedeva ancora le stesse immagini ripetersi in loop, quello che avrebbe potuto essere che si mescolava e confondeva con quello che era stato.
    In un primo momento, aveva dato la colpa alla sua fervida immaginazione — e sì, certo, anche al dischetto di pochi centimetri che aveva sciolto sulla lingua poche ore prima, abitudine e conforto e un gesto così meccanico da essere involontariamente accostato a quello di prendere il caffè la mattina o fumarsi una sigaretta dopo il sesso. Erano state immagino *gASP!* terribili, oscure e piene di sangue, sofferenza, morte, e bla bla bla. Aveva le stesse visioni da una vita e mezza, il fu Linguini, figuriamoci se iniziavano a premere sulla sua coscienza proprio quel giorno; c'era chi sulla metro leggeva il quotidiano, e chi vedeva nel futuro l'incidente che sarebbe successo di lì a poco e stringeva le spalle. A ciascuno il suo!
    E invece, dopo aver spalancato gli occhi celesti dietro le lenti tonde degli occhiali calati sul naso, Elias era scattato in piedi. Come un pazzo, esatto. Aveva incontrato per un attimo uno sguardo assente e in fase di rientro identico al suo (come lo prendeva in giro Mikkel, quando El tornava al presente dopo una sua visione) e aveva sorriso.
    Un cenno del capo, denti bianchi e in bella mostra, il cilindro della sigaretta ancora spento e stretto fra i denti.
    Non era la prima volta che Troy Bolton-Hawkins ed Elias Raikkonen vedevano cose molto simili, nello stesso momento; un problema di loro bellissimi, immaginava. Il problema di vivere sempre a metà tra il mondo reale e quello dei sogni, nel suo caso.

    il buio, la nebbia, la risata di Abbadon, creature nate dall'ombra, strade divenute fiumi di sangue scarlatto a scivolare denso ed inesorabile, gelo eterno a divorare ogni cosa.

    Tragico, terribile, un fottuto problema.
    Ricordò di aver pensato, l'istante prima del disatro, «farò tardi a lavoro» e poi non aveva fatto assolutamente nulla per evitare che il treno della metro andasse incontro alla propria fine — perché che senso aveva intromettersi nel fato, se poteva invece godersi il viaggio. A lui non sarebbe successo nulla: aveva avuto una chiara visione, un mese o poco prima, su una data non ancora arrivata, e un luogo specifico dove trovarsi, e sapeva in cuor suo che non sarebbe morto in un incidente metro quel giorno anonimo.
    E non in quell'outfit.
    Di tutti gli altri? Beh, gli importava davvero, davvero, molto poco.
    Ricordò di averli guardati per un attimo, visi sporchi di sangue e armi strette nella mano; ricordò anche di aver scosso il capo, e le armi erano tornate ad essere giornali, borse, attrezzi sportivi. Uh.
    Ricordò di aver sorriso ad una bionda prima di essere sbattuto contro uno dei pali di metallo a cui la gente si reggeva quando saliva in metro, e di aver distrattamente mosso il viso in direzione di due cinesi poco lontano (li avrebbe scambiati sicuramente per la stessa persona, se uno non avesse avuto il suo stesso sguardo assente e l'altro una costellazione di lentiggini a premere su naso e guance).
    Ricordò poi che tutto si era fatto buio, e qualcuno aveva urlato, ed altri avevano pianto, e altri ancora avevano pregato, e lui invece aveva solo atteso che finisse anche quella visione.
    Realtà.
    Va beh, sai cosa cambia ad uno come lui, con un piede sempre in una, e uno sempre nell'altra.

    Ricordò di aver sognato di nuovo la stessa scena, anche a distanza di giorni, un sogno appiccicato alla pelle come il caldo afoso dell'estate italiana, un sogno e un ricordo anche questo, e di essersi rigirato nel letto divenendo un tutt'uno con il lenzuolo a cui si era arrotolato durante la notte.
    Nudo, e con il respiro affannato da quelli che sembravano giorni intensi di corsa, e lotte, e una stanchezza sotto pelle che non avrebbe mai imputato al suo lavoro, Elias si era fatto scivolare via quel sogno ed era scivolato in doccia, pronto a tornare alla sua vita quotidiana anche quella mattina. Lo faceva tutti i giorni, infondo; tutte le ore. A volte una visione, alle volte un sogno, altre semplicemente la realtà che non riusciva più a distinguere, considerandola quasi più costruita delle immagini che tormentavano la sua mente.
    Non il suo primo rodeo.
    Come una Kesha qualunque, il Raikkonen lavò i denti con uno o due sorsi di Jack Daniele, pensando distrattamente di chiamare l'altro Daniels e distrarsi con lui per qualche ora. Poteva farlo? Certo che poteva. Poteva fare un sacco di cose solo perché esisteva, dopotutto.
    E invece, come tutte le altre mattine, si trovò all'ingresso del Ministero della Magia inglese senza nemmeno rifletterci; un attimo prima sceglieva che abiti indossare, e quello dopo battendo le palpebre era —
    (morte, sangue, divise strappate, creature uscite dall'inferno, fasci di luce e proiettili, disperazione, addii e lacrime)
    — uno sbadiglio, una generosa aspirata di fumo a riempire i polmoni affaticati (uh, divertente; quel maledetto incidente lo aveva conciato proprio male) e poi fece un passo.
    Indietro.
    Non aveva voglia di andare a lavoro, quel giorno.
    Non ancora, perlomeno.
    Sentiva di voler (dover?) rimanere sul marciapiede per un altro secondo almeno, un minuto, un'ora. Non interessava. Qualcosa o qualcuno sarebbe arrivato, prima o poi.
    Semplicemente, lo sapeva.
    E lo accettava!

    Dopo quelle che sembravano ere, il Raikkonen parlò.
    «ti stavo aspettando.»
    Tono basso, parole ominous, sorriso affilato a scoprire una fila di denti dritti. Non si voltò, né spostò le attenzioni dal profilo del palazzo dove risiedeva il ministero per spostarlo sulla figura a pochi passi da lui; solo alla fine scosse appena la testa, uscendo dal reverie in cui era (ah! di nuovo!) caduto senza rendersene conto, e aggiunse: «ho sempre voluto dirlo!»
    elias
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    the messiah — 1991, danish, pavor spyIn the end, the choice was clear:
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    SPOILER (click to view)
    prima di abbastanza, temo.
    se siete stati in quest o eravate tra i rapiti del lotus, fatevi sotto!!

    ps: si, cambio pv in corso d'opera perché lele mi ha trovato le gifs di OG Elias e sono davvero al settimo cielo 🥺
  3. .
    si dice che sulle teste dei seguaci di arda vegli la dea da cui prendono il nome. queste abili sentinelle mirano ad indebolire il nemico e darlo in pasto ai loro alleati
    «ti sembro uno che fuma?»
    Il commento di Paris non turbò il maggiore, che non perse il sorriso e seguì invece il movimento lento della mano che indicava l'outfit sportivo dalla testa ai piedi. Dovette sforzarsi per tenere sotto controllo la propria espressione e non lasciare il disgusto per quanto stava osservando si palesasse troppo sui suoi lineamenti: come già detto, non era mai stato fan dello sport e di tutto ciò che lo riguardava — abbigliamento compreso.
    Piuttosto che esternare i propri sentimenti a riguardo, però, preferì glissare sopra l'intera questione e lasciare che il sorriso educato vincesse sopra qualsiasi altra smorfia, chinando solo appena il capo come per fingersi colpito (quando in realtà era solo molto divertito) dalle parole del corvonero.
    «la risposta è: assolutamente sì»
    Avrebbe fatto commenti sulla vena drammatica del suo fratellino, se avesse potuto; l'avrebbe fatto di sicuro, una volta tornato da Mikkel per raccontare ogni dettaglio di quell'incontro, ma gli sembrava un po' prematuro farlo già lì con Paris. Dopotutto, l'altro non aveva la minima idea di chi egli fosse.
    Non ancora.
    Tempo al tempo!! C'era un piano quinquennale dietro quel progetto di rivelazione, supportato anche dalle frasi dei biscottini della fortuna che erano chiaramente dalla sua parte.
    L'unica cosa che disse al Tipton, invece, fu: «valeva la pena fare un tentativo, l'alternativa era andare a disturbare quella coppia laggiù» e, così facendo, dopo aver lasciato che Paris accendesse la sigaretta che stringeva tra le labbra con un colpo di bacchetta, gli indico con un cenno del mento due piccioncini seduti qualche panchina più avanti, intenti a divorarsi la faccia a vicenda. Era presto, e come quell'orario disumano chiedeva, molte persone erano ancora in casa a farsi gli affari propri, o magari a dormire — wish that was him, e invece doveva fare il babysitter del suo fratellino neo maggiorenne.
    Riportò lo sguardo castano su di lui, a quel punto. «grazie mille, e–»
    «questo è il momento in cui mi dici che sei un ex carcerato che sta raccogliendo soldi per i bambini in zimbabwe, o qualcosa del genere?»
    E come avrebbe potuto mai non allargare il sorriso, colmo di adorazione e divertimento nei confronti di quell'incredibile cretino con cui condivideva parte del DNA?! Lo adorava, Elias, così come adorava anche tutti gli altri e non vedeva l'ora di metterli sotto lo stesso tetto e assistere a qualsiasi catastrofe avrebbe portato con sé quell'incontro.
    «ho davvero un'aria così poco raccomandabile?!» chiese, con il più innocente degli sguardi e le labbra appena dischiuse, fingendosi davvero colpito dalle velate accuse del più piccolo. Ed era vero che Elias avrebbe potuto essere considerato un (ex) carcerato o un criminale — ma mai nessuno era riuscito a mettere le mani su di lui, neppure quando metà delle sue personalissime vendette erano compiute nell'ombra e senza la finta protezione del ministero.
    C'erano così tanti motivi per cui avrebbero potuto sbatterlo in una cella e perdere la chiave, e invece era ancora a piede libero perché era troppo furbo, scaltro, bello e intelligente per essere acciuffato. Si sarebbe paragonato a Lupin se non si fosse amato così tanto da sapere di essere più simile a una del trio Occhi di gatto *nail polish emoji* «in realtà lavoro al ministero,» che motivo aveva di non condividere quella nozione con lui? Dopotutto, infondo, era lì perché voleva iniziare ad instaurare un rapporto con il resto della banda, tanto valeva cominciare già a dire qualcosa di sé! «mi dispiace per averti messo a disagio, non era mia intenzione! Non sono un maniaco, giuro.» disse, spegnendo di qualche watt la luminosità del sorriso per non sembrarlo davvero, un maniaco. «anche se immagino sia estremamente quello che un maniaco direbbe.» eh già. E lui lo sapeva benissimo, perché aveva studiato e imparato gli atteggiamenti di un sacco di categorie di persone, per imitarli poi al meglio nel momento più opportuno; quello lì, per la precisione, era quello in cui si fingeva un po' impacciato e a disagio, mano passata tra i capelli biondissimi e l'altra a stringere la sigaretta come se ne dipendesse della sua vita. «ti– ti offrirei una sigaretta per farmi perdonare ma ti stai allenando, forse è meglio che vada.» con l'intenzione di tornare a breve — dove con “a breve” intendeva un momento non meglio precisato che andava dal giorno dopo al dopo missione. Perciò insomma: non era molto bravo con le tempistiche, il Raikkonen, e non era mai stato puntuale una sola volta in vita sua.
    elias
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    1991 — chiaroveggente — pavor spiaIn the end, the choice was clear:
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  4. .
    si dice che sulle teste dei seguaci di arda vegli la dea da cui prendono il nome. queste abili sentinelle mirano ad indebolire il nemico e darlo in pasto ai loro alleati
    Quella battaglia non era la sua battaglia.
    Nessuna battaglia era mai la sua battaglia, nemmeno quelle che lo toccavano da vicino.
    Ma quella in special modo era ben lontano dal provocare ripercussioni sulla sua vita — quindi, la domanda sorgeva spontanea: perché partecipare?
    Anche in quel momento, a distanza di giorni, se la ripeteva nella testa con lo stesso tono di voce con cui suo fratello gemello l'aveva posta la prima volta, più annoiato che confuso; preoccupato, nemmeno per sbaglio. Mikkel era abituato alle scelte poco coerenti – e spesso dettate dalla noia – a cui Elias era solito cedere, creatura troppo debole e amante di vizi e tentazioni per avere in sé l'autocontrollo sufficiente a resistere; quella domanda doveva esser nata da un altro genere di spinta emotiva, magari il fastidio provocato dall'idea che Elias potesse finire con lo stare via troppo a lungo e rovinare i loro progetti, quelli che includevano lo sterminio totale dei ribelli, e per i quali avevano lavorato a lungo negli ultimi venti anni.
    Non che ad Elias importasse qualcosa.
    Cioè, sì — ma solo in parte.
    Le sue priorità cambiavano come cambiava il meteo, e non era mai stato bravo a controllarle; preferiva di gran lunga lasciare che fossero loro a controllare lui.
    E poi, aveva già fatto una scelta, e come molto spesso succedeva, non avrebbe cambiato facilmente (o affatto) idea. La missione poteva anche non toccarlo da vicino – cosa che in realtà faceva, perché sia lui sia Mikkel sapevano bene chi fosse annoverato nella conta degli spariti – ma, da creatura onirica e legata al mondo immateriale e distorto dei sogni quale era, Elias basava la sua intera esistenza sulle immagini che riceveva dalla dimensione di cui era vittima e artefice in egual misura; e proprio quel mondo lì, un caro amico che aveva rivelato allo special più risposte di quanto anni e anni di lavoro e spionaggio e ricerca e deduzione avessero mai fatto, gli aveva suggerito di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto. Non sapeva quale fosse, quel posto, né per cosa dovesse essere pronto, ma raramente i suoi sogni e premonizioni erano così precise, perciò era abituato a leggere tra le righe di immagini poco chiare, al punto da decidere in autonomia quale significato dargli, con quale chiave di lettura sezionarli ed elaborarli. E anche quella volta aveva scelto di procedere come spesso faceva: a cazzo duro.
    Al fratello, ovviamente, aveva rivolto solo un sorriso affilato e una stretta di spalle. Anche se gli avesse spiegato il motivo, non avrebbe mai capito; o, peggio!, si sarebbe fidato di lui e sarebbe partito in missione. Elias non poteva permetterselo, c'erano già ben due bestiole che doveva tenere d'occhio, e , sapeva già che i bambini si sarebbero uniti alle squadre di ricerca e no non glielo avevano detto le sue visioni: come un bravo fratello maggiore di tutto rispetto, aveva seguito i più piccoli della compagnia a lungo, e continuava a farlo a giorni alterni, per accertarsi riuscissero a sopravvivere in quel mondo crudele brutto e cattivo in cui vivevano; non perché fosse preoccupato o una persona dal cuore buono, ma perché lui e Mikkel avevano organizzato, nei loro progetti, anche come rivelare a tutti i loro bros che fossero una grande e allegra famigliola — non poteva mica lasciare che cose banali come, tsk, la vita intralciassero i loro piani, no?! Era, se vogliamo, il loro angelo custode.
    (Che culo.)
    Aveva già fallito l'anno prima, quando aveva ignorato tutti i campanelli di allarme dei suoi sogni profetici e non aveva fatto nulla per salvare papà due e la sorella; non avrebbe fallito anche quella volta.
    Forse.
    Non poteva prometterlo, non era il custode (o la coscienza) dei bimbetti. O di nessun altro. (E per fortuna.)
    Fatto sta, che “seguire e tenere d'occhio” era esattamente quello che stava facendo quel giorno, trench color crema a coprire un completo casual ma che gli faceva fare la sua discreta figura, capelli così biondi da sembrare quasi bianchi quando catturavano la luce del sole, e sguardo pallido nascosto dagli occhiali a specchio che aveva calato sul naso; sembrava un giovane trentenne qualsiasi, pronto a godersi una banalissima giornata per le vie di Hogsmeade, e assolutamente non il fratello stalker che in realtà era.
    Ma, da brava spia quale era, Elias Raikkonen era abituato ad apparire chi non fosse. Faceva parte delle sue tantissime doti.
    Insieme alla discrezione, ai sorrisi dolci e affabili, e alle maniere educate. Per questo, quando decise infine di avvicinarsi al ragazzetto intento a fare esercizi che stancavano il pavor solo guardando, lo fece con educazione e senza fretta, ma, soprattutto, senza mettere in allerta i sensi non umani, del corvonero.
    (Sì, sapeva anche quello; era una spia, era letteralmente il suo lavoro sapere le cose, e figuriamoci se non sapeva perfettamente tutto quello che succedeva ai suoi fratellini! Buh-uh.)
    La sua figura alta ed esile gettò appena un'ombra allungata sullo sportivo – ugh, terribile, in un'altra vita (e in un'altra forma) lo avrebbe anche potuto capire, ma era Elias in quel momento, non Kimi, ed Elias detestava l'attività fisica che non fosse a scopo ricreativo e con fini ben più piacevoli – e quando fu certo di avere la totale attenzione di Paris, con un sorriso morbido ma che metteva in mostra i denti affilati, chiese semplicemente «scusa, hai mica da accendere?»
    La scusa più vecchia del mondo, sigaretta stretta fra le dita e occhiali a coprire lo sguardo divertito di chi sapeva molto più di chiunque altro; la scusa più vecchia del mondo, , ma anche la più efficace.
    Non si era mai spinto così oltre da arrivare ad approcciare uno dei bambini, ma erano giorni che sentiva di doverlo fare, e non era mai stato fan dell'ignorare le proprie sensazioni, il fu Linguini. Perciò, here we are! Non c'era tempo (né voglia!) per i ripensamenti dell'ultimo momento.
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    when
    oct. 23
    where
    ministry of magic
    who
    clairvoyant

    iridium
    Col senno di poi, non avrebbe dovuto ridacchiare allo squittio terrorizzato della ragazza, ma proprio non riuscì a trattenere l’espressione palese nelle palpebre strizzate e la piega delle labbra a salire verso l’alto, sinceramente divertito dalla reazione onesta e naturale di lei.
    Alzò entrambe le mani davanti sé, pronto a scusarsi. «mi dispiace, non volevo spaventarti» ma aveva preso l'abitudine di risultare estremamente silenzioso quando voleva, un lato in netta contrapposizione con la sua rumorosità visiva, quando si trattava di stile o atteggiamento; era qualcosa che aveva imparato prima ancora di diventare una spia, al punto da non ricordare un tempo in cui non fosse stato già bravissimo a scivolare silenziosamente nelle situazioni, e in mezzo alla gente, dando l’impressione di esserci sempre stato. Le mani, ora, le mosse leggermente per mostrare di non avere armi con sé, di essere arrivato lì in pace. E accompagnò quel gesto con la rassicurazione di una prossima lezione migliore — perché non ci voleva necessariamente uno bravo come lui a leggere le situazioni per capire, dall’espressione di lei e dalla poca defluenza che aveva incontrato avvicinandosi all’aula, che non fosse andata sold out; quanto ai contenuti, immaginava che non avrebbe mai saputo se fossero all’altezza o meno, perché non intendeva prendere parte alle lezioni. Né quel giorno, né nel più immediato futuro.
    «sei mai stato ad una delle lezioni? Oggi non c’eri»
    Si lasciò studiare dalla ragazza senza sentirsi a disagio – era abituato ad avere gli occhi su di sé, e mai quella sensazione gli sarebbe dispiaciuta –, né facendole pesare ancora di più il palese disagio che vide prendere forma nelle sembianze di una appena accentuata increspatura sulla fronte, e nel modo in cui lei fu lesta a distogliere lo sguardo una volta resasi conto della cosa. Non avevano ancora sbloccato il livello di amicizia tale per cui Elias potesse commentare con assoluta nonchalance un continua pure, non preoccuparti, perciò fu abbastanza magnanimo da tenerlo per sé, e nasconderlo appena nella piega delle labbra, sempre più divertita da tutto quello scambio.
    Era una persona che sapeva divertirsi con molto poco, il danese; non aveva grandi pretese. «purtroppo il lavoro mi tiene molto occupato» si scusò, stando bene attento a lasciar scivolare almeno un po’ di (finto) senso di colpa nello sguardo ora abbassato sul pavimento sotto i loro piedi — un pentimento che non provava, ma che avrebbe volentieri offerto alla ragazza, se poteva servire per farla sentire un po’ meglio sul proprio lavoro come istruttrice, facendole credere di essere davvero dispiaciuto del non poter frequentare .«i nostri orari non combaciano» affermò, pur non sapendo minimamente in quali orari si tenessero le lezioni; ma d’altronde, nemmeno lei sapeva quelli lavorativi di Elias, perciò era difficile capire se stesse mentendo o meno. E nulla nell’espressione del biondo poteva aiutava.
    La osservò poi a lungo, prima mentre lei gli dava le spalle per nascondere quasi certamente emozioni che dovevano rimanere precluse al chiaroveggente, poi un po’ meglio quando tornò a guardarlo con quei grandi occhioni fin troppo sinceri per sperare di poter mai nascondere qualcosa a qualcuno, solo guardandoli.
    Il sorriso che Elias aveva appiccicato sulle labbra – non così falso come avrebbe saputo fare, ma neppure troppo sincero – rimase lì, comodo su labbra abituate a ricambiare sorrisi per lavoro, e per piacere personale. Infondo, non doveva nemmeno fingere troppo; trovava il modo in cui Erin combatteva l’imbarazzo con uno sguardo determinato e fiero quasi intrigante. Il genere di persona che sapeva affascinare Elias, pur senza cercare di farlo.
    E poi, gli sembrava di averla già vista; quello stesso viso incorniciato da un taglio di capelli diverso, e quelle stesse labbra piegate in opposte e al contempo ugualmente forti espressioni — ma non avrebbe saputo indicare con precisione il dove o il quando, e quello bastò a fornire una risposta al danese. La sua mente, contrariamente a quanto credevano (e sostenevano) i più, funzionava in maniera fin troppo lineare per appartenere a qualcuno che, dei sogni e dei reami incorporei e privi di concretezza, ne aveva fatto un mestiere e l’intera esistenza.
    E quella stessa mente, acuta e analitica quando serviva, gli suggeriva che doveva per forza trattarsi di qualcuno appartenuto alla vecchia vita del Raikkonen, qualcuno i cui ricordi erano stati lasciati indietro per dare spazio a nuovi sogni, e nuove avventure. Nuovi scopi. Nuove realtà.
    Lo sapeva, Elias, perché quell'incontro aveva lo stesso sapore di misticismo e intimità di ogni altro incontro fuori dallo spazio e dal tempo; e perché, come ciascuno di quegli incontri, anche quello con Erin sembrava destinato a non lasciare impronte nella nuova esistenza del Raikkonen. Di tutta quella faccenda, di tutto il viaggio dal passato-futuro, gli interessavano ben pochi eventi e persone, e la Chipmunks, con i suoi modi imbarazzati ma gentili, non rientrava tra quelli.
    Non era la sua famiglia.
    Quel tanto bastava a far scivolare via le sensazioni sconosciute lungo la facciata tranquilla e serafica del pavor, e farlo andare avanti con la sua attuale vita senza mischiarla a quella passata; era molto a compartimentalizzare le cose – l'unica eccezione alla sua personale regola era stato Jekyll, ed Elias non si era pentito di averlo lasciato entrare nella sua vita e dato lui il permesso di rendere i confini tra un'esistenza e l'altra meno netti.
    Non ancora, comunque; c’era sempre tempo per rettificare le cose.
    Ad Erin, con ancora la mano offerta e un sorriso cordiale sulle labbra, Elias offrì l'unica verità che in quel momento voleva concedere, e l'unica che, a conti fatti, importasse qualcosa. «elias.» pacato, calmo, neutrale. Le strinse la mano e lasciò vagare lo sguardo per la stanza qualche istante, prima di riportarlo su di lei. «avevi mai pensato che saresti finita qui, un giorno? a fare da istruttrice ad un gruppo misto di maghi e babbani, per aiutarli a coesistere?» chiese, come se le avesse appena banalmente chiesto cosa ne pensava del meteo, o dell’ultima partita dei Falmouth Falcons — due cose che, comunque, non avrebbero minimamente interessato il Raikkonen. Non quanto gli interessava sapere cosa avesse smosso una giovane Erin Chipmunks ad offrirsi proprio per quel lavoro, con tutti quelli disponibili nella società.
    elias
    raikkonen
    everything is a sign,
    if you're crazy enough
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    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it
  6. .
    elias raikkonen
    kimi linguini
    When I'm dreaming tonight, I can do anything
    When I'm dreaming tonight, I can go anywhere
    When I'm dreaming tonight, I can be anyone
    So don't wake me up, don't wake me up
    Se fosse stato chiunque altro fuorché Elias Raikkonen, avrebbe probabilmente disapprovato quella visione pessimistica del mondo che aveva Jekyll, e avrebbe risposto al suo «non abbastanza.» con sopracciglia aggrottate e labbra arricciate, magari persino incrociando le braccia al petto e facendogli presente il perché quel suo commento fosse poco consono.
    Cos’aveva quella vita di non abbastanza interessante da voler a tutti i costi provare a lasciarla?
    Eppure era Elias Raikkonen, e sebbene quel pensiero gli appartenesse più di quanto avrebbe poi dimostrato al pirocineta, continuava ad essere una persona complicata, e ancor di più, imprevedibile.
    Nonostante l'atteggiamento dimostrato, riconosceva un tentativo di lasciarsi indietro una conversazione difficile e spinosa quando ne vedeva uno — che poi non fornisse molto spesso la grazia di accogliere quei tentativi e lasciar correre, era un altro paio di maniche. Uno che, in quel caso, Elias scelse volontariamente di non rimboccare: aveva già pressato, e tediato, ampiamente Jekyll in posti dove sfuggire alla verità era impossibile, stretti e intangibili negli angolini più remoti della psiche del Crane, ed Elias non vedeva perché fare lo stesso anche lì, nella vita vera, dove al posto di insistere poteva concedere al minore la finta benevolenza di un’apparente invulnerabilità, se quello era ciò di cui credeva di aver bisogno. Sapeva essere misericordioso, quando voleva; aveva tutte le carte in regola per diventare il Dio che già sentiva di essere.
    Inoltre, conosceva Jekyll meglio di così, al punto che si rendeva conto persino lui che insistere fosse solo diabolico, e immaturo; non c’erano molte cose che il minore fosse riuscito a tenergli nascoste, in quei tanti, e allo stesso tempo pochissimi, mesi condivisi in reami onirici dalla dubbia origine. C’erano cose che Elias aveva visto, e provato, per le quali era assolutamente certo di una cosa: se il minore avesse potuto, o saputo come fare, le avrebbe tenute lontane anche dalla portata del chiaroveggente. A nessuno, infondo, piaceva mostrare le proprie vulnerabilità.
    Elias, per quanto fosse Elias, poteva capirlo.
    E gli concesse, quindi, una stretta di spalle e quel sorriso sardonico che, comunque, prometteva di saperla molto più lunga di quanto non ammettesse; che Jek pensasse piuttosto a studiarlo, e passare le dita incerte su una pelle che, immaginava, temeva non avrebbe mai accarezzato dal vivo, al Raikkonen, non dispiaceva.
    A ciascuno il proprio tormento, e se Jekyll aveva scelto quello per il suo, chi era Elias per contraddirlo o fermarlo. Proprio come la divinità egocentrica che puntava ad essere, le attenzioni gli erano sempre piaciute.
    Lo seguì silenziosamente all’interno della stanza, senza chiedere il permesso e immaginando che, se il minore non l’avesse voluto lì con lui, avrebbe provato a fermarlo – o cacciarlo – prima di dare l’impressione contraria; a vederla da un certo punto di vista, quello di Elias, era come aver ricevuto il tacito permesso a scivolare nella stanza affittata al finto nome del Crane. Non sarebbe stato di certo il custode, il maleducato che rifiutava un invito.
    «perché?»
    Si chiuse l’uscio alle spalle, poggiandole poi contro il legno freddo.
    «perché» gli fece eco, senza dare una risposta concreta; di tangibile e solido, in Elias, non c’era mai nulla. «perché no valeva come risposta? Secondo il danese sì, e tanto bastava.
    «sarebbe un peccato perché hai avuto qualche illuminante visione sul mio futuro?»
    Solo a quel punto El si avvicinò a lui, incredibilmente dritto e stabile sulle proprie gambe per essere uno attualmente sotto effetto di ecstasy, e allungò una mano per strappare la bottiglia dalla presa del pirocineta. Non disse nulla, limitandosi invece a portare il collo della bottiglia alle labbra, rivolgendo un sorriso al minore. «l'ultima volta non è stata così entusiasmante, quindi insomma...»
    Ignorò il commento sul cibo, ma afferrò comunque il tramezzino con dei riflessi fin troppo svegli e allerta per appartenere ad uno nelle sue condizioni, e si pulì le labbra dal liquido ambrato con il dorso della mano. «non puoi semplicemente accettarlo per quello che è?» gli chiese, passandogli di nuovo la bottiglia; «preoccupazione.» Si finse addolorato nel rendersi conto di non essere capito, e forse lo era davvero; impossibile dirlo, con lui. «potrebbe essere un peccato e basta, senza necessariamente avere un fine.»
    Quella stanza era… noiosa. Triste. E, francamente, meno disordinata di quello che Elias si era aspettato. Prese posto sul letto disfatto, non prima di aver raccolto da terra una palla di carta stropicciata sulla quale lesse, dopo averla dispiegata, parole confuse e scarabocchi poco chiari. «blocco dello scrittore?» jek *manine* pandi. «posso essere la tua musa, se vuoi.» non stava nemmeno scherzando troppo. Si lasciò cadere di peso sul materasso scomodo, gomiti piegati e collo incassato tra le spalle, osservando Jekyll senza il minimo disagio, e dimostrando di riuscire a sentirsi perfettamente a casa in qualsiasi situazione. «ti sei nascosto in questa topaia per un motivo, o stai solo vivendo la tua fase da adolescente emo?» non c’era nemmeno un briciolo di cattiveria nelle parole dello special, solo una genuina curiosità nata da un senso morale ed etico spazzato via dalla baldanza intrinseca nel suo dna, e nella droga. Allungò le gambe sottili e incrociò le caviglie, mettendosi ancora più comodo e occupando uno spazio nella vita del Crane che forse non gli apparteneva, ma ciò non avrebbe comunque impedito a Elias di farlo. Non gli importava granché del giudizio altrui, né di cosa gli fosse concesso o meno; le cose, solitamente, se le prendeva quando e come voleva, senza chiedere il permesso. «jekyll — posso chiamarti così?» certo che poteva, l’avrebbe fatto comunque a prescindere, «sai, mi pare di conoscerti da una vita. è assurdo pensare sia solo la prima volta che ci vediamo di persona, non trovi?» impossibile dire se lo stesse prendendo in giro o meno, se a quelle parole ci credesse davvero o se fossero solo i commenti senza filtro dettati dagli effetti inebrianti della pastiglia sciolta sotto la lingua; se ci credesse o no, in quello che diceva.
    Si mise a sedere, allargando le braccia e sorridendo entusiasta all'altro. «avanti, sto aspettando i commenti! le reazioni a caldo! dimmi tutto quello che pensi! e solo le cose belle, mi raccomando.» davvero una creatura… peculiare, Elias Raikkonen. Pronto a capovolgere l’esistenza di chiunque altro, pur senza il loro consenso.
    32 | 1991
    clairvoyant
    spy | keeper
    distorted light beam
    bastille
  7. .

    when
    oct. 23
    where
    ministry of magic
    who
    clairvoyant

    iridium
    Elias si era sempre tenuto il più possibile lontano dal V livello del ministero, e continuava a farlo anche ora che quelli come lui (ancora, e sempre, con una nota vagamente dispregiativa a macchiarne il suono) non avevano più nulla da temere se non le ripercussioni dettate dal terrore e dal malcontento a nome di qualche mago o babbano che non ci stava: erano loro a detenere il potere, ora, non dicevano tutti così? Sembrava quasi un sogno; e per uno che dei sogni ne aveva fatto mestiere e vita, era un'aspirazione vana; Elias sapeva davvero di che sostanza fossero fatti i sogni, tanto per dirla in maniera poetica, e l’avere a capo della società un gruppo di special era ben lontano dalla sua concezione “di sogno”. Era meglio dell’alternativa, certo, e per carità!, ma non abbastanza funzionale per essere un sogno che si realizzava, un’utopia che prendeva vita. C’erano ancora così tante cose che non andavano nel loro mondo, così tanta fame nel mondo duh, che pensare solo alle mani che si passavano lo scettro del potere sembrava un po’ troppo superficiale persino per lui.
    Comunque — era molto felice di non dover subire più il bullismo dei maghi, o in alternativa di avere il culo parato quando qualcuno di troppo audace si spingeva un po’ troppo in là e provava a fare l’eroe di cui nessuno – ma letteralmente: nessuno! – aveva bisogno. I bulli, ad Elias Raikkonen, non erano mai piaciuti: era un tipo pacifico, infondo, che professava e donava amore e non chiedeva nulla di diverso in cambio. Che poi avesse passato più di metà della sua vita a dare la caccia ai ribelli, ritenuti responsabili di gran parte delle sue personali sciagure, era un altro discorso; non era bullismo vero e proprio, se si trattava di vendetta personale! Questo concetto tirato fuori direttamente dal suo libricino personale era uno dei pilastri fondamentali della sua esistenza, una delle poche cose che persino Mikkel comprendeva e condivideva. C’erano vari tipi di violenza, e di giustizia, al mondo, ed Elias sapeva perfettamente a quale fare riferimento e quali, invece, condannare pubblicamente.
    Per anni aveva nascosto la sua vera natura a chiunque, sapendo, più che temendo, che non sarebbe stata accettata dalla società in cui viveva, perché il diverso aveva sempre fatto paura, persino in una società magica — ma ora non doveva più nascondersi dietro un dito, non doveva più mentire (ah-a! che ironia, per una spia) per salvarsi la pelle.
    Adesso era libero di essere se stesso, libero di poter dire di essere uno special e persino libero di chiedere che venissero bacchettate le mani di coloro che provavano ad alzare un dito contro di lui. Non era un mondo meraviglioso quello in cui finalmente vivano? Non un sogno, ma la realtà.
    Peccato che non tutti sembrassero ancora capirlo.
    Accettarlo.
    Si rendeva conto che cambiare le abitudini delle persone da un giorno all’altro non fosse facile, ma erano passati mesi, perbacco, quanto altro tempo volevano per assestarsi e abituarsi al nuovo regime?! Duh. I cambiamenti, infondo, erano belli: elettrizzanti, piacevoli, una novità. Solo alle persone tristi non piacevano.
    Still, lo special continuava a tenersi alla larga dal V livello perché essere trattato come un fenomeno da baraccone non gli piace.
    E le lezioni gli piacevano anche meno.
    Ma aveva sempre avuto una curiosità fin troppo grande, più grande di quanto potesse permettersi di avere; una curiosità che spesso soddisfaceva a proprio discapito. Una curiosità che, proprio come il ragazzino immaturo che molto spesso dimostrava di essere, governava le sue scelte e le sue azioni. Infondo non sarebbe stato se stesso – se sarebbe andato da nessuna parte – se non avesse avuto proprio quella curiosità a muoverlo, sin da giovanissimo.
    Ecco perché, nonostante tutto, quel pomeriggio si era comunque recato al livello che a lungo aveva cercato di evitare, persino quando il suo piano era costretto a collaborare con quello della gestione Special aveva sempre inventato scuse per tirarsene fuori. Non quel giorno. Quel pomeriggio era lì, fuori dall’aula che andava via via svuotandosi, braccia conserte e spalla poggiata contro una delle colonne che sorreggevano le arcate nel corridoio.
    Quel giorno, Elias Raikkonen si era svegliato e aveva scelto il caso.
    Praticamente, un qualsiasi martedì nella sua vita.
    Salutò gli special e i maghi (pochi, sempre troppo pochi; gli venne naturale domandarsi quanto ancora sarebbe durato quel progetto sperimentale del nuovo governo, e la risposta che gli venne in ente fu: poco.) che uscivano dalla classe, pur senza conoscerli, perché era un uomo educato; poi, con una nonchalance che in pochi potevano dire di avere, affrontò la corrente al verso contrario e si infilò nella stanza, prendendo nota delle mura spoglie, dello stato di pietà in cui verteva, dell’aria poco soddisfatta dell’unica anima che ancora la occupava.
    L’insegnante, forse? Non poteva saperlo, lo special: non aveva mai preso parte a nessuna lezione, pur avendo ricevuto svariati inviti a farlo. Non era molto bravo a fare ciò che gli altri si aspettavano che facesse, preferiva sorprendere tutti!
    Alla ragazza, comunque, rivolse un sorriso tutto denti storti e fossette, nonostante non potesse vederlo, dandogli le spalle. «non preoccuparti, la prossima» sarà anche peggio «andrà meglio.» lo aveva previsto? Forse sì, o forse voleva solo fare conversazione: fategli causa! Era un ragazzo socievole — quando voleva.
    «tu sei l’istruttrice?» una domanda superflua, magari la conosceva anche, ma in quel momento non avrebbe saputo dirlo. E pensare che si riteneva persino un fisionomista, per lavoro e per passione, duh!
    elias
    raikkonen
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    SPOILER (click to view)
    non giudicare, venti minuti fa ero morta sul divano, poi ho aperto una bottiglia di vino e ho pensato bene che mettermi al pc fosse un'idea furba. scusa.
  8. .
    whoelias raikkonen
    rolepavor | spy
    alignmentdeatheater
    info32 | clairvoyant
    infoonce: kimi linguini
    «e cerca di non mandare tutto a puttane, chiaro?»
    Era forse *gASP* dell’astio, quello che Elias percepiva trapelare dalle parole del suo adorabile collega? Oh no.
    «tranquillo, gibbs,» gli sorrise, allungando una mano per posarla sulla spalla del mago, e sorrise ancora di più nel vedere l’altro uomo ritirarsi all’improvviso, per sfuggire al tocco di Elias, nemmeno fosse portatore sano di qualche malattia rara. «farò del mio meglio per non farti fare brutte figure, lungi da me gettare un’ombra di vergogna sul reparto» le mani, questa volta, lo special le alzò a mezz’aria, palmi rivolti verso il collega in segno di resa. «promesso»
    E gli sorrise, di nuovo, perché lo sapeva benissimo che non c’era cosa in quel momento che infastidisse di più l’altro pavor.
    «ti ricordi che faccio questo lavoro da anni, sì?»
    L’occhiata truce che ricevette in cambio, lo portò solo ad allargare il ghigno fino a mostrare i canini. «ma mostrami pure la via,» indicò il corridoio di fronte a loro, con un gesto plateale della mano.
    Odiava Gibbs, e odiava ancora di più che Gibbs lo odiasse più di quanto lui odiava Gibbs.
    «se la soffiata che ci è giunta è corretta, troverai il presunto ribelle in un bar chiamato–» lesse il nome sul fascicolo, un nome che Elias conosceva già, e che sapeva anche non fosse affatto il posto dove trovare il loro giovane amico. Ma a Gibbs, quello non lo disse, limitandosi ad annuire e ascoltare la spiegazione come uno studente in classe durante l’ora della sua materia preferita. «assicurati che sia davvero la persona che cerchiamo, che abbia informazioni riguardo la ribellione, e poi lascia il compito agli uomini della Ritk.»
    Si trattenne dal sollevare lo sguardo verso il soffitto, osservando placidamente il pavor a cui era stato affidato quel giorno.
    Non si pentiva di aver chiesto di poter essere valutato per una specializzazione, aveva aspettato quel momento a lungo (due mesi; quelli che ho aspettato io per poter fare la role di prova, ciao smack): sapeva di poter contribuire al reparto molto meglio di quanto avesse fatto fino ad ora, che quello della spia fosse il ruolo per cui era nato (sì, era molto drammatico il Raikkonen), che quello di jolly era un titolo sprecato, su di lui. Non aveva dovuto nemmeno pensare a quale specializzazione scegliere: 9 casi su 10 odiava sporcarsi le mani di liquidi corporei estranei – c’era solo un’eccezione (cosa?cosa) – e il sangue, per principio, era stato sempre un suo grande NOOOPE, quindi escludeva già la tortura fisica – e per quella mentale non era abbastanza fantasioso: il massimo che poteva fare era mettere su un disco di Gigi d’Alessio e lasciarlo andare in loop per un giorno intero). Per quanto riguardava poi il rintracciare qualcuno.. ugh, Elias Raikkonen non correva dietro a nessuno, nemmeno pericolosi terroristi mpf!! Al massimo era lui quello che veniva inseguito grazie tante.
    In realtà, però, l’aveva saputo sin da subito che il posto giusto per lui fosse tra le fila della Rosewood: era bravo a conquistare le persone, a farsi piacere e ispirare fiducia — e comunque, pure quando falliva in uno di quei campi, poteva sempre ricorrere al suo potere e cercare di scoprire qualcosa nella cara vecchia maniera, all’insaputa del povero disgraziato finito sotto le sue mani.
    «oh, gibbs» derogatory, ma detto con il tono morbido di chi sembrava in totale adorazione per il suo superiore, «se non hai altro da aggiungere, o consigliarmi, io andrei. ci sono ribelli da acciuffare!» e non sopporto più la tua stupida faccia.

    Come Elias aveva anticipato, il sospettato non era al bar che aveva indicato Gibbs: nooo, che sorpresa, tutti sconvoltiiii!!.
    Lo aveva trovato, invece, seduto su una panchina di Hyde Park intento a risolvere le parole crociate del quotidiano — che cosa così (da pandi) boomer da fare. «“gonne”» si annunciò così, a pochi passi dal ragazzo, buttando un’occhio sulla definizione che lo stava logorando da svariati minuti (per quello, Elias non era dovuto ricorrere al suo potere; lo si poteva chiaramente leggere nell’espressione aggrovigliata dell’altro, e dal fatto che fosse l’ultima risposta che mancava all’appello). Allora sguardo confuso che ricevette, lo special rispose con un sorriso affabile. «“le allunga e le accorcia la moda”.» recitò con semplicità, senza far vacillare il sorriso. «la risposta è “gonne”. cinque lettere, orizzontale.» senza essere invitato, prese posto accanto al sospettato e si avvicinò distrattamente a lui, indicando la pagina con le parole crociate. «ha fatto impazzire anche me.»
    Quel che sapeva del giovane: Tomás Nura, di origine nigeriana, viveva a Londra da quando aveva 4 anni e attualmente ne aveva 28; aveva frequentato Hogwarts (forza tassorosso!) e da qualche anno lavorava come guardia notturna al giardino zoologico; un bravo cristiano, alla mano e patito di cruciverba e sudoku; chi aveva fatto il suo nome al ministero, lo accusava banalmente di aver avuto “atteggiamenti sospetti” in pubblico — Elias era lì per confutare o smentire tali accuse.
    Ci mise letteralmente un minuto e mezzo, Elias, e svariate chiacchiere senza impegno, per decretare che no: quella pista non avrebbe portato da nessuna parte. La sua piccola invasione di spazio personale, durata il tempo di una carezza rubata alla guardia con un gesto volutamente goffo e distratto, aveva risposto a molte delle sue domande: era single, aveva esperienze con uomini e donne, preferiva stare sopra, tipo da birra, e no, non era così sospetto come lo volevano dipingere. Elias poteva avere ancora problemi a definire alcuni dei propri sogni o dare un senso alle sue visioni, ma si fidava di ciò che vedeva ed aveva sapientemente coltivato il proprio potere da sapere che poteva fidarsi di ciò che quei contatti apparentemente innocui gli suggerivano. Tomás non era una persona pericolosa (ma una possibile futura conquista, quello sì); qualcuno aveva cercato di incastrarlo, magari per uno screzio personale.
    Però qualcosa di interessante Elias l’aveva vista, negli stralci di passato dell’ex tassorosso — o meglio, l’aveva sentita. C’erano state delle voci, confuse nel caos di vociare concitato del Wizburger, alle quali lo stesso Nura non aveva badato ma che erano state in qualche modo registrate dalla sua aura; voci che Elias non aveva messo a fuoco, ma che avevano lasciato come un qualcosa all’altezza dello stomaco. Un’impressione. Forse, dopotutto, quel giorno non sarebbe stato del tutto inutile (dal punto di vista lavorativo).
    Un paio di ore dopo salutava Nura con un sorriso, il numero di cellulare del mago salvato in rubrica e una pista forse utile da condividere con i suoi colleghi al rientro al ministero.
    I'm now becoming
    my own self-fulfilled
    prophecy
    whenoctober 2023
    ministry of magicwhere
    board[man] splain, ipulate, whore?
    oh no!
    marina


    SPOILER (click to view)
    un giorno finirò di aprire role libere, ma quel giorno non è oggi.
    allora!! niente . letteralmente. il post è quasi inutile perché è elias che fa cose da spia peeeerò alla fine torna al ministero (non l'ho scritto ma è così .) per riferire ai suoi colleghini!! quindi. volete essere dei colleghi? gente che lo incontra per caso mentre passeggia per i corridoi? volete essere, boh, amici di nura che lo hanno seguito fino al ministero (perché......vorreste....... ma ok) oppure gASP siete i ribelli che elias ha casualmente sentito?!? DAI VENITECE offro role libere come se fossero air action vigorsol, sono la vostra spacciatrice ufficiale.
  9. .
    elias raikkonen
    kimi linguini
    When I'm dreaming tonight, I can do anything
    When I'm dreaming tonight, I can go anywhere
    When I'm dreaming tonight, I can be anyone
    So don't wake me up, don't wake me up
    Il sorriso sghembo, perenne sulle labbra del chiaroveggente, non vacillò nemmeno per un istante al cospetto dell’altro special; al contrario, si fece, se possibile, ancora più affilato — preludio di intenzioni tutt’altro che innocenti, incastrate tra i denti un po’ storti e le labbra rosee; nelle pagliuzze verdi che affogavano nell’azzurro sporco degli occhi – o quel che ne rimaneva visibile, mangiati quasi totalmente dalle pupille nere –; nel tono di voce basso, calmo, elastico.
    Non c’era nemmeno una singola fibra del suo essere, infondo, che potesse essere considerata innocente. Era il ritratto ambulante del concetto di “pessima idea”, con la zazzera ossigenata scarmigliata, gli occhiali da sole calati sul naso, la lingua a giocare furba contro i denti; saperlo – e sapere che gli altri sapessero – rendeva la cosa allo stesso tempo più interessante e noiosa. Perché Elias era anche quello: inconsistenza, contraddizioni. Era tutto, e allo stesso tempo era irrilevante e intangibile.
    «non abbastanza, a quanto pare.»
    «mh, non sono d’accordo.» non si mosse, lasciando che fosse Jekyll ad avvicinarsi, busta ancora in mano e sguardo sorpreso, ma non confuso; Elias lo prese come un invito a continuare — non che avesse davvero bisogno di alcun invito, figuriamoci; la sua mente era già fissa su una questione, pronta a ruotare attorno ad essa e nient’altro. «ci sei andato davvero vicino.» e non c’era più la vena sarcastica nella sua voce, ora, ma solo la certezza intrinseca nelle parole di qualcuno che il futuro lo prevedeva, masticava, strappava via e sputava fuori a modo suo, dandogli nuova forma e modellandolo a proprio piacere — non una realtà lineare, quella in cui viveva il Raikkonen; non lo era mai stata. Lui lo sapeva che Jek fosse arrivato incredibilmente – e testardamente – vicino a timbrare il cartellino d’uscita per l’ultima volta, in quel di Brecon; lo aveva visto. Che non lo avesse capito subito, lì per lì, non voleva dire che fosse stato meno annunciato il tentativo (fallimentare, purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista) del pirocineta. «meglio così.» C’erano ancora un sacco di cose da fare, in quella vita. Non sarebbe stato di certo Elias a dirgli quali fossero, duh, ma sapeva che fossero lì; e voleva sperare, più che credere, che lo sapesse anche il (non) Daniels.
    Se possibile, la piega delle labbra si fece ancora più profonda quando l’altro alzò una mano per accarezzargli il viso, stringendo la pelle tra dita macchiate di inchiostro, decise e al contempo esitanti — aveva forse paura di sentirlo scivolare via, di rendersi conto di star stringendo ancora una volta una sensazione piuttosto che carne viva? Di svegliarsi nel proprio letto, dopo l’ennesimo incontro solo sognato? Di affannarsi in una corsa contro il tempo per non dimenticare i dettagli di quel sogno che già sfuggiva alla sua memoria?
    Lo sguardo di Elias si fece più lucido, concentrandosi sui lineamenti del minore, mentre quest’ultimo lo studiava da ogni angolazione possibile. «fai pure.» Soffice, appena un fiato a cui aveva affidato parole leggere e allo stesso tempo pesanti: una concessione che El regalava a molti ma offriva a pochi. C’era una differenza.
    «ma pensa, sei vero.»
    «in carne ed ossa,» più ossa che carne, vero; non era una figura imponente, Elias, e non era ben piazzato come molti altri uomini, la sua esile figura però aveva altri modi per catturare le attenzioni e l’atteggiamento contribuiva, più in generale, a renderlo piacevole e interessante. «lo so, lo so» portò la propria mano a coprire quella dell’altro special, le dita a tamburellare leggere su quelle del minore, prima di stringere appena e dimostrargli che fosse reale. «sono un sogno,» letteralmente «è una reazione normale» glielo dicevano tutti, persino di quelli a cui non appariva nella dimensione onirica.
    Picchiettò ancora un paio di volte, prima di abbassare la mano e portare quella di Jekyll con sé, indicando con l’indice la busta che lui teneva nell’altra.
    «uh, festa?» se c’era dell’alcol in giro, Elias voleva essere invitato a partecipare, sad emoji sad emoji sad emoji «non lo sai che è più divertente bere in compagnia? e poi,» finalmente, dopo quelle che erano sembrate ore, decretò che la parete era abbastanza stabile da rimanere su anche se lui si fosse staccato, perciò con un colpo di reni spostò il peso in avanti e si fece più vicino all’altro special, «qualcuno deve assicurarsi che tu non sia sopravvissuto alla guerra solo per essere ucciso da benzina sottomarca» insomma, lui non aveva fatto tutto quello – gli avvisi, i sogni, i consigli – solo per poi sapere che l’imbecille aveva bevuto fino a far collassare il proprio fegato. «sarebbe un peccato» magari il destino lo aveva voluto lì, quel giorno, proprio per quello: fare da baby-sitter al Crane-Winston, e devastarsi con lui.
    Sembravano già un pezzo avanti tutti e due.
    32 | 1991
    clairvoyant
    spy | keeper
    distorted light beam
    bastille
  10. .
    HTML
    <span class="pv-m">jack o'connell/nicolas maupas[color=red]*[/color]</span> elias raikkonen [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62856582][color=#A33213] scheda pg[/color][/URL]
  11. .
    ↳ prima utenza: peetzah!
    ↳ NUOVA UTENZA: ichor
    ↳ PRESENTAZIONE: dopo la cerco (non l'ho più cercata)
    ↳ ROLE ATTIVE:
    - MORLEY: 29/07
    - ARTURO: 25/07
    - NICE: 25/07
    - HANS: 26/07
    - DYLAN: 26/07
    - NATHAN: 30/07
    - WREN: 25/07
    - LOLLO: 02/08
    - MADDOX: 01/08
    - LUPE: bonus elias, 29/07
    - KYLE: 26/07
    - GREY: 02/08
    - CLOUD: 27/07
    - NELIA: 25/07
    - HOLD: 26/07
    - REESE: 03/08
    - MONA: 03/08
    - IDYS: 27/07
    - BASH: 01/08
    - WILLA: 26/07
    - LANCE: 28/07
    - JAVA: 16/08
    - TYLER: 15/08
    - LITA: 03/08
    - THEO: 22/07
    ↳ ULTIMA SCHEDA CREATA: Theo (21/07)
  12. .
    elias raikkonen
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    When I'm dreaming tonight, I can be anyone
    So don't wake me up, don't wake me up
    maggio.
    Non si era sprecato molto quando, soffiando appena le parole attraverso le labbra piegate in un sorriso pigro e liquido, aveva sussurrato all'orecchio di Franklyn Daniels quel «non farti uccidere, piccolo bastardo ingrato», una pacca sulla spalla leggera e quasi impercettibile, fatta di sensazioni e desiderio piuttosto che di pelle e calore— erano in un sogno, dopotutto, Elias non era davvero lì; e neppure Jekyll.
    (Odiava chiamarlo Franklyn, gli sapeva così tanto di menzogna; ironico, e fottutamente ipocrita, che a dirlo fosse proprio un bugiardo cronico e professionista come il Raikkonen, vero, ma faceva parte della sua incredibile personalità, due dei tanti pregi che El vantava e lodava con chiunque avesse perspicacia per coglierle, più che orecchie per ascoltare; certe cose erano fatte per andare oltre: oltre le capacità comuni, oltre il buonsenso, oltre lo spazio metafisico, oltre i limiti e le imposizioni.
    Lo stesso Elias era una di quelle cose.)
    Nel sogno, fece scivolare la mano sul braccio del Crane, fino a lasciarlo riposare all'altezza del polso, tamburellando con dita leggere e inconsistenti seguendo il ritmo dei battiti che percepiva sotto la pelle.
    Tu-tun.
    Tu-tun.
    Soddisfatto, liberò l'altro dalla presa e incrociò le braccia al petto. «Volevo solo controllare.» Una spiegazione che non spiegava nulla; aveva investito tempo ed energia onirica in quegli incontri, per avvisare il pirocineta dei rischi a cui sarebbe andato incontro, e voleva solo controllare che il frutto del suo investimento fosse ancora in possesso di un battito cardiaco e un respiro regolare. Era un imprenditore, dava un certo valore alle cose, lui.
    Un business iniziato involontariamente, ma non vedeva perché, arrivato a quel punto, non potesse continuare a coltivarlo e farlo crescere.
    Non era la prima volta che il danese appariva come la Madonna (cit.) occupando, e benedicendo, i sogni di Jekyll: da quando era iniziato il conflitto, gli era successo più volte di quante fosse disposto ad ammettere, la maggior parte delle quali senza che Elias avesse minimamente voce in capitolo sulla decisione — chiudeva gli occhi, cedendo all'oblio confortevole delle pastiglie sciolte sulla lingua, e si ritrovava in quella dimensione onirica dove gli era possibile rompere il cazzo alle persone con cui aveva dei legami.
    Poche, certo, ma ciascuna importante a modo suo; molto spesso finiva in quelli di suo fratello gemello, Mikkel, un luogo oscuro che Elias preferiva non vedere, ew, ma con il vigilante impegnato a farsi uccidere dall'altra parte del mondo, la sua mente pareva aver messo l'autopilota e deciso che fosse quella la meta dove atterrare un sonno sì, e l'altro pure.
    Lo osservò, in silenzio, da dietro palpebre pesanti; nonostante la pratica, e nonostante gli anni di visitine non autorizzate nel mondo onirico, rimaneva un'esperienza sempre diversa e incomprensibile per il chiaroveggente — forse, ma giusto forse, perché spesso ci capitava quando privo di anche il più piccolo barlume di lucidità, ma eh: essere un novello profeta nel ventunesimo secolo era un lavoro difficile, bisognava adattarsi.
    Per quanto si sforzasse, rimanere aggrappato alle pareti scivolose di quel piano astrale era difficile e mantenere la concentrazione abbastanza a lungo da non evitare di far piegare la non-realtà su se stessa, e schiacciare sognatore e sogno, non era un'impresa che Elias potesse protrarre troppo a lungo; quel posto aveva la fastidiosa abitudine di cominciare a tirare, stringere, soffocare, piegare, confondere i sensi e i contorni di forme e paesaggi — se era complicato per Elias, immaginava che una prolungata esposizione ai raggi gamma onirici avrebbe liquefatto il cervello di chiunque altro.
    Avrebbe dovuto rimandare il resto della conversazione ad un altro momento.
    Allargò il sorriso in direzione di Jekyll, una mano ad accarezzare lentamente l'aria in un cenno pigro di saluto. «Ci si vede, Crane», il non morire lasciato implicito nella promessa di un futuro rendez-vous clandestino nel bel mezzo della guerra: c'era un limite al numero di avvisi e indicazioni che un uomo poteva dare ai suoi protetti, duh; ad un certo punto smetteva di essere un suo problema e tornava in mano alla loro capacità di giudizio.
    E assennatezza.
    Due cose che, a quanto pareva, il CW non possedeva.
    Peccato.


    presente.
    Si erano rivisti per esattamente una volta, dopo quella notte, e non era stato particolarmente piacevole.
    L'aria apocalittica nella quale si era ritrovato, precipitando nel sogno, Elias avrebbe potuto spiegarla solo in due modi: o qualcuno aveva fatto indigestione di jalapeños e ora rimpiangeva qualsiasi scelta di vita fatta sin dalla nascita, oppure le cose fuori non stavano andando alla grande.
    Elias, mai troppo interessato a questioni che non lo colpissero vicino casa, non aveva chiesto: il bollettino di guerra, se voleva, poteva leggerlo sul Morsmordre; da quei brevi e fugaci incontri sperava sempre di ricevere qualcosa in più — fategli causa.
    Eppure, a voler essere del tutto onesto, Elias aveva avuto la sensazione di saperlo già prima di rifuggiarsi nel sogno, che qualcosa non stesse andando come previsto; chiamatelo sesto senso, chiamatela capacità precognitiva, fatto sta che l'aveva saputo ancora prima di posare lo sguardo chiaro in quello verde di Jekyll e rendersi conto che uh, era fottuto.
    Ma “del tutto onesto”, Elias Raikkonen, non lo era mai stato; perciò aveva tenuto le labbra sigillate in un sorriso morbido, e si era trattenuto dal consigliare al pirocineta di stare alla larga da Brecon, perché c'era un confine sottile tra usare le proprie conoscenze per aiutare qualcuno e fottere il corso degli eventi in maniera irreversibile — fosse stato il secondo caso, Elias non ci avrebbe pensato due volte prima di avvisare il Crane.
    Che dire, gli piaceva contribuire al caos, e l'assenza dello special da quella battaglia non ne procurava abbastanza, tanto valeva lasciarlo divertire un altro po'.
    Era stato un incontro strano, quello, fatto di molti silenzi e pochi insulti; era chiaro che Jekyll non fosse davvero lì, ancora meno del solito, ed Elias non era abbastanza interessato per chiedere cosa stesse accadendo oltre la barricata di Abbadon; come già detto, al Raikkonen, del mondo, interessava il giusto.
    Si erano lasciati così, dunque, ciascuno perso nei propri vuoti, convinti che la volta successiva sarebbe andata meglio.
    Ma non c'era stata una “volta successiva”.
    Elias era stato catapultato in notti insonni popolate da figure deformi e così nere da apparire, piuttosto, prive di luce; fuoco e piante, hamburgers parlanti (aveva visto cose più strane, nei suoi sogni); occhiali da sole e droni; una luna piena color rosso sangue; la cosa più normale che El aveva sognato, in una settimana, era Mikkel che indovinava i numeri della lotteria babbana — strange as fuck (e non esattamente una premonizione, di quello era – purtroppo – certo) , ma in confronto a tutto il resto…
    La settimana si era poi conclusa con la fine della guerra, e le parole nero pece dei titoli dei giornali avevano portato via gli incubi e le visioni, quasi come a fungere da John Constantine dell'era moderna.
    E così erano passati giorni, e poi settimane, e la mente poco lucida del chiaroveggente era stata in breve sopraffatta da così tante cose che anche solo pensare al pirocineta lasciato indietro era sembrato impossibile; c'erano padri da tenere d'occhio, sorelle da seguire senza farsi beccare, non aveva tempo per il resto.
    O così aveva creduto: proprio come era successo all'inizio del conflitto, non aveva scelto lui di prevedere, con precisione, dove e quando trovare il pirocineta — ma come poteva rimanere impassibile di fronte ad un regalo del genere? Sarebbe sembrato scortese. Dava per scontato che fornirgli un nome e un orario fosse un modo come un altro del karma per ripagarlo dei suoi sforzi in quegli ultimi mesi: fare il fratello maggiore era davvero un lavoro faticoso e poco remunerativo, specialmente se gli ingrati figli di puttana (salvando… beh, una madre; vattelapesca quale) non avevano alcuna idea di ciò che Elias faceva per loro.
    Quindi va bene: avrebbe accettato il (non così) discreto suggerimento e avrebbe fatto visita al Crane.
    Poco importava che fosse già completamente devoto alla pasticca di ecstasy che aveva sciolto poco prima sulla lingua, e che qualsiasi pensiero coerente formulato dalla sua mente avesse forme troppo spigolose e colori troppo accesi per essere correttamente processati dallo special.
    Pensare era sopravvalutato.
    Spalla poggiata contro la parete fatiscente del motel, le braccia incrociate al petto e un sorriso liquido a piegare gli angoli delle labbra verso l'alto, Elias si rivolse a Jek non appena lo vide voltare l'angolo: «e quindi non sei morto: sconvolgente» chiunque @ i Crane in quest, «ma scommetto che ci sei andato molto vicino» sempre chiunque @ i Crane in quest.
    32 | 1991
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12 replies since 25/7/2023
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