I gave it all my oxygen, so let the flames begin.

@ enoteca junias | ft. xav

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    «no, menina, non puoi bere questo vino.»
    Enfasi sul questo, mentre lo sguardo nocciola andava ad incontrare con un pizzico di sfida quello dello special di fronte a lei, invitandolo a dire qualcosa, come ad esempio a sottolineare che Juno non potessere bene nessun tipo di vino, avendo solo sei anni, e cose del genere. «Questo è un vino especial uno che, per inciso, costava anche tantissimo — non che loro lo pagassero, infondo. Con voce più bassa, ma non abbastanza da non farsi sentire dallo Stevens, Lita sussurrò all’orecchio della bimba che teneva in braccio. «Quando papà è distratto, zia Lita te ne fa assaggiare un altro, tranquilla.» Una promessa che bastò a far gigglare la bambina, e a far esclamare alla sua gemella un «anche a me! Anche a me!» che fece sorridere la special. «claro que sim, minha querida.»
    Ah, quelle due bambine le avrebbero tolto la vita, con le loro guanciotte piene e i sorrisi furbi; sotto molti aspetti, le ricordavano un po’ sua sorella Rebe alla loro età, vispe e iperattive, ma impossibile da non adorare. Se pensava che per qualche mese aveva fatto credere loro di essere sparita, forse addirittura morta, sentiva una stretta al centro del petto e l’aria a mancare un pochettino; non avrebbe mai, mai, fatto del male a Juniper o Atlas, nemmeno involontariamente.
    Accarezzò distrattamente i codini di Juno, giocando con le ciocche miele che lei stessa aveva acconciato quella mattina, prima di uscire di casa e portarle a scuola. Le piaceva prendersi cura di loro, lo aveva sempre fatto con le sue sorelle più piccole ed era rimasta un’abitudine che, per certi aspetti, la legava ancora alla vita lasciata a Recife. E poi, avere a che fare con le bambine era molto più semplice che stare a combattere con loro padre, attualmente seduto di fronte alla brasiliana e intento a guardarla con aria truce.
    Lei, dal canto suo, sorrise innocente.
    «Che c’è? Dovranno iniziare prima o poi, tanto vale guidarle. Non vorrai mica che finiscano a bere vino in confezione?» Non sotto la sua cura attenta e vigile! Allargò un braccio per indicare il locale intorno a loro: seduti sul pavimento di Don Genny Junias, l’enoteca aperta da Xav e Lita qualche mese prima (della guerra, ugh, menomale che il conflitto non aveva intaccato troppo gli affari), i due special stavano discutendo su come espandere il business e dove reperire altri vini da rivendere nel negozio. «Non quando hanno tutto questo a disposizione.» E ok, era responsabile abbastanza da sapere che istigare due bambine di sette anni all’alcolismo non era proprio il massimo, ma non voleva farlo davvero; stava solo prendendo in giro Xav. «Ma ok, se vuoi fare il papà brontolone e guastafeste fai pure.» Si allungò in avanti per dare un buffetto sulla guancia di Atlas, avvinghiata al suo papà, e ad un centimetro dal viso dell’altro sussurrò: «mi rendi il lavoro più facile, così, lo sai? Già mi adorano, sono la loro zia preferita, ma se continui così te le ruberò definitivamente.» Una promessa, e una minaccia. «Só te estou a avisar, Stevens» E con quell’avvertimento soffiato ad un centimetro dal pirocineta, Lita lasciò cadere la questione.
    «Dunque!» Battè le mani un paio di volte, richiamando il terzetto all’attenzione: avevano cose serie di cui parlare, non potevano stare lì a ciarlare tutto il giorno, in un paio di ore il locale andava aperto e la clientela accolta! L’aerocineta abbassò lo sguardo sulle gemelle, con aria seria. «Vediamo se quest’oggi l’istruzione magica si è rivelata un po’ meno inutile, sentiamo le vostre proposte.» Uno scherzo solo fino ad un certo punto: era anche ora che la scuola iniziasse a dare un vero contributo, ed iniziasse ad insegnare ai bambini come muoversi nel mondo — non necessariamente quello dell’illegalità dove nuotavano ormai, come due squali, Lita e Xavier, ma in generale, uff, quando avrebbero cominciato a dare lezioni utili anche alla vita fuori dalle classi? Al Junias servivano menti brillanti e fresche, che aiutassero con le idee di marketing e pure con i bilanci mensili, perché no. «Vale anche per te, signor Stevens.» Lo ammonì con lo sguardo, e con un indice alzato a mezz’aria. «Io ho proposto di organizzare la serata degustazione, il mese scorso. E ho rintracciato quella spedizione di vini italiani il mese ancora prima.» Insomma, la sua paga se l’era più che guadagnata. «E ho supervisionato la nascita di questo bellissimo bambino,» annunciò, alzando la bottiglia di vino (che non era solo vino) e facendola risplendere sotto la luce al neon del locale. «Non posso mica fare tutto io.» Ma Lita, non hai mai fatto nulla se non lo stretto indispesabile. Shh, dettagli.
    Sorrise al partner in crime, da dietro il bordo del bicchiere colmo di vino — no, non quello contenente una percentuale di distillato di cocaina, era una zia resposabile, lei! Non beveva quella roba quando era con bambine! O... mai, in effetti. E in anni e anni di cartello, non aveva mai provato la droga, non avrebbe di certo iniziato quel giorno. Ma la loro creatura andava comunque festeggiata, perciò Lita aveva rubato una bottiglia di Testarossa dagli scaffali e ne aveva versato un po’ in due calici, uno per lei e l’altro (sempre per lei.) per Xav. «Alla nostra, socio. E a Junias.»
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    Xavier non aveva mai pensato che, anni dopo la sua dipartita per il Messico, un giorno sarebbe tornato in Gran Bretagna. Certo, il pensiero era sempre stato lì, dormiente in uno spazio infilato tra le costole e la gabbia toracica, così piccolo e fragile che il minimo scossone avrebbe potuto sgretolarlo per sempre. Era un’idea stupida.
    Finché non lo era più stata.
    Aveva vissuto la sua vita in Messico. Vi aveva cresciuto le sue figlie, o almeno ci aveva provato: non aveva avuto il più grande degli esempi. Non era father material, lo Stevens, ma aveva imparato dai suoi errori giorno dopo giorno e aveva cercato di essere migliore. Era maturato, un qualcosa che nemmeno poteva immaginare di fare anni e anni prima. Ma era quello che una nuova famiglia -e quella vecchia, sempre, nonostante tutto- ed essere a capo di un cartello facevano. Non era mai stato bravo a gestire le responsabilità, eppure bastava guardarlo per vedere come il suo impero criminale prosperava anche oltre i confini del paese, e come le Atlas e Juno fossero ancora vive. In quanto a lui- era ancora tutto in un pezzo, doveva pur valere a qualcosa, no? Nonostante i fori di proiettile ricuciti alla meglio, e le crude cicatrici a correre per il suo corpo, inclusa quella che ormai vedeva tutti i giorni riflessa allo specchio. Dava carattere, si era detto. Almeno nessuno l’avrebbe più confuso con Stiles o Jay. «no, menina, non puoi bere questo vino» Xavier si limitò ad osservare impassibile la special di fronte a lui, il mento poggiato sul dorso delle mani e assolutamente nessuna intenzione di lasciarsi ingaggiare in quella discussione. Voleva vedere dove sarebbe andata a parare, perché quando si trattava della Carvalho ve n’era sempre uno, seppur per arrivarci sarebbero stati cinque minuti lì. Gli ricordava un po’ Stiles, somewhat affectionate e derogatory tutto insieme. «Che c’è? Dovranno iniziare prima o poi, tanto vale guidarle. Non vorrai mica che finiscano a bere vino in confezione?» in effetti, in Messico bambini della loro stessa età già lavoravano, parte di un sistema che difficilmente li avrebbe lasciati andare. Terribile, davvero terribile, ma un ottima fonte di lavoro sottopagato. «Ma ok, se vuoi fare il papà brontolone e guastafeste fai pure» e no, questo non avrebbe dovuto dirlo. Lo special era ormai avvezzo a quello scontro verbale, ma non quando cercava di sminuirlo davanti alle bambine per conquistarsi il posto di zia migliore. Non valeva, era chiaramente giocare sporco. E tanto disse ad Atlas nel depositare un bacio in mezzo ai capelli, che nel frattempo aveva deciso di salirgli in braccio- ogni tanto si sentiva come uno dei quegli alberi per gatti. Xavier mantenne lo stesso sguardo truce quando Lita si avvicinò, perché cosa avrebbe dovuto fare, grato di avere Atlas a stemperare la follia della brasiliana. Sì, follia. Era circondato da pazzi. «Só te estou a avisar, Stevens» in tutta risposta, Xavier curvò gli angoli della bocca all’ingiù, fingendosi quasi dispiaciuto «non parlo brasiliano, scusa» sapeva benissimo che quello fosse portoghese, ma sapeva anche quanto desse fastidio a Lita. Dopotutto era un povero bambino cresciuto in un orfanotrofio, sapeva a malapena leggere! Boo hoo, cos’è la geografia. Quando Lita aprì la bocca, Xavier tappo abilmente le orecchie ad Atlas, la figlia più vicina. «Non le dare idee, che poi quando diventerà grande vorrà spodestarmi dal mio impero criminale» non aveva mai visto Succession? Queen of the South? Che domande, certo che no. Perché qualcuno si era fatto rinchiudere in un laboratorio perché non pensava mai alla conseguenza delle proprie azioni. Ma Xavier non era ancora petty, figurarsi. Non era una di quelle persone che teneva stretti al petto i grudges. «Cosa che non succederà, o per voi niente funko pop di Nairobi» ammonì le due bambine, ma senza alcuna severità nel tono. Aveva un debole quando si trattava delle gemelle. E sì, le stava guidando verso la criminalità facendole guardare la Casa de Papel, non ci vedeva niente di male. «Non posso mica fare tutto io» il pirocineta la osservò per qualche attimo, per poi curvare le labbra in un sorriso affilato, di sfida «ah no? non è quello il compito del mio braccio destro?» in braccio a lui, Atlas annuì, perché era chiaro che fosse Team Papà. O forse Team Portafoglio. «il mio compito è, vediamo un po’» finse di rifletterci su per qualche istante, per poi alzare le dita ed incominciare ad elencare tutti i suoi grandi e importanti compiti «coordinamento inghilterra-messico, ispezione dei carichi, essere un padre modello, ceo del migliore caffè latte di londra- devo continuare?» la modestia, lo sapevano entrambi, era una delle sue più grandi doti. Prese lo stelo del calice di vino tra indice e medio e diede un giro veloce al vino per lasciare che gli aromi si sprigionassero, e tutte quelle cazzate varie che piaceva decantare agli esperti di vino. Con l’altra mano avvicinò i bicchieri di succo di mirtillo alle figlie, così che potessero brindare anche loro, dopotutto quel locale era anche loro in parte «alla nostra, socio. E a Junias» alzò il bicchiere in alto per brindare insieme alla sua socia «a junias, e a un nuovo inizio» perché quello era il suo inizio, vaffanculo chi avrebbe detto il contrario. Lasciò scorrere il primo sorso del liquido giù per la gola, assaporando i diversi aromi che si sposavano in bocca, dalla ciliegia al lampone, e nessuna della cocaina che di solito scioglievano nei loro vini. «sono felice che mi abbia seguito in questa follia. anche se non lo dico abbastanza» pausa. «insomma, le bambine hanno bisogno di una babysitter» ah ecco. Quale momento toccante.
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    Dal modo in cui Xav baciò la testa di Atlas, lamentandosi poi con la bimba, in maniera non troppo privata, che la brasiliana stesse “giocando sporco”, Lita capì di aver toccato le giuste corde; era brava in quello, a trovare i nervi scoperti di chiunque e premerli come fossero tasti di un pianoforte pronto a suonare una melodia bellissima – quella del colpito e affondato – che la faceva sempre sorridere soddisfatta, labbra carnose a scoprire solo un accenno di denti, occhi vispi e sguardo poco rassicurante.
    Lita non giocava sporco; Lita prendeva quello che la vita gli offriva e ne faceva armi per difendersi e proteggersi. L’aveva imparato con le maniere dure, a sue spese, sempre un passo indietro e un minuto in ritardo, sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato; saper leggere le persone e, ancora più importante, riuscire a capirle era stata una delle poche chance che aveva avuto per andare avanti; ne aveva fatto, poi col tempo, uno dei suoi miglior vanti.
    Lo Stevens avrebbe dovuto saperlo.
    Così come lei avrebbe dovuto riconoscere che, per quanto fosse brava a pigiare i tasti altrui, era anche troppo facile scovare e danzare sui suoi; era troppo trasparente, Lita Carvalho, per non lasciare che giocassero anche un po’ con le sue emozioni, volente o nolente. Ed era troppo immatura e permalosa per trattenersi dal cadere nella loro trappola, e rispondere con un accenno di offesa a trapelare appena dalle parole.
    «isso é português, cabrão»
    Che lo Stevens lo sapesse non le interessava nemmeno più di tanto; era la presa di posizione di doverlo informare della sua insolenza e idiozia, perché era caritatevole e magnanima e si preoccupava della scarsa educazione del suo socio; si sarebbe poi riflettuta su entrambi.
    «Non le dare idee, che poi quando diventerà grande vorrà spodestarmi dal mio impero criminale»
    Un sorriso poco raccomandabile si disegnò sulle labbra della special. «Ma quali idee, queste sono le favole della buonanotte, papino Ovviamente, ovviamente, Lita era team Juno e Atlas; da brava zia incoraggiante e fiera, non aspettava altro che il giorno in cui avrebbero reclamato tutto ciò che era loro, mandando in pensione Xav prima del tempo.
    «E poi che fai, le ricatti tenendo in ostaggio Nairobi? Buhhhh» Rivolse un occhiolino complice alle bambine, smorfia che prometteva tutti i funko pop che volevano in cambio del loro incondizionato amore — perché era una ricattatrice morale anche lei, sotto sotto.
    Si rendeva conto che, se quelle bambine fossero venute su viziate dalla testa ai piedi, sarebbe stata anche in gran parte colpa sua: Lita proprio non riusciva a resistere, e si sentiva inconsciamente in colpa per non aver potuto dare a Bebi, la minore delle sue sorelle, tutto quello che avesse desiderato perché non aveva la possibilità economica; ora che, invece, aveva più soldi di quanti ne servissero davvero, e poteva togliersi tutti gli sfizi che voleva, cercava il più possibile di rendere felici le nipotini. Era il minimo che potesse fare.
    Nessuno avrebbe mai definito la vita di Lita facile, ma perlomeno ora sembrava molto meno in salita rispetto a pochi anni prima, e quantomeno stabile; certo, aveva dovuto perdere tutto per poter guadagnare qualcosa, ma ora, quello che aveva, era suo.
    E di Xav, okay, vero, ma erano soci; non appartenevano a nessuno, e la Carvalho aveva smesso di abbassare la testa ed eseguire gli ordini di qualcuno più in alto di lei.
    Era lei la Reina, ora.
    Quale braccio destro, ugh!!! Tsk.
    Con uno scoff, Lita incrociò le braccia al petto informando il pirocineta che «sono io la mente, docinho» rivolse una linguaccia ad Atlas, avendola beccata annuire alle parole di quel fedifrago del padre; per tutta risposta, la bambina ricambiò la smorfia e Lita sorrise, fiera e divertita. Ma era tenero il fatto che Xavier pensasse il contrario, aw.
    A proposito dell’altro special: rimase in attesa della lista dei presunti compiti a suo carico, genuinamente curiosa di sapere come pensasse di star contribuendo a quella nuova (associazione a delinquere) società. «coordinamento inghilterra-messico, ispezione dei carichi, essere un padre modello, ceo del migliore caffè latte di londra- devo continuare?» «sì, continua.» così assorta, intenta a tenere anche lei il conto delle cose alzando le dita man mano che Xav elencava, non batté ciglio prima di rispondere senza indugio in maniera affermativa, «voglio proprio vedere “pagliaccio” in che posizione si classificherà.» Un bacio soffiato nell’aria, prima di scoppiare a ridere e passare la mano tra i capelli per districare i boccoli impicciati. «aggiungi anche “comic relief” alla lista, Stevens» se lo meritava, sapeva davvero far ridere.
    Brindarono insieme, con tanto di succo di frutta per le gemelle, parte integrante di quel progetto tanto quanto i due special adulti che avevano tirato su quell’attività (con i soldi sporchi del traffico di sostanze illegali in tre quarti di globo, certo, ma chi stava a vedere quelle piccolezze al giorno d’oggi!) — Xav l’aveva definito un nuovo inizio; l’ennesimo, per Lita, ma per certi versi il primo che la spaventasse davvero perché quella volta aveva molto da perdere. Era stato più facile ricominciare quando, lontana dal Brasile, sola e senza un quattrino, aveva dovuto costruire una vita nuova senza rischiare di perdere nulla con un eventuale (e non improbabile) fallimento; ora, invece, aveva almeno tre persone che le sarebbero mancate (e a cui sarebbe mancata) se per un motivo o per un altro le cose non avessero funzionato.
    Ma nel sorriso che rivolse a Xav non c’era la minima traccia di quei pensieri cupi.
    «sono felice che mi abbia seguito in questa follia. anche se non lo dico abbastanza. insomma, le bambine hanno bisogno di una babysitter»
    «Solo le bambine? Meu amor, le bambine sanno badare a se stesse meglio di quanto sappia fare tu.»o io”, ma fu abbastanza lesta da non lasciarsi sfuggire quella piccola aggiunta. «Non ti ho seguito solo per le bambine,» ma non poteva negare che fossero state una parte molto importante a pesare su quella decisione; e guardandole, ora e ogni giorno della sua nuova vita, non se ne pentiva nemmeno per un secondo. «In Messico non c’era più nulla per me.» Non dopo il modo in cui aveva terminato il “rapporto di lavoro” con il cartello, costretta a far perdere le proprie tracce e condannandosi volontariamente alla permanenza nei laboratori.
    Sì strinse nelle spalle, assaggiando il vino di produzione, «cosa me ne restavo a fare laggiù?» Già, solo per quei motivi. «Anche se qui non ho visto nemmeno uno dei posti che mi avevi promesso di mostrarmi, e non mi hai ancora presentato i tuoi fratelli gemelli.» La parola “fremello”, Lita, non l’aveva ancora capita. «Non puoi usare la scusa della guerra ancora a lungo, lo sai vero?» Prima o poi avrebbe preso la faccenda nelle sue mani e sarebbe andata direttamente lei a bussare a casa di Jay e di Stiles: minaccia e promessa.
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    Con il senno di poi, Xavier riconosceva che avrebbe dovuto dormire di più. Non era in nessuna condizione di mantenere una conversazione con un altro essere umano, a meno che questo essere umano non fosse un cadavere. Non vi erano abbastanza ore al giorno per gestire la vita (punto), ma lo Stevens si intestardiva comunque. Ed Elisa aveva scritto questo pezzo a Pescara quando dormiva due ore a notte ma lo terremo comunque, Xav uno di noi. «Isso é português, cabrão» un guizzo tirò all’angolo delle labbra dello Stevens, un accenno del canino a fare capolino. Poggiò una mano sul cuore, fingendosi quasi offeso «com certeza, querida» un sorriso sardonico tirò alle labbra, le parole a scivolare dalla lingua con scioltezza. Perché sapeva cinque vocaboli, ed erano abbastanza per premere i giusti tasti della Carvalho. «Portoghese, brasiliano, stessa cosa» erano ben altre le cose che definivano la cultura di una persona, come il numero di coltellini che riusciva a lanciare al centro del bersaglio. Skills di sopravvivenza del genere, altro che la geografia. In quanto alle lingue, quella parlata universalmente era la violenza, e Xavier era diventato un esperto. Sorvoliamo sul papino perché ci sono bambini presenti e lo Stevens doveva tenersi lontano persino da certi pensieri. «E poi che fai, le ricatti tenendo in ostaggio Nairobi? Buhhhh» non aveva mai detto di essere un santo, o un padre modello «ascoltate bene, figlie mie. prima regola della vita: abbi qualcosa che gli altri desiderano, non si sa mai quando potresti doverlo scambiare per un favore» se non c’era lui ad educarle sulla dura legge della giungla, chi l’avrebbe fatto? Di certo non la loro madre, che alla prima occasione le aveva abbandonate sul suo portico. Ma erano passati anni, e con il senno di poi il pirocineta riconosceva che era stata la decisione migliore per entrambi. «Sono io la mente, docinho» lo special sollevò un sopracciglio, labbra a premere tra di loro per trattenere una delle sue espressioni da schiaffi. Per fortuna c’era Atlas, degno sangue del suo sangue, a dargli ragione. Accarezzò i capelli della bambina, prima di schioccare un bacio rumoroso tra i suoi capelli «ah, la mia degna erede» ormai Juno era una venduta per zia Lita, ma ci avrebbero lavorato «i bambini sono sempre la bocca della verità, non lo sapevi?» un po’ come il vino e la deprivazione di sonno, entrambi dei quali lo Stevens era diventato un cliente abituale. «Voglio proprio vedere “pagliaccio” in che posizione si classificherà. Aggiungi anche “comic relief” alla lista, Stevens» erano poche le persone che poteva parlare a Xavier in quel modo senza ritrovarsi -shock!- senza una lingua all’improvviso, ma la Carvalho si era guadagnata quel privilegio. Anzi, Xavier lo trovava anche divertente. «Non ti preoccupare, tra i due sei te il pagliaccio migliore» menomale che aveva Atlas in braccio, il suo scudo personale. Anche se le gambe stavano incominciando ad addormentarsi, avere una bambina di sette anni in braccio era troppo persino per lui. Sorseggiò un altro po’ di vino nella speranza di anestetizzare tutto (punto.) un po’ come una persona qualsiasi a Pescara. «Solo le bambine? Meu amor, le bambine sanno badare a se stesse meglio di quanto sappia fare tu» e continuava, tanto che Xavier si domandava se Lita stesse cercando di fargli raggiungere un record per il livello di pazienza mantenuto. Ma, appunto, c’era molto che lasciava scorrere quando si trattava della special. «Non ti ho seguito solo per le bambine, in Messico non c’era più nulla per me» ovviamente, non l’aveva seguito solo per le bambine, ma per la sua personalità brillante. A proposito di bambine «Juno, Atlas, perché non andate ad esplorare il resto del locale?» lasciò scivolare la bambina giù dalle gambe, sentendo il sangue che tentava di irrorare nuovamente i muscoli, indicando loro dove andare- ossia il retro dove non teneva cose pericolose. Sentiva che sarebbe stato meglio se Atlas e Juno non fossero state presenti per il resto del discorso. «Cosa me ne restavo a fare laggiù?» poggiò i gomiti sul tavolo, appoggiandosi con tutto il peso alla superficie «avresti sentito troppo la mia mancanza, ammettilo» piegò il capo sul palmo, il tono di voce leggero nonostante i pensieri che occupavano la testa del pirocineta: quei maledetti laboratori, il cartello che avrebbe dovuto bruciare al suolo quando ne aveva avuto l’occasione. Nessuno faceva del male ai suoi e ne usciva incolume. «Anche se qui non ho visto nemmeno uno dei posti che mi avevi promesso di mostrarmi, e non mi hai ancora presentato i tuoi fratelli gemelli. Non puoi usare la scusa della guerra ancora a lungo, lo sai vero?» ed era qui che si sbagliava, perché: «non mi ricordo di aver fatto alcuna promessa» anche perché non era bravo a mantenerle, un'ottima scusa dietro cui rifugiarsi in quei momenti. Si prese il suo tempo per finire il vino nel calice, sentendone la mancanza già nel momento in cui l'ultima goccia bagnò le labbra «ma hai ragione, c'è più da farti vedere oltre a londra: ston- ah no, quello l'hanno distrutto» grazie a tutti e vaffanculo, non potevano distruggere un KFC? Ce n'erano così tanti al mondo che nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. «Tanti posti che non includono casa di Stiles e Jay, in ogni caso. Non sono nemmeno simpatici, non capisco questa voglia di volerli incontrare» e con ogni probabilità, Jay era scomparso per l'ennesima volta.
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    Lita gravitava nell’orbita di Xavier Stevens ormai da qualche anno e, per pochi che fossero avevano condiviso esperienze che tendevano a consolidare rapporti anche molto più brevi, perciò poteva dire di conoscere lo special almeno quanto conosceva se stessa, e sapeva di potersi permettere certi lussi e leggerezze solo perché Xavier glieli aveva concessi, per qualche strano ed inspiegabile motivo che Lita voleva comunque credere potesse rispecchiarsi (nella reciproca stima e amicizia che avevano consolidato nel tempo) nel fatto che lei fosse una forza della natura e non le si potesse dire di no.
    Aveva visto Xav far rimpiangere il giorno in cui erano venuti al mondo a uomini grandi il doppio di lui, e lo aveva visto mettere a letto le gemelle con il più dolce dei sorrisi — magari il tutto a distanza di poche ore; non c’erano lati dello Stevens che le fossero segreti, e dal canto suo Lita non ne aveva mai approfittato. Sapeva bene che certe concessioni non venivano facilmente al pirocineta, e non voleva sembrare irriconoscente e marciarci sopra: lo rispettava, lo accettava e ne era felice.
    Ma ogni tanto si riprendeva le sue rivincite, facendo leva proprio su quei permessi e i continui lasciapassare che Xav le offriva: prima o poi i pass per uscire dalla prigione del Monopoly sarebbero finite, ma fino a quel momento che avrebbe approfittato per vincere le sue piccole battaglie quotidiane.
    d«Portoghese, brasiliano, stessa cosa»
    «quindi se ti dicessi che sei uno yankee ti andrebbe bene lo stesso?» chiese, aria innocente e labbra piegate in un sorriso appena nascosto dietro il borde del calice. «chiedo
    C’era un che di confortante nel modo in cui finivano sempre a quel punto, a fare battute che puntavano a pungolare ma senza reale cattiveria; qualcosa di familiare e facile, naturale. La vita che Lita aveva scelto di vivere insieme a Xavier era tutto fuorché ordinaria, ma in quel caos loro due (anzi, loro quattro) avevano trovato il proprio equilibrio.
    Erano, seppure in una maniera non convenzionale e tutta loro, una famiglia.
    La seconda, per Lita, che non aveva dimenticato quella lasciata in Brasile e non l’avrebbe mai fatto, ma una ugualmente importante; non vedeva l’ora di far incontrare i due mondi, sperava di poter ospitare i Carvalho in Inghilterra, prima o poi, ma non si fidava ancora di portare dei babbani fino alle porte del teatro dove si era consumato l’epilogo del conflitto mondiale.
    E lei non era più ben vista in sud America, dubitava sarebbe potuta tornare a casa — non senza prima smantellare del tutto il cartello che ancora la cercava.
    Meglio di no, non voleva costringere Xav a compiere altre scelte discutibili; non per lei, comunque. Era già stato difficile accettare che avesse distrutto il laboratorio (e i suoi dottori) al quale Lita si era rivolta per uscire dai propri casini; quello era un peso sulle spalle (e sul cuore) che la Carvalho fingeva di non avere ma che pesava come un macigno. Per la sua famiglia, Xavier avrebbe fatto qualsiasi cosa.
    E loro lo erano, una famiglia.
    E come tale, avevano anche continui insegnamenti da impartire alle bambine — o a vicenda. In quel caso, la lezioncina spettava alle gemelle.
    «ascoltate bene, figlie mie. prima regola della vita: abbi qualcosa che gli altri desiderano, non si sa mai quando potresti doverlo scambiare per un favore»
    Ci rifletté un attimo, la special, e anche se avrebbe voluto dire la sua e contribuire a quell'importante insegnamento, riteneva che informare le bambine a sei (sei? chissà) anni che la figa fosse l'arma più infallibile che avessero nel loro arsenale pareva esagerato persino a Lita Carvalho. Annuì comunque alle parole di Xav, trovandole molto vere e molto giuste: il mondo non offriva mai favori gratuiti, era un continuo scambio di merci e valute, non sempre sotto forma di denaro. Era bene che Juno e Atlas lo sapessero sin da subito.
    «i bambini sono sempre la bocca della verità, non lo sapevi?»
    Sorseggiando con calma il suo vino, Lita lo informò che «i bambini ripetono quello che sentono.» Niente di più, niente di meno. Una cosa che non giocava affatto a favore dei due special adulti, che di fronte alle bambine parlavano di davvero qualsiasi cosa. Prima o poi qualcuno dei servizi sociali sarebbe arrivato a bussare alla loro porta, sotto richiesta di qualche insegnante preoccupato, ma per ora erano salvi, perché Juni e Atlas avevano due visetti angelici e una mente fin troppo sveglia per delle bambine della loro età, e sapevano come evitare di finire nei casini.
    A proposito di conversazioni di un certo tipo…
    «Juno, Atlas, perché non andate ad esplorare il resto del locale?»
    Uh-oh.
    Se mandava via le bambine, allora stavano per avere una conversazione da adulti ™ — o meglio, una ancora più da adulti perché, appunto, erano davvero poche le cose che non discutessero già davanti alle gemelle.
    E come disse una saggia (ciao saralessia): «mi devo preoccupare?» soffiato con noncuranza nel calice, sorseggiando vino come se non ci fosse un domani, tutti insegnamenti della scuola Abruzzese.
    «avresti sentito troppo la mia mancanza, ammettilo»
    Inclinò anche lei la testa, mimando la posizione del pirocineta. «vero.» Era una persona onesta, alla fine, perché negarlo? Non ci vedeva nulla di male: Xavier l’aveva salvata, in più occasioni, e Lita gli doveva molto. Ma voleva anche credere che la cosa fosse a doppio senso. «e io sarei mancata a te.» Su quello poteva giurarci.
    «non mi ricordo di aver fatto alcuna promessa» «infatti ci sono qui io per ricordartelo» praticamente stavano avendo una tipica conversazione eliandi. «ma hai ragione, c'è più da farti vedere oltre a londra: ston- ah no, quello l'hanno distrutto»
    Una piega triste si impadronì delle labbra della special — peccato, quello avrebbe davvero voluto vederlo. «Magari portiamo dei fiori in memoria dei caduti?» Le sembrava un bel gesto, se si escludeva che la zona fosse stata chiusa e messa in sicurezza dalle forze del ministero, o così le pareva di aver capito (ma non era molto sicura, il suo inglese non era ancora perfetto).
    «Tanti posti che non includono casa di Stiles e Jay, in ogni caso. Non sono nemmeno simpatici, non capisco questa voglia di volerli incontrare»
    A quel punto, Lita drizzò la schiena e si fece un pelino più seria.
    «perché sono la tua família, Xav.» le sembrava abbastanza facile da capire, no? «voglio conoscerla. voglio sentire i loro racconti e metterti in imbarazzo insieme ai tuoi fratelli.» che non avessero il tipo di memorie relativi agli anni dell’infanzia, quelli che più avrebbero gettato una luce di disagio sullo Stevens, poco importava: Lita voleva sapere tutto quello che Xavier non le aveva mai detto (un sacco di cose, per inciso) e chi meglio dei suoi fratelli per farlo? E poi: «la cosa vale anche al contrario, lo sai, vero?» cercò lo sguardo del pirocineta per incastrarlo nel suo, serio e indomabile, perché voleva che capisse quanto tutto quello fosse importante per lei. «senza la parte delle storie imbarazzanti, però. impedirò a mia mamma di portare con sé gli album delle foto.» li avrebbe bruciati lei personalmente, piuttosto che mostrare al mondo la Lita tredicenne con i codini e i denti storti perché non avevano abbastanza soldi per pagare un dentista e l’apparecchio. «quindi, dai. organizza una colazione, un pranzo, non lo so! puoi anche portarli qui, se vuoi. gli piace il vino?» fece una risata, cristallina e divertita al pensiero che a qualcuno potesse non piacere, «ma certo che gli piace. e anche se non fosse, abbiamo le birre! e un sacco di amari! e–» aveva dimenticato che Stiles fosse un ex alcolista in fase di recupero, ma tutto okay.
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    Doveva concederglielo, Lita sapeva come giocare sporco. Forse era un qualcosa che si apprendeva attraverso la loro professione, o forse era un qualcosa di insito nel corredo genetico, fatto stava che Lita sapeva dove colpire con una letale precisione. Era un qualcosa che ammirava di lei, ed era una delle poche persone che potevano concedersi un tale lusso. C’era un detto babbano che recitava it is lonely at the top, ma Xavier trovava che la costante presenza della brasiliana a coprirgli le spalle fosse un balsamo da quell’isolamento. C’erano cose di cui non poteva parlare ai fremelli, questioni che non gli avrebbero fatto onore, e che solo qualcuno di altrettanto compromesso poteva comprendere. «quindi se ti dicessi che sei uno yankee ti andrebbe bene lo stesso?» un colpo al cuore, quell’insulto, e tanto le dimostrò portando la mano al petto e dischiudendo le labbra «questo è un insulto pesante. noi non mangiamo le uova con il ketchup ogni mattina» il solo pensiero lo faceva rabbrividire, come immaginava facesse Alessia ogni mattina oltreoceano. Doveva ammettere che gli era mancata l’Inghilterra durante quegli anni passati all’estero, non perché brillasse per le attrazioni turistiche o il tempo, ma perché sapeva inevitabilmente di casa. Non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma sospettava avesse a che fare con le persone, e le memorie che ogni luogo echeggiava. «mi devo preoccupare?» seguì con lo sguardo le nuche delle bambine che sparivano oltre la porta, per poi spostarlo verso la special «la conosci già la risposta» sempre, ovviamente. O non sarebbe stato Xavier Stevens, perennemente con un piede nella fossa. Metaforicamente e non. In quel caso, si trattava della prima casistica «e io sarei mancata a te» sbuffò divertito, ma non crudele, considerando per un attimo le parole di Lita. No, non poteva negarlo, ed entrambi ne erano consapevoli. Avevano già dato entrambi, e la lontananza non faceva per loro: il neurone funzionava meglio quando era vicino. «stai cercando del lip service da me? lo sai che non funziona» e invece a quanto pare funzionava, perché il pirocineta si stava ammorbidendo a forza di condividere gli spazi con la Carvalho «ma hai ragione, te lo concedo» sventolò la mano che non reggeva il calice in un gesto ampio e annoiato, per poi imitare la ragazza e bere il vino. Ah, aveva degli ottimi gusti. Sapeva che il tempo passato in Abruzzo avrebbe affinato i suoi sensi e arricchito la sua cultura, nonché danneggiato il suo fegato ma quello era l’ultimo dei suoi pensieri. «Magari portiamo dei fiori in memoria dei caduti?» batté piano le ciglia, osservandola senza rispondere per una manciata di secondi: davvero, Lita? Lo Stevens a malapena portava i fiori ai vivi, figurarsi ai morti. Era uno spreco di tempo, energie e soldi, dopotutto non era come se potessero apprezzare. Si obbligò a mordersi la lingua, perché c’era qualcosa nell’espressione di Lita che lo frenò– si chiamava saper leggere la stanza e non essere un cretino. Anche lui stava migliorando! «potrebbe essere un gesto carino. non la gita che pensavo, visto che è praticamente come essere al cimitero, ma te la concedo» ah, cosa non si faceva per i propri partner in affari e migliori amici. Sperava quasi di essere scampato a quello che sospettava stesse diventando un interrogatorio, ma era chiaro che la Dea Bendata l’avesse abbandonato tempo prima. «perché sono la tua família, Xav. voglio conoscerla. voglio sentire i loro racconti e metterti in imbarazzo insieme ai tuoi fratelli» ok, rude. Semmai era il contrario, con Xavier che raccontava storie imbarazzanti sui fremelli. Al loro contrario, lui non aveva momenti mortificanti. All’incirca. «sei davvero un sadica, te l’ho mai detto?» soffocò un lamento (groan, suona meglio in inglese) nelle nocche, osservando sconfitto la special. Sapeva scegliersi le sue battaglie, e sapeva anche come vincerle, ma quella non era una che valeva la pena combattere. «te ne pentirai appena li conoscerai. sono tipi strani, ok? e attenta, jay ha la tendenza a baciare le persone sbagliate» ignorò la morsa di dolore che attaccò il petto per qualche attimo, costretto a ricordarsi che quel Jay era ormai sbiadito solo più nelle sue memorie. Ormai aveva dei figli, e dubitava che Lydia fosse permissiva da lasciarlo paccare alla mezzanotte con un terzo. «la cosa vale anche al contrario, lo sai, vero?» non evitò lo sguardo di Lita, non era un codardo, ma faticò a mantenerlo perfettamente neutrale. Sì, lo sapeva nell’astratto, ma sentirselo dire era diverso. Considerò la proposta, e nemmeno a dirlo sapeva che fosse una terribile idea. Non aveva niente contro i Carvalho, ma la sua comprovata esperienza con le famiglie non brillava per i suoi successi, e tendeva a non andare d’accordo con le figure genitoriali. Non aveva nessuna illusione che quella volta sarebbe stato diverso, ma non voleva deludere Lita (e non era quello, un sentimento del tutto nuovo?) per cui si limitò a premere le labbra in una linea sottile e ad annuire. «lo sai che troverò il modo per vedere quelle foto, vero? non puoi essere l’unica a non soffrire, mi dispiace» si strinse tra le spalle, fingendo un dispiacere che non sentiva per nulla «e forse alle gemelle farebbe bene stare con qualcuno della loro età» aggiunse pensieroso in un secondo momento, lo sguardo a perdersi nel liquido del calice. Intanto, Lita era partita per la tangente e stava già elaborando il suo piano (malvagio, senza dubbio) per incastrare i fremelli in un’uscita; era tutto terribile, e Xavier avrebbe preferito perdere l’udito. «ma certo che gli piace. e anche se non fosse, abbiamo le birre! e un sacco di amari! e–» allungò una mano sulla sua per fermarla prima che potesse elencare tutti gli alcolici che avevano nell’inventario «va bene, ok, hai vinto. cosa vuoi, un pranzo? o forse è meglio un brunch, meno ore seduti vicini» lo diceva per il bene di tutti, davvero. Soprattutto il suo, but still «e non offrirei alcolici a stiles, non so se ti ricordi ma…ha avuto problemi» un modo molto soft per metterla, ogni tanto anche lui sapeva essere pacato «ma ora sta bene, penso. al massimo puoi offrigli il succo delle bambine» tanto l'età mentale era quella, diciamocelo.
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    «stai cercando del lip service da me? lo sai che non funziona»
    Bugiardo, bugiardo cronico quello Stevens. E Lita lo sapeva, tant’è che si limitò a sollevare pigramente, ma divertita, un angolo delle labbra senza però dire nulla.
    Funzionava eccome.
    E infatti: «ma hai ragione, te lo concedo»
    Lita Carvalho non aveva bisogno di dire “te l’avevo detto” perché, pure se molto raramente, quando aveva ragione sapeva di averla. Così come sapeva di conoscere Xavier Stevens bene tanto quanto si conosceva lei.
    Non importava se, come in quel caso, avesse completamente rimosso e dimenticato su cosa avesse ragione; volatile, Lita, lo era sempre stata. Incostante e intangibile, proprio come i venti che ora governava — qualcuno avrebbe detto che era stato destino, il suo diventare aerocineta.
    Osservando di rimando il partner, inclinò la testa verso la spalla e aggrottò le sopracciglia, sinceramente confusa dall’espressione neutra e silenizosa di Xav. «che c’è?! não me olhe assim» cos’aveva detto di così assurdo?! Solo che voleva portare dei fiori ai poveri caduti in guerra, perché doveva guardarla in quel modo. «ti verranno le rughe prima dei trent’anni se continui ad accigliarti in quel modo…»
    «potrebbe essere un gesto carino.» Ecco, vedi!! Lei era una persona carina, e faceva gesti carini!! Il fatto che li facesse con un po’ troppo coinvolgimento, e sporcandoli con il caos che aveva dentro, non significava che fossero meno sentiti!
    «non la gita che pensavo, visto che è praticamente come essere al cimitero, ma te la concedo»
    «non hai mai fatto passeggiate per i cimiteri?!» era onestamente molto sconvolta dalla cosa. «sai che esistono cimiteri monumentali, con all’interno statue meravigliose?! Xav!!!!» come poteva cadere su quello. «rimedieremo, un giorno!» minaccia e promessa.
    «sei davvero un sadica, te l’ho mai detto?»
    A quel punto, le labbra carnose si allargarono per scoprire i denti in un’espressione tutto fuorché rassicurante. «oh querido soffio sul bordo del bicchiere, lasciando intendere che solo lui sapesse fino a che punto era in grado di spingersi: gli occhioni color cioccolato e i sorrisi sinceri nascondevano in realtà una storia che Lita preferiva non rivivere ma della quale non si vergognava, laddove la necessità aveva fatto da padrona a lungo, e lei aveva molte cose da rammaricarsi, ma non abbastanza tempo per farlo.
    E preferiva di gran lunga parlare di altro.
    «te ne pentirai appena li se conoscerai. sono tipi strani, ok?»
    «beh, infondo sono tuoi parenti…» la stranezza era di famiglia — o qualcosa del genere; davvero, Lita ancora non aveva capito come fossero imparentati i tre gemelli. Ma voleva saperlo!
    (Dettaglio era che poi lo avrebbe inevitabilmente rimosso: le cose troppo complicate tendevano a no rimanere impresse nella sua testolina…)
    «e attenta, jay ha la tendenza a baciare le persone sbagliate»
    «beh, se non dispiace alla sua compagna… laura, giusto?» sbagliato, ma andiamo avanti
    «la cosa vale anche al contrario, lo sai, vero?»
    Addolcì lo sguardo, tenendolo saldamente incastrato in quello dello Stevens che, al contrario, sembrava voler guardare ovunque fuorché verso di lei. Lo stava forse *gASP* mettendo a disagio?!


    Sì, ovvio che sì, era bravissima in quello: bastava tirare fuori l’argomento “sentimenti” o chiedere a Xav di dimostrare che avesse un cuore, e il ragazzo si rompeva come un *spoiler un professore* Mimmo che scopre Simone sia gay.
    Sapeva a cosa facesse riferimento Xav, ma Lita un cuore ce lo aveva, e anche molto grande, perciò non rigirò il dito nella piega e non commentò oltre se non con un «lo so» che voleva dire tutto, prima di spezzare il momento aggiungendo un «che vuoi vedere le mie foto imbarazzanti, ma non le avrai mai!!» OVER HER DEAD BODY!!!
    «e forse alle gemelle farebbe bene stare con qualcuno della loro età»
    «a Beckah piacerebbero un sacco» la sua sorellina più piccola era un po’ più grande delle gemelle, ma aveva un cuore grande quasi quanto quello di Lita, e una predisposizione particolare per i bambini.
    O almeno, così ricordava Lita, che non vedeva la sua famiglia da veramente troppo tempo…
    «va bene, ok, hai vinto. cosa vuoi, un pranzo? o forse è meglio un brunch, meno ore seduti vicini»
    Mise un leggero broncio a quell’ultima frase. «avrò tutto il tempo che loro vogliono dedicarmi, Stevens. non detti tu le regole, questa volta.» gli sventolò il calice in faccia, ricordandogli che, in qualità di uomo, aveva un posto in cui stare.
    «e non offrirei alcolici a stiles, non so se ti ricordi ma…ha avuto problemi» «oh.» no, ovviamente l’aveva dimenticato.
    «quindi…. non verrà all’inaugurazione del locale?» le priorità.
    «ma ora sta bene, penso. al massimo puoi offrigli il succo delle bambine»
    «UHHHH sarà fatto! ne abbiamo in abbondanza!!» mica per fare i cocktail anche per loro, noooo, figurarsi.
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