Dal modo in cui Xav baciò la testa di Atlas, lamentandosi poi con la bimba, in maniera non troppo privata, che la brasiliana stesse “giocando sporco”, Lita capì di aver toccato le giuste corde; era brava in quello, a trovare i nervi scoperti di chiunque e premerli come fossero tasti di un pianoforte pronto a suonare una melodia bellissima – quella del colpito e affondato – che la faceva sempre sorridere soddisfatta, labbra carnose a scoprire solo un accenno di denti, occhi vispi e sguardo poco rassicurante.
Lita non giocava sporco; Lita prendeva quello che la vita gli offriva e ne faceva armi per difendersi e proteggersi. L’aveva imparato con le maniere dure, a sue spese, sempre un passo indietro e un minuto in ritardo, sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato; saper leggere le persone e, ancora più importante, riuscire a capirle era stata una delle poche chance che aveva avuto per andare avanti; ne aveva fatto, poi col tempo, uno dei suoi miglior vanti.
Lo Stevens avrebbe dovuto saperlo.
Così come lei avrebbe dovuto riconoscere che, per quanto fosse brava a pigiare i tasti altrui, era anche troppo facile scovare e danzare sui suoi; era troppo trasparente, Lita Carvalho, per non lasciare che giocassero anche un po’ con le sue emozioni, volente o nolente. Ed era troppo immatura e permalosa per trattenersi dal cadere nella loro trappola, e rispondere con un accenno di offesa a trapelare appena dalle parole.
«isso é português, cabrão»
Che lo Stevens lo sapesse non le interessava nemmeno più di tanto; era la presa di posizione di doverlo informare della sua insolenza e idiozia, perché era caritatevole e magnanima e si preoccupava della scarsa educazione del suo socio; si sarebbe poi riflettuta su entrambi.
«Non le dare idee, che poi quando diventerà grande vorrà spodestarmi dal mio impero criminale»
Un sorriso poco raccomandabile si disegnò sulle labbra della special. «Ma quali idee, queste sono le favole della buonanotte, papino.» Ovviamente, ovviamente, Lita era team Juno e Atlas; da brava zia incoraggiante e fiera, non aspettava altro che il giorno in cui avrebbero reclamato tutto ciò che era loro, mandando in pensione Xav prima del tempo.
«E poi che fai, le ricatti tenendo in ostaggio Nairobi? Buhhhh» Rivolse un occhiolino complice alle bambine, smorfia che prometteva tutti i funko pop che volevano in cambio del loro incondizionato amore — perché era una ricattatrice morale anche lei, sotto sotto.
Si rendeva conto che, se quelle bambine fossero venute su viziate dalla testa ai piedi, sarebbe stata anche in gran parte colpa sua: Lita proprio non riusciva a resistere, e si sentiva inconsciamente in colpa per non aver potuto dare a Bebi, la minore delle sue sorelle, tutto quello che avesse desiderato perché non aveva la possibilità economica; ora che, invece, aveva più soldi di quanti ne servissero davvero, e poteva togliersi tutti gli sfizi che voleva, cercava il più possibile di rendere felici le nipotini. Era il minimo che potesse fare.
Nessuno avrebbe mai definito la vita di Lita facile, ma perlomeno ora sembrava molto meno in salita rispetto a pochi anni prima, e quantomeno stabile; certo, aveva dovuto perdere tutto per poter guadagnare qualcosa, ma ora, quello che aveva, era suo.
E di Xav, okay, vero, ma erano soci; non appartenevano a nessuno, e la Carvalho aveva smesso di abbassare la testa ed eseguire gli ordini di qualcuno più in alto di lei.
Era lei la Reina, ora.
Quale braccio destro, ugh!!! Tsk.
Con uno scoff, Lita incrociò le braccia al petto informando il pirocineta che «sono io la mente, docinho» rivolse una linguaccia ad Atlas, avendola beccata annuire alle parole di quel fedifrago del padre; per tutta risposta, la bambina ricambiò la smorfia e Lita sorrise, fiera e divertita. Ma era tenero il fatto che Xavier pensasse il contrario, aw.
A proposito dell’altro special: rimase in attesa della lista dei presunti compiti a suo carico, genuinamente curiosa di sapere come pensasse di star contribuendo a quella nuova (associazione a delinquere) società. «coordinamento inghilterra-messico, ispezione dei carichi, essere un padre modello, ceo del migliore caffè latte di londra- devo continuare?» «sì, continua.» così assorta, intenta a tenere anche lei il conto delle cose alzando le dita man mano che Xav elencava, non batté ciglio prima di rispondere senza indugio in maniera affermativa, «voglio proprio vedere “pagliaccio” in che posizione si classificherà.» Un bacio soffiato nell’aria, prima di scoppiare a ridere e passare la mano tra i capelli per districare i boccoli impicciati. «aggiungi anche “comic relief” alla lista, Stevens» se lo meritava, sapeva davvero far ridere.
Brindarono insieme, con tanto di succo di frutta per le gemelle, parte integrante di quel progetto tanto quanto i due special adulti che avevano tirato su quell’attività (con i soldi sporchi del traffico di sostanze illegali in tre quarti di globo, certo, ma chi stava a vedere quelle piccolezze al giorno d’oggi!) — Xav l’aveva definito un nuovo inizio; l’ennesimo, per Lita, ma per certi versi il primo che la spaventasse davvero perché quella volta aveva molto da perdere. Era stato più facile ricominciare quando, lontana dal Brasile, sola e senza un quattrino, aveva dovuto costruire una vita nuova senza rischiare di perdere nulla con un eventuale (e non improbabile) fallimento; ora, invece, aveva almeno tre persone che le sarebbero mancate (e a cui sarebbe mancata) se per un motivo o per un altro le cose non avessero funzionato.
Ma nel sorriso che rivolse a Xav non c’era la minima traccia di quei pensieri cupi.
«sono felice che mi abbia seguito in questa follia. anche se non lo dico abbastanza. insomma, le bambine hanno bisogno di una babysitter»
«Solo le bambine? Meu amor, le bambine sanno badare a se stesse meglio di quanto sappia fare tu.» “o io”, ma fu abbastanza lesta da non lasciarsi sfuggire quella piccola aggiunta. «Non ti ho seguito solo per le bambine,» ma non poteva negare che fossero state una parte molto importante a pesare su quella decisione; e guardandole, ora e ogni giorno della sua nuova vita, non se ne pentiva nemmeno per un secondo. «In Messico non c’era più nulla per me.» Non dopo il modo in cui aveva terminato il “rapporto di lavoro” con il cartello, costretta a far perdere le proprie tracce e condannandosi volontariamente alla permanenza nei laboratori.
Sì strinse nelle spalle, assaggiando il vino di produzione, «cosa me ne restavo a fare laggiù?» Già, solo per quei motivi. «Anche se qui non ho visto nemmeno uno dei posti che mi avevi promesso di mostrarmi, e non mi hai ancora presentato i tuoi fratelli gemelli.» La parola “fremello”, Lita, non l’aveva ancora capita. «Non puoi usare la scusa della guerra ancora a lungo, lo sai vero?» Prima o poi avrebbe preso la faccenda nelle sue mani e sarebbe andata direttamente lei a bussare a casa di Jay e di Stiles: minaccia e promessa.