I wonder if your therapist knows everything about me

mondo | ft. Jekyll

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    maggio.
    Non si era sprecato molto quando, soffiando appena le parole attraverso le labbra piegate in un sorriso pigro e liquido, aveva sussurrato all'orecchio di Franklyn Daniels quel «non farti uccidere, piccolo bastardo ingrato», una pacca sulla spalla leggera e quasi impercettibile, fatta di sensazioni e desiderio piuttosto che di pelle e calore— erano in un sogno, dopotutto, Elias non era davvero lì; e neppure Jekyll.
    (Odiava chiamarlo Franklyn, gli sapeva così tanto di menzogna; ironico, e fottutamente ipocrita, che a dirlo fosse proprio un bugiardo cronico e professionista come il Raikkonen, vero, ma faceva parte della sua incredibile personalità, due dei tanti pregi che El vantava e lodava con chiunque avesse perspicacia per coglierle, più che orecchie per ascoltare; certe cose erano fatte per andare oltre: oltre le capacità comuni, oltre il buonsenso, oltre lo spazio metafisico, oltre i limiti e le imposizioni.
    Lo stesso Elias era una di quelle cose.)
    Nel sogno, fece scivolare la mano sul braccio del Crane, fino a lasciarlo riposare all'altezza del polso, tamburellando con dita leggere e inconsistenti seguendo il ritmo dei battiti che percepiva sotto la pelle.
    Tu-tun.
    Tu-tun.
    Soddisfatto, liberò l'altro dalla presa e incrociò le braccia al petto. «Volevo solo controllare.» Una spiegazione che non spiegava nulla; aveva investito tempo ed energia onirica in quegli incontri, per avvisare il pirocineta dei rischi a cui sarebbe andato incontro, e voleva solo controllare che il frutto del suo investimento fosse ancora in possesso di un battito cardiaco e un respiro regolare. Era un imprenditore, dava un certo valore alle cose, lui.
    Un business iniziato involontariamente, ma non vedeva perché, arrivato a quel punto, non potesse continuare a coltivarlo e farlo crescere.
    Non era la prima volta che il danese appariva come la Madonna (cit.) occupando, e benedicendo, i sogni di Jekyll: da quando era iniziato il conflitto, gli era successo più volte di quante fosse disposto ad ammettere, la maggior parte delle quali senza che Elias avesse minimamente voce in capitolo sulla decisione — chiudeva gli occhi, cedendo all'oblio confortevole delle pastiglie sciolte sulla lingua, e si ritrovava in quella dimensione onirica dove gli era possibile rompere il cazzo alle persone con cui aveva dei legami.
    Poche, certo, ma ciascuna importante a modo suo; molto spesso finiva in quelli di suo fratello gemello, Mikkel, un luogo oscuro che Elias preferiva non vedere, ew, ma con il vigilante impegnato a farsi uccidere dall'altra parte del mondo, la sua mente pareva aver messo l'autopilota e deciso che fosse quella la meta dove atterrare un sonno sì, e l'altro pure.
    Lo osservò, in silenzio, da dietro palpebre pesanti; nonostante la pratica, e nonostante gli anni di visitine non autorizzate nel mondo onirico, rimaneva un'esperienza sempre diversa e incomprensibile per il chiaroveggente — forse, ma giusto forse, perché spesso ci capitava quando privo di anche il più piccolo barlume di lucidità, ma eh: essere un novello profeta nel ventunesimo secolo era un lavoro difficile, bisognava adattarsi.
    Per quanto si sforzasse, rimanere aggrappato alle pareti scivolose di quel piano astrale era difficile e mantenere la concentrazione abbastanza a lungo da non evitare di far piegare la non-realtà su se stessa, e schiacciare sognatore e sogno, non era un'impresa che Elias potesse protrarre troppo a lungo; quel posto aveva la fastidiosa abitudine di cominciare a tirare, stringere, soffocare, piegare, confondere i sensi e i contorni di forme e paesaggi — se era complicato per Elias, immaginava che una prolungata esposizione ai raggi gamma onirici avrebbe liquefatto il cervello di chiunque altro.
    Avrebbe dovuto rimandare il resto della conversazione ad un altro momento.
    Allargò il sorriso in direzione di Jekyll, una mano ad accarezzare lentamente l'aria in un cenno pigro di saluto. «Ci si vede, Crane», il non morire lasciato implicito nella promessa di un futuro rendez-vous clandestino nel bel mezzo della guerra: c'era un limite al numero di avvisi e indicazioni che un uomo poteva dare ai suoi protetti, duh; ad un certo punto smetteva di essere un suo problema e tornava in mano alla loro capacità di giudizio.
    E assennatezza.
    Due cose che, a quanto pareva, il CW non possedeva.
    Peccato.


    presente.
    Si erano rivisti per esattamente una volta, dopo quella notte, e non era stato particolarmente piacevole.
    L'aria apocalittica nella quale si era ritrovato, precipitando nel sogno, Elias avrebbe potuto spiegarla solo in due modi: o qualcuno aveva fatto indigestione di jalapeños e ora rimpiangeva qualsiasi scelta di vita fatta sin dalla nascita, oppure le cose fuori non stavano andando alla grande.
    Elias, mai troppo interessato a questioni che non lo colpissero vicino casa, non aveva chiesto: il bollettino di guerra, se voleva, poteva leggerlo sul Morsmordre; da quei brevi e fugaci incontri sperava sempre di ricevere qualcosa in più — fategli causa.
    Eppure, a voler essere del tutto onesto, Elias aveva avuto la sensazione di saperlo già prima di rifuggiarsi nel sogno, che qualcosa non stesse andando come previsto; chiamatelo sesto senso, chiamatela capacità precognitiva, fatto sta che l'aveva saputo ancora prima di posare lo sguardo chiaro in quello verde di Jekyll e rendersi conto che uh, era fottuto.
    Ma “del tutto onesto”, Elias Raikkonen, non lo era mai stato; perciò aveva tenuto le labbra sigillate in un sorriso morbido, e si era trattenuto dal consigliare al pirocineta di stare alla larga da Brecon, perché c'era un confine sottile tra usare le proprie conoscenze per aiutare qualcuno e fottere il corso degli eventi in maniera irreversibile — fosse stato il secondo caso, Elias non ci avrebbe pensato due volte prima di avvisare il Crane.
    Che dire, gli piaceva contribuire al caos, e l'assenza dello special da quella battaglia non ne procurava abbastanza, tanto valeva lasciarlo divertire un altro po'.
    Era stato un incontro strano, quello, fatto di molti silenzi e pochi insulti; era chiaro che Jekyll non fosse davvero lì, ancora meno del solito, ed Elias non era abbastanza interessato per chiedere cosa stesse accadendo oltre la barricata di Abbadon; come già detto, al Raikkonen, del mondo, interessava il giusto.
    Si erano lasciati così, dunque, ciascuno perso nei propri vuoti, convinti che la volta successiva sarebbe andata meglio.
    Ma non c'era stata una “volta successiva”.
    Elias era stato catapultato in notti insonni popolate da figure deformi e così nere da apparire, piuttosto, prive di luce; fuoco e piante, hamburgers parlanti (aveva visto cose più strane, nei suoi sogni); occhiali da sole e droni; una luna piena color rosso sangue; la cosa più normale che El aveva sognato, in una settimana, era Mikkel che indovinava i numeri della lotteria babbana — strange as fuck (e non esattamente una premonizione, di quello era – purtroppo – certo) , ma in confronto a tutto il resto…
    La settimana si era poi conclusa con la fine della guerra, e le parole nero pece dei titoli dei giornali avevano portato via gli incubi e le visioni, quasi come a fungere da John Constantine dell'era moderna.
    E così erano passati giorni, e poi settimane, e la mente poco lucida del chiaroveggente era stata in breve sopraffatta da così tante cose che anche solo pensare al pirocineta lasciato indietro era sembrato impossibile; c'erano padri da tenere d'occhio, sorelle da seguire senza farsi beccare, non aveva tempo per il resto.
    O così aveva creduto: proprio come era successo all'inizio del conflitto, non aveva scelto lui di prevedere, con precisione, dove e quando trovare il pirocineta — ma come poteva rimanere impassibile di fronte ad un regalo del genere? Sarebbe sembrato scortese. Dava per scontato che fornirgli un nome e un orario fosse un modo come un altro del karma per ripagarlo dei suoi sforzi in quegli ultimi mesi: fare il fratello maggiore era davvero un lavoro faticoso e poco remunerativo, specialmente se gli ingrati figli di puttana (salvando… beh, una madre; vattelapesca quale) non avevano alcuna idea di ciò che Elias faceva per loro.
    Quindi va bene: avrebbe accettato il (non così) discreto suggerimento e avrebbe fatto visita al Crane.
    Poco importava che fosse già completamente devoto alla pasticca di ecstasy che aveva sciolto poco prima sulla lingua, e che qualsiasi pensiero coerente formulato dalla sua mente avesse forme troppo spigolose e colori troppo accesi per essere correttamente processati dallo special.
    Pensare era sopravvalutato.
    Spalla poggiata contro la parete fatiscente del motel, le braccia incrociate al petto e un sorriso liquido a piegare gli angoli delle labbra verso l'alto, Elias si rivolse a Jek non appena lo vide voltare l'angolo: «e quindi non sei morto: sconvolgente» chiunque @ i Crane in quest, «ma scommetto che ci sei andato molto vicino» sempre chiunque @ i Crane in quest.
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    «posso?» sorrise genuino, Franklyn Daniels, ma sapeva già che dietro le labbra stirate la coetanea avrebbe visto molto di più. Era il suo lavoro, tutto sommato – chissà solo quel giorno quante volte gli fosse già toccato decifrare le mani sfregate convulsamente tra di loro, o gli sguardi sfuggenti; quante volte avesse dovuto ascoltare oltre un silenzio protratto per l’intera durata di una seduta, e quante invece non si era fatta scalfire dall’aggressività, cercando di comprenderla nonostante tutto. Lui non ci capiva nulla di psicologia, assolutamente zero, ed in quasi trent’anni di vita aveva sempre evitato gli strizzacervelli come la peste: era una mente troppo oscura, la loro, e si sentiva del tutto legittimato ad esserne terrorizzato; nei suoi turni al San Mungo, tuttavia, tra una chiacchierata che aveva sempre cercato di rendere più leggera e stupida di quanto non fosse stata in principio e tutti i suoi interventi per riportare gli studi degli psicomaghi ad uno status quo più consono all’ambiente ospedaliero, aveva iniziato a comprendere come funzionassero. Continuavano a non piacergli, forse ancor di più che quando poteva credere d’essere completamente ignorante in materia.
    Per questo non attese la risposta di Idem – sapeva già che non gli avrebbe detto di no, e che avesse quei pochi minuti di pausa che il periodo post guerra raramente concedeva a lei e i suoi colleghi: invadente lo era da quando poteva farsi tranquillamente chiamare Jekyll dal mondo intero, ed il “rispettare i paletti altrui” non era mai stato uno dei suoi punti forti; avrebbe alzato i tacchi immediatamente se solo gli avesse dato il minimo segno di voler rimanere da sola, ma non era geneticamente programmato per non rompere il cazzo alla gente –, gettandosi sulla sedia e trasformando la piega gioviale in un’espressione di dolore misto a sollievo, la mano a massaggiare la coscia. La penultima delle sue intenzioni era quella di venire psicanalizzato, gratuitamente e senza alcun appuntamento, dalla ragazza – veniva superata soltanto dall’idea di pagare volontariamente per sdraiarsi su un lettino e parlare dei suoi problemi.
    Non c’era alcun problema che avesse il desiderio di celare dietro al solco impreciso e tremulo dipinto sul viso, in fondo; perché avrebbe dovuto essere il contrario? Esternare le proprie emozioni non era mai stato difficile per il pirocineta; anzi, in molti gli avevano detto che fosse fin troppo esplosivo nell’esprimerle. Il quesito non poteva porsi in partenza.
    Allora smetti di portelo, no?
    «stavo per chiederti della gamba, ma...» liquidò la questione con un vago cenno della mano che aveva appena liberato, dopo aver lasciato sulla scrivania della Withpotatoes il solito che sapeva avrebbe preso se avesse avuto il modo di andare al bar dell'ospedale – aveva indubbiamente più tempo libero di loro: gli piaceva approfittarne alternando quei piccoli pensierini tra lei, Stiles e Lupe, o Dominic e Sinclair; completamente disinteressato e cercando di fare meno preferenze possibile, ma senza poter negare di fermarsi dagli ultimi due più a lungo di quanto non facesse con gli altri. «va meglio!» quello era poco ma sicuro, considerando che almeno la muoveva ed era ancora attaccata al resto del corpo; quanto andasse meglio era un altro paio di maniche. Aveva stupidamente (se ne rendeva conto persino lui) ritardato l'operazione della coxo... qualcosa perché era certo ci fosse chi era messo peggio di lui e riteneva che qualcosa di rotto con un nome così assurdo non dovesse essere qualcosa di tanto grave; impegnarsi nell’ignorare il danno non aveva sortito gli effetti desiderati, ed aveva reso il recupero solo più lungo e doloroso. Quantomeno, non aveva più bisogno di usare le stampelle – checché ne dicesse un Dominic urlante ed al limite della rassegnazione che voleva costringerlo ad un’altra settimana di riposo e minimo altre due con le canadesi.
    «avevo solo bisogno di sedermi un attimo, è tutto il giorno che sto in piedi.» asserì in tutta onestà, senza alzare lo sguardo: non voleva sentirsi giudicato per... qualcosa, men che meno da un’amica – aveva già Nice per quello.
    «magari dovresti davvero stare a riposo, sai...» uh, o magari no. «nah, mi annoio a casa! sto bene.» nemmeno si rese conto del fatto che si fosse seduta dall'altra parte della scrivania, braccia poggiate sul legno e mani congiunte.
    «sicuro?»
    Alzò il capo, sorridendo agli occhi blu che sembravano volergli scavare nel cervello – peggio per lei: rischiava di perdersi nel vuoto cosmico o rimanere tanto confusa da quel trambusto quanto lo era lui ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. «ma sì, sto bene, non fa così male.» ed aveva degli antidolorifici miracolosi sempre a portata di mano. Era consapevole, in cuor suo, che la medium non si riferisse al suo stato di salute fisico; con altrettanta certezza, sapeva di non voler fare il suo gioco.
    Non aveva niente da dire, Jekyll.
    Sbuffò una risata morbida, eppure acida sul palato e pesante nel petto. «davvero, sto bene!» non l'aveva detto abbastanza volte da poter risultare convincente? Assurdo. «qui è tutto apposto, invece? qualche schizzato ha esagerato?» prese nota della microespressione della ragazza, del naso arricciato per un millesimo di secondo: era cosciente del fatto che ci fossero parole tabù da non usare in presenza degli strizzacervelli, e si era morso la lingua prima di aprire bocca – eppure non si era frenato, e sentiva che poco avesse a che fare con quel filtro cervello-bocca che ogni tanto andava ripulito.
    «tutto ok, tranquillo.» il sorriso che gli rivolse suggerì al biondo che qualsiasi tattica avesse avuto in mente, non aveva funzionato come previsto: dopotutto era Hyde lo stratega in famiglia, ed essendo stati un pacchetto unico da che avesse memoria non aveva mai avuto bisogno di sviluppare particolari abilità in quel senso. Deglutì, annuendo ed accennando una piega forzatamente simile a quella della psicologa. «lo sai, vero?, che se –» lo sapeva, e non era interessato. Grazie al cielo il cercapersone magico iniziò a suonare prima ancora che potesse fingere qualcuno lo stesse cercando. «scusa, devo andare, il mondo ha bisogno di me.» si alzò, non senza difficoltà, liquidando la questione in sospeso con un ultimo sorriso a trentadue denti. Non riusciva perché continuava a sedersi sulla sua poltrona, o su quella dello Stilinski, pensando ogni volta che non avrebbero cercato di prendergli la testa tra le mani e scuoterla come una maraca. «davvero, tutto ok – e poi ho un paio di giorni di riposo!» una considerazione che poteva servire a rafforzare quella convinzione, quanto a volerle dire che fosse solo stanco e che avrebbe approfittato di quello smonto dal lavoro per dedicarsi al relax.

    Era esattamente quello che aveva fatto.
    Che poi il suo staccare la spina si riducesse all’accartocciare l’ennesimo foglio di carta scarabocchiato, tentare di farci canestro nel cestino all’angolo della stanza fallendo miseramente, e constatare che un’altra bottiglia di whiskey fosse quasi finita senza che potesse accorgersene, era un discorso che non doveva affrontare con nessuno se non che con sé stesso.
    Sospirò, palpebre pesanti a coprire gran parte del verde acqua delle iridi, picchiettando il cappuccio della penna a sfera sul quaderno. Lo stesso che aveva aperto non appena aveva messo piede in quel motel la sera precedente, e sul quale in una ventina d’ore non aveva scritto alcunché che gli fosse sembrato necessario tenere. Sapeva di avere talento, Jekyll, di saper scrivere; non aveva nemmeno mai dovuto faticare per tirare fuori un pezzo, da quelli privi di senso a quelli che l’avevano costretto a rintanarsi in camera sua per giorni prima di riuscire a metabolizzare cosa avesse messo per iscritto.
    Ma ormai era un po’ di tempo (se così poteva definire qualche anno) che portare a termine qualcosa gli costava giorni, quando non settimane, e nell’ultimo periodo non aveva fatto altro che riempire i secchi dei luoghi più disparati in cui si andava ad isolare alla ricerca di – di cosa? Voglia ne aveva, ispirazione non era mai mancata.
    Mandò giù l’ultimo sorso, consapevole di doversi alzare ed andare a comprarne altro allo squallido minimarket sotto la sua camera – ma per fortuna, quella merda sottomarca era abbastanza scadente da colpire con la forza di mille soli e rendere il dolore alla gamba un lontano ricordo: lo aveva detto (lo aveva detto?) ad Idem che avesse degli antidolorifici da far paura, e che erano in grado di lenire sofferenze provenienti da ogni singolo fronte.
    «e quindi non sei morto: sconvolgente.» sollevò la testa di scatto, sbattendo le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco la figura davanti a sé. Ancorò la presa sulla busta che non ricordava di aver riempito già, ma non si stupì di aver rimosso il viaggio fino al negozio e l’indifferenza del commesso nel trovarselo di nuovo lì, nel tardo pomeriggio, a fare rifornimento di alcolici e cibo spazzatura. «ma scommetto che ci sei andato molto vicino.» sorrise, per quanto il pigro angolo destro della bocca a scattare verso l’alto potesse valere come tale. «non abbastanza, a quanto pare.» divertito, Jekyll, dalla barzelletta che era la sua esistenza. Umettò le labbra, allungando la mano libera per afferrare il viso del biondo davanti a sé senza pensarci due volte; spinse appena pollice e indice sulle guance irsute del maggiore, piegandogli il capo da una parte all’altra. «ma pensa,» sbuffò una tiepida risata. «sei vero
    Conosceva Elias Raikkonen, così come in un’altra vita aveva conosciuto Kimi Linguini: casualmente, superficialmente, come uno scherzo del fato a sferrargli un calcio nelle palle senza che avesse fatto nulla per meritarselo. Non ne comprendeva il perché, né tantomeno il come; era solo apparso nella sua vita, di punto in bianco, ed il vigilante non aveva mai fatto alcunché per tenerlo fuori dai suoi sogni.
    E poi aveva semplicemente smesso di esserci, senza nemmeno degnarsi di avvisarlo – dopo che aveva osato dargli un punto di riferimento in mezzo a quel caos.
    Figlio di puttana.
    «iniziavo a credere non esistessi davvero.» ed avrebbe implicato che avesse iniziato a pensare a lui in maniera del tutto spontanea e non richiesta, il che era tutto fuorché normale.
    29 | 1993
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    Il sorriso sghembo, perenne sulle labbra del chiaroveggente, non vacillò nemmeno per un istante al cospetto dell’altro special; al contrario, si fece, se possibile, ancora più affilato — preludio di intenzioni tutt’altro che innocenti, incastrate tra i denti un po’ storti e le labbra rosee; nelle pagliuzze verdi che affogavano nell’azzurro sporco degli occhi – o quel che ne rimaneva visibile, mangiati quasi totalmente dalle pupille nere –; nel tono di voce basso, calmo, elastico.
    Non c’era nemmeno una singola fibra del suo essere, infondo, che potesse essere considerata innocente. Era il ritratto ambulante del concetto di “pessima idea”, con la zazzera ossigenata scarmigliata, gli occhiali da sole calati sul naso, la lingua a giocare furba contro i denti; saperlo – e sapere che gli altri sapessero – rendeva la cosa allo stesso tempo più interessante e noiosa. Perché Elias era anche quello: inconsistenza, contraddizioni. Era tutto, e allo stesso tempo era irrilevante e intangibile.
    «non abbastanza, a quanto pare.»
    «mh, non sono d’accordo.» non si mosse, lasciando che fosse Jekyll ad avvicinarsi, busta ancora in mano e sguardo sorpreso, ma non confuso; Elias lo prese come un invito a continuare — non che avesse davvero bisogno di alcun invito, figuriamoci; la sua mente era già fissa su una questione, pronta a ruotare attorno ad essa e nient’altro. «ci sei andato davvero vicino.» e non c’era più la vena sarcastica nella sua voce, ora, ma solo la certezza intrinseca nelle parole di qualcuno che il futuro lo prevedeva, masticava, strappava via e sputava fuori a modo suo, dandogli nuova forma e modellandolo a proprio piacere — non una realtà lineare, quella in cui viveva il Raikkonen; non lo era mai stata. Lui lo sapeva che Jek fosse arrivato incredibilmente – e testardamente – vicino a timbrare il cartellino d’uscita per l’ultima volta, in quel di Brecon; lo aveva visto. Che non lo avesse capito subito, lì per lì, non voleva dire che fosse stato meno annunciato il tentativo (fallimentare, purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista) del pirocineta. «meglio così.» C’erano ancora un sacco di cose da fare, in quella vita. Non sarebbe stato di certo Elias a dirgli quali fossero, duh, ma sapeva che fossero lì; e voleva sperare, più che credere, che lo sapesse anche il (non) Daniels.
    Se possibile, la piega delle labbra si fece ancora più profonda quando l’altro alzò una mano per accarezzargli il viso, stringendo la pelle tra dita macchiate di inchiostro, decise e al contempo esitanti — aveva forse paura di sentirlo scivolare via, di rendersi conto di star stringendo ancora una volta una sensazione piuttosto che carne viva? Di svegliarsi nel proprio letto, dopo l’ennesimo incontro solo sognato? Di affannarsi in una corsa contro il tempo per non dimenticare i dettagli di quel sogno che già sfuggiva alla sua memoria?
    Lo sguardo di Elias si fece più lucido, concentrandosi sui lineamenti del minore, mentre quest’ultimo lo studiava da ogni angolazione possibile. «fai pure.» Soffice, appena un fiato a cui aveva affidato parole leggere e allo stesso tempo pesanti: una concessione che El regalava a molti ma offriva a pochi. C’era una differenza.
    «ma pensa, sei vero.»
    «in carne ed ossa,» più ossa che carne, vero; non era una figura imponente, Elias, e non era ben piazzato come molti altri uomini, la sua esile figura però aveva altri modi per catturare le attenzioni e l’atteggiamento contribuiva, più in generale, a renderlo piacevole e interessante. «lo so, lo so» portò la propria mano a coprire quella dell’altro special, le dita a tamburellare leggere su quelle del minore, prima di stringere appena e dimostrargli che fosse reale. «sono un sogno,» letteralmente «è una reazione normale» glielo dicevano tutti, persino di quelli a cui non appariva nella dimensione onirica.
    Picchiettò ancora un paio di volte, prima di abbassare la mano e portare quella di Jekyll con sé, indicando con l’indice la busta che lui teneva nell’altra.
    «uh, festa?» se c’era dell’alcol in giro, Elias voleva essere invitato a partecipare, sad emoji sad emoji sad emoji «non lo sai che è più divertente bere in compagnia? e poi,» finalmente, dopo quelle che erano sembrate ore, decretò che la parete era abbastanza stabile da rimanere su anche se lui si fosse staccato, perciò con un colpo di reni spostò il peso in avanti e si fece più vicino all’altro special, «qualcuno deve assicurarsi che tu non sia sopravvissuto alla guerra solo per essere ucciso da benzina sottomarca» insomma, lui non aveva fatto tutto quello – gli avvisi, i sogni, i consigli – solo per poi sapere che l’imbecille aveva bevuto fino a far collassare il proprio fegato. «sarebbe un peccato» magari il destino lo aveva voluto lì, quel giorno, proprio per quello: fare da baby-sitter al Crane-Winston, e devastarsi con lui.
    Sembravano già un pezzo avanti tutti e due.
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    «mh, non sono d'accordo. ci sei andato davvero vicino.» sebbene la bottiglia vuota – forse anche più di una: non le aveva davvero contate da quando era arrivato al motel, né gli interessava più di tanto; a dire il vero aveva smesso di farlo quando aveva compiuto il diciassettesimo anno di vita, e la scusa del non essere un asso in matematica giocava sempre a suo favore – avrebbe potuto testimoniare il contrario, aveva bevuto troppo poco per sopportare la presenza di altre persone all'interno della fragile bolla di sapone nella quale si era rinchiuso, precario spazio liminale dai confini trasparenti nel quale voleva esistere da solo con il proprio non particolarmente ottimo umore. Aveva accettato l'incursione forzata del Raikkonen perché era abituato alla sua esile figura che si intrufolava, senza invito o avvertimento alcuno, laddove non aveva controllo né potere decisionale – ma anche perché non aveva creduto fino all'ultimo secondo che ci fosse realmente, o che esistesse realmente: se si trattava soltanto del frutto della sua fervida immaginazione, prima o poi sarebbe svanito come al solito. Il biondo che si ritrovava di fronte aveva visto il Jekyll più vulnerabile senza che quest'ultimo potesse opporsi più di tanto, i posti nei quali si rifugiava e quelli a cui dava fuoco per sentirsi meglio: avesse saputo interpretare i sogni nei quali errava senza ritegno, avrebbe potuto dire di conoscerlo meglio di quanto non facesse lui stesso. Per questo, farsi vedere in una condizione particolarmente lontana dall'immagine che di sé il pirocineta aveva costruito, in quel preciso istante, non lo turbava: fosse stato qualcun altro – la sua famiglia, i suoi amici –, avrebbe fatto carte false per trasformare lo scoppio di quella bolla in un'esplosione nel cui caos reinventarsi di punto in bianco.
    Se fosse rimasto in silenzio, sarebbe stato perfetto: che se di voglia di vedere altre persone ne aveva poca, di parlare ancor meno; figurarsi poi di aprire una conversazione in quel modo.
    La piega sulle labbra del Crane-Winston era morbida, calda di un tepore che non sentiva ribollire all'interno, quando si avvicinò appena all'altro per ripetersi, con il tono più quieto del mondo: «non abbastanza.»
    Liquidò in fretta la questione, ispezionandolo per accertarsi di non avere le allucinazioni: non vedeva alcuna necessità di approfondire l'argomento con qualcuno che, in fin dei conti, era poco più di un perfetto sconosciuto. Non l'avrebbe fatto con chi si fidava (Hyde: il fratellino era l'unica persona nelle cui mani avrebbe messo la propria vita; non che non avesse fiducia nella sua famiglia, nei suoi amici, ma non erano le stesse persone che aveva perso e lasciato andare sette anni prima e venti anni dopo), figurarsi con Elias. Strinse con un po' più di forza la presa sul viso del fu Linguini, mostrando quanto fosse divertito da quel suo «in carne ed ossa» mostrando i denti nel sorriso sardonico. Albano – il serpente albino che teneva con sé dagli Emirati Arabi – aveva sicuramente più carne di quanta non stesse toccando in quel momento: sentiva che se avesse fatto un po' più di pressione, avrebbe rischiato di spezzargli qualche dente.
    «sono un sogno, è una reazione normale.» si lasciò guidare, abbandonando la tenaglia dal volto e abbassando la mano per portarla a cercare le chiavi della camera. , quella era una festa, e , sapeva che bere in compagnia fosse più bello: che non fosse stato invitato però all'altro pareva non tangere più di tanto, quindi ritenne superfluo farglielo notare. Poteva fare uno sforzo, e magari sperare che avendo qualcuno lì la capacità di scrivere tornasse ad affacciarsi – chissà, magari anche solo insulti.
    «e poi, qualcuno deve assicurarsi che tu non sia sopravvissuto alla guerra solo per essere ucciso da benzina sottomarca. sarebbe un peccato.» prì la porta in silenzio, senza invitarlo ad entrare ma nemmeno impedendogli di seguirlo. «perché?» lo aveva mandato sua madre, per caso? Ma la domanda era rivolta più che altro alle ultime parole del maggiore. Sarebbe un peccato: ma cristo, era il suo sponsor? Perché non ricordava di aver partecipato ad alcuna seduta degli alcolisti anonimi. E se l'aveva presa come missione personale, per qualche assurdo motivo, almeno che glielo spiegasse. Stappò il whiskey, ma non si premurò di prendere i bicchieri prima di attaccarsi al collo della bottiglia. Arricciò il naso assaporando il chiaro gusto di benzina torbata, e con uno schiocco di dita si accese una sigaretta. «sarebbe un peccato perché hai avuto qualche illuminante visione sul mio futuro?» che senso aveva fingere di non sapere di cosa fosse in grado, o che non fosse a conoscenza del mondo dal quale entrambi provenivano. «l'ultima volta non è stata così entusiasmante, quindi insomma...» si strinse nelle spalle, prima di lanciargli un tramezzino appena comprato. «e mangia qualcosa, cristo santo.»
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    Edited by r a n t i p o l e - 12/1/2024, 14:06
     
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    Se fosse stato chiunque altro fuorché Elias Raikkonen, avrebbe probabilmente disapprovato quella visione pessimistica del mondo che aveva Jekyll, e avrebbe risposto al suo «non abbastanza.» con sopracciglia aggrottate e labbra arricciate, magari persino incrociando le braccia al petto e facendogli presente il perché quel suo commento fosse poco consono.
    Cos’aveva quella vita di non abbastanza interessante da voler a tutti i costi provare a lasciarla?
    Eppure era Elias Raikkonen, e sebbene quel pensiero gli appartenesse più di quanto avrebbe poi dimostrato al pirocineta, continuava ad essere una persona complicata, e ancor di più, imprevedibile.
    Nonostante l'atteggiamento dimostrato, riconosceva un tentativo di lasciarsi indietro una conversazione difficile e spinosa quando ne vedeva uno — che poi non fornisse molto spesso la grazia di accogliere quei tentativi e lasciar correre, era un altro paio di maniche. Uno che, in quel caso, Elias scelse volontariamente di non rimboccare: aveva già pressato, e tediato, ampiamente Jekyll in posti dove sfuggire alla verità era impossibile, stretti e intangibili negli angolini più remoti della psiche del Crane, ed Elias non vedeva perché fare lo stesso anche lì, nella vita vera, dove al posto di insistere poteva concedere al minore la finta benevolenza di un’apparente invulnerabilità, se quello era ciò di cui credeva di aver bisogno. Sapeva essere misericordioso, quando voleva; aveva tutte le carte in regola per diventare il Dio che già sentiva di essere.
    Inoltre, conosceva Jekyll meglio di così, al punto che si rendeva conto persino lui che insistere fosse solo diabolico, e immaturo; non c’erano molte cose che il minore fosse riuscito a tenergli nascoste, in quei tanti, e allo stesso tempo pochissimi, mesi condivisi in reami onirici dalla dubbia origine. C’erano cose che Elias aveva visto, e provato, per le quali era assolutamente certo di una cosa: se il minore avesse potuto, o saputo come fare, le avrebbe tenute lontane anche dalla portata del chiaroveggente. A nessuno, infondo, piaceva mostrare le proprie vulnerabilità.
    Elias, per quanto fosse Elias, poteva capirlo.
    E gli concesse, quindi, una stretta di spalle e quel sorriso sardonico che, comunque, prometteva di saperla molto più lunga di quanto non ammettesse; che Jek pensasse piuttosto a studiarlo, e passare le dita incerte su una pelle che, immaginava, temeva non avrebbe mai accarezzato dal vivo, al Raikkonen, non dispiaceva.
    A ciascuno il proprio tormento, e se Jekyll aveva scelto quello per il suo, chi era Elias per contraddirlo o fermarlo. Proprio come la divinità egocentrica che puntava ad essere, le attenzioni gli erano sempre piaciute.
    Lo seguì silenziosamente all’interno della stanza, senza chiedere il permesso e immaginando che, se il minore non l’avesse voluto lì con lui, avrebbe provato a fermarlo – o cacciarlo – prima di dare l’impressione contraria; a vederla da un certo punto di vista, quello di Elias, era come aver ricevuto il tacito permesso a scivolare nella stanza affittata al finto nome del Crane. Non sarebbe stato di certo il custode, il maleducato che rifiutava un invito.
    «perché?»
    Si chiuse l’uscio alle spalle, poggiandole poi contro il legno freddo.
    «perché» gli fece eco, senza dare una risposta concreta; di tangibile e solido, in Elias, non c’era mai nulla. «perché no valeva come risposta? Secondo il danese sì, e tanto bastava.
    «sarebbe un peccato perché hai avuto qualche illuminante visione sul mio futuro?»
    Solo a quel punto El si avvicinò a lui, incredibilmente dritto e stabile sulle proprie gambe per essere uno attualmente sotto effetto di ecstasy, e allungò una mano per strappare la bottiglia dalla presa del pirocineta. Non disse nulla, limitandosi invece a portare il collo della bottiglia alle labbra, rivolgendo un sorriso al minore. «l'ultima volta non è stata così entusiasmante, quindi insomma...»
    Ignorò il commento sul cibo, ma afferrò comunque il tramezzino con dei riflessi fin troppo svegli e allerta per appartenere ad uno nelle sue condizioni, e si pulì le labbra dal liquido ambrato con il dorso della mano. «non puoi semplicemente accettarlo per quello che è?» gli chiese, passandogli di nuovo la bottiglia; «preoccupazione.» Si finse addolorato nel rendersi conto di non essere capito, e forse lo era davvero; impossibile dirlo, con lui. «potrebbe essere un peccato e basta, senza necessariamente avere un fine.»
    Quella stanza era… noiosa. Triste. E, francamente, meno disordinata di quello che Elias si era aspettato. Prese posto sul letto disfatto, non prima di aver raccolto da terra una palla di carta stropicciata sulla quale lesse, dopo averla dispiegata, parole confuse e scarabocchi poco chiari. «blocco dello scrittore?» jek *manine* pandi. «posso essere la tua musa, se vuoi.» non stava nemmeno scherzando troppo. Si lasciò cadere di peso sul materasso scomodo, gomiti piegati e collo incassato tra le spalle, osservando Jekyll senza il minimo disagio, e dimostrando di riuscire a sentirsi perfettamente a casa in qualsiasi situazione. «ti sei nascosto in questa topaia per un motivo, o stai solo vivendo la tua fase da adolescente emo?» non c’era nemmeno un briciolo di cattiveria nelle parole dello special, solo una genuina curiosità nata da un senso morale ed etico spazzato via dalla baldanza intrinseca nel suo dna, e nella droga. Allungò le gambe sottili e incrociò le caviglie, mettendosi ancora più comodo e occupando uno spazio nella vita del Crane che forse non gli apparteneva, ma ciò non avrebbe comunque impedito a Elias di farlo. Non gli importava granché del giudizio altrui, né di cosa gli fosse concesso o meno; le cose, solitamente, se le prendeva quando e come voleva, senza chiedere il permesso. «jekyll — posso chiamarti così?» certo che poteva, l’avrebbe fatto comunque a prescindere, «sai, mi pare di conoscerti da una vita. è assurdo pensare sia solo la prima volta che ci vediamo di persona, non trovi?» impossibile dire se lo stesse prendendo in giro o meno, se a quelle parole ci credesse davvero o se fossero solo i commenti senza filtro dettati dagli effetti inebrianti della pastiglia sciolta sotto la lingua; se ci credesse o no, in quello che diceva.
    Si mise a sedere, allargando le braccia e sorridendo entusiasta all'altro. «avanti, sto aspettando i commenti! le reazioni a caldo! dimmi tutto quello che pensi! e solo le cose belle, mi raccomando.» davvero una creatura… peculiare, Elias Raikkonen. Pronto a capovolgere l’esistenza di chiunque altro, pur senza il loro consenso.
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