-
.I give it all my oxygen,
so let the flames begin ©ALOYSIUS ANGUS CRANE33 yo | lightbender | rebel . -
.I give it all my oxygen,
so let the flames begin ©arturo maria hendrickson19 | teacher | once: river lou crane . -
.I give it all my oxygen,
so let the flames begin ©ALOYSIUS ANGUS CRANE33 yo | lightbender | rebel Sono io.
Se solo le mani non fossero state impegnate a mostrarlo in tutta la propria innocenza e vulnerabilità - ché non solo voleva sapesse che non avrebbe mai fatto nulla per fargli del male, ma che gli stava offrendo il ventre indifeso: non poteva fidarsi abbastanza di un figlio che aveva in qualche modo abbandonato e di certo mai cresciuto, e pur facendolo ciecamente Arturo doveva sapere che avrebbe potuto colpire senza problemi; sicuro come le tasse, più che la morte visti i precedenti, doveva avere almeno un motivo per farlo -, Al si sarebbe volentieri sbattuto i palmi contro la fronte. Chissà in base a quale assurdo colpo di genio aveva pensato che presentarsi in quella maniera potesse tranquillizzare il ragazzo. Non era nemmeno una pretesa assurda quella ad averlo spinto: nemmeno per un singolo istante aveva immaginato che il mago, vedendolo così, avrebbe potuto avere una buona ragione per mettere via la bacchetta, dicendosi con un filo di sollievo a svuotare i polmoni che “ah beh, è solo quel coglione di mio padre che mi pedina, tutto apposto”.
Puro istinto. Nient'altro se non quel viscerale senso di fiducia, per quanto incondizionata ed immotivata, a lasciare visibile ogni singola crepa della propria armatura. Lo stesso scudo che aveva costruito, sia volente che nolente, tra colpi subiti e dati, fino ad arrivare ad essere quel che era allora - di certo, non un qualcuno che apre le braccia ad un presunto sconosciuto. Si era sempre fidato poco delle persone, sin da giovane, ma aveva lasciato aperti troppi spiragli - e chiuso troppe volte gli occhi, ascoltato troppi consigli sbagliati - nel corso degli anni: un qualcosa che un uomo nella sua posizione non poteva, né tantomeno voleva, permettersi.
Arturo Hendrickson non era il suo River, e tantomeno quell'Aloysius Crane era il padre dell'ex serpeverde. Perfetti estranei, in fin dei conti. Eppure, c'era quella tenaglia alla bocca dello stomaco, quella bile a salire acidula e bollente su per l'esofago; quella botta dietro le spalle a fargli muovere passi decisi verso di lui - e verso Amalie, Oscar, Hyde, Jekyll -, come a dirgli che magari poteva essere anche solo una replica, un cartonato in carne ed ossa contro cui scagliare tutte le freccette necessarie a sentirsi meglio.
Le avrebbe incassate tutte, e senza fare un fiato.
Non lo avrebbe mai definito stupido da parte sua, per quanto potesse apparire tale.
Da dementi era invece approcciare un ventenne in un vicolo buio con due parole altrettanto idiote.
Ad ogni modo, non poteva né rimangiarsele né aggiustare il tiro: Turo oramai l'aveva riconosciuto (come quel coglione di suo non-padre) ed aveva abbassato la bacchetta.
«Non ho bevuto così tanto. Giuro.» ah!, come gli sarebbe piaciuto credere non avesse ripreso la sua passione per l'alcol. Purtroppo, l'aveva visto trangugiare l'impossibile - motivo in più per assicurarsi non andasse a mettersi in qualche guaio, si era ripetuto in virtù di un futile autoconvincimento, come se il minore non fosse un mago ormai adulto e perfettamente in grado di sopravvivere in perfetta autonomia.
Corrugò la fronte senza dire una parola, facendo scivolare le mani nelle tasche del giubbetto e limitando quel che avrebbe avuto da dire ad un sorriso stirato su un lato della bocca. Non era assolutamente nessuno per poter giudicare se avesse bevuto davvero così tanto oppure no, viste tutte le volte che si era svegliato sul pavimento della sua stanza alle tre del pomeriggio con la nausea e una bottiglia di whisky vuota stesa al suo fianco; a occhio e croce, doveva solo che ringraziare Morgan: o reggeva bene la botta, o aveva bevuto meno di quanto egli stesso immaginasse.
Il sorriso dell'uomo non riuscì a trattenersi dal distendersi nel momento in cui Arturo annuì. Percepì la tensione sciogliersi, scivolare via dai muscoli di collo e spalle in un brivido lungo la spina dorsale.
L'isteria data dalla presa di coscienza che non pensava sarebbe arrivato a quel punto e per cui non sapeva realmente di cosa voleva parlare, come gli era stato appena domandato, l'avrebbe lasciata ad un altro momento. «Di nostro signore Gesù Cristo.» sbuffò una risata, lasciando che il proprio potere illuminasse il breve tratto di strada che avrebbero dovuto percorrere. Rimase in silenzio lungo tutto il tragitto: non gli sembrava nelle condizioni adatte ad ascoltare e camminare contemporaneamente, e lungi da lui metterlo in difficoltà a quell'ora; si premurava, soltanto, di dargli uno sguardo ogni due passi, temendo sinceramente di perderselo per la via.
«Di qua.» esclamò, e spingendo una vecchia ed anonima porta di legno lo invitò a precederlo sulla fiducia - ché tanto, le poche lettere rimaste sull'insegna non gli avrebbero permesso di capire in che posto lo stava portando per parlare. Al stesso aveva varcato la soglia senza pensarci troppo, dal momento che se lo avesse fatto si sarebbe sentito ancora più in imbarazzo nel portare suo figlio in un night club. A sua discolpa, era anche l'unico luogo che conoscesse in quella zona, di cui si fidasse e che fosse aperto fino al mattino seguente.
Salutò con un cenno della mano il barista, Jimmy, e gli indicò un piccolo tavolo rotondo abbastanza distante dal cuore pulsante della serata.
«Tutto bene?» domandò, prendendo posto ed aspettando il maestro dei suoi figli facesse lo stesso. Poteva davvero non aver bevuto così tanto da andare in coma etilico, ma aveva una strana cera.
«Ehi, bellezza...» non fece in tempo ad aprire bocca per iniziare a parlare, le dita a cercare sotto il maglione il piccolo ciondolo che aveva visto anche al collo di Turo, che si ritrovò ad alzare gli occhi verso il giovane che li aveva già approcciati, pronto a rispondere d'istinto che fosse impegnato - cioè... almeno spiritualmente... poi la realtà dei fatti non la sapeva nemmeno lui, ma questo sarebbe stato materia d'esame per una chiacchierata con il suo amato fratello psicologo. Non aveva fatto i conti con il fatto che fosse lì per la prima volta con qualcuno, anziché da solo: osservò il biondo mezzo nudo prendere posto a sedere sulle gambe di Arturo, e non era certo di come sentirsi al riguardo. Perciò, reagì nell'unico modo apparentemente lecito: piegò gli angoli della bocca verso il basso, arcuò entrambe le sopracciglia e, guardando suo figlio negli occhi chiari, annuì un paio di volte. Erano appena entrati e già aveva fatto colpo, non poteva che essere fiero.
«Cosa vi porto?»
Back on track. Si schiarì la voce «A me nulla. Per lui, chiedi a Jimmy un Brian.» strizzò l'occhio a Turo, sillabandogli un “fidati” labiale.
Attese fino a quando il tipo decise di smetterla di strusciarsi contro il figlio - o di strusciarsi a vicenda: non voleva sapere così tanto -, dunque estrasse la collana e la posizionò sul tavolo tra loro due, il totem battuto nel ferro rivolto verso il soffitto.
«Non ti vedo troppo nelle condizioni di sorbirti convenevoli o giri di parole.» iniziò, giocherellando con il ciondolo. «Quindi - oh, velocissimi!» sorrise al tipo di poco prima, mentre questo lasciava uno shottino sul piano. «Ha detto Jimmy che ha iniziato a prepararlo quando siete entrati.» uomo di poca fiducia.
Attese - di nuovo - la fine del rituale di accoppiamento con un sorriso cordiale sulle labbra. «Bevilo tutto d'un sorso, fa miracoli!» e solo quando l'ebbe ingurgitato, aggiunse la postilla a piè di pagina: «È un mix di caffè, acciughe in salamoia e limone. Fa schifo ma ti passa tutto!» oh, a lui l'aveva tirato su da situazioni peggiori di quella.
«Dicevo...» umettò le labbra, abbassando lo sguardo nel vano tentativo di trovare parole in grado di districare la matassa che aveva davanti a sé. Non ce n'erano.
«Ho visto che hai la stessa collana.» schioccò la lingua sul palato, anche solo per evitare di mordersela. Era a tanto così dal dirgli sapesse tutto, pensando che lo avrebbe in qualche modo aiutato. «Sai cos'è, vero?» ma poi, aveva capito quanto fosse egoista da parte sua - e che avrebbe aiutato soltanto se stesso, che Turo voleva avere i suoi tempi, che non era giusto privarlo di quella scelta. Se avesse voluto, gliene avrebbe parlato lui. «È un cimelio... molto importante. Magico. Non l'ho scoperto se non poco tempo fa, ma ce l'ho da sempre.» ed era anche unico del suo genere, dal momento che era un regalo forgiato appositamente per lui. «Hai mai provato ad aprirlo?». -
.I give it all my oxygen,
so let the flames begin ©arturo maria hendrickson19 | teacher | once: river lou crane Il lato positivo di essere elegantemente sbronzo era che, in quel modo, Turo si ritrovasse molto meno in balia del fiume tragicomico di pensieri che era solito tormentarlo nei momenti di lucidità. In quella via buia, invece, schiacciato in maniera non così disastrosa, dagli alcolici pesanti del Testa di Porco (o dalla troppa leggerezza dell’acidocineta al bancone, ma Turo non poteva saperlo) si sentiva abbastanza leggero da permettersi addirittura di rilassare le spalle nel prendere nota della figura dell’uomo; c’era una parte di lui che si fidava di Al, ed era la parte che in quel momento stava prendendo il controllo della situazione, facendogli abbassare la bacchetta alzata in preventiva difesa.
Era la parte che gli ricordava quotidianamente, ogni sacrosanta mattina, che quello fosse suo padre, per quanto assurda l’idea potesse essere. Non l’uomo che l’aveva cresciuto, e che per diciotto anni Turo aveva chiamato papà — e che, di fatto, si era rivelato uno sconosciuto tanto quanto lo special che ora gli stava di fronte. Aloysius. Turo non era bravo a fidarsi a pelle delle persone, e lo era ancora meno ad aprirsi per lasciarsi conoscere e conoscere gli altri a sua volta; ma con Al voleva farlo.
Sì, ok, lo diceva da mesi — ma era vero. Gli era sempre mancato, però, il coraggio di prendere un respiro e andare a bussare alla porta dell’uomo; o anche solo chiedergli di fermarsi dopo l’uscita di scuola per poter parlare.
Il fatto di essere sbronzo in mezzo a Dark Street, e ritrovarsi proprio Al di fronte, magari era un segno.
Nello specifico: che fosse arrivato finalmente il momento di essere onesto con lui e di affrontare un argomento tanto delicato, fino a quel momento intavolato dall’ex serpeverde solo con Maeve, e mai in maniera tanto diretta. Ci giravano intorno, i due, senza mai essere troppo specifici e senza mai andare davvero al nocciolo della questione — ma Turo coglieva gli hintsa differenza di pandi. Immaginava che anche Al potesse sapere qualcosa, ma cosa era difficile da dire: l’idea che l’uomo invece non sapesse nulla, e che Turo potesse rivelarsi una delusione ai suoi occhi, l’aveva bloccato tutte le dannatissime volte.
Non quella sera, però.
Forse, dopotutto, una cosa buona Hold nella vita l’aveva fatta.
(Ed era stata del tutto involontaria, questo la diceva lunga sulla special.)
Seguì Al lungo la via, senza indugiare troppo e senza rimanere indietro: lontano dalla luce emanata dallo special, Turo non vedeva un tubo. E non era ancora abbastanza lontano dalla sbronza per potersi affidare solo ed esclusivamente ai suoi sensi poco fini.
Alzò lo sguardo verso la porta indicata da Al, precedendolo all’interno perché non aveva avuto possibilità di decidere; era quasi certo che l’altro non volesse rapirlo o ucciderlo ma chi poteva dirlo. Chissà se quello era il momento in cui il suo allarmismo entrava in scena e lo mandava in para, facendogli pensare cose assurde, tipo ad esempio che quello non fosse il Crane ma qualcuno che aveva preso il suo aspetto col fine di metterlo in pericolo. Che poi: perché mai avrebbero dovuto, ma eh! Vivevano in un mondo difficile, dove le sparizioni oramai erano così all’ordine del giorno da non fare più notizia.
Invece, nessuna ipotesi fatalista ebbe la meglio, al contrario! Le spalle di Turo rimasero rilassate e la testa (felicemente) sgombra dai brutti pensieri: se fosse stato più lucido, forse, si sarebbe preoccupato per non essersi preoccupato abbastanza.
(O affatto.)
In effetti, avrebbe dovuto.
Entrando nel locale, venne subito colpito dalle luci — non perché fossero accese o particolarmente forti dopo il buio di Dark Strett, al contrario. Ad allarmare Turo furono i toni soffusi dell’ambiente in cui erano appena inciampati. Magari Al aveva sbagliato porta? Sembravano tutti uguali nel loro pessimo stato, gli edifici di quella via, non lo avrebbe di certo biasimato se fosse stato quello il caso.
Ci credeva in maniera genuina, come l’anima innocente che era e sempre sarebbe stato, quindi immaginate la sua confusione quando vide Al scambiare un cenno di saluto con il barista, come se fossero amici.
Peggio: come se Al fosse un cliente abituale.
Era il genere di cose che Arturo davvero non voleva sapere su suo padre, quindi rimase stoico nel suo silenzio, gli occhi fissi sui propri piedi e il rossore sulle gote mascherato un po’ dalle luci basse.
«Tutto bene?» Aveva seguito Al fino ad un tavolo, in silenzio e assorto in pensieri random che ogni tanto facevano capolino dietro la fumosa coltre di alcol, perciò non aveva davvero registrato possibili parole dette dall’uomo. A quella domanda si ritrovò a rispondere con uno sguardo spaesato e un «mh mh» poco convincente. Era a disagio per almeno dieci motivi diversi, ma voleva fingersi un essere umano semi funzionante in presenza del Crane, così prese posto sulla sedia libera e tentò di regalare un sorriso all’uomo. «Avete degli alcolici molto forti, al pub.» Lo diceva la testa che pulsava e rendeva insopportabili anche le note basse della canzone che riempiva l’aria tra loro. Giurava, comunque, di non averne bevuti così tanti! Non un argomento che avrebbe voluto continuare ad affrontare con Al, non in quel momento, dove non poteva appigliarsi a nessuna falsa sobrietà per perorare la sua causa; sperava solo di non essere considerato un ubriacone perché non lo era. Non aveva problemi con l’alcol! Davvero.
«L’inaug-»
Fece per intavolare una chiacchierata (in qualche modo dovevano pur passare il tempo, no? e non lo avrebbero fatto parlando del vizio di Turo o del perché Al conoscesse così bene il barista, I pretend I do not see) ma venne interrotto.
In maniera del tutto inaspettata.
Così inaspettata che l’Hendrickson potè a malapena aprire le braccia e lasciarle cadere lungo i propri fianchi, accettando suo malgrado quell’improvvisa violazione della propria privacy, quella mancanza di rispetto di boundaries che Turo chiaramente non aveva chiesto. Il viso rosso come un peperone, sguardo allarmato in direzione di Al e una tacita richiesta di aiuto dipinta negli occhi chiarissimi: che stava succedendo, forse c’era un malinteso.
«A me nulla. Per lui, chiedi a Jimmy un Brian.» espressione che assunse sfumature ancora più comiche a quella richiesta: dubitava fortemente che gli servisse anche un Brian, era già abbastanza impegnato così al momento! Oddio, Aloysius Crane l’aveva portato lì per.. Oddio, aveva l’aria così disperata da fare pena anche all’uomo? Stava forse cercando di incastrarlo —
Oddio.
Stava spiraling.
Il “fidati” mimato dal maggiore fece tutto fuorché calmare Turo, che non tornò di un colorito normale nemmeno quando il peso sconosciuto lasciò (finalmente!!) le sue gambe: ormai il danno era fatto e la sua reputazione compromessa per sempre.
«I-io... Uhhh...—» stava boccheggiando, in cerca di aria e di parole con cui giustificarsi per qualcosa che non aveva nemmeno ancora capito. Smise di annaspare solo quando Al posizionò al centro del tavolo un ciondolo che Turo conosceva molto bene, e che andò istintivamente a cercare sotto la maglia. Era ancora lì.
«Come-»
Vennero però interrotti nuovamente.
Il tempismo di quel posto era maledettamente perfetto.
«Bevilo tutto d'un sorso, fa miracoli!» ah, dunque quello era un Brian. Okay. Studiò il cicchetto con aria perplessa. «Tu dici, eh...» lui ne dubitava, e soprattutto non vedeva come un altro shottino potesse andare in suo aiuto ma hey! Al era l’adulto, e Turo immaginava fosse anche l’esperto — e come già detto, Arturo voleva imparare a fidarsi dell’uomo.
Perciò chiuse gli occhi, tappò il naso e mandò giù.
Nulla poteva prepararlo a quello.
«Mi sento male.» Portò l’incavo del gomito alla bocca, per fermare il conato di vomito che sentiva salire. «È un mix di caffè, acciughe in salamoia e limone. Fa schifo ma ti passa tutto!» Appunto.
«Tremendo.» Come se l’espressione schifata non la dicesse già lunga. Sperava almeno ne valesse davvero la pena.
«Dicevo... Ho visto che hai la stessa collana.» E tanto bastò a farlo tornare lucido — o forse Brian faceva davvero miracoli. Fatto sta che lo sguardo di Turo si fece d’un tratto più lucido, più vigile, nel posarsi di nuovo sul ciondolo indicato da Aloysius. «Sai cos'è, vero?» Sì?? No?? Non davvero?? Si schiarì la voce, cercando una risposta che non aveva ancora trovato in più di un anno dalla famosa rivelazione.
Non importava, comunque: non ebbe il tempo di rispondere, perché il Crane continuò.
«È un cimelio... molto importante. Magico. Non l'ho scoperto se non poco tempo fa, ma ce l'ho da sempre. Hai mai provato ad aprirlo?»
Aprirlo?!
Un guizzo di curiosità e al contempo confusione animò gli occhi azzurri, che tornarono a studiare il ciondolo dopo aver cercato risposte sul viso di Al fino a quel momento.
No che non aveva provato ad aprirlo... Non ci aveva nemmeno pensato! Non gli dava l’impressione di essere un ciondolo che potesse nascondere qualcosa al suo interno. Sembrava solo... Solo un ciondolo. Fine. Un cimelio, come l’aveva definito Al, ma niente di più.
Era già speciale così.
Si strinse nelle spalle, sentendo fosse arrivato il suo momento di parlare.
(Oh no, aiuto.)
«No... In realtà no.» Si morse il labbro inferiore, pensieroso. «Dico... No, non ho mai provato ad aprirlo. E no, non so cos’è. Non- non davvero, ecco.» Indugiò un attimo, torcendo le proprie dita in un gesto nervoso, ma poi le fece scivolare sotto il colletto della maglia e tirò fuori il ciondolo identico a quello messo in mostra da Al.
Non lo posò sul tavolo, ma lo tenne a mezz’aria tra loro, osservandolo. «Io ce l’ho da... relativamente poco.» Anche se sembrava essere passata una vita e mezza da quando aveva affrontato gli Hendrickson e aveva ricevuto in cambio tutta la verità. «A- a quanto pare, apparteneva—» fece una pausa, alzando gli occhi fino ad incontrare quelli di Al. «A mio padre.» Stava ancora cercando di capire se quel Brian avesse fatto meglio, o peggio, per la sua situazione. «Ne sono entrato in possesso quando.. Un annetto fa. Quando i miei genitori hanno -» ammesso, confessato, «raccontato della mia adozione. Di cui non sapevo nulla, per inciso.» Forse ad Al non interessava, ma era sempre un tasto dolente quello per Turo e tendeva a parlarne o troppo, o troppo poco. Non c’erano vie di mezzo. «Quando mi hanno trovato, avevo pochi giorni e niente con me, se non questa collana.» La strinse nel pugno, incrociando poi le braccia sul tavolino. «Non avevo idea si potesse aprire.»
Avrebbe voluto dire altro, cercare di spiegargli chi fosse lui per Al — ma forse non c’era bisogno. Se quel ciondolo dalle fattezze peculiari era davvero speciale e unico nel suo genere, avevano già tutte le risposte di fronte a loro. Turo l’aveva detto: apparteneva a mio padre. Apparteneva ad Al.
Non sapeva come altro mettere a parole quella verità, non era di certo famoso per la sua padronanza linguistica o per la sua parlantina, al contrario!. -
.I give it all my oxygen,
so let the flames begin ©ALOYSIUS ANGUS CRANE33 yo | lightbender | rebel Trattenersi dal ridere fu un compito arduo, uno dei lavori più complicati che il Crane avesse mai dovuto portare a termine. C’erano stati dei momenti particolarmente intensi in cui pensava avrebbe ceduto, scoppiando in una fragorosa sghignazzata di fronte al povero Arturo o quantomeno nascondendosi sotto al tavolino per nascondergli tutta la propria ilarità e mostrare un minimo di solidarietà nei suoi confronti. Un sentimento puro e sincero, presente nel cuore dello special in quel preciso istante, ma – ma.
C’era anche da dire che preferisse pensare a quanto poteva sbellicarsi alla vista del ragazzo sull’orlo di una crisi isterica, che a quanto si sentisse a disagio nel dover assistere a suo figlio che veniva molestato da uno spogliarellista davanti ai suoi occhi. Voleva solo morire, e piuttosto che d’imbarazzo avrebbe preferito una dipartita per eccesso di endorfine in circolo nel corpo.
Riuscì comunque a resistere, inspirando molto profondamente e concentrandosi sul motivo per cui fossero lì – e idealizzando il quantitativo di volte in cui quella scena doveva essersi ripetuta, nel futuro da cui veniva l’Hendrickson: non era una persona nota per avere una particolare serietà, e gli dispiaceva veramente un sacco che ai propri figli fosse capitato uno come lui; forse, forse, con River e Flow avrebbe cercato di crescere, ma non poteva assicurarlo.
«mi sento male» strinse le labbra in una smorfia pregna di empatia e comprensione, osservandolo soffrire senza muovere un dito; non sottolineò che fosse per il suo bene, nonostante la totale sincerità con cui sarebbero uscite quelle parole. Gli fosse stato vicino, anziché dall’altra parte del tavolino, gli avrebbe stretto la spalla fra le dita, sussurrandogli che andava tutto bene e che capiva perfettamente come si sentisse. Quello che poté fare, osservando la faccia disgustata dell’altro, fu sporgersi un po’ di più. «se hai bisogno di vomitare, dimmelo.» non gli disse che avrebbe potuto rigettare tutto quanto sul pavimento del locale, che di sicuro aveva visto cose ben peggiori della bile di un diciannovenne, ma se ne avesse sentito la necessità lo avrebbe accompagnato al bagno più vicino, o recuperato una tinella in cui gettare tutto quanto.
Quando intavolò l’argomento e lo vide riprendersi quasi del tutto, provò contemporaneamente orgoglio e preoccupazione.
Il primo, che gli strappò anche un mesto sorriso a piegare l’angolo delle labbra, perché un po’ rivide sé stesso nei lineamenti più seri e concentrati di Turo – un salto nel petto che non si era aspettato in quel momento tra tanti altri più consoni, ma che egoisticamente non poteva che renderlo… felice. Tutte quelle micro-espressioni di cui il minore nemmeno si accorgeva, i piccoli movimenti delle mani, gesti minimi ed impercettibili: era surreale e bellissimo al tempo stesso.
La seconda, perché se davvero avesse ripreso da lui, ci sarebbe stata un’alta probabilità o che perdesse i sensi, o che ordinasse qualcos’altro da bere di lì a pochi minuti; sperava vivamente di sbagliarsi, sotto quel punto di vista. E sotto molti altri, a dire il vero – ma quella era un’altra storia, per un altro momento.
«no... in realtà no. dico... no, non ho mai provato ad aprirlo. e no, non so cos’è. non- non davvero, ecco.» annuì, sfiorando con le dita il ciondolo. Naturalmente non aveva mai provato ad aprirlo – perché avrebbe dovuto? Nemmeno a lui era mai passato per l’anticamera del cervello di farlo prima di sapere che si potesse, né tantomeno lo aveva fatto dopo averlo scoperto.
«io ce l’ho da... relativamente poco. a- a quanto pare, apparteneva— a mio padre.» morse le labbra, iridi smeraldo fisse in quelle celesti senza la mezza intenzione di distogliere lo sguardo. Una parte di lui gli stava urlando di dirgli che fosse lo stesso ciondolo, un paradosso che non avrebbe dovuto esistere – frammenti di tempo attorcigliati l’uno sopra all’altro, contorti ed impossibili; la farfalla che battendo le ali avrebbe causato un uragano nello spazio che li separava. L’altra, scalpitava dalla necessità di chiedergli se sapesse chi fosse quel padre, forzandolo ad una confessione per la quale non sapeva se fosse pronto. Non diede udienza a nessuna delle due, fermo nella convinzione che quella fosse una sua scelta.
Poteva rinnegarlo, se lo voleva davvero; ignorare tutta quella nottata il giorno seguente.
«ne sono entrato in possesso quando.. un annetto fa. quando i miei genitori hanno - raccontato della mia adozione. di cui non sapevo nulla, per inciso.» accennò un sorriso lieve, lo sbuffo di una risata niente affatto divertita dalle narici. «capisco,» sincero. Forse non poteva capire del tutto, non era lui quello che aveva giocato con la quarta dimensione, ma almeno in parte sì. «anche io sono stato adottato, e l’ho scoperto solo qualche anno fa.» una confessione alla quale non si lasciava andare troppo facilmente, per non dire che tendesse ad ignorare quasi sempre la questione. Sin aveva letteralmente sacrificato la propria anima per la sua vita, Dick ancora faticava a comprenderlo; amava entrambi, ciascuno a modo suo. Ma non erano Michael, non erano Yvonne, i genitori che aveva visto morire davanti ai suoi occhi per una guerra alla quale non sapeva di appartenere; non erano Eugene, né Delilah, quei cugini con i quali era cresciuto per tutta quella che aveva creduto essere la sua vera vita.
«quando mi hanno trovato, avevo pochi giorni e niente con me, se non questa collana. non avevo idea si potesse aprire.»
Diglielo, Al. Cazzo, diglielo – non hai niente da perdere.
Chinò il capo, sospirando.
No.
Si passò una mano tra i capelli. «nemmeno io, l’ho scoperto per puro caso.» non c’era bisogno che Turo sapesse che era andato in un negozio di manufatti magici per motivi legati alla ribellione, e che fosse stato il commesso a notare la collana raccontandogli l’estrema rarità di oggetti come quelli: erano racconti futili che potevano tranquillamente bypassare. «non ricordo nemmeno da quando ce l’ho,» il che, era vero in tutti i sensi: non ne aveva alcuna memoria, e forse proprio per l’oblivion che aveva subito in tenera età. «ma pare sia un cimelio che si tramanda di padre in figlio da generazioni.» non elaborò oltre, ma l’occhiata che rivolse al serpeverde valeva più di mille parole. «non volevo disturbarti, giuro. non –» inspirò profondamente, rilasciando un sospiro pregno di discorsi che non avrebbe potuto approfondire; non spettava a lui. «tendo a rispettare quanto più possibile gli spazi altrui,» i tempi, soprattutto: nessuno aveva mai fatto lo stesso con lui. «ma quando l’ho vista al tuo collo non ho potuto ignorarla. spero tu possa capirlo, e perdonarmi.» umettò le labbra, sorridendogli.
«non ho mai provato ad aprirla, ma so che è possibile. come so che è un… raccoglitore. di pensieri, di informazioni; di ricordi.»
Le spalle, ora scariche di un piccolo macigno, si rilassarono contro lo schienale della sedia. «mi sembrava giusto darti questa informazione: al posto tuo, io l’avrei voluto tanti anni fa.» come era certo che, allora, volesse aprirla e scoprire cosa Edward Quinn gli avesse lasciato.
Se, gli avesse lasciato qualcosa.
«e casomai volessi aprirla, mi farebbe piacere farti compagnia.». -
.I give it all my oxygen,
so let the flames begin ©arturo maria hendrickson19 | teacher | once: river lou crane Se non fosse stato un momento così importante – e delicato – Turo avrebbe persino riso (dopo essere morto dall’imbarazzo, e risorto) per la comicità del tutto.
Era in un… bordello? Quella era l’unica parola che la sua mente suggeriva, ma sentiva non fosse quella corretta; era più l’imitazione scrausa del Lilum, e l’idea di trovarsi in un luogo del genere con suo padre l’avrebbe fatto sprofondare nel terreno per la vergogna — se solo non fosse stato fin troppo preoccupato a combattere una sbronza epocale, e poi la nausea per il rimedio a suddetta sbronza.
«se hai bisogno di vomitare, dimmelo.»
Sì, poco ma sicuro, ma non necessariamente per la cosa schifosa che aveva appena trangugiato; c’era un po’ tutto a mescolarsi e a farlo stare male, se proprio doveva essere sincero.
All’uomo, comunque, rivolse un sorriso incerto e un «estoy bien, gracias» che rischiava di andare perso nella confusione del locale, per quanto appena un sussurro a fior di labbra.
Meglio parlare di altro, e fingere di non pensare assolutamente al nauseabondo intruglio che gli era stato rifilato, o a come avesse perso del tutto il controllo quella sera, finendo in condizioni pietose, in un modo di cui, per giunta, non aveva memoria; non voleva affatto rimuginarci, il solo pensiero bastava a fargli chiudere lo stomaco e girare la testa. Se ne vergognava, certo che sì, e non capiva come avesse potuto lasciare che succedesse.
Fu grato, quindi, quando l’uomo intavolò la conversazione per la quale, a quanto pareva, l’aveva seguito nel vicolo scuro di Dark Street e trascinato fin lì. E Turo, improvvisamente più sobrio di quanto avrebbe dovuto, si lasciò andare al fiume di parole che non sapeva di aver trattenuto per tutto quel tempo.
«anche io sono stato adottato, e l’ho scoperto solo qualche anno fa.»
Quello gli fece dischiudere le labbra in un «oh» — com'era strano il destino, certe volte; quante possibilità c’erano che la sua storia e quella di Al fossero iniziate nello stesso modo?
Non commentò, non sapeva cosa dire (se non un ti sei sentito tradito anche tu, per tutte le bugie raccontate? ti sei sentito umiliato, e fregato, e deluso?), quindi preferì parlare dell’amuleto, e ammettere che non sapesse potesse aprirsi. «nemmeno io, l’ho scoperto per puro caso.»
Annuì, e si morse l’interno della guancia: avrebbe voluto chiedere se lui l'avesse aperto, ma rimase in silenzio; se fosse stato quello il caso, il Crane l’avrebbe detto, no?
E invece Al disse: «ma pare sia un cimelio che si tramanda di padre in figlio da generazioni.»
Quella volta, Turo sussultò senza riuscire a fermarsi.
Lo sguardo che aveva abbassato poco prima, tornó a cercare quello dell'uomo, colpevole; eccolo lì, il momento giusto, sarebbe bastato aprire la bocca, dirgli la verità, e mettere tutto nero su bianco una volta per tutte; Turo lo sapeva che non ne avrebbe avuto uno ugualmente perfetto.
Ma non ci riuscì.
Aprì e chiuse le labbra un paio di volte, prima di rinunciare definitivamente.
Era un codardo.
Non aveva altre scusanti.
Abbassò gli occhi sulle proprie mani, che stringevano ancora il ciondolo, e piegò la testa leggermente in avanti — sconfitto. Ancora prima di perdere davvero qualcosa. Si rigirò l’amuleto fra le dita, sovrappensiero: c'era una domanda (beh, una di molte a dir la verità) che lo turbava — se veniva tramandato di padre in figlio, perché Al aveva scelto di donarlo a lui, e perché non a Óscar? Se erano così rari, quegli amuleti magici, se solo uno tra River e Flow l'aveva ereditato, perché proprio lui?
Turo non si sentiva particolarmente degno di ricevere in eredità cimeli di famiglia, e si domandava quanto diversi potessero essere River e Turo per poter ricevere un dono tanto prezioso.
Fu la voce di Al a destarlo, nuovamente, dai suoi pensieri.
«ma quando l’ho vista al tuo collo non ho potuto ignorarla. spero tu possa capirlo, e perdonarmi.»
Per un attimo non disse nulla, limitandosi ad osservare l’uomo con sguardo illegibile; era felice che lo avesse fatto, nonostante il disagio che ancora sentiva per quella situazione, ma c'era da dire che , nel disagio, Arturo ci vivesse quindi non era una novità. Era contento, sì, quello non poteva negarlo; ma era anche confuso su così tanti livelli che non sapeva da dove iniziare per farlo capire ad Aloysius.
Scosse piano la testa, sorridendogli.
«Non è un problema,» non lo era affatto, non lo sarebbe mai stato; e dall’infarto che gli aveva procurato, seguendolo come un malintenzionato, Turo s’era già ripreso, «sono... Sono contento tu l'abbia fatto.» Riempì i polmoni d’aria, respirando l’odore sgradevole di tabacco e sudore e fumi dell’alcol che permeavano nell’aria; era forse giunto il momento in cui confessava tutto? Poteva davvero farcela?
Fece per aprire la bocca, ma le parole di Al lo bloccarono.
«non ho mai provato ad aprirla, ma so che è possibile. come so che è un… raccoglitore. di pensieri, di informazioni; di ricordi.»
Ricordi? Cosa… cosa?
Batte lentamente le palpebre, due o tre o cento volte, osservando Al ma con la mente così lontana da non riuscire a vederlo davvero.
Ricordi.... I suoi? Quelli di Al? Quelli di River? Non... Non sapeva come reagire. Non sapeva se fosse pronto a quella verità. Forse non voleva davvero aprirlo, dopotutto.
Cercò le parole per ringraziare Alosyius per aver condiviso con lui quell'informazione ma non le trovò: improvvisamente, era a corto di qualsiasi cosa da dire, e con paradossalmente troppi pensieri nella testa.
«Io—» non so se voglio aprirlo, stava per dire. In realtà voleva e non voleva allo stesso tempo.
Era tutto difficile.
«Cosa—,» pensi che ci sia dentro? «Tu–,» cercò nuovamente lo sguardo di Al, infine, ormai completamente spaesato e confuso (dalla vita). «Devo dirti una cosa.» Non la migliore delle premesse, se ne rendeva conto, ma non aveva più controllo sui propri pensieri, o sulla propria bocca. «Questo», e dischiuse il pugno per mostrare ad Al la copia esatta dell’amuleto che indossava anche lui, «non è un amuleto come il tuo,» strinse di nuovo le dita intorno al ciondolo, per fermarne il tremolio convulso, «questo è il tuo. È impossibile, lo so, non— non dovrebbe esistere,» lui stesso non avrebbe dovuto esistere; era un fottuto paradosso temporale, «ma è così. Forse non dovrei dirtelo, magari sto incasinando tutto,» si passò, febbrile, una mano sui capelli corti, sospirando forte: era così che, nei fumetti, fottevano del tutto lo spazio-tempo, ma ora che aveva iniziato non poteva fermarsi.
Non pensò neppure per un attimo che Al potesse trovare ridicola la sua (semi) confessione, o che al contrario ne fosse già a conoscenza; era un fiume in piena che stava ormai dilagando ovunque. «Credo di averlo portato con me quando—» no, era troppo complicato spiegare la storia del viaggio nel tempo, specialmente quando lui stesso non l’aveva ancora ben chiara, quindi si interruppe, sospirò di nuovo, e ci riprovò. «L’ho ereditato da te», e stavolta non c’era incertezza o tremore nella voce dello spagnolo, né dubbio nello sguardo chiaro che andò a cercare quello verde dello special, «so che è impossibile, ma —» le ultime parole gli morirono in gola, tradendolo all’ultimo istante.
So che è impossibile, ma sono tuo figlio.
Perché era così difficile dirlo ad alta voce?.