Votes taken by gibson girl

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    1993

    shadow

    american
    gibson girl
    ethel cain
    Emilian si chiedeva se fosse l’unica adulta nella stanza. A una rapida osservazione del tavolo, concluse che fosse davvero così. Non era stupita, non era la prima volta che si riuniva con i suoi compagni di lega, ma sperava che la guerra avesse messo del senno nelle loro teste. E invece. Forse era l’unica ancora ferma alla guerra, a un anno prima, quando qualcosa dentro di lei si era irrimediabilmente rotto. No, non rotto, ma indubbiamente separato. Forse era anche per quello che stava esplorando i suoi orizzonti, che si era spinta a fare qualcosa fuori dalla sua comfort zone. Non che vi fosse molto, ormai. Non si era mai aspettata di partecipare a una lega di qudiditch, e invece eccola lì, seduta al tavolo e intenta ad ascoltare i ramblings di un ragazzo fin troppo giovane per avere tutti quei soldi da buttare. Ma chi era lei per giudicare, quando si trovava lì come lui. Quello che non sapeva, e che non sapeva il resto dei suoi compagni, era che la conoscenza in materia della Gibson era piuttosto buona. Dopotutto, uno non spendeva anni a lavorare come bodyguard per un giocatore senza imparare nulla. E LI AVREBBE STRACCIATI TUTTI.
    Direi che va bene così sto perdendo il contatto con la realtà. Vedo i colori.
    And if you want it good,
    downright iconic
    Then I would show you
    something that
    you wish you had
    sombra
  2. .
    emilian cortés gibson
    And suddenly I'm someone that prays
    A last minute man of faith
    But I'll leave behind miles and miles of jagged lines
    Upon the surface of the Divine
    Forse era vero, Emilian doveva aveva preso una botta in testa più forte di quanto pensasse. Sentiva di aver smesso di funzionare da tempo, perché non era una logica per quello che stava accadendo all’interno di quella stanza. «non hai bisogno di essere aggiustata» il battito cardiaco si impennò senza preavviso in seguito alle parole della Matthews, schiavo della validazione altrui. Avrebbe voluto dirgli di darsi una calmata, ma ormai era tardi. Non replicò alla special, perché era sicura che fosse a poco da metterla a tacere per sempre. Poteva lasciarla vincere, quella volta. Tuttavia, c’erano argomenti ben più importanti su cui non poteva transigere: era pur sempre americana. What the fuck is a kilometer, eagles screeching and guns blazing- qualcosa che pandi che non ha tiktok non capirà, ma sua madre sì. sTAN. «rimangiati subito quello che hai detto. subito. Non so di cosa tu stia parlando, è chiaro che questa botta in testa ti abbia davvero fatto molto male» gASP???? Non pensava che la conversazione sarebbe volta verso discorsi così pesanti, ma ne era grata. Almeno così poteva distrarre Willa, vedere distendere quei lineamenti tesi come una corda di violino in un volto animato e fierce. «oh matthews, sei te quella che ha preso la botta in testa» batté innocente le ciglia, conscia di aver ragione e della superiorità del suo sport «ma non è troppo tardi per cambiare idea» si arrischiò a darle un paio di pacche sulla coscia in maniera del tutto derogatory, ma insomma: era lì per diffondere il verbo. «No, quello è il quidditch. Ho giocato anche a quidditch» tentò forte, fortissimo di ricordare i ruoli del Quidditch, ma l’unica cosa che le veniva in mente era una scopa e tante palle. E detta così, stava incominciando a capire molte cose sulle metafore a sfondo sessuale sugli sport. «dimmi, collezioni sport violenti come le gemme dell'infinito di thanos?» domandò sinceramente curiosa, l’accenno di un teasing tone a bleeding through (stamattina va così pandi.) «purtroppo so ben poco del quidditch, ma mi fido di te» in quanto babbana, non aveva speso molto del suo tempo a cercare di integrarsi alla cultura magica. Realizzò in quel momento di starsene pentendo, seppur solo per poter capire meglio Willa. Si sarebbe accontentata di farselo spiegare da sua sorella. «n-niente. cosa vuoi che ti faccia vedere» serrò le labbra in una linea sottile per trattenersi dal lasciarsi scappare qualcosa che le sarebbe costato caro, ma quello non le impedì di pensarlo. «ora te ne do una io, di botta» nemmeno a dirlo, la situazione peggiorò. Solo che, volta non ci provò nemmeno a trattenersi «mi puoi dare quante botte vuoi, sono robusta» rimase terribilmente seria nel dirlo, e se Willa avesse voluto intenderci del sottotono sessuale sarebbe stata solo colpa sua. «dovresti–» Emilian poteva percepire la tensione nella stanza, non le era sfuggito come lo sguardo di Willa vagasse, forse incuriosita, forse bloccata dal fare il primo passo. La verità, era che ad Emilian piaceva giocare con il fuoco, ma non considerava mai le conseguenze del bruciarsi. La Gibson era già andata oltre, non voleva costringere Willa a fare niente con cui non fosse a suo agio- motivo per il quale se lo sarebbe dovuto prendere da sola. Si sporse appena verso la ragazza, le dita a salire sul suo braccio in una carezza appena accennata, per poi spostare una ciocca corvina dietro l'orecchio «dovrei cosa, willa?» non si era mai tirata indietro a una sfida, Emilian.
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    1993
    american
    pyrokinesis
  3. .
    emilian cortés gibson
    And suddenly I'm someone that prays
    A last minute man of faith
    But I'll leave behind miles and miles of jagged lines
    Upon the surface of the Divine
    Sì, la botta che Emilian aveva preso in testa era stata piuttosto forte. E con il senno di poi avrebbe incolpato tutte le cazzate che stavano uscendo dalla sua bocca su quella commozione cerebrale. «non è la stessa cosa, sono io la guaritrice qui. ero» le spalle di Emilian si irrigidirono, l’imbarazzo palpabile tra le due- era chiaramente un argomento delicato, che non sapeva se era il caso di affrontare dopo l’esplosione della minore. Ma era anche vero che non vedeva Willa come qualcuno da trattare con i guanti. «Anzi, sai cosa? Sono. Tutta questa storia non può cancellare anni e anni di servizio. Troverò un modo per continuare ad esserlo» ammirava la sua determinazione, la persistenza nel perseguire un obiettivo il cui percorso non era più lineare come si era sperato. Emilian aveva scelto la strada più comoda, era vero, ma non poteva essere altrimenti con quello che viveva dentro di lei. Una bomba a orologeria. Il corpo schiavo di qualcun altro mentre la mente si dimenava invano. Non poté trattenere il brivido che attraversò il suo corpo alla memoria di quel giorno, ma preferì concentrarsi sulle parole di Willa piuttosto che nel senso di nausea incombente. «c’è pur sempre la medicina babbana. c’è tanto tagliuzzare, secondo me ti piacerebbe» violento come piaceva a lei!! Non in quel senso. Aiuto. «vogliamo fare a gara? perché secondo me ho ancora un po’ di energia da espellere, e comunque questa baracca non mancherà a nessuno» una risata cristallina si fece strada dal petto della Gibson, spontanea in un modo che non riusciva ad essere da giorni- non era una battuta, ma lo trovava esilarante «sì, va bene, così finisco di rompermi la testa. magari è questo il segreto per aggiustarmi» a saperlo, avrebbe preso a capocciate il monolite di Stonehenge un po’ di più. A vedere la reazione di Willa alle sue successive parole, per poco non temette che la Matthews avesse preso una botta in testa al posto suo. Vi era un rossore sulle guance che prima non era lì, e sembrava essere determinata ad evitare il suo sguardo, preferendo la finestra a lei. Tutto ciò non faceva altro che accendere il bisogno di riportare il suo sguardo verso di lei, ma tenne le mani a posto. In quanto alla lingua, purtroppo, non era mai stata brava. «preferisco quelli violenti» e qui era un po’ come Elisa che doveva trattenersi dal fare battute a sfondo sessuale sulle panche della chiesa, ma Emilian aveva capito che doveva andare a gradi quando si trattava delle sue allusioni. Quindi si morse la lingua, e il sorriso che minacciava di apparire sul volto, e annuì alla ragazza. «Vuoi davvero mettermi una pistola in mano?» la squadrò per un momento, piegando il capo sulla spalla per osservarla meglio «certo, perché no» si strinse tra le spalle con aria noncurante, per poi aggiungere «ero un’agente, sono addestrata a gestire le emergenze» avrebbe potuto disarmare qualcuno ad occhi chiusi, o assicurarsi che gli arti dell’altro fossero rotti ancora prima che potesse pensare di prendere in mano la pistola. «sì. gioco a baseball da tutta la vita ed ero una battitrice versatile, provetta cacciatrice. la mia mira è impeccabile» al sentire pronunciare il baseball, non poté trattenersi dal fingere di rimettere, perché era una persona matura «ewww no che schifo, dovevi rovinare tutto con il baseball» in casa Cortés-Gibson non erano fan del baseball, non quando esistevano sport molto meno noiosi e stupidi «ti rendi conto che lo sport superiore è il basketball, vero?» sollevò un sopracciglio, terribilmente seria nella sua affermazione «aspetta- da quando ci sono i cacciatori nel baseball?» la confusione mentale che stava provando bastò per un momento a farle dimenticare il tradimento, perché sentiva di essersi persa un pezzo. Un po’ come Elisa nella vita.
    «Io ti ho mostrato il mio, tu puoi mostrarmi i tuoi.»
    Uh.
    Pausa.
    Stava dicendo quello che pensava stesse dicendo?
    All’improvviso, il volto (e non solo) di Willa assunse un colore mai visto prima di allora, ancora più paonazzo di quello che era già. «Non- non stavo dicendo- cioè, hai capito, non volevo- grrrr. Puoi spararmi qui e adesso, se vuoi.» oddio l’aveva rotta, e non era nemmeno stata colpa sua. Non del tutto, comunque. Emilian ne approfittò, perché ormai quella botta in testa si stava facendo sentire, e prese una mano di Willa per toglierla dal suo volto, per poi lasciarla cadere «non ho capito, sai. cos’è che mi vuoi far vedere?» si avvicinò marginalmente alla special, rivolgendole un sorriso sghembo e mantenendo il tono leggero così che non implodesse del tutto «questa botta in testa mi ha reso proprio confusa, ahia» portò una mano alla fronte in modo drammatico, tanto per sottolineare il concetto. Era curiosa fino a che punto avrebbe potuto spingersi con la Matthews, ma prima doveva capire dove si trovasse la sua bottom line.
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    emilian cortés gibson
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    Alla fine, non era stata lei a dover muovere un passo verso Willa, ma la ragazza stessa ad avvicinarsi. Fu sollevata, Emilian, nel realizzare di non aver mandato propriotutto a puttane. Sembrava essere la sua specialità nell’ultimo periodo, non importava quanto tentasse disperatamente di rimediare- ancora le ricordava le chiamate di sua madre, i messaggi arrabbiati di sua sorella minore, nei giorni trascorsi all’accampamento. Nessuno aveva voluto vederla combattere quella guerra, anche se alla fine avevano compreso le sue motivazioni. «non dirmi quello che devo fare» ma chi, lei? Sapeva bene di non poter controllare l'energia caotica che era Willa, e se la special ci teneva così tanto a preoccuparsi della sua salute chi era lei per fermarla. Certo, non era il suo argomento di conversazione preferito, ma ogni obiezione morì in bocca quando la Matthews si inginocchiò davanti a lei «bossy, mi piace» e se insieme alla curva delle labbra, le riservò un occhiolino, erano solo affari suoi. Per de-escalate la situazione, o qualsiasi spiegazione si sarebbe data Willa. Quello scenario era così speculare a ciò che avevano vissuto a Stonehenge che per un momento le mancò il respiro nel petto. La figura di Willa che si avvicinava a lei e che la medicava come meglio poteva mentre la insultava e si premurava che fosse viva, Emilian che prometteva di non andare da nessuna parte, di non preoccuparsi per lei. E sapevano tutti com’era andata a finire, no? Per scrollarsi dalla mente quegli incubi, preferì seguire il dito della guaritrice, assecondandola in qualunque cosa stesse facendo. Non voleva farla esplodere di nuovo, le era bastava una volta. «Una favola. Quante dita sono?» Oh Willa, davvero? Uno dei trucchi più vecchi nel manuale, uno che osava volgere contro di lei. Osservò il dito medio a sventolare davanti ai suoi occhi, per poi riportare uno sguardo divertito su Willa <b>«non lo so, quattro?» scherzò, sperando di non ricevere quel dito dritto nell’occhio. Anche se, ad essere onesta, se lo sarebbe meritato tutto. «si chiama trauma cranico» se avesse potuto, avrebbe alzato gli occhi al cielo, e invece si limitò solo a buttare fuori l’aria. Davvero, apprezzava le doti mediche della Matthews, ma erano sprecate su di lei: stava benissimo, mai stata meglio. O comunque, le sarebbe passato. «che parolone, ho solo battuto la testa. vedi che tra poco passa» fece un vago gesto con la mano, segno a Willa di lasciar perdere la questione. Davvero, non era niente in confronto alla craniata che quel ragazzo le aveva fatto prendere a Stonehenge. Oddio, forse due traumi cranici in così poco non erano così sani. Amen, sarebbe sopravvissuta comunque. «scusa, non volevo farti del male. a mia discolpa, ti avevo detto di rimanere lontana» ma cos’era, il bue che dice cornuto all'asino? Emilian poteva anche assecondare la special quando si trattava di cazzate di poco conto, ma quando si trattava di vederla implodere lentamente davanti ai suoi occhi non poteva chiederle di rimanere con le mani in mano. «e se te l’avessi detto io, te mi avresti ascoltato?» così, perché mettersi nei panni degli altri aiutava sempre a rimettere in prospettiva la vita «ecco, appunto» fece appena in tempo ad aprire un occhio, pigra, giusto per osservare il volto di Willa che- minchia, l’aveva mandata in palla. E dire che era stata anche sottile, il che era molto più di quello che avevano potuto dire i suoi compagni a Capitol, afferrati per un braccio e trascinati in un limone collettivo. «sì, beh. esplodere funziona, consigliato» tempting, davvero, ma magari non lì «penso che se esplodessi io, butterei giù il reso della casa» la pirocinesi era un potere meraviglioso, ti permetteva persino di diventare un kamikaze all’occorrenza. Ascoltò poi il resto delle proposte, e fu impossibile non notare un certo filo conduttore tra queste «sai, willa» quasi distrattamente, alzò una mano per spazzare via dei trucioli di legno -o qualsiasi cosa fosse, davvero- dal ginocchio della Matthews «hai dei modi davvero violenti di sfogarti» non vi era alcun giudizio nel suo tono, solo una semplice constatazione. Ritrasse la mano per poggiarla sul suo grembo, ruotando il busto verso la ragazza «ma insomma, i miei includono bere e lo sparare al poligono, qualche volta del-» aveva visto, Emilian, il modo in cui Willa aveva reagito poco prima, l’imbarazzo che l’aveva sopraffatta. Non poteva non cogliere l’occasione per stuzzicarla un altro po’ «sesso del tutto casuale, attività fisiche a caso» quella mezza proposta a fluire dalle labbra con naturalezza, gli occhi a scivolare per qualche battito di ciglia sulle labbra della Matthews. Ma proseguì oltre, perché forse la commozione cerebrale stava cominciando davvero a giocarle brutti scherzi «sai sparare? potrei portarti, una volta» cosa? Willa era già abbastanza pericolosa anche senza una pistola in mano? Che dire, la Gibson era una donna che si nutriva del pericolo e dell'adrenalina, e non aveva paura di una sfida.
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    Edited by ambitchous - 10/6/2023, 04:03
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    emilian cortés gibson
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    Emilian aveva fallito. Lo sospettò nel momento in cui lo sguardo di Willa incontrò il suo, furioso e segnato da un dolore che cercava solo una valvola da cui sfogarsi. Ne ebbe la conferma quando la figura della guaritrice si paralizzò per un istante, per poi riprendere a muoversi in un turbinio di emozioni, di panico e un equilibrio così fragile che un soffio di vento avrebbe potuto spezzarlo. Emilian vedeva in Willa uno specchio di se stessa, una Gibson più giovane e in preda ai tremori, sopraffatta da qualcosa a cui nemmeno sapeva dare un nome. Di solito, si limitava a subire, a stringere gli occhi e a cercare di imparare nuovamente a respirare- un meccanismo così naturale e scontato, ma un traguardo monumentale in quei momenti. «Sto parlando, e non sto decisamente meglio» la vide inginocchiarsi al pavimento e annaspare in cerca d’aria, e una morsa al petto impedì ad Emilian di continuare ad affogare nel proprio dolore. Si avvicinò cauta a Willa, la mano sospesa appena sopra la sua schiena e il capo chino a cercare il volto nascosto dai capelli. Di certo, la pirocineta non avrebbe potuto immaginare quello che sarebbe successo da lì a pochi battiti di ciglia dopo. Ebbe appena il tempo di parare le mani davanti al volto prima che la stanza esplose. O forse fu la Matthews, difficile a dirlo quando il suo mondo si tinse di rosso. Istintivo quanto respirare, ormai proprio della sua stessa natura, il suo potere si manifestò in una barriera improvvisata. Abbastanza da ripararsi dalla maggior parte dei danni, ma che non poteva nulla davanti a un’onda d’urto. Il suo corpo fu scagliato contro qualcosa, non ne era certa nemmeno lei, le memorie della guerra a ripetersi spontanee dietro alle sue palpebre. Per un breve, terribile momento, la razionalità a cui si era aggrappata fino a quel momento le scivolò dalle dita e si ritrovò sul campo di battaglia. Le orecchie a fischiare, la vista leggermente appannata. Il mondo che bruciava attorno a lei. «Emi— Stai bene?» no, non sto bene. Un cazzo, a dire la verità. Ma non lo disse ad alta voce, limitandosi a tenerlo nascosto sotto la lingua. Fece leva sulle proprie per rimettersi in posizione seduta, la sua attenzione immediatamente richiamata dalla figura distesa di Willa. Non si fidava di se stessa, non abbastanza da rimettersi in piedi- dovette procedere a gattoni come un fottuto bambino, tenendosi comunque a distanza dalla special così da concederle i propri spazi. Bastava una parola, perché colmasse quella distanza, ma doveva essere Willa a volerlo. «Non ti preoccupare per me» scosse la testa, rimpiangendo quel movimento subito dopo: un dolore lancinante le prese gli occhi, e poi le tempie. Emilian non si curò delle eventuali ferite sul suo corpo, da qualche taglio superficiale, a quello che poteva essersi conficcato sotto la pelle. Aveva subito di peggio, le cicatrici sulla sua spalla cortesia di un fottuto uccello ne erano un costante ricordo. «Prima…» ugh, no abort abort, quali emozioni, non era equipaggiata per affrontare determinate situazioni «ora stai meglio?» magari farsi esplodere aveva aiutato, magari ci avrebbe provato anche lei un giorno. Non accennò ad alzarsi, preferendo rimanere con le ginocchia piantate a terra «assorbimento cinetico, vero?» non aveva voluto chiedere, prima, conscia che fosse un tasto delicato per Willa ma ora che era si era manifestato non vedeva più motivo di ignorare l'elefante nella stanza. «sai cosa? questo è meglio di essere brilli. non pensavo che la stanza potesse girare così velocemente» si riferiva a pochi minuti prima, quando aveva chiesto se la Matthews avesse qualcosa da bere. Ma sapete cosa, aveva risparmiato del lavoro al suo fegato, meglio così. Si mise seduta, le mani poggiate sul pavimento per reggerla e le gambe distese davanti a lei. Chiuse gli occhi per concedersi del sollievo momentaneo, e reclinò la testa all'indietro «forse hai ragione, parlarne è inutile. ma ci sono modi più sani di sfogare la rabbia» avrebbe elaborato? Certo che no, l'avrebbe lasciato a libera interpretazione, e Willa poteva completare da sola gli spazi mancanti.
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    Emilian era sempre stata così, fin da piccola, fin da quando aveva memoria, aveva sempre allungato una mano verso chi era bisognoso di aiuto, senza mai indagare su quello di cui lei avesse bisogno. Sentiva Willa tremare di rabbia sotto i suoi polpastrelli, la voglia di distruggere ancora ad ancora per sfogare una rabbia che mai si sarebbe prosciugata, mentre Emilian era svuotata di qualsiasi emozione. Vergogna, impotenza, sconforto- quelle erano emozioni che si poteva concedere, che credeva di meritare. Perché sarebbe dovuta essere arrabbiata, quando era stata lei la calamità a radere al suolo un’intera città? La sua città? Preferiva l’assenza di tutto, all’esplodere da un giorno all’altro come una mina. E contava che prima o poi sarebbe successo, quando tutto sarebbe sedimentato e la morfina a circolare nel suo organismo sarebbe scemata. «Come fai, ad essere così calma. Come fai.» se avesse avuto le stesse inclinazioni della Matthews, non sarebbe sopravvissuta più di due settimane nella DEA, figurarsi quando era stata mandata sotto copertura. Emilian Cortés Gibson non aveva mai avuto problemi a premere il grilletto -metaforico e non- quando si era trattato di perseguire una causa, quando quelle morti avevano avuto uno straccio di significato- ma quella volta? Uccidere per sport, per appagare una presenza che dimorava nei recessi della sua coscienza. Come poteva anche solo iniziare a spiegare a Willa, che il motivo per cui non sentiva niente era perché, se avesse iniziato non avrebbe mai più smesso. Che era paralizzata dalla paura. Che non sapeva cosa fare di se stessa, se non fingere di non esistere. Di essere morta una volta per tutte. «Ho un– un peso, qui che minaccia di soffocarmi.» Emilian c’era stata dopo la Siberia, aveva sentito ciò che la ragazza davanti a lei era stata portata a fare. Non vi era stato giudizio nel suo sguardo mentre l’aveva ascoltata, fin troppo intima con i sacrifici che una missione alle volte richiedeva. Eppure, nemmeno la Russia era stata capace di distruggerla come aveva fatto quella guerra. Emilian non aveva idea di cosa fosse stata chiamata a fare, ma poteva solo immaginare- e no, non avrebbe pensato a come degli uccelli avevano quasi preso la vita di Olga. Perché era tanto assurdo quanto tragicomico. E la Gibson ascoltò la minore, la guardò mentre continuava ad andare a pezzi sotto il suo sguardo, una ferita aperta che continuava a perdere sangue senza che vi fosse possibilità di fermare l'emorragia. L’unico sollievo che Emilian poteva darle, era premere la mano su quella ferita, macchiare la pelle dello stesso cremisi e darle una spalla su cui poggiare la fronte. Non devi farlo da sola. «Scusa, non— non volevo. Ma non lo posso accettare. Nulla. Non— Come fai.» la osservò alzarsi, la mano che prima aveva stretto al suo polso ad accartocciarsi sul grembo, abbandonata. La pirocineta scelse di rimanere lì, seduta sulle schegge di vetro, nella speranza che almeno in quel modo potesse sentire qualcosa di diverso da quell’apatia dilagante. Ognuno aveva il proprio modo di punirsi, ed Emilian aveva deciso di autodistruggersi in silenzio. Non c’era bisogno di allarmare nessuno, non voleva che si preoccupassero per lei, quando era se stessa la causa del proprio male. «Come faccio a essere calma?» sbuffò quasi divertita, un divertimento portato dall’isteria e da un limite così vicino da potercisi specchiare, masticando quella domanda tra i denti. Non aveva una risposta, non una che poteva aiutare Willa «non lo sono. non dormo da giorni, e quando lo faccio-» esitò per un attimo, considerando l’idea di ammetterlo alla Matthews- l’avrebbe giudicata? Ne dubitava. Avevano visto parti di se stesse peggiori di quelle, almeno per quanto riguardava la Gibson «se bevo abbastanza riesco a dormire più di un paio d’ore» era pur sempre figlia dei suoi padri. Un vizio duro a morire, anche attraverso le epoche. «e ogni volta che chiudo gli occhi ho il terrore di riaprirli da un’altra parte, e di aver devastato un’altra città» abbassò lo sguardo sulla distruzione che regnava in quella casa, una che nemmeno poteva comparare a quella che viveva nelle sue memorie. «non so più cosa significhi, stare bene» dio, era umiliante ammetterlo ad alta voce, una fragilità che raramente si concedeva di manifestare ad alta voce. Voleva essere un punto di riferimento per Willa, che aveva perso un qualcosa che Emilian non poteva nemmeno iniziare a comprendere, ma potevano due persone rotte come loro trovare una quadra? «cosa dicevano sempre al gruppo? che parlarne aiuta?» non ne aveva idea, era impegnata a guardare altro durante le loro sessioni, ma ogni tanto sentiva qualche parole sconnessa e tanto le bastava «bere di sicuro» sollevò un sopracciglio, un chiaro invito a Willa di tirare fuori una bottiglia in caso ne avesse una. Sapete, per portarsi avanti per l’ora di dormire.
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    Batté le palpebre una volta, due volte.
    Sprazzi di luce e fuoco, il sapore della ruggine sotto la lingua. E così tante fiamme, lava incandescente a spaccare il cemento e a riversarsi per strada, avanzando e avanzando fino a devastare qualsiasi cosa si trovasse sul suo cammino.
    Credeva di conoscere quel luogo.
    Una vita fa, quella era stata la sua casa. La sua casa? Lei non aveva una casa.
    Non credeva nemmeno di avere più un luogo a cui appartenere, qualcosa di cui che potesse piegare e custodire nella tasca tra il petto e il mondo esterno.
    Urlava e urlava, ma non c’era nessuno ad ascoltarla. Non aveva voce, non aveva un corpo, non esisteva se non come una breve parentesi nelle grandi pagine della storia. Non sei felice? Finalmente siamo una cosa sola. Chi, chi, chi- noi chi. Spogliata di qualsiasi volontà, una spettatrice alla distruzione e alle urla strazianti di chi quel fuoco lo accoglieva a braccia aperte. O forse stavano cercando di fermarla, forse era un segno di resa. Non aveva mai dato fuoco a una carcassa umana, ma nulla avrebbe potuto descrivere la pelle a sciogliersi, l’odore acro e dolciastro della carne che bruciava a bruciava a raggiungere le narici- ah, Dio stridevano come dei maiali, un coro agonizzante a levarsi verso il cielo. Volti sconosciuti a mescolarsi a sangue del suo sangue, schiacciati sotto al suo stivale in nome della stessa causa: non bisogno di legami futili quali parenti e amici nel Nuovo Mondo.
    Il Nuovo Mondo?
    Quale nuovo mondo, non voleva, non voleva-
    Batté le palpebre una volta, due volte.
    C’era stato un tempo in cui Chicago, la terza città più popolosa degli Stati Uniti, contava 2,697 milioni di abitanti.
    Sette minuti.
    Non più.

    CHICAGO, IL – ULTIM'ORA
    La terza città più popolosa degli Stati Uniti d'America è stata rasa al suolo nel giro di pochi minuti. Nessuna testimonianza diretta se non qualche video babbano a riportare quanto accaduto: una donna a marciare lungo le strade della metropoli, mentre lava e fiamme inceneriscono tutto ciò che incontrano.

    Emilian Cortés Gibson aveva ventun anni quando decise di unirsi alle fila della Drug Enforcement Administration. Fin troppo giovane per comprendere le ramificazioni che quella scelta avrebbe avuto sul suo futuro, ma non troppo giovane per aver perso più di una persona ai vizi della droga. L’oblio, la perdita di inibizioni, era quasi comprensibile quel fascino, se non le avesse restituito cadaveri alla porta. Era una battaglia personale, l’ingenua convinzione di poter fare una differenza un giorno per qualcuno. Che, da qualche parte, avrebbe potuto evitare a una Emilian sedicenne di stringere la mano ormai fredda di sua cugina.
    Era la stessa convinzione che l’aveva portata ad unirsi alle forze di polizia.
    Era la stessa convinzione che l’aveva portata ad unirsi alla resistenza contro Abbadon.
    Alla fine, non aveva fatto nessuna differenza.
    Avevano perso la guerra.
    Era stata lei a piantare l’ultimo chiodo sulla bara.
    Era morta. Era morta?
    Una domanda peculiare, dato che ancora respirava. In quel momento, esisteva come un corpo ancora dormiente, si muoveva senza percepire il cambiamento del tempo e dei giorni. Troppo spaventata dal prendere piena coscienza di sé, sollevare il telefono e scoprire di aver averlo perso più della sua città natale. Una famiglia, un’intera vita, l’ultimo filo che la teneva attaccata alla ragione.
    Forse sarebbe dovuta rimanere morta.
    Un sacrificio che sarebbe stata disposta a compiere mille volte, pur di evitare quel genocidio.
    Non ricordava molto, ma quello che era marchiato a fuoco dietro le sue palpebre bastava per una vita intera. Testarda, nel rifiutare di chiudere gli occhi la notte nel terrore di riaprirli e ritrovarsi da qualche parte nel mondo, l’ennesimo sterminio a macchiarle le mani cremisi. Quel corpo non le apparteneva più, una mera marionetta nelle mani di Abbadon, tempo rubato a una clessidra che aveva smesso di scorrere giorni prima in attesa di dare uno scopo alla sua esistenza.
    Come si imparava a convivere con quella consapevolezza? Era possibile? Non ne aveva idea, ecco perché aveva abbandonato il suo distintivo, lasciato alle spalle quello che aveva creduto essere un nuovo inizio. Come poteva pensare di proteggere le stesse persone che aveva sterminato in uno schiocco di dita? Non si fidava più di se stessa, dei suoi poteri, delle parole che uscivano dalla sua bocca.
    Era tornata a Philadelphia, una città che l’aveva accolta quando pensava di aver toccato il fondo. E l’aveva accolta nuovamente, anni dopo, quando su quel fondo si era aperta una voragine ed era precipitata nel ventre della Terra. Era vuota, la Gibson, senza nemmeno riuscire a canalizzare l’energia necessaria per scaricare una rabbia che avrebbe dovuto provare. Una rabbia contro se stessa? Contro Abbadon? Una domanda impegnativa, ormai futile. Non era come Wilhelmina Matthews, ma in quel momento avrebbe voluto esserlo. Emilian era stata così impegnata a vestire nuovamente le pelli di un essere umano, che aveva dimenticato ciò che era successo a Stonehenge. Lasciò cadere lo sguardo sul pezzo di legno che giaceva a terra, spezzato, ormai irrecuperabile. Mantenne la schiena premuta contro il muro, le unghie nere ad affondare nella carne, il capo chino sulla bacchetta. Non sarebbe dovuta essere lì, non aveva alcun diritto di essere lì- di farsi vedere in giro. Ma Wilhelmina aveva bisogno di lei, ed Emilian dell’illusione che potesse essere quella persona per lei. Staccò la schiena dalla parete, i suoi passi cauti e lenti, come ad approcciare un animale spaventato. Perché, in fondo, era quello che erano divenuti tutti dopo la guerra. Cadde in ginocchio, incurante delle schegge di vetro a premere contro il pantalone, ad affondare nella carne indifesa «smettila, willa» non ammetteva repliche, il suo tono di voce, severo e lacerato da un dolore che poteva iniziare a comprendere solo in parte. «guardami. guarda me» cinse il suo polso, portandolo lontano dal vetro, una richiesta flebile che sperava avrebbe accolto. Non aveva paura della forza distruttiva e della sua rabbia, non quando ormai poteva a malapena definirsi una persona, sapeva che era il mondo della Matthews di processare le emozioni. «per me puoi continuare fino a che non viene giù tutto» sperava di non arrivare a quello, ma avrebbe capito «ma non risolverà un cazzo, ok?» ormai, non potevano più tornare indietro. Non potevano riscrivere il finale, solo vivere con le conseguenze. Per quanto queste le lacerassero da dentro, e sanguinassero ancora e ancora, un’emorragia continua. Disse, Emilian Gibson, come una bugiarda qualsiasi. «sfogati con me, piuttosto» dio solo sapeva quanto se lo meritasse, quanto bramava l’assoluzione, anche se significava sottoporsi all’ira di Willa.
    gif code
    1993
    american
    pyrokinesis
  8. .
    ↳ prima utenza: ms worldwide
    ↳ nuova utenza: gibson girl
    ↳ presentazione: so true bestie
    ↳ role attive: STRATEGIA!
    NIAMH: where did the party go (02.05)
    SHARYN: if this is the long haul, how'd we get here so soon? (01.05)
    AMOS: hit me with your best shot (10.04)
    SINCLAIR: moth to a flame (13.04)
    AKELEI: big yikes [bonus] (13.04)
    DARDEN: tits are cold, so am i (04.04)
    SERSHA: twenty stitches in a hospital room (10.04)
    KIERAN: blame it on the tron, got you in the zone (14.04)
    SHILOH: sure, yeah, no probs, whatever. (27.04)
    WILLIAM: there's very little i wouldn't do for you (24.04)
    RYUZAKI: can I call you back? (22.04)
    GAYLORD: i'm just a kid and life is a nightmare (01.05)
    VITTORIO: write it on my neck, why don't ya? (14.04)
    PARIS: excuse my state, i'm as high as your hopes (13.04)
    CHERRY: how can i help it, how can i help what you think? (24.04)
    RENEE: me? oh my, i'm that ghost (25.04)
    ↳ ultima scheda creata: renaissance beaumont-barrow (03.04)
  9. .
    Emilian prese un lungo sorso di caffè dalla sua tazza, una parte del volto ad eclissarsi dietro al bordo della ceramica pur di sottrarsi dagli squadri inquisitori della madre. Mh, bene ma non benissimo, a quanto pare sparire per sei mesi non era ben visto dalla matriarca della famiglia Cortés Gibson. Avrebbe potuto una delle mille scuse plausibili che le affioravano alla mente, ma nessuna di queste sarebbe stata in grado di placare Inés, conosceva fin troppo bene sua figlia per lasciarsi infinocchiare da chi ci provava da fin troppi anni. Quindi, per risparmiare quel supplizio ad entrambe, Emilian si sarebbe limitata a sorseggiare quella brodaglia amara, un chiaro indizio che non aveva intenzione di aprire bocca. Non era mai stata un’amante delle riunioni familiari, almeno non dall’ incidente, ma per il compleanno di Isabella poteva concedere loro di mostrare la propria faccia. Almeno, in quell’occasione, poteva ridirigere l’attenzione della madre su una delusione ancora più eclatante di lei. Peccato che, quel caso umano di suo fratello la batté sul tempo. Alejandro scivolò nella sedia accanto alla sua, praticamente stravaccandosi nella seduta «quindi, rosa, rovinato la vita di qualcuno di recente?» poggiò la tazza sul tavolo, il braccio a scivolare sullo schienale della sedia e un sorriso sbilenco a pendere dalle labbra. Un colpo basso, ma non era altro che la più cruda verità. Emilian aveva il brutto vizio di approcciare persone con il doppio della sua età, e loro, catturate dal fascino della ragazza fragile e bisognosa di attenzioni da era già navigato nella vita, finivano con il cascarci sempre. Svuotare il loro portafoglio e la riserva d’alcol, un parassita della società che si nutriva di qualsiasi nettare avessero da offrirle semplicemente perché poteva, e si annoiava molto. Ma aveva anche dei difetti. Una storia già vista e rivista, ma che non smetteva mai di intrigarla, specie il capitolo finale dove il malcapitato finiva per l’essere mollato di sana pianta. O meglio, battezzato da una pioggia di coca e rum. «nah, ero occupata a farmi-» fosse stato qualcun altro, avrebbe esordito con un tua madre ma quella volta non le era concesso, non voleva ricevere un mestolo in testa da Inés «il tuo ragazzo» uno dei tanti, ormai aveva rinunciato a tenere il conto. «di nuovo? eeee/miiii ma sei recidiva» ecco, ecco, quello Isabella non avrebbe dovuto dirlo. Anzi, non avrebbe nemmeno dovuto saperlo- se non l’avesse beccata in un momento che non avrebbe dovuto, sarebbe rimasta un segreto tra lei e l’ex di Judas. «cosa?» Emilian mantenne saldo il ghigno sulla faccia, non un segno di vacillazione da parte sua. Si guardò intorno con nonchalance, per poi stringersi tra le spalle «io non ho sentito niente» era in polizia, sapevano tutti che una delle regole fondamentali fosse negare e negare ancora. «hai detto qualcosa, isa?» incredibile, cosa si inventavano i marmocchi. In caso, Emilian era già pronta a svanire in una nuvola di polvere. Era ciò che le veniva meglio.

    Non le piaceva, quel posto. Non le piacevano molti posti, ad essere onesta, ma c’era qualcosa nell’edificio dove avevano luogo le sessioni del gruppo di supporto che le provocava un brivido involontario lungo la schiena. Lacrime raccolte nel cotone grezzo di una federa, il liquido cremisi che non si lavava da sotto le unghie, un battito, due battiti, un’esplosione- cristo, basta. Basta Emilian. Cacciò le mani nelle tasche del giubbotto di pelle per nascondere il leggero tremore delle dita, non che qualcuno a quell’incontro le avrebbe prestato attenzione, il corpo a sprofondare nella sedia per concedersi un attimo di pace. Se fosse dipeso da lei, nemmeno si sarebbe presentata ma non dipendeva da lei dunque il problema non si poneva. Era una delle condizioni per tornare in servizio, o meglio un cordiale invito che era caldamente tenuta ad accettare. Tanto qui gruppi erano affiliati ovunque come le sette, uno valeva l’altro persino negli States. Non si alzò per parlare, non era nel mood adatto, limitandosi a guardarsi intorno in cerca di qualche faccia- ma scusate, saranno cazzi suoi cosa sta facendo. Nulla di male, un puro studio sociale. C’erano sempre daddies con un qualche trauma a quegli incontri. E invece, il suo sguardo si posò su una figura minuta, la persona più lontano da un daddy che c’era in quella stanza. MhMH whats happening. Cristo togliete anche a me il pc sto diventando come Ari. No, ma davvero, che cazzo ci faceva Wilhemina Matthews a quei cazzo di incontri. Ma da quando. Non sapeva bene tutti i cazzi della ragazza, ma essendo un’amica di Isabella ne sapeva abbastanza, perché sua sorella era una comara inguaribile che non sapeva farsi gli affari propri. Aspettò che l’incontro volgesse alla sua fine per avvicinarsi alla Matthews, la quale aveva scelto come roccaforte il banchetto dei refreshments, mani infilate rigorosamente in tasca e i tacchi degli stivali ad echeggiare sulle piastrelle del seminterrato. «ehi» accennò un saluto con il capo, le labbra a piegarsi in un mezzo sorriso- più entusiasmo di così non riusciva a manifestarlo, al momento «non sapevo frequentassi anche te questi.....posti» ed era stata anche gentile, perché nella sua testa erano topaie. «ho sentito che il caffè è decente, te che dici? non so se voglio rischiare» no, non aveva un problema con il caffè. Non ne era assuefatta. Move on, non c'è niente da guardare.
    emilian rosalia cortés gibson
    Beat the system, autopilot cruisin'
    Tunnel vision victory no losin'
    Heaven knows it's one
    hell of a ride Buckle up and take a seat
    30 / Chicago (IL) / cuba libre
    police / former dea
    special / 2043 baby


    Edited by ambitchous - 9/4/2023, 16:01
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    Tutto quello che Siobhan O’Hara aveva sempre desiderato era di essere normale. Una ragazza con la testa sulle spalle e dalle aspirazioni mediocri, non aveva mai chiesto più di quello che sapeva di non poter avere, ad eccezione di quella volta. Voleva quella famiglia di cui aveva letto fino a consumare le pagine di quella lettera, anche se solo per qualche attimo - voleva smettere di essere insignificante. Nessuno l’aveva cercata, né tantomeno sapeva della sua esistenza, tanto che si era convinta di essere persona non grata all’interno della famiglia. Non poteva saperlo, magari sua madre era stata una sfasciafamiglie e ora tutti le odiavano, per scoprirlo avrebbe effettivamente avrebbe dovuto avere una conversazione con la fam ma l’ansia sociale glielo aveva impedito fino a quel momento. Era passato un mese da quando aveva raccolto il poco coraggio che aveva e aveva approcciato per prima CJ, e nulla era ancora successo da quando il ragazzo l’aveva liquidata alla festa, tanto che i sospetti della O’Hara si erano rafforzati: la odiavano. Non era nemmeno riuscita a farsene una ragione, troppo patata per non tormentarsi con dubbi e sensi di colpa dal mattino alla sera, le mille scuse che elaborava nel suo tempo libero peggio della telenovela argentina che si guardava la sera. Ecco perché, francamente, l’ultima cosa che si era aspettata quel giorno era di ritrovarsi suo padre alla porta di casa. Non l’aveva beccata nel suo finest moment, con un gatto stretto al petto petto e un tagliaunghie nell’altra mano, ancora nel suo pigiama da Gattara ™ alle cinque del pomeriggio -Cristo, sperava di non aver lasciato nessun porno in giro- «sono cigei. volevi parlare, no?» sinceramente? Ora che se lo trovava davanti si pentiva di tutto, tanto che considerò per un momento di sbattergli la porta in faccia. Si morsicò il labbro nervosa, dibattendo se farlo davvero, dandosi poi una sberla mentale per averlo anche solo pensato: basta fare il caso umano della situazione. «ehi. Entra pure» si fece da parte per farlo passare, lo sguardo a vagare sul pavimento per controllare che quelle bestie degli altri gatti non ne approfittassero per sgattaiolare fuori, grata di quel pretesto per poter evitare gli occhi del tassorosso. Ora che era arrivato il momento di affrontare la conversazione non aveva idea di da dove iniziare, si chiedeva quanto sarebbe stato strano tirare fuori la lista con i talk points che si era fatta un mese prima, probabilmente abbastanza dafarla desistere. «vuoi qualcosa da bere? O da mangiare, anche se ho solo scatolette per gatti» ah ah ah risata nervosa aiuto, si vedeva che non era fatta per le interazioni umane. Intanto ne approfittò per far sparire il tagliaunghie dietro un vaso e per smollare il gatto bianco che ha rubato a Sersha, CJ salvalo sul pavimento, non poteva pretendere di avere una conversazione seria con quella peste che continuava a dimenarsi. «non so quanto tu sappia del…..futuro, ma penso abbastanza da starmi a sentire» ancora incapace di sedersi, preferì temporeggiare con la prima cazzata che le venne in mente, come se quelle foto che stava tirando fuori dallo scaffale avrebbero cambiato qualcosa. Strette al petto insieme alla lettera che aveva custodito tanto gelosamente, si fece finalmente verso il Patibolo. «avevano poco meno della tua età quando meara e cj hanno avuto una figlia, non penso che fosse voluta, né che qualcuno al di fuori della famiglia sapesse di lei» non osò sedersi sul divano, convinta che nel momento in cui avesse incrociato il suo sguardo, le parole sarebbero rimaste bloccate in gola «cj ha lasciato londra prima che meara potesse dirglielo, e non ha mai risposto al telefono quando ha provato a contattarlo. Sono passati anni prima che tornasse, e la prima cosa che ha trovato è stata sua figlia» ecco cosa accadeva ad andare a comprare le sigarette e fuggire in Messico «credo che volessero una seconda chance, i miei genitori, ecco perché hanno deciso di portarmi con loro» era stata trascinata in quella missione senza che nessuno glielo chiedesse, ed ora si ritrovava abbandonata in un buco di appartamento in New Hovel, che bella vita di merda «anche se non so quanto abbia funzionato, dato che nessuno si ricorda di me» si strinse tra le spalle, ormai rassegnata a quella verità, non si sorprendeva nemmeno più «speravo che almeno mio padre mi riconoscesse, ma mi sbagliavo» perché per quanto potesse averlo accettato, doveva almeno a quelli che erano stati i suoi genitori un’ultima possibilità, per una volta nella sua vita avrebbe preso quello che voleva senza più aspettare che nessuno lo facesse per lei.
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
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    Come tutti ormai sappiamo, Siobhan amava già animali. Li amava così tanto che non le importava di non avere soldi per mangiare, finché sarebbe stata in grado di sfamare i suoi trovatelli, avrebbe continuato a salvarli dalla strada. Elisa teme seriamente che prima o poi si ritrovi a mangiare cibo per gatti, ma sono dettagli.
    Insomma Siobhan non era soddisfatta con gli animali che aveva a casa e quel giorno aveva deciso di upgradare al livello master della pazzia, comprandosi un iguana. Perché in iguana? Perché no, c’era gente che usava la gente come cane, non le sembrava così strano. E poi le iguane erano così carine e squamose, voleva prendersi la più tsundere che riusciva a trovare e aprirci una pagina ig per diventare famosa, e poi omg avrebbe anche potuto pubblicare dei fumetti chiamati avventure dell’iguana e dei gattini. Nel caso ve lo steste chiedendo, sì, Fawn aveva il cervello un po’ bruciato dalla scorsa vita. «scusi, vendete anche i draghi qua?» picchiettò la spalla del buon uomo che stava alla cassa, mostrandogli il migliore sorriso da persona sana che aveva nel suo arsenale. «e in realtà non mi chiamo tate, ma grazie?» non capiva bene perché lo stesse ringraziando, ma le sembrava rude non aggiungerci niente dopo, specie perché sembrava un ragazzo molto sensibile dentro. «in realtà non sto cercando un drago, ma un iguana. Un piccolo iguana se possibile, deve avere la mia stessa età mentale» cosa? Cosa. Si alzò sulle punte per sbirciare oltre il bancone, alla ricerca della gabbia che conteneva il suo futuro figlio - era la prima volta per lei, mai fino a quel momento aveva preso in considerazione l’idea di pagare per un suo animale domestico, ma ultimamente lei e i suoi quattro gatti si sentivano soli. «mi segua, sono qua dietro» con un cenno del capo indicò una qualche direzione dietro alla chioma della bionda, che Fawn fu felice di seguire i passi del negoziante. «anche tu qui?» indovinate un po’ quanto fu shook la O’Hara nell’imbattersi nella sua vicina di casa vicino alle gabbie degli iguana, una coincidenza davvero bllxima. Sarebbe stata la prima persona a conoscere suo figlio, sapeva che ne sarebbe stata davvero onorata! «scusi posso vedere meglio questo animale?» qualcosa vicino al ragazzo catturò immediatamente l’attenzione della medium, e come ogni buon essere impulsivo, non poté fare a meno di aprire la porta della gabbia contenente un qualche animale dai denti affilati e l’aria incazzata. Successe così rapidamente che non ebbe tempo di metabolizzare il fatto: un momento prima Sherman era in piedi affianco a lei, è quello dopo l’unica traccia della sua esistenza risiedeva negli schizzi di sangue sulle due ragazze «o meo deo, è l’orto?» ma cosa avevano fatto. Nel dubbio richiuse la porticina, prendendo Lydia per mano e ritirandosi con un tattico panic moonwalk.
    mentre il gelo si avvicinava
    sentivo anche molto freddo
    il celo si oscuri
    figlia dispersa | madre dei gatti | iguana lover
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    siobhan
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    «è stata una pessima idea venire?» quella sera aveva bisogno del supporto morale di Idem, e ciò significava rispondere alle continue domande moleste che le poneva. Era agitata, Siobhan, non tanto per il locale affollato ma per la presenza di tutta la sua famiglia. «figurati, almeno prendi un po’ d’aria» la bionda annuì a nessuno in particolare, concedendosi un respiro profondo per cercare di mantenere la calma. Sapeva for a fact che i suoi genitori avessero raccontato del futuro ai suoi nonni, menzionando cugini e parentele varie, ma non aveva idea del perché nessuno sapesse di lei. Non avevano forse ricevuto una lettera e l’albero genealogico come lei? Forse non era stata menzionata, una figlia non volta della quale si erano lavati le mani appena arrivati in quel tempo. Osservava da lontano i Barrow che si picchiavano stringevano fra loro, desiderando per un momento che quelle braccia avvolgessero anche lei, finalmente riunita con la sua famiglia. Sapeva che era stupido, probabilmente non sapevano nemmeno della sua esistenza, o non gli interessava abbastanza, ma non poteva frenarsi dallo sperare che un giorno si sarebbero riuniti. Lo sapeva, Fawn, che avrebbe potuto fare il primo passo verso di loro e almeno presentarsi, ma ogni volta che lo immaginava non riusciva a frenare la sua fantasia. E se non fosse piaciuta? Se avesse fatto la figura dell’idiota? Mettevano piuttosto soggezione, e le possibilità di rendersi ridicola erano alte. Senza contare che i suoi genitori erano ragazzini? Come funzionava in quel caso? Si voltò verso Idem, bocca ad aprirsi per sparare l’ennesima domanda molesta quando- «si sposano?» i suoi nonni si sposavano?????? Oh meo deo, e ora che doveva fare. Non poteva perderselo, insomma, lei li aveva shippati sin dall’inizio ed esigeva come minimo di essere invitata in chiesa! O alla fattoria, ovunque avessero deciso di celebrarlo.
    Quello era davvero troppo.
    Doveva prendere in mano la situazione per quanto poco le piacesse quella prospettiva, perché era stanca di fingere di non esistere. Non ricordava niente della sua vita passata, se non dalle fotografie e da quello che aveva scritto sua madre, ma sapeva che se Meara non l’aveva abbandonata nel 2043 era perché aveva sperato di costruire una vita insieme, una vita migliore per la loro famiglia. Non aveva idea di quale forza divina la spinse a muovere un passo dopo l’altro, il cuore a minacciare di esplodere dal petto nel vedere come i tratti di CJ si facessero sempre più nitidi - era ora o mai più, la sua opportunità di riprendersi la sua famiglia. «CJ, giusto?» si fermò a pochi passi da lui, non sapendo bene dove guardare o cosa dire, non era fatta per quelli incontri improvvisati: aveva bisogno di settimane di preparazione mentale e di un discorso scritto a mano. «dobbiamo parlare» fu solo a quel punto che si arrischiò ad alzare lo sguardo, così simile al suo da farle girare la testa, pregando che le concedesse una manciata di minuti per spiegare. Chiedeva solo quello, Fawn, di essere ascoltata.
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
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    I got the horses in the back
    Horse tack is attached
    Hat is matte black Got the boots that's black to match
    Nelle ultime settimane Fawn aveva preso la pessima abitudine di dormire poco più di qualche ora a notte, abbastanza da mantenerla viva ma non da renderla un essere umano produttivo. Si perdeva troppo facilmente nel mondo di internet e quando riusciva ad uscire da quel buco nero erano ormai le quattro, non era certo colpa sua se i video dei complotti erano così interessanti! Era certa che l’avrebbero anche lentamente uccisa, ma ok. Quel giorno Siobhan aveva avuto la brillante idea di fare after come i giovani, già che sapeva che il mattino dopo si sarebbe dovuta svegliare troppo preso per i ritmi che aveva preso – uau, era proprio una ribelle. A dirla tutta, quella mattina la ragazza desiderava solo una morte veloce e indolore come quella dei Droga, si sentiva stranamente energizzata come se avesse ingoiato due tazze di caffè ma allo stesso tempo addormentata dentro; era una terribile sensazione, chissà se erano cià che provavano i morti. La O’Hara quasi sperò di non aver sentito bene, che in realtà il campanello non fosse mai suonato e che stesse iniziando ad avere allucinazioni, e invece quando udì la voce squillante di Sarah dall’altra parte le toccò pure alzarsi dal divano «ARRIVOOOO» quasi le venne un infarto quando si trovò il fantasma di Sarah davanti, ancora prima che giungesse alla maniglia «cristo, mi vuoi morta» poggiò la mano sul petto nel tentativo di riprendersi, muovendosi poi per aprire la porta a una Idem tremante. Le fece segno di entrare veloce, non voleva certo che prendesse altro freddo, per poi avvolgerla in un abbraccio zombie «uuUUHh buongiorno» sperava che non si accorgesse delle borse sotto agli occhi, o dello strano luccichio dello sguardo: tutti segni di un pazzo in the making. A quel punto Elise decise che fosse il momento opportuno per uscire dal letto di Siobhan (sì, osava intrufolarsi lì) e venire a salutare gli ospiti insieme ai suoi gatti «MA CIAO CCCENTE» quando si buttò su Sarah, la bionda preferì spostare la sua attenzione su Idem per condurla verso la sorpresa che il fantasma l’aveva costretta a preparare. Per quanto l’idea le sembrasse interessante, non condivideva lo schiavismo a cui l’aveva sottoposta in quegli ultimi giorni «ecco, allora, elise ha avuto un’idea……molto particolare» perché dire che fosse un po’ stramba avrebbe di certo offeso il fantasma, la conosceva abbastanza da sapere quanto fosse permalosa. Non dovette portare la ragazza molto lontano, quando arrivarono in camera di Fawn fu piuttosto evidente quello che erano lì per fare: backdrop neuro, una telecamera già montata e un plico di foglio ad attenderle sul tavolo. «vogliono farci partecipare ai casting per the lady» scosse la testa, profondamente imbarazzata dalla mente perversa del suo fantasma «ma se pensi che sia una pessima idea possiamo provare a dirglielo?» e chi la sentiva più, Elise, quando ci si metteva, ma per Idem l’avrebbe fatto.
    siobhan
    1994's
    ph7
    medium
    traveller
  14. .
    Siobhan non aveva un grande senso del tempo, figurarsi dopo essersi infilata sotto la coperta e con il suo pc sulle gambe. Il mondo per lei non esisteva più, dopo una certa ora smetteva di rispondere alla gente così che magari cogliesse l’hint e andasse a dormire e si rifugiava nell’accogliente calore del suo letto – perché avrebbe dovuto andare a fare serata quando aveva tutto quello? Quella sera non era tanto differente dalle altre, non avendo molti amici vivi era difficile che Fawn uscisse e così aveva fondato la sua propria tradizione: netflix&nachos. Giusto perché di chill ne aveva anche troppo con i suoi fumetti e aveva bisogno di prendere le distanze. Quella sera la O’Hara aveva fatto una scelta pessima per la salute: un recuperone di Vikings; che detta così non sembra neanche così tesa, se non si conosce la serie. Era così addictive che la ragazza non poteva fare a meno che continuare puntata dopo puntata a rimandare il momento in cui avrebbe dovuto spegnere, ma come si faceva? Non ne avrebbe mai avuto abbastanza di Lagertha, e vabbè anche di Ragnar che in fondo era un bell’uomo, se avesse patteggiato anche per quella riva (quale?). Ormai aveva finito le patatine da lungo tempo, cosa di cui fu particolarmente grata quando iniziò LA puntata. Non c’era bisogno che nessuno le dicesse niente, i segnali era tutti lì a indicare che Lui non vi sarebbe sopravvissuto e sebbene sapesse della sua morte da tre stagioni il colpo fu comunque duro. Il suo primo pianto fu appena a sei minuti nell’episodio, riprendendo ogni volta che lo inquadravano senza potersi fermare, un po’ come un’Elisa a Endgame. Sapeva di non essere pazza, ma non capiva comunque come potesse avere tutti quei liquidi in corpo da andare steady per cinquanta minuti di puntata. E poi dicevano che non aveva talenti, scacco matto atei. Il coup de grâce lo ebbe alla fine, quando Lui venne lasciato a morire da solo, come se non fosse un GRANDISSIMO EROE DI GUERRA. «ma….ma-» cercò di fare un commento coerente, fallendo miseramente quando la voce si incrinò nuovamente. Ormai stava singhiozzando, e non nel modo aggraziato e aesthetic dei film, no Fawn ricordava più un mostro moccoloso. Un’immagine molto sexy lo so. Fu quando finalmente aveva superato il vero momento teso che qualcosa andò storto. Sentì un rumore provenire dalla cucina, il tipo che solo qualcosa con abbastanza peso poteva fare, anche se sperava che fosse qualcuno dei suoi gatti «fufu?» no, non mi ricordo come si chiamino. Provò a chiamarne uno, rendendosi conto con un certo orrore che era ai piedi del suo letto.
    Non voleva andare di là, anzi, sarebbe stata felice di scivolare tra le coperte e fingere che queste potessero proteggerla. Purtroppo sapeva di non poterlo fare, qualcuno doveva proteggere la vita dei suoi figli. Si pulì il viso alla meglio con il lenzuolo, va bene che era un intruso ma non ci teneva ad apparire come una pazza «facile.it facile.it facile.it» ma cristo santo, per poco non prese un infarto a sentire una voce del buio. A piccoli passi raggiunse il salotto, una mazza da baseball stretta tra le mani quando accese la luce del salotto «AAAHHHGGG» urlò nel precipitarsi dentro, imitando l’espressione più spaventosa che aveva visto in Vikings. A giudicare da come si mise a ridere la ragazza era certa di aver fallito. Fece scattare gli occhi sulla figura sul divano, taking in il volto della sconosciuta accorgendosi che quella era Arabells Dallaire. «cosa….cosa ci fai qua? Alle-» spostò lo sguardo sull’orologio alla parete, rendendosi conto del fatto che fosse notte fonda «qUAtTrO???» ma soprattutto «posso aiutarti in qualche modo? Volevi mica Amos?» e a quel punto sarebbe sprofondata sul tappeto vicino al divano, era decisamente troppo tardi per avere la forza di stare in piedi tutto quel tempo.
    20.12 - H: 4.11
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    1994 - medium - neutral - cartoonist - traveller

    siobhan
    o'hara
    my cat just slapped me wtf
    no loyal ppl in this world

  15. .
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Siobhan continuava a maledirsi facendo avanti e indietro per la stanza, non capiva come avesse potuto accettare la proposta della Withpotatoes minore. Ok, era entratala in modalità gay panic e il suo inner self le aveva urlato di dire di sì. Aveva pensato di tirarsi fuori all’ultimo momento con la scusa che uno dei suoi gatti si era ammalato, ma poi si era sentita in colpa dato che già usciva poco. Capite che si stava sabotando da sola?? Ma che cafonata, non si meritava una inner bitch del genere. E niente, questo dovrebbe davvero essere un post di strategia dato che non potrei neanche stare al pc. Volete sapere tutti delle mie avventure, lo so. Ebbene, sto evitando degli ospiti che mi stanno sul cazzo da almeno 17 anni?? Ecco Lucinda e Lucindo (giuro….hanno lo stesso nome) sono due esseri particolari, quindi preferirei non essere molestata dalle loro domande o sentire dell’ultimo acquisto a caso di Lucindo. Lo sapete che una volta si è comprato almeno ??? dieci motorelle perché si era sentito questo mistico impulso dentro? Senza contare di quando ha riempito il giardino di oche. E poi si lamenta di essere povero mhhh ok qualcosa non mi torna zì.
    Bene dai rant finito. Stavamo dicendo, Siobhan non voleva andare alla festa. Non era solo un fatto del non avere voglia, il pensiero di stare in mezzo a una massa di sconosciuti non la entusiasmava particolarmente. Stava già sentendo le palpitazioni, e si trovava solo all’esterno del tendone. «stai bene?» ecco, l’ultima cosa che voleva era farsi notare. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, più un tic nervoso che altro, evitando accuratamente lo sguardo della ragazza «mh sì, figurati» e invece stava urlando dentro, uno dei mood più frequenti del 2018. A proposito di recap dell’ultimo anno «lo sai che puoi parlarne, vero?» April poggiò rassicurante la mano sulla spalla della ragazza, la quale ormai considerava una grande amica nonostante la conoscesse da poche settimane. Non era colpa sua se le piaceva esagerare con la confidenza, eh. «dai, facciamo una foto da mandare a idem» perché quando si è in dubbio, i selfie sono l’unica certezza. Alzò il braccio per cercare l’angolazione migliore, il fatto che non ci fosse quasi luce non era importante, alzando le dita in un nerdissimo segno della pace «PIGIAMA» cosa? Non lo so, il post ha perso il suo senso originale. Li volete update sui Lucindi? Si sono finiti quella che speravo sarebbe stata la mia cena, ora mi stanno ancora più sul cazzo.
    April inviò tutta felice la foto alla sorella, anche se sperava che le avrebbe raggiunte più tardi, mancava praticamente solo lei! Aveva considerato per un breve momento che non volesse spendere del tempo con lei, non era facile trovarsi davanti la copia della sorella morta, e sebbene potesse capirla non avrebbe lasciato che ciò ostacolasse l’aMOrE. Dopo fin troppo tempo lei e Fawn riuscirono ad entrare nel capannone, gli occhi della Withpotatoes a illuminarsi alla vista di tutti quei colori fluorescenti «è così aesthetic!!&& INSTAGRAM» «ma sei morta??» ottimo punto, ma non abbastanza da fermarla «odio essere morta» e pensare che c’era chi era morto e un traditore senza essere davvero nessuno dei due, con l’aggiunta di essere persi per il tempo!
    Accadde tutto troppo in fretta, una figura dall’aspetto famigliare si fermò davanti alle ragazze, causando un urlo eccitato da parte di Siobhan «ARIANNA???????» ma sì, era lei! Un’espressione meravigliata apparve sul volto della O’Hara, e quasi fu persuasa a toccare il braccio della ragazzina per assicurarsi che fosse vera «non eri morta? Penso di essermi persa qualcosa» it be like that sometimes.
    april &
    siobhan
    unleash your inner psycho
    27 / 24 y.o.
    special squad
    rebel / ph7
    au / canon


    fawn molesta ari fitz!
24 replies since 29/4/2016
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