Me? Oh my, I'm that ghost

PREQ 10 | ft. renny

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    In un’altra vita, Ronan Beaumont Barrow aveva giurato ad Adelaide Milkobitch che nell’esistenza successiva sarebbe stato ricco da far schifo. In quella vita, con le stesse dita con cui aveva sollevato gentilmente il viso della medium verso il proprio per guardarne il sorriso, Joe King infilava tramezzini in bocca con la stessa rapidità di mano di qualcuno che non mangiasse da giorni, perché non mangiava da giorni.
    Ah, la dura vita dei banditi. Al di sopra della legge, sempre un passo avanti alla cosiddetta giustizia, e mai un cazzo di soldo in tasca per pagarsi un motel dove passare la notte, o un pasto decente. Era un uomo libero, ma a quale prezzo.
    Perlomeno, quella era la storia che all’americano piaceva raccontarsi; il suo headcanon, se così vogliamo definirlo.
    La realtà dei fatti era che Joe non fosse in grado di tenersi un lavoro perché incapace di infilare le mani in tasca e lasciarcele. Cresciuto con nulla e come un nessuno, raccattava quel che poteva anche quando non gli serviva, e finiva immancabilmente per pagarne il prezzo: il carisma lo aiutava ad attutire le cadute, non a mettere una pagnotta in tavola. Aveva valutato l’idea di prostituirsi, ma non voleva far diventare un passatempo del lavoro. Poi che avrebbe fatto per divertirsi, sniffato cocaina? Haha.
    Unless.
    (No, non poteva permettersela.)
    Era anche incapace a formare dei legami duraturi e validi nel tempo, o di rimanere fermo troppo a lungo nello stesso posto. Le due cose, per una serie di sfortunati incidenti, finivano spesso per essere l’uno la causa dell’altro, con l’unica soluzione di portare via le palle prima che qualcuno lo beccasse sulla scena del crimine. Cosa? Cosa. Insomma: Joe, da quando aveva compiuto la maggiore età, aveva passato gli ultimi anni sul suo furgoncino malandato a girare per il continente americano, rimbalzando da un istituto per custodi all’altro con il sacrosanto compito di assicurarsi che tutto andasse bene. Qualcuno gli aveva forse chiesto di farlo? Assolutamente no, ma doveva pur impegnare l’ingente mole di tempo libero.
    E darsi un senso. Un motivo. Una ragione d’esistere che non fosse aver mandato a puttane la sua seconda vita cedendo la propria identità ad un compaesano randomico solo perché l’aveva visto in compagnia del suo CJ ed aveva creduto potesse funzionare, e poi esserci rimasto male perché tutti ci avessero creduto. No, ma che dite, non era per niente offeso che Sersha e Barry (che nomi stupidi, poi; chi gliel’aveva dati, qualche i-i-i-idiota b-b-balbuziente? -cit) avessero accettato canonicamente Sunday De Thirteenth come Ronan. Figurarsi. Perchè avrebbe dovuto prendersela? Era stato lui a permetterlo, manovrando lettere e nomi. Meglio così dopotutto, no? La Gran Bretagna aveva un meteo agghiacciante, non faceva per lui.
    Se lo ripeteva spesso, Joe, guardando foto di una vita che non gli apparteneva più da un pezzo. Se lo ricordava continuamente quando capitava in quel di Londra, ed attendendo che Renèe finisse il turno al Ministero, lo sguardo di Akelei Beaumont gli scivolava addosso come se neanche esistesse, o sedendosi in locali casuali sullo sgabello al fianco di William, quello picchiava distrattamente il bicchiere di vetro contro il suo come avrebbe fatto con un qualunque sconosciuto. Non era nessuno per loro. Non era nessuno per Sersha, Barry e Mads.
    A volte, credeva di non esserlo anche per se stesso, ed allora chiamava Renèe e gli raccontava della sua giornata (dove non era accaduto niente), di cosa progettava per l’indomani (sempre qualcosa che non avrebbe fatto). Riciclava le storie che gli altri gli amavano raccontare per costringere se stesso ad essere qualcuno. Magari Joe non era nessuno per Joe, ma poteva ancora essere qualcuno per l’altro. Non il qualcuno di cui aveva bisogno, perché Joe non era Ronan, ma meglio di niente, no?
    (Renny, deadpan: no.)
    «no davvero renny, giuro che l’ho visto in giro. Era seduto di fianco a me. Abbiamo diviso le arachidi! Sai che -» si prese il proprio tempo per ingoiare il boccone, pollice a pulire il labbro inferiore dalla salsa all’avocado spalmata sul tramezzino. «- mi ricordo sempre di qualcuno con cui divido il cibo, perché è un – non fare quella faccia, sì, sto per dirlo - gesto d’amore» sorrise mostrando un po’ troppi denti, battendo rapido le ciglia verso il suo fratellone.
    Lo stesso sugar bro che gli offriva da mangiare, dimostrando di conseguenza, per la lineare logica del buon King appena descritta, che lo amasse.
    «cioè, ci puoi credere? Dall’America a qui. Qui qui, non qui a Londra» specificò, perché gli sembrava importante.
    Joe parlava sempre tanto. Di cosa, poi, neanche Dio avrebbe saputo dirlo. Sul momento, gli sembrava tutto fondamentale.
    «poi me lo ricordo perché assomigliava al tipo di spiderman» passò la lingua sull’arcata di denti superiore per togliere eventuali residui, e schioccò soddisfatto le labbra fra loro.
    Adorava le fiere. Adorava le persone, ed adorava il cibo gratis.
    «sai quello – » ed in tutto quello, neanche se n’era reso conto di aver seguito un percorso tracciato da altri, e che tutti - tutti - stessero andando nella loro direzione. Non era così percettivo, e soprattutto, non aveva modo di credere che ci fosse qualcosa di più grande. Anche quando si ritrovarono nella piazza centrale, gli occhi blu fissi su quello che supponeva essere uno spettacolo circense, non ci trovò nulla di strano.
    Poi aguzzò la vista.
    «van lidova?»
    Poi connesse.
    «seth
    Non aveva capito comunque. Per rimanere coerente con se stesso, continuò a non capire anche durante il discorso, e la sua confusione non subì alcun margine di miglioramento quando i Ministri fecero la loro entrata in scena. Battè le ciglia.
    Ma che faceva sul serio. Mcscuse him, voleva fare - che? Dichiarare guerra ai babbani? E perché mai. Sentì le dita a fremere, un guizzo lungo la spina dorsale. Drizzò la schiena e sorrise ancora, mostrando tutti i denti e qualcosa in più, osservando Renèe da sotto fitte ciglia corvine.
    Sapevano entrambi che Joe King non potesse stare con le mani in mano, e che avrebbe fatto ... qualcosa. Non sapeva ancora cosa, ma qualcosa di sicuro. Credeva nella libertà di scelta ed esistenza (ma era ribelle? No, impegnativo.) e, soprattutto, era geneticamente incapace di fare qualcosa quando gli veniva ordinato di farlo.
    Sempre l’opposto. Per principio. Chissà quale, ma un principio di sicuro.
    Soffiò l’aria fra i denti, stringendosi nelle spalle. «che te lo dico a fare»
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    Zelda Calloway, un rispettato membro del Ministero britannico, sedeva in un qualsiasi pub in una qualsiasi giornata di aprile, davanti a lui un piatto di fish and chips. Corrugò le sopracciglia, pungolando il pezzo di pesce con la forchetta come se l’avesse offeso personalmente. Ed era proprio così, se doveva essere sincero. Ancora non capiva perché si prestasse a dare retta a suo fratello, quando era chiaro che il minore non aveva la più pallida idea di quello che stesse facendo. Andiamo qui, l’ho visto su tiktok. L’unica cosa che Renaissance apprezzava di tiktok era il suo CEO, ma questo non l’aveva detto a Joe. Da bravo e infinitamente saggio fratello maggiore qual era, avrebbe aspettato che Joe si rendesse conto da solo dei propri sbagli. E sarebbe accaduto molto presto, non appena l’intossicazione alimentare avrebbe bussato alla porta del suo bagno. Il King non poteva certo sapere che parte di quell’insegnamento era payback dal futuro. Era arrivato il suo momento di collezionare i propri debiti, anche se era l’unico a tenerne conto. «no davvero renny, giuro che l’ho visto in giro. Era seduto di fianco a me. Abbiamo diviso le arachidi! Sai che -» aveva- no, non si sarebbe concentrato su quella parte. Ma in che senso aveva diviso le arachidi con uno sconosciuto? Certo, il Barrow non era la persona adatta per giudicare, dati i vari fluidi che si scambiava con volti che nemmeno riconosceva il mattino dopo, ma non era quello il punto. Lì si parlava del suo baby bro, avrebbe potuto approfittarsi di chiunque! Era suo dovere proteggere i civili dalla progenie di Satana. «- mi ricordo sempre di qualcuno con cui divido il cibo, perché è un – non fare quella faccia, sì, sto per dirlo - gesto d’amore» quella faccia la fece eccome. Anche se era vagamente toccato, nonostante fosse ben coscio del fatto che avrebbe finito per pagare lui quel gesto d’amore. Ormai si era arreso al suo destino, sperava di poter comprare l’affetto anche del resto dei fratelli, se era bastato così poco con Joe. Ma dubitava, gli era bastato incrociare Meara nel corridoio per farsi una vaga idea della sfida che li aspettava. Joe stava ancora parlando? Temeva di aver smesso di ascoltare cinque minuti prima. Quando si degnò di riportare l’attenzione al presente, si rese conto che per un breve, miracolante momento, il King aveva tappato la sua fogna.
    Era l’inizio dell’apocalisse.
    E in effetti, fu proprio così.
    Renée prese una patatine tra le dita, lo sguardo critico a studiarne il profilo prima di decidere che c’erano peggiori sorti di cui morire. Ne morse un’estremità, mentre le iridi cerulee scivolavano da un tavolo all’altro a catalogare le reazioni dei presenti. Zelda Calloway non aspettava altro che quell’annuncio ufficiale per fare la sua mossa. E no, non era per niente scocciato dal fatto che quel megalomane di Seth (o Abbadon, o Winnie the Pooh whateverthefuck) avesse deciso di gatekeepare la data del suo grande annuncio. Tanto, in fondo, non c’era qualcuno che aveva bisogno di coordinare un esercito. Stavano tutti ai comodi di Seth. «che te lo dico a fare» hhhh cancelled. Non gli piaceva il sorriso del fratello, perché prometteva guai. Variabili che non aveva previsto. Inclinò il capo, le mani giunte sotto al mento, e lo osservò. E lo osservò ancora. Non aveva niente da aggiungere, da elaborare? Renée non avrebbe dovuto trovarsi lì in quel momento, ma dall’altra parte di Londra a coordinare i movimenti delle truppe. Eppure, sapeva che se non fosse rimasto lì in quel momento, non avrebbe avuto più l’opportunità di confrontarsi con il fratello. «so che stai per fare qualcosa di molto stupido» oh, non poteva nemmeno immaginare quanto. Perché, davvero, come poteva pensare che sangue del suo sangue si sarebbe schierato contro il naturale ordine delle cose. «a meno che tu non abbia un desiderio di morte. ce l’hai? voi gen z mi confondete» JOE MA DOVE VAIII RESTA A CASA. Cristo Dio gli toccava fare l’adulto badger? Sì, decisamente sì.
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    «so che stai per fare qualcosa di molto stupido» Sì beh, Renny, ti piace proprio vincere facile. Se la sua unica capacità era sottolineare l'ovvio e lo scontato, sorgevano diversi dubbi sulle capacità di selezionare curriculum del Ministero Magico britannico. Il sorriso dell'americano, se possibile, si allargò, aggiungendo al mero divertimento una nota ferale. Tagliava ai bordi come una minaccia, il sorriso di Joe King - a sè stesso, a tutti gli altri. La sua intera esistenza era qualcosa di molto stupido; doveva dirgli qualcosa che già non sapesse, se voleva i dettagli. «a meno che tu non abbia un desiderio di morte. ce l’hai? voi gen z mi confondete» Schioccò la lingua sul palato, prendendo un fazzoletto per pulirsi le dita. Lo appallottolò, schiacciandolo poi sotto il piatto, fingendo di fare qualcosa che non fosse prendere tempo.
    Come tutti i pg di Sara, neanche Joe amava quel tipo di domanda. Quelle leggere che leggere non lo erano mai, e che miravano precise al cuore di cose tenute gelosamente nascoste dietro ogni costola.
    Non era che volesse intenzionalmente morire. Più di tutto, Joe voleva vivere, sentendo ogni istante come fosse il primo e l'ultimo.
    Di base, se ne fotteva il cazzo di poter lasciarci le cuoia. Rischiarsi la giocata era la sua ragione d'esistenza. C'era chi risultava essere una minaccia per la società, e chi un azzardo. Joe? Un po' entrambi.
    «dovrei rimanere a guardare mentre qualcuno decide di distruggere il mondo così come lo conosciamo?» corrugò le sopracciglia, senza demordere nel sorriso sardonico a tirare gli angoli della bocca. «andiamo, renny. ma poi, che palle e che noia» sospirò, intrecciando le dita dietro la nuca ed appoggiandosi completamente allo schienale della sedia. «giocare per la squadra vincente? banale, scontato» UNDERDOGS FTW.
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    Dio, che drammatico Joe. Doveva essere qualcosa che scorreva nel sangue dei Barrow, perché se no non si spiegava come quel terribile, odioso tratto fosse sopravvissuto in due vite separate. Un po’ come il gene dell’Alzheimer, ma per gli idioti. Menomale che Renée, una persona obbiettiva e realista, si era scampato la tragedia. «dovrei rimanere a guardare mentre qualcuno decide di distruggere il mondo così come lo conosciamo?» davvero, qualche volta gli sembrava di parlare a un bambino. Forse perché, ai suoi occhi, lo era. Renaissance Barrow aveva vissuto gli effetti di diverse guerre sulla pelle, aveva visto intere famiglie decimate dalla malattia, e il mondo a cadere inesorabilmente in ginocchio; ormai aveva una relazione intima con la distruzione e la morte. Sarebbe stato assurdo chiedere a Joe di fidarsi di lui, che avrebbe almeno tentato di non radere al suolo intere città. Ma sapevano entrambi che era una menzogna, e avrebbe fatto qualsiasi cosa sarebbe stata necessaria per vincere. Perché, in fondo, non c’era altra via d’uscita da quella montagna di merda se non quella. Zelda era stato spinto dentro in una guerra che non gli apparteneva, ma che per forza di cose aveva dovuto adottare come sua. Non era venuto dal 2043 per mandare a puttane tutto, ma a quel punto l’unica arma di difesa che gli rimaneva era cercare di limitare i danni. Non gli importava delle perdite nello schiarimento babbano, ma cristo dio, voleva disparatamente evitare di perdere di nuovo la sua famiglia. «andiamo, renny. ma poi, che palle e che noia. giocare per la squadra vincente? banale, scontato» se la squadra vincente significava poter riavere suo fratello vivo e con qualche cicatrice da sfoggiare, sì, l’avrebbe legato e portato personalmente sul campo di battaglia. E poi si sarebbe lamentato tutto il tempo di dovergli salvare il culo, perché aveva uno straccio di reputazione da mantenere. E invece no, perché persino nel presente una voragine era destinata a frammentare la famiglia, mettere fratelli, padri l’uno contro l’altro in una corsa alla morte. Non era un cazzo divertente. Si sporse in avanti, gli occhi ridotti a una fessura, nessuna dell’ilarità che li animava a permeare «e io dovrei rimanere a guardare mentre butti via la vita?» un sibilo velenoso tra i denti, le nocche a farsi pallide attorno al bordo del tavolo- erano reali, le parole del Barrow, non una se ma piuttosto un quando. Ogni resistenza, ogni accenno di volersi ribellare, era destinata ad essere rasa al suolo. Sale buttato sulla terra ancora macchiata di sangue, così da estirpare ogni tentativo di rinascita. «ma va bene, sei un adulto e puoi fare le tue scelte. per quanto stupide siano» perché lo sapeva, Renée, quanto sarebbe stato contro-producente dire a Joe cosa fare, un po’ come accadeva con i bambini. Scosse la testa, e gli rivolse il solito sguardo disapproving degli Adulti Provati ™ ma dio terrorista (cit.) «non potevi trovarti un hobby normale come il ricamo?» così, chiedeva. Ancora ci sperava Renée.
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    Pensava di essere un libro chiuso, il biondo. E forse Zelda Calloway lo era, pagine pigiate fra loro e strette con un elastico per impedire che uscisse anche solo una parola di troppo; forse a lavoro lo era, con quel suo sguardo enigmatico ed impossibile da decifrare, il sorriso a tirare appena gli angoli delle labbra senza giungere agli occhi trasparenti. Ma Renèe? Non era il Generale dell’esercito quello seduto di fronte a lui in quel momento, scrutandolo come chi avesse già visto quel film e pur conoscendone il finale volesse sperare in una conclusione diversa. Conosceva Joe da soli sei anni, il Barrow – ma Ronan da tutta una vita, e sapeva che guardandolo riuscisse a vedere quello che era stato come una pellicola in sovrimpressione.
    Non erano poi così diversi, d’altronde. Ronan rispetto a Joe aveva solo avuto più certezze, e se l’era rischiate tutte; il ghigno a tendere le labbra, non era cambiato quanto avrebbe dovuto.
    «e io dovrei rimanere a guardare mentre butti via la vita?» Non aveva mai finto che non gli importasse. Neanche quando avrebbe potuto, il King un volto familiare e null’altro, e Joe gliel’aveva lasciato fare, perché Cristo Dio, a qualcuno doveva pur importare.
    Non aveva nessun altro. Per scelta; per errore, spesso. Non c’era una sola persona al mondo che avrebbe pianto la sua dipartita, o festeggiato il suo trionfo, fatta eccezione per Renèe, e Joe lo guardò da sotto ciglia corvine sapendo che lui fosse l’unica cosa a tenerlo ancorato alla realtà, anziché farlo vagare come un palloncino soffiato al vento. Che sarebbe stato l’unico da cui sarebbe tornato sempre; l’unico che l’avrebbe aspettato. «renny» curvò le labbra verso il basso, stringendo i denti sulla guancia. Voleva dirgli che non l’avrebbe fatto, ma sarebbe stata una menzogna: sì, voleva buttare via la vita, perché era l’unico modo che conoscesse per sentirla reale. No, non voleva morire, ma si trattava di una differenza così sottile, che non avrebbe saputo, anche volendo, come esporla al maggiore.
    Non voleva, per inciso. Voleva rimanere quello dal sorriso leggero ed i sonnacchiosi occhi blu a promettere guai. «abbi un po’ di fede» tentò, facendo scattare un sopracciglio verso l’alto. Sapeva fosse solo preoccupato per lui, e sapeva di volere quella preoccupazione, ma… che poteva farci? Non avrebbe cambiato idea per lui. Non cambiava mai idea per nessuno, Joe.
    Non il suo miglior pregio, ma neanche il suo peggior difetto.
    «ma va bene, sei un adulto e puoi fare le tue scelte. per quanto stupide siano»
    Sorrise, permettendo alle labbra di assumere la sfumatura intenerita che un tempo, Ronan, aveva spesso rivolto al fratellino – quando metteva il broncio, e lo faceva spesso, osservandoli truce da un angolo della stanza ingannandosi di volerli uccidere tutti; quando li guardava di sottecchi, pensando di non essere osservato di rimando, sentendosi tagliato fuori dalle loro vite; quando si convinceva di odiarli abbastanza da crederci. Era un sorriso che diceva lo so, anche se non lo dici. Non aveva bisogno di tante parole per il concetto di fondo: Renèe lo amava. Abbastanza da lasciarlo andare, se voleva.
    Abbastanza da fare comunque del proprio meglio, dall’altra parte della palizzata, per impedire che ci lasciasse le penne.
    «ti voglio bene anche io» mormorò quindi di rimando, dandogli un calcetto da sotto al tavolo. «non potevi trovarti un hobby normale come il ricamo?» Schioccò la lingua sul palato e le labbra fra loro, allungando le braccia verso l’alto per stiracchiarsi. «sono multitasking» ammiccò. Era vero che fosse pieno di altri hobby, ed anche vero che avesse un attention span così basso, da non concluderne mai davvero nessuno. Cucinava, però. Valeva? Medico e cuoco per prendersi cura di tutti i bisogni dei suoi bros, se mai fossero sopravvissuti alla Guerra. :faccina con tanti cuoricini: «bro, ma piuttosto. Mi concedi un po’ di spionaggio industriale? Che ne sai di tutta questa storia?» dava per scontato che in Gran Bretagna avessero più info rispetto all’America.
    La sua America, perlomeno. Quella dove si era fatto i cazzi suoi per anni.
    «perchè non ho capito un cazzo» voleva solo il caos.
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    Oh 300 parole davvero.
    KAMIKAZE RUSH FINALE.
    Se fosse dipeso da Renaissance, avrebbe preso i suoi fratelli uno ad uno e li avrebbe rinchiusi in uno sgabuzzino. Nemmeno la chiave avrebbe tenuto, persa nella tasca di qualche pantalone. Ma non dipendeva da lui, nonostante tutte le pedine di cui disponeva, il nominale potere di cui era stato investito, non c’era una fortezza robusta abbastanza da contenere la prole di Satana. «renny, abbi un po’ di fede» fede, gli chiedeva. Una parola sconosciuta sulla sua lingua, che per quanto masticasse ancora non riusciva a digerire. Renaissance Beaumont-Barrow non era un uomo di fede e scommesse, no, lui agiva su piani e certezze- non c’era nessuna fede che potesse salvargli il culo. Lo odiava così tanto, da volerlo prendere per le spalle e sbattere la fronte contro la sua per riportargli del sano sale nella zucca. E invece, non poter fare altro che mettersi comodo sulla sua poltrona e rimanere a guardare l’inizio di una storia che ormai era impressa nelle sue retine. Ormai il Fato li aveva inculati tutti una volta, non escludeva che avrebbe trovato una seconda occasione per affondare la lama dove più era letale. «bro, ma piuttosto. Mi concedi un po’ di spionaggio industriale? Che ne sai di tutta questa storia?» sbuffò fuori una risata divertita, sinceramente amused dal tentativo del fratello di estorcergli qualsiasi informazione l’avrebbe avvantaggiato. L’aveva cresciuto bene, maledetta bestia. Allungò una mano per scompigliargli i capelli, il divertimento ad animare le iridi chiare ad affievolirsi mano a mano che il peso di quello che stava per accadere settled in his stomach. «ti piacerebbe, eh» avevi solo da venire dalla parte giusta. «ma va bene, posso svelarti una cosa» piegò le mani sotto al mento, il capo a poggiarsi sul dorso. Siete tutti cadaveri che camminano, me ne sono assicurato personalmente. «c’è solo una cosa che posso dirti: buona fortuna» magari, la sua fede l'avrebbe salvato.
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