how can i help it, how can i help what you think?

ft. cherry | pq10

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    moka telly
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    «e comunque il mio è più grosso»
    moka, an intellectual, inarcò un sopracciglio: «ne dubito fortemente» cioè, adesso, non esageriamo. avevano entrambi la risposta sotto gli occhi, palese e innegabile: lo special ce l'aveva più grosso, punto.
    avrebbe potuto chiederlo a chiunque, chiunque, e il risultato non sarebbe cambiato.
    ma charlyse no, gne gne gne, non poteva ammettere le cose come stavano e basta «e invece sì, mokarota. guarda» glielo mise proprio sotto il naso; in effetti aveva ragione lei, le dimensioni erano considerevoli, ma non battevano quelle del suo. istintivamente, il telly allungò il collo e diede un bel morso — gnam. «strONZo» stava per arrivargli un ceffone. lo previde, usando la vista 👁👁👁, ma non lo scansò; era più semplice lasciare che Cherry lk colpisse alla base del coppino, piuttosto che tentare di sottrarsi a quel destino: solo i codardi non affrontavano le conseguenze delle loro azioni.
    e moka non era un codardo.
    forse, still processing.
    «ahia» deadpan, continuò a masticare il boccone strappato al corndog della bionda, praticamente il primo cibo solido a riempirgli lo stomaco da quasi ventiquattro ore. dormici sopra, non sforzarti troppo — l'aveva fatto? strano a dirsi, ma no. o, meglio, aveva dormito (poco) e si era sforzato (troppo), e poi ricominciato da capo: forse in un'altra vita avrebbe anche imparato a prendersi una pausa, moka.
    spoiler: non quel giorno.
    diede una gomitata a cherry, leggera, prendendone di rimando una molto più forte nel fianco — ok I guess «adesso è sicuramente il mio quello piu grosso» al sorriso che gli si dipinse sulle labbra, la solita unica fossetta nella guancia destra, il telly aggiunse anche il braccio teso; glielo avvolse attorno alle spalle, più per trattenerla che per abbracciarla (ma anche). volendo, cherry avrebbe potuto fargli il culo anche li, di fronte a decine e decine di testimoni: non sarebbe stata la prima volta né l'ultima (a meno di non lasciarci le penne, AH-HA AH-HA) «vuoi?» insomma.
    aveva morsicato quello di lei, come minimo doveva offrire qualcosa in cambio — quid pro quo «tieni» le diede il proprio corndog, ancora intero, cedendo quello sbocconcellato alle fauci bavose di Mona.
    il cane, non la sorellina della bionda, anche se avevano lo stesso identico modo di ringhiare. almeno la bestia demoniaca (cit.) non era razzista: infatti prese il cibo dalle mani di moka senza azzannarlo, nonostante non fosse un purosangue con tanto di pedigree.
    cherry disse qualcosa, l'indice puntato verso una bancarella; l'elettrocineta raddrizzò le spalle, seguì il dito della ragazza con lo sguardo, posando le iridi verde acqua sul soggetto incriminato «no» categorico, mani avanti. scosse la testa, moka, sospingendo l'altra da dietro la schiena così che passasse allo stand successivo «senti Cherrycola, trovami una mommy» così anche Lawrence smetteva di rompergli i coglioni ripetendo che gli rovinava la piazza «possibilmente una tipo desperate housewives, ma senza il gusto per l'omicidio» non aveva visto tutta la serie ma qualcosa di strano in quel quartiere c'era.
    all'occhiata della bionda non rispose, preferendo spostare lo sguardo da lei al palco di fronte al quale erano arrivati camminando. voleva solo qualcosa di semplice, qualcosa di facile, una distrazione in mezzo al caos che non tentasse di insinuarsi sotto pelle — alla fine si trattava di una richiesta minima, no? solo perché aveva fatto il passo un po più lungo della gamba, moka, non voleva dire che ci tenesse a rifarlo; ed era quel genere di errore di valutazione che avrebbe tenuto per sé anche se avessero cercato di strapparglielo con le pinze. compartimentalizzare, era la regola d'oro per una discreta sopravvivenza.
    «amici! amici. vi sono mancato?» in un'altra vita, forse moka sarebbe potuto essere un bimbo di abby, e non solo per il fascino da psycho daddy.
    il braccio che teneva sulle spalle di Cherry scivolò inerme lungo il fianco, le dita della mancina scosse da tremito del quale nemmeno si stava rendendo conto — nei suoi sogni, quelli meno piacevoli, ascoltava le parole di Geneviève e abbassava la pistola; ascoltava la Bulstrode, e prendeva posto al suo fianco. tentato, suo malgrado, da un'idea che come un tarlo aveva la capacità di piantarsi nel cervello e crescere.
    «avete concesso a delle formiche di occupare tutto il posto che ci spetta? siamo più evoluti. siamo più forti. costretti a nasconderci come – come - come scherzi della natura?» poteva quasi sentire l'elettricità solleticargli i palmi, risalire lungo le vene dei polsi ed espandersi.
    ma fu un attimo.
    terribile, invitante, ma sempre racchiuso in un battito di ciglia.
    perché anche se non voleva, non in quel fottuto momento, moka pensò a sua madre, al modo in cui gli aveva accarezzato i capelli mentre il dolore lo attanagliava in una morsa soffocante. ai cugini scemi cresciuti all'ombra di una realtà fittizia, che non avevano mai fatto del male a nessuno (tranne a lui, quando lo chiamavano trenta volte per invitarlo al pranzo di natale). certo, Abby aveva ragione: il mondo faceva schifo; le persone facevano schifo.
    ma qualcosa si poteva ancora salvare.
    moka sicuramente qualcuno da salvare l'aveva.
    «ma che cazzo»
    istintivamente, allungò una mano che strinse sul polso della ragazza, un passo indietro — che fece solo lui «oh, cherry?» oh.

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    cherry benshaw
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    Charlyse Benshaw odiava essere interrotta sul più bello. Odiava che qualcuno si mettesse in mezzo a lei e al vestito che aveva puntato sin da quando era passata per la prima volta davanti a quella bancarella. Tanto più se il motivo di quell’interruzione veniva da un uomo stempiato, chiaramente animato da manie di grandezza, le quali non erano state stemperate fin dalla giovante età come sarebbe dovuto essere. Uomini, sempre a rovinare tutto. Cherry si scambiò un lungo sguardo con Mona, quest’ultima impegnata a divorare gli ultimi brandelli del salsicciotto di Moka. Decise di prendere il cane in braccio, certa che di lì a poco qualcuno avrebbe provato a schiacciarla- cosa che non poteva accadere, perché poi le sarebbe toccato accoltellarli. Capite, troppo lavoro per qualcuno che voleva solo prendere il suo vestito e sottrarsi alla folla. «amici! amici. vi sono mancato?» non per essere eccessivamente critica, but he looks like every other bitch. Davvero, non avrebbe saputo distinguerlo da un qualsiasi altro uomo incontrato sul mariciapiede. Era più facile concentrarsi sul suo mediocre status da daddy, che su quello che comportava la sua apparizione. «avete concesso a delle formiche di occupare tutto il posto che ci spetta? siamo più evoluti. siamo più forti. costretti a nasconderci come – come - come scherzi della natura?» prima di tutto, scherzo della natura a tua madre. Cosa che doveva essere, per aver dato alla luce un fenomeno da baraccone del genere. Scommetteva che si era appuntato tutte le frasi da boomer che aveva trovato sulle bacheche di Casa Pound e poi le aveva manipolate a modo suo. Si guardò attorno per discernere la reazione della folla, e la Benshaw non fu sorpresa dal leggere approvazione sulla maggior parte dei loro volti. Al suo fianco, Moka stava per avere un’embolia polmonare. Non conosceva bene la famiglia del Telly, ma sapeva abbastanza dal poter dedurre quello che stava passando per la sua mente. Per quanto simili come persone, lei e Moka vivevano in mondi paralleli, e questo comportava ovvie divergenze sulle loro scuole di pensiero. Cherry era una persona analitica, che difficilmente perdeva la testa nei momenti critici, mentre Moka- beh, aveva avuto un resoconto di quanto successo in Siberia e tanto le era bastato per trarre le sue conclusioni. La Benshaw non aveva nessuna famiglia a cui pensare, non quando si trovava nella posizione privilegiata che solo una lunga discendenza purosangue garantiva, piuttosto si preoccupava di come salvaguardare la sua posizione. Come bilanciare la sua identità da spia e l’ovvia course of action tracciata per lei dal Ministero. «bella merda» si rivolse a Mona, ma anche al Telly, dato che in fondo erano entrambe bestie. Fece scivolare le iridi chiare sul suo polso, la mano di Moka a invitarla a indietreggiare, a tirarsene fuori. «oh, cherry?» bastò un gesto, quelle poche parole a tracciare una linea immaginare tra loro. Non si illudeva che gli avrebbe fatto cambiare idea, ma poteva sempre ascoltare cosa aveva da dirle il fu grifondoro. Almeno quello glielo avrebbe concesso. Charlyse Benshaw non era arrivata dov’era senza giocare d’astuzia, e mandare tutto in fiamme per dei sentimentalismi non rientrava nella sua filosofia. «dammi un momento» consegnò Mona nelle braccia del Telly, il tono di voce a non tradire nulla se non una calma zen. Eh, a forza di avere a che fare con megalomani teste di cazzo. Prese il bastone di ferro appoggiato sulla bancarella, e si alzò sulle punte dei piedi per potersi aiutare con i bastone ad agganciare l'attaccapanni. In fondo, erano tutti troppo distratti da Abbadon per prestare attenzione a lei. Persino il proprietario si era dato alla macchia. «mio» rimosse l'attaccapanni dal vestito, per poi portare il fagotto di stoffa al petto. «magari ci troviamo un posto più adatto» dopo anni che conosceva Moka e Lawrence, volete che non fosse ferrata sui vicoli dove imbucarsi per lasciarsi andare a dubbie attività? Per favore, aveva visto cose a che nessun umano avrebbe dovuto assistere. Una volta che si trovarono in un luogo dove nessuno poteva sentirli, la Benshaw fece un gesto con la mano come ad invitare Moka a parlare «lo sai cosa dovremmo fare, vero?» o no, non poteva pretendere troppo da un qualcuno che apparteneva alla specie maschile.
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    «dammi un momento»
    con cane!mona tra le braccia, moka attese.
    in silenzio, i muscoli irrigiditi e le occhiaie scure troppo in risalto; attese come uno che si stende sulle rotaie aspettando di vedere arrivare il fottuto treno — speranza, terrore.
    osservò cherry mentre sfilava il vestito dalla gruccia, incapace di spostare le lei si acqua marina dalla ragazza al panico che attorno a loro cominciava a dilagare. gente che urlava. qualcosa che si rompeva. ma quello poteva essere tranquillamente qualcosa nel petto del telly, non il cuore ma un filo invisibile che fino a quel momento moka aveva deciso di ignorare.
    dare per scontato, addirittura.
    «magari ci troviamo un posto più adatto» più adatto. solo a quel punto, quando si riprese la bestia, lo special riuscì a battere le palpebre, calando di nuovo se stesso nella realtà che li circondava: stava accadendo tutto troppo in fretta. e per quanto moka fosse un ragazzo istintivo, sempre tentato di affrontare le situazioni con la pancia piuttosto che con la testa, nella maggior parte dei casi riusciva ad accendere i neuroni e collegarli tra loro — senza interferenze esterne, funzionavano benissimo.
    si fermò con la schiena al muro, la nuca a sbattere violentemente contro i mattoni alle sue spalle «se so cosa dovremmo fare?» nemmeno si era accorto di trovarsi in un vicolo già esplorato, la schiena appoggiata ad una parete che ne conosceva tutte le curve; che cazzo, neanche ricordava di esserci stato «cherry, ma mi stai prendendo per il culo?» domanda lecita, anche se sapeva la risposta, e avrebbe preferito non chiedere. rimanere nel dubbio. facile, semplice. e invece perdio non c'era più niente di facile, più niente di semplice — ma quand'era successo?
    si spinse via dal muro, entrambe le mani a racchiudere il volto e premere sulla fronte.
    «quello sta parlando di—» liberarci. inghiottì. chiuse la bocca, moka: un obiettivo che si prefissavano in molti (farlo stare zitto.) e che raramente qualcuno otteneva. ma non poteva lasciare che quegli intrusive thoughts gli impedissero di fare almeno un tentativo «come pensi che andrà a finire, cherry? credi che se ne staranno tutti buoni a guardare noi che diventiamo padroni del mondo senza battere ciglio?» nemmeno si rese conto di aver indicato se stesso, durante quel noi.
    i più evoluti
    i più forti
    una scossa elettrica a scavare nella carne, scivolare sotto pelle, insinuarsi nel cuore.
    resta concentrato cazzo.
    la guardò, iridi verde acqua a cercare le sue più limpide; più fredde. avrebbe voluto essere come cherry, in quel momento: distaccato, capace di vedere oltre. il quadro generale. la guardò perché in effetti non aveva mai fatto altro, moka, e ne conosceva ogni centimetro senza sapere assolutamente nulla di cosa ci fosse sotto quella pelle così chiara e perfetta. forse, se avessero scopato meno e parlato di più, non si sarebbero ritrovati a far collidere due visioni di pensiero nel peggior momento immaginabile.
    Cristo santo, ma dov'era William.
    dov'era al.
    dove cazzo era javi
    (in un vicolo poco lontano a piantare ombrelloni, probably)
    «non è così che dovrebbe succedere. non con uno psicopatico pronto a diventare il prossimo dittatore di turno» scosse la testa il ventitreenne, passando entrambe le mani nei capelli. non fosse stato per lei, cherry cola, avrebbe già contattato qualcuno; avrebbe seguito una procedura, preciso e rapido e addestrato. cane fedele, moka: sapeva cosa gli suggeriva l'istinto, e cosa la ragione. sapeva quale delle due cose doveva avere la meglio sull'altra.
    eppure non voleva rinunciare.
    che cazzo di fregatura.
    «non posso farlo» concluse, perché di tutte le [safe word] cazzate che avrebbe voluto dirle, la maggior parte preferiva rimanere incastrata sul fondo della gola, una massa informe sempre più voluminosa il cui unico intento era mozzargli il respiro nel petto.
    quindi era quello, il prezzo di avere degli amici? scoprire tutto d'un tratto di non conoscerli manco per le palle, e ritrovarsi con un coltello conficcato nelle scapole? non aveva mai voluto pagare quel dazio, moka, preferendo sempre prendere le distanze, mettendo centimetri emotivi tra cuore e cuore quando quelli fisici si riducevano inevitabilmente a zero. aveva sempre funzionato.
    aveva sempre vinto lui.
    e allora com'è che doveva iniziare a perdere tutto insieme? porca puttana


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    Se Cherry fosse stata una Kaegan, avrebbe preso Moka per i capelli e gli avrebbe sbattuto ripetutamente la fronte sui mattoni, fino a che non avesse riacquistato la lucidità. Ma Charlyse non aveva nessuna intenzione di rovinarsi la manicure, quindi si limitò ad osservarlo bieca, le braccia incrociate al petto a stringere il vestito e Mona. Sì, il suo personale emotional support in quella situazione. «cherry, ma mi stai prendendo per il culo?» oh boi, che domanda difficile Mokarota. Di solito la risposta sarebbe stata affermativa, ma al momento era un sonoro no. Piegò il capo, gli incisivi a fare capolino oltre le labbra in una curva ferale, che prometteva violenza «potrei farti la stessa domanda» perché, se proprio doveva essere onesta, quello che stava andando fuori copione era proprio il Telly. Si era già dimenticato della sua posizione all’interno del Ministero? Il fatto che fosse una risorsa preziosa per la Resistenza? Cosa sarebbe successo, nel momento in cui avesse deciso di mandare a puttane tutto mostrando il suo volto sul campo di battaglia. Dalla fottuta parte sbagliata. E continuò, Moka, a dare aria alla bocca, per il semplice motivo che Charlyse non gli avesse ancora lanciato un silencio. Ancora being the keyword. «come pensi che andrà a finire, cherry? credi che se ne staranno tutti buoni a guardare noi che diventiamo padroni del mondo senza battere ciglio?» inspirò, piano, un inutile monito a mantenere il sangue freddo e l’imparzialità che quella situazione necessitava. Eppure, eppure, Moka sapeva bene quali tasti premere affinché sbottasse, una furia cieca che aspettava solo di essere libera per poter dilaniare la carne tenera di chi si intralciasse il suo cammino. E ancora, il Telly continuava a parlare, ad andare avanti con le sue frasi fatte e una melodrammaticità che avrebbe attribuito solo a una primadonna. «non guardarmi così» come se fosse una sconosciuta, come se non si conoscessero da tredici anni. La verità era che Moka Telly aveva sempre saputo il genere di persona che era, ma aveva deciso di chiudere un occhio. O anche due. Poggiò a terra mona, per poi avvicinarsi al Telly. Un passo, due passi, fino a che non fu abbastanza vicino da farlo rinsavire con una testata, se avesse voluto «pensi che voglia un nuovo dittatore al potere? pensi che mi diverta l’idea di andare lì fuori a sterminare chiunque mi trovi davanti? babbani, maghi, amici» gli puntò un dito al petto, scandendo ogni parola con un tocco sempre più aggressivo. Andò a cercare il suo sguardo, una muta richiesta di calarsi nei suoi panni, per una volta. Credeva vi fosse un’intesa, tra loro due, non solo fatta di un desiderio carnale ma di momenti condivisi davanti a una bottiglia di vodka, di una presenza che vi era stata quando Michael era venuto a mancare. «allora non hai capito proprio un cazzo» e fu a quel punto, che dovette allontanarsi e voltargli le spalle. Perché stava diventando tutto troppo personale, vulnerabile in una maniera che non le piaceva essere percepita. Forse, Charlyse Benshaw, era stata così brava a nascondersi tutta la vita che nemmeno chi poteva dire di conoscerla da un decennio aveva imparato a leggerne il libretto d’istruzioni. Si passò una mano tra le ciocche bionde, frustrata e incapace di trovare sfogo al sentimento di violenza che le stava corrodendo lo stomaco- il mondo stava andando a puttane, erano sull’orlo di un genocidio, e l’unica cosa che poteva pensare era non sarebbe dovuta andare così. «è proprio perché persone come te non possono farlo, che devo» e non era quella, l’amara verità? Quella difficile da masticare, che rimaneva indigesta anche quando finalmente si riusciva ad inglobare. Qualcuno doveva pur dipingersi un bersaglio dietro la schiena e lasciare che i coltelli affondassero, perché aveva le spalle abbastanza larghe da sopportarlo. «nessuno ha mai detto che essere una spia fosse facile, non quando si tratta di sacrificare i propri ideali» e non era quella una lezione che il Telly avrebbe fatto bene ad imparare? C'era un prezzo da pagare, un sacrificio in sangue per chiunque decidesse di perseguire quella strada solitaria. Solo allora si voltò, le spalle a perdere la tensione che avevano portato fino a quel momento, e il sorriso a farsi più morbido, le note melanconiche a mostrare una vulnerabilità che raramente si permetteva.
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    «non guardarmi così»
    aveva ragione, cherry — sapeva esattamente quali parole usare, i tasti da premere, moka. tutti insieme, quando l'occasione lo richiedeva.
    non quella.
    e se l'aveva fatto, era stato involontario; istintivo.
    sostenne lo sguardo della ragazza perché non poteva permettersi altro; ormai le sue stronzate le aveva dette. e rimangiarsele non era un'opzione: dopotutto, credeva alle sue frasi fatte, il telly. così tanto da averle sputate fuori senza prima ragionare sul peso di ciascuna parola, valutandone l'impatto. valutandone le fottute conseguenze.
    non gli piaceva essere preso in contropiede, e stava diventando una cazzo di abitudine.
    «pensi che mi diverta l’idea di andare lì fuori a sterminare chiunque mi trovi davanti? babbani, maghi, amici» l'aria che moka inghiottì sapeva di cenere e carta vetrata, di zucchero filato e ciliegie; era il sapore del loro punto di non ritorno, e il profumo dello shampoo che aveva lasciato a casa sua.
    allora non farlo.
    parole a bruciare sulla lingua, che non poteva tirare fuori. e si morse l'interno della guancia, moka, perché pregare Cherry di tornare dalla sua parte non era un'opzione: sarebbe stato sbagliato, ingiusto — non aveva niente da offrirle in cambio. solo la sensazione fantasma di avere un coltello piantato tra le scapole. ma la benshaw era lì; gli stava di fronte, ad un passo, usando la verità come un'arma contundente, spegnendo sul nascere una rabbia dettata principalmente dall'inaspettata consapevolezza di dover affrontare una guerra che sapeva essere già persa in partenza, e doverlo fare senza di lei. contro di lei.
    non aveva bisogno di Cherry, per fare quello che doveva fare.
    non aveva mai avuto bisogno di nessuno per fare quello che doveva fare ('my child is fine' your child needs a fucking therapy).
    questo non significava che gli piacesse l'idea. che fosse facile mandare giù il groppo che aveva in gola, dissipare quel peso a premere sulla cassa toracica.
    che non sapesse, ad un livello nemmeno tanto inconscio, che se quel confronto lo avessero avuto cinque anni prima non le avrebbe nemmeno dato il tempo di spiegarsi. il moka adolescente, tirato fuori da un laboratorio per i capelli, senza uno scopo nella vita se non una vendetta personale che non poteva ottenere, l'avrebbe seguita senza fiatare. si fottessero tutti, nessuno escluso.
    non avrebbe pensato a sua madre, pronta ad abbandonarlo nel momento in cui aveva più bisogno di lei.
    o ai cugini, inutili e spaventati, che non avevano mosso un dito quando tutto il suo mondo era andato a puttane.
    il moka diciassettenne avrebbe fatto spallucce, e offerto una mano a cherry affinché la prendesse e se lo trascinasse dietro, perché non aveva niente da perdere.
    sulla carta, nemmeno ora— ma aveva guadagnato un'ideale, un posto nel mondo, un obiettivo. stupido, fottuto Michael e quel suo vizio di non farsi mai i cazzi propri. era ancora convinto, lo special, di non arrivare al giorno successivo, che morire facesse parte della sua vita dal giorno stesso in cui era nato: era così per tutti, bisognava solo accettarlo.
    e quella mano, ora, non poteva più offrirgliela.
    anche se la tentazione era forte, un prurito a solleticare la pelle.
    ascoltò quello che aveva da dire, e la guardò allontanarsi quando ormai i giochi erano fatti. stavano su due sponde opposte dello stesso fiume, cherry cola e mokarota, con troppa acqua nel mezzo perché si potesse semplicemente guadare senza rischiare di andare sotto «hai ragione» su tante cose, spesso, ma in quel preciso contesto poteva concederle solo una piccola vittoria «non capisco un cazzo» finalmente si separò dal muro, la sua piccola confort zone personale, le mani affondate nelle tasche; poteva permettersi un po di verità, il telly, visto come stavano precipitando in fretta le cose «e forse non ho le palle per fare quello che stai per fare tu» quello Cherry lo sapeva, ma a moka faceva bene dirlo ad alta voce.
    ammetterlo con se stesso, prima di chiunque altro «ma ad ognuno il suo sporco lavoro, giusto?»
    fece un passo in avanti e poi un altro, raccogliendo quel poco spazio che il vicolo aveva loro concesso; provò l'istintivo, sbagliato, bisogno di sfiorarle il braccio, allungare le dita e arrotolarvi attorno una ciocca di capelli. una forza imprescindibile, quella di fare l'ennesima stronzata — evitare il conflitto nell'unico modo che conosceva, da codardo, e che avrebbe finito per rovinare tutto. ammesso che ci fosse ancora qualcosa da rovinare. la sua faccia, di sicuro: se l'avesse baciata, una distrazione sempre efficace, la mazzata sui denti non gliel'avrebbe tolta nessuno.
    assolutamente meritata, 10/10.
    ma le recenti lezioni di vita — una mistica discesa all'inferno dalla Siberia in poi — lo avevano reso più saggio; non troppo, solo quanto bastava per tenere le mani in tasca e accennare un sorriso mesto di fronte all'immagine speculare che Cherry gli stava rimandando indietro «non dobbiamo farlo per forza, cherrycola. potremmo semplicemente andarcene» distolse le iridi verde acqua da quelle ancora più chiare di lei, cercando con lo sguardo l'origine delle grida sempre più confuse e vicine; sempre più forti. non avevano più tempo, e lo sapevano entrambi «honolulu?» gettonatissima «pensaci, il mare, la spiaggia.. di sicuro un sacco di mommies e daddies con i soldi» moka, ma non avevi detto basta daddies? eh. magari basta solo con uno in particolare. mortacci sua. ma non portava rancore, il telly, era solo scorpione. e non voleva pensarci in quel momento, anche se ci pensava sempre, un buco nello stomaco che era frustrazione e qualcos'altro.
    «possiamo fare quello che vogliamo, giusto?»
    tentò, un'ultima volta, sapendo fosse impossibile.
    bugiardo del cazzo.

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    «Hai ragione» in circostanze normali, sarebbero bastate quelle due parole a placare marginalmente la Benshaw. Sapeva di aver ragione, ma sentir ammettere dal proprio interlocutore la sua superiorità intellettuale faceva sempre piacere. Eppure, quella volta non bastò nemmeno quello, fin troppo consumata dalla propria fiamma per porgere un orecchio a Moka. «e forse non ho le palle per fare quello che stai per fare tu» uomini [derogatory] e forse le scivolò anche dalle labbra, difficile dirlo quando quel pensiero era un disco rotto che girava ininterrottamente nella sua testa. Per quanto gli volesse bene, al momento aveva solo insulti per il Telly. E si rifiutava di avvelenarsi la mente anche solo pensandoci, quindi si impose di pensare ad altro. Alla sua prossima mossa, ai piani tattici del Ministero, a quale base militare avrebbero fatto riferimento.
    «Possiamo fare quello che vogliamo, giusto?»
    Quello che vogliamo.
    Ancora pensava di avere una scelta, il Telly. Lo invidiava, invidiava che ancora mantenesse l’illusione del libero arbitrio, come se le loro vite non fossero state segnate nel momento in cui avevano deciso di alzare le bacchette contro la loro famiglia, amici, compagni. Erano figli di un sistema malato, un cancro che divorava le parti migliori di loro e sputava fuori soldati. Ma qualcuno doveva pur offrirsi in sacrificio, no? E se poteva risparmiare a Moka di essere marchiato come traditore, di indossare una corona di spine e sanguinare per la Patria, si sarebbe accollata quell’ingrato compito. E sarebbe sopravvissuta per redimersi, con i denti e con le unghie, a costo di usare corpi inermi come stepping stones, perché Charlyse Benshaw poteva essere tante cose, ma non era un voltagabbana. «E lasciare il divertimento agli altri? non penso proprio»
    Le grida, la calca.
    L’odore acre del panico a dilagarsi tra le folle.
    Le prime vittime mietute.
    Era in quegli ambienti ostili che Cherry prosperava, un parassita della società che trovava consolazione nel caos.
    Quella volta, fu lei ad affondare contro al muro. Una parete stabile alle spalle, qualcosa che la ancorasse al presente. Non sarebbe dovuta essere lì con il Telly, non quando ogni momento passato con lui era un momento rubato ad assicurarsi la propria sopravvivenza. Eppure, glielo doveva. Almeno quello. «Honolulu? Facciamo così, ti ci porto se sopravvivi» difficile dire se fosse seria, la Benshaw, il taglio delle labbra meschino e ingannevole come il volto a cui apparteneva. Forse lo era, forse lo stava prendendo per il culo- avrebbe fatto bene a sopravvivere per scoprirlo, no? «Se no mi tocca portare Law, vedi che fare» le minacce, quelle vere. O li stava gaslightando entrambi e avrebbe portato Mona, il cane, l'unica che se lo meritava davvero.
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    moka telly
    if you keep ignoring your emotions like this, you will eventually break down.
    how unfortunate
    era quasi del tutto certo di non aver mai avuto davvero una scelta, moka.
    le svolte fondamentali della sua vita gli erano arrivate in faccia come badilate sui denti, senza che potesse anche solo fingersi artefice del proprio destino.
    forse quello era il motivo per cui non faceva assolutamente nulla per controllarlo.
    o forse di sé non gli importava abbastanza da cambiare un percorso in apparenza già preimpostato «Honolulu? Facciamo così, ti ci porto se sopravvivi» sorrise, il telly, perché non poteva fare altro. come se non avessero saputo, lui e Cherry, che le probabilità non erano mai in loro favore.
    «se law mette piede a Honolulu lo esiliano» e quella non era un'ipotesi, ma un dato di fatto. non si poteva mandare il matheson in giro senza supervisione, e moka non era la persona giusta per tenere d'occhio un coetaneo con gli ormoni a mille e l'ossessione per i daddies. sperava comunque che si avvertisse la lieve nota derogatory nella voce, se non espressa dai lineamenti immutati.
    aveva sempre quel sorriso sulla bocca, moka, che non ce la faceva proprio a raggiungere le iridi verde chiaro; dire addio era una cosa innaturale, malsana, perché come fai a staccarti da una persona prima ancora di perderla? e se non è mai stata tua, quel discorso vale comunque? preferiva non saperlo. molto meglio reprimere l'idea nell'angolo remoto della mente dove negli ultimi tempi finivano tutti i pensieri sgraditi. una tattica evidentemente fallimentare, non rimanevano mai dove cazzo voleva lui — tornavano in superficie, i bastardi, una distrazione che non poteva davvero permettersi.
    ma tant'è.
    la seguì con lo sguardo mentre si appoggiava al muro, e solo allora fece un passo avanti. tese la mano, moka, una minuscola cicatrice a solcare il dorso: non ricordava nemmeno quando se l'era fatta, ma così a brucio avrebbe detto che cherry c'entrasse qualcosa «i soliti 20 galeoni?» le iridi verde acqua sostennero quelle di lei ben sapendo che le probabilità di prendersi una testata in faccia e una tonnellata di insulti erano alte, ma conscio anche che cherry avrebbe capito.
    Michael l'aveva fatto.
    (Michael era morto).
    moka non l'aveva più riscossa, quella vincita.
    «30, se ci tocca farci fuori a vicenda» noi si era accorto di aver fatto un altro passo avanti, o che la benshaw avesse a sua volta sollevato il braccio; avvertì la pressione delle sue dita sul palmo solo quando lei gli strinse la mano, costringendo lo special ad abbassare finalmente gli occhi sull'ennesima scommessa. contro loro stessi, perché pagava pegno chi moriva, e poi alla fine i soldi non li vedeva mai nessuno — che fregatura.
    a diciassette anni, se cherry gliel'avesse chiesto, l'avrebbe seguita senza fiatare, o battere ciglio.
    e se si fosse ritrovato nella condizione di doverle sparare, ora che non ne aveva ancora ventiquattro, l'avrebbe fatto senza fiatare, o battere ciglio.
    forse: eh, quante cazzate ci si racconta quando si è giovani.
    rafforzò la presa sulla mano della bionda, avvertendo ancora una volta quel formicolio al quale non poteva dare retta «ok» poteva portarle rancore in eterno, moka, affidandosi a quel grumo di rabbia ferale che ancora soffocava tra le costole, o accettare il fatto che le scelte della ragazza non dipendessero da lui, e andare avanti; o, meglio, indietro: uno, due, cinque passi, il muro di nuovo alle spalle e tra loro una distanza di sicurezza che era unfamiliar (come si dice in italiano.) per antonomasia. quando mai avevano avuto bisogno di tutti quei metri a separarli, cherry cola e mokarota?
    adesso.
    «dovremmo andare, ora» dovevano proprio: in direzioni diverse, uno contro l'altra — un cazzo di casino.


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