Votes given by vainglory

  1. .
    Lotus Mirage Resort - hall & reception (piano terra)
    #001 cybil & az#002 kaz & theo#004 finn & liam#006 roxie & rain
    #007 corvina & kai#008 remi & nahla#010 kyle & dani#012 marcus & sin
    #014 hold & reggie#017 ada & saw#018 barbie & styx#019 cory & ciruzzo
    #020 hans & avery#021 breccan & iris#022 alice & shiloh#023 hamish & moka
    #027 diaz & mira#029 vin & scarlett#030 lapo & chelsey
    Con un sospiro pesante, per accentuare il fastidio e dare un certo colore a tutta quella situazione, perché le cose cupe e tetre non gli erano mai piaciute, Armando Perez chiuse silenziosamente la porta di servizio, per nulla soddisfatto da quanto appena visto.
    «avevi detto che sarebbero stati fuori di qui nel giro di pochi giorni.» e ne era certo perché aveva chiesto la sua parola, e Adrian gliel’aveva data. «ti sembrano pochi dieci giorni, dewitt?» chiaramente quello lì non sapeva cosa volessero dire dieci giorni di ritardo sulla tabella di marcia; ma d’altronde, nulla di Adrian Dewitt suggeriva che avesse mai avuto a che fare con un importante business come era il Lotus Mirage Resort, ed Armando lo aveva capito dal primo momento.
    Era stato uno sciocco a fidarsi, ma la promessa di nuovi fondi, molti di più di quelli che un po' di pubblicità portata dall'evento, gli sarebbero fruttati, era stata abbastanza allettante da costringerlo a mettere da parte il buon senso. E, dopotutto, era sempre stato ambizioso, Armando.
    Per gli affari, per i soldi, era disposto persino a sporcarsi le mani.
    (Ma solo figurativamente parlando; aveva delle mani troppo belle per poterle rovinare davvero con il lavoro manuale.)
    Assottigliò lo sguardo verso il suo socio in affari – o, per meglio dire, il suo benefattore; era grazie ad Adrian Dewitt se l’evento si era potuto organizzare e, soprattutto, era grazie ai suoi soldi che Armando avrebbe finalmente potuto iniziare i lavori di ristrutturazione dell’hotel; e quello non poteva dimenticarlo.
    Lo trovò lì dove l'aveva lasciato pochi istanti prima, quando era andato ad affacciarsi oltre la porta alle spalle della reception per vedere cosa stesse succedendo aldilà, insospettito dai rumori; e ora, Adrian era ancora lì, seduto, tranquillo, mentre i suoi uomini radunavano gli ospiti nella hall in quello che Armando sperava fosse l’ultimo saluto alla struttura prima di spostarli verso altri lidi.
    «li voglio fuori di qui entro stasera, non erano questi gli accordi.»
    Solo a quel punto, Adrian fece il favore di alzare lo sguardo e degnare il proprietario della struttura di attenzioni.
    «lo so, lo so. “li vuoi fuori di qui prima che ricominci il campionato e blablabla”» se l’era sentito ripetere almeno un milione di volte, avrebbe potuto recitare quella solfa a memoria, «non preoccuparti,» si alzò dalla sedia, dispiegò invisibili pieghe sugli abiti, e affiancò il Perez, posandogli una mano sulla spalla. «spariremo dalla tua vista molto presto, amico mio.» una frase che avrebbe dovuto rassicurare il proprietario del Lotus, non fargli venire, al contrario, la pelle d’oca.
    Armando mantenne comunque una certa compostezza, anni e anni di management che andavano in suo soccorso persino nei momenti più bui, aiutandolo a mantenere la calma e un certo rigore, ed ignorò volutamente l’occhiolino di Adrian. In un fiato, invece, gli sussurrò «lo spero bene.» prima di ritirarsi nel suo ufficio. «e non siamo amici
    Adrian, dal canto suo, sorrise e approfittò del momento per uscire nella hall e confrontarsi con i suoi uomini; hall che, al contrario degli ultimi giorni, ora brulicava di ospiti.
    Fece cenno al capo delle guardie di avvicinarsi, osservando le altre spingere gli ostaggi verso il punto più ampio dell’ingresso, contro colonne o divanetti, qualsiasi spazio occupabile fosse disponibile.
    «sono tutti?»
    Il capo rivolse un secco cenno d’assenso, e Adrian annuì di rimando, soddisfatto.
    «bene. ci siamo quasi.»

    //OFF.
    Oblinderanti! In questo topic potete interagire tutti con tutti (in maniera ordinata, per favorissimo, scrivendo negli spoiler a chi vi rivolgete e ricordandovi che siete ancora ammanettati alla vostra anima gemella, quindi dovrete spostarvi insieme/interagire presumibilmente con le stesse persone, o persone che siano vicine) tenendo presente che siete ancora ostaggio di queste persone che non avete idea di chi siano, perciò a vostra discrezione cosa dire, e soprattutto cosa fare; e in più, siete ancora strafatti come cocchi per qualsiasi cosa vi abbiano costretto a respirare per rendervi più docili e meno propensi a resistere. So, there's that.
    Per ora non vi diciamo fino a quando rimarrà aperto il topic, ma vi consigliamo di sfruttare al meglio il tempo extra che il fato vi ha concesso.
    XOXO.

    N.B.: in alto trovate il recap di tutte le coppie e relative stanze; in ON potete magari dire che uscendo dalla vostra siete riusciti a buttare un occhio sul vostro numero (affisso alla porta come in ogni altro hotel) ma in realtà era più per comodità off che altro.
  2. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    1986
    special
    mr rain
    hector fabien diàz | legge-legge
    Daremo la colpa al risveglio (punto.) traumatico, all'assenza di caffè, a qualsiasi sostanza gli avessero iniettato, al leggero panico nel vedere dei ragazzini sanguinanti - perchè in nessuna linea temporale Hector Fabien Diaz avrebbe permesso a qualcuno di tirare
    un pugno
    a mani nude
    ad uno specchio.
    Soprattutto, non dopo aver accennato lui all'idea di romperlo.
    «Mireia Strabuzzò gli occhi, incapace di fermarla per paura di farle male strattonandola e non avendo trovato abbastanza in fretta la forza di tirarla via di peso - preferendo il proprio comfort di non ritrovarsela di nuovo fra le braccia al fermarla.
    Se ne pentì subito, appena si rese conto di cosa davvero fosse successo.
    Dopo il primo momento di sorpresa al rumore e alle schegge ovunque, finalmente afferrò Mira per l'avambraccio della mano che aveva usato per tirare il pugno, guardandola negli occhi-
    arrabbiato.
    Decisamente arrabbiato. Non un'emozione facile da estrapolare a Diàz - soprattutto, non facile che la esprimesse a parole.
    «¡¿En qué demonios estabas p-pensando?! ¡Podrías haberte roto la m-m-mano! ¡Podríamos probar la silla p-primero, o p-patearla! ¡Usa una sábana en el medio! por el amor de Dios, incluso el codo habría sido m-mejor! ¿Por qué quieres hacerte daño? ¡No eres indestructible, Cat!» Ci mise qualche istante a rendersi conto di aver usato il messicano - ma anche se alcune parole erano differenti dal cileno, immaginò che Mira (Mira, non Catalina; sperava non avesse notato lo scivolone) dovesse aver capito il succo del discorso. Aveva già perso una sorella che si credeva più forte del resto del mondo, non avrebbe lasciato che succedesse a suoi amici. Non con lui lì.
    Prese un grosso respiro per calmarsi, guardando di nuovo la mano della ribelle. Lasciò la presa distogliendo lo sguardo.
    Pensò di chiedere scusa. Era una donna adulta, poteva fare quello che voleva.
    Non lo fece.
    La ribellione non era sopravvissuta dieci anni grazie a comportamenti azzardati e ribelli che rischiavano la loro vita senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni e sapeva di avere ragione a non approvare il comportamento di Mira.
    Prese un pezzo di vetro da mettersi in tasca, la seguì alla finestra in silenzio, le lasciò scrivere il messaggio (notando altri visi ad affacciarsi alle finestre; altri ragazzini, grandioso), poi le prese di nuovo il braccio - con più delicatezza - invitandola in silenzio a seguire i suoi passi fino al letto.
    In silenzio, afferrò un lenzuolo, lo strappò, e poi la cercò di accompagnare di nuovo in bagno.
    «togliamo le schegge. L'acqua calda è meglio di niente; se ci sono pezzi ormai nella carne, usciranno leggermente»
    Finalmente, alzò lo sguardo su di lei nuovamente.
    Non imbarazzo, non tristezza. Sfida. Voleva rifiutarsi pure di assicurarsi di non peggiorare la ferita? Pur non essendo sicuri che sarebbe stato necessario necessario combattere per uscire di lì, e la possibilità di rompersi una mano era una cosa stupida? «P-pensa, prima di agire. Non sei qui da da sola.»
    You taught me to laugh
    You taught me how to cry
    I learned it with you that sometimes a flower grows even in tears
    But it's not easy if you're not with me
    I'll shout, I'll shout your name till I lose my voice
    In the rain under the snow
    Suspended in the air like two swings




    ho trovato un traduttore random di messicano, sicuramente è sbagliato . ma tanto l'importante è il senso generale, e il messicano è diverso dal cileno quindi è comunque possibile a mira suoni male grammaticalmente
  3. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    16, v
    slytherin
    irish
    breccán mccarthy | fun(3r4l)

    «non mi è mai successo ma suppongo che se mai mi piacesse qualcuno non esiterei a dirglielo» per qualche motivo breccán quella risposta se l'era aspettata.
    come ogni adolescente che si rispetti, nemmeno la sedicenne era del tutto immune al vizio di giudicare le persone dalla loro copertina. e Iris aveva quell'aspetto lì: senza peli sulla lingua, un po persa nel suo mondo, poco incline a farsi influenzare dal giudizio altrui. ma poteva benissimo sbagliarsi — l'essere umano tendeva a costruirsi facciate dietro le quali ripararsi e mantenere se stessi al sicuro. era un meccanismo di sopravvivenza come un altro, e la mccarthy non giudicava.
    «siamo.. siamo amiche» con la mano ancora appoggiata alla parete, break sollevò lo sguardo per incontrare quello della Grifondoro, osservarla da sotto le ciglia. non aveva mai fatto mistero a piacerle fossero le ragazze, ma non era comunque un'informazione che sbandierava in giro per fare conversazione. per quanto l'opinione altrui in merito fosse sempre stata volutamente ignorata, non significava che i giudizi di alcune persone in merito alla faccenda avessero mancato di toccarla un po troppo nel profondo. batté comunque le palpebre, affrettandosi a proseguire, sobbalzando quando Iris parve leggerle nella mente «cosa ti spaventa?» eh. EH.
    si strinse nelle spalle, battendo un altro colpo sul muro «ho paura che non mi veda più come adesso. non voglio le cose siano strane, tra noi» perché sapeva che potevano diventarlo, e parecchio «e devo concentrarmi sullo studio, sai.. il quidditch. »
    questa volta nel ruotare il capo in direzione di Iris le regalò un sorrisetto divertito: argomento interessante, quello. se si fosse ritrovata in camera con Theo Kaine probabilmente la conversazione sarebbe finita in modo diverso, e la testata se la sarebbe presa lui per primo. si fece da parte, così da permettere alla Grifondoro di urlare il suo messaggio di amore al mondo (e sfondarle i timpani, cosa alla quale breccán si era già rapidamente abituata), rimanendo in attesa di una risposta. forse qualcuno le aveva sentite (ciao Hans ciao Avery!!), ma la pazienza non era proprio il punto forte dell'irlandese: scalpitando, con un ultimo pugno tirato alla parete, girò su se stessa trascinandosi dietro anche Iris, il rimbombo degli stivali sul parquet come la cavalcata delle Valchirie «ma possibile signore santo che ci siamo solo noi qui dentro?» e nel giungere di fronte alla finestra ancora chiusa break registrò due cose.
    qualcuno aveva scritto (al contrario, canon) una frase sul vetro, spezzata in tre righe, qualche stanza oltre la loro — con il palazzo che curvava leggermente nella sua forma a semicerchio, la Serpeverde riuscì a leggere solo poche parole, affacciandosi alla propria «emoc.. omaicsu??? ma che vuol dire» lanciò a Iris un'occhiata perplessa, ritirando dentro la testa «dici che è latino?»
    nessuno:
    proprio nessuno:
    tiktok:
    parlo latino e dico sic cum cum cum
    l'accusativo fa così -um -um -um
    audio audis audivi audi- tum tum tum
    tu quoque brute fili mi tu tu tu.

    il secondo dettaglio, non del tutto trascurabile, fu il foglio piegato in quattro che attirò l'attenzione della McCarthy quando fece posto ad Iris per guardare fuori dalla finestra, incastrato nel telaio della stessa. lo prese e lo dispiegò, osservando il volto della sconosciuta con la testa piegata verso la spalla «e adesso questa chi è?» bella donna eh, senza dubbio, ma era certa di non averla mai vista «scomparsa il giorno quattordici—» e li si interruppe, confusa. scomparsa il quattordici febbraio 2024? si, e suo nonno era un carretto.

    con te però c’è un non so che di magico
    C’è un non so che, c’è un non so che bellissimo
    Dimmi quando arrivi così ti tengo il posto
    Prendo già da bere, i tuoi gusti li conosco


    vede parte della scritta sulla finestra di mira e Diaz, ma non riesce a leggerla 🙏 trova il volantino e rimane confusa dalla vita
  4. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    rebel
    mar. 17th, 1998
    magi-tech
    kang hae-il (kyle) | errorsound
    In un'altra vita, Kyle avrebbe saputo come intrattenere una conversazione e far sentire Dani meno a disagio; in un'altra vita, si sarebbe interessato alle sue origini, pur provenendo da due città diverse, e avrebbe fatto domande, indagando magari sul tipo di lavoro dei genitori, come si fosse trovato in Inghilterra, e cosa avesse fatto dagli undici anni poi; in un'altra vita, avrebbe condiviso le sue più recenti esperienze in occidente, e le motivazioni che avevano portato lui dall'altra parte del mondo; magari, in un'altra vita, TikTok tutte quelle cose le aveva chieste — quelle, e di più. Seduto sulle gambe dei suoi genitori, o su quelle di uno zio di cui al momento non aveva memoria, aveva fatto domande e ascoltato risposte e poi fatto altre domande. Perché c'era stato un tempo, troppo lontano affinché Haeil potesse ricordarlo, in cui conoscere le persone gli era piaciuto; l'aveva trovato divertente, interessante perfino.
    E invece ora i suoi unici interessi ruotavano quasi esclusivamente intorno a due topic principali: magia e tecnologia, spesso mischiate in un unico calderone per tirarne fuori qualcosa di nuovo; e Dani non aveva l'aria di chi, né Corea o né Inghilterra, avesse dato una possibilità allo studio della tecnomagia, sembrava più... uno che preferisse le materie umanistiche, ecco, a quelle scientifiche. Non sapeva dire perché, Kyle, ma aveva quell'impressione. Perciò c'erano poche cose, temeva, che i due potessero avere in comune — le loro interazione erano destinate alla fugacità di un breve attimo condiviso più per sbaglio, che per interesse.
    «il mio corpo dovrebbe voler espellere le tossine.»
    Ci pensò su un attimo, ignorando parecchi dettagli che non arrivavano a preoccupare abbastanza il coreano, nonostante avrebbero dovuto: il fatto che Dani fosse vestito da paladino della giustizia con una gonnellina rossa e un fiocco ingombrante al centro del petto, non lo scalfì — chi era lui per giudicare?
    (Uno con troppa poca curiosità per quel genere di cose, ecco chi.)
    La conclusione ai suoi pensieri arrivò con un istante di ritardo, ma nella sua semplicità aveva così tanto senso che Kyle quasi si rimproverò da solo per non esserci arrivato subito. «probabilmente non c'è niente da espellere, non è detto che abbiano iniettato una droga.» l'aveva dato per scontato, in un primo momento, ma le possibilità erano infinite in quei tempi bui fatti di scienze incomprensibili ed esperimenti folli. «potrebbe essersi trattato di una semplice sedativo per rendere più facile il trasporto, o di qualche inibitore per la magia.» strinse le labbra, si corresse. «magari entrambe le cose.» non sapeva se ci fosse stato anche altro all’interno della soluzione (come qualcosa in grado di stordire più a lungo di qualche ora — non era il tipo da interessarsi al meteo per rendersi conto se fosse o meno il giorno esatto, e abbiamo già detto come lo scorrere del tempo per lui fosse soggettivo). «all'inizio credevo fossero degli incantesimi ad impedirci di usare la magia,» i suoi erano pensieri ad alta voce che avrebbero dovuto aiutarlo a formulare un'ipotesi quanto più solida (e, sperava, corretta); che fossero rivolti anche a Dani, o meno, erano dettagli minimi a cui Kyle non diede peso. «ma ora sono sicuro non sia così,» aveva passato abbastanza tempo a studiare e smontare la magia pezzo per pezzo, per spiegarne quanti più lati possibili, da esser diventato in un certo modo familiare con il ronzio appena percettibile che la traccia magica lasciava dietro di sé; se si concentrava il giusto, avrebbe quasi potuto sentirlo riecheggiare nella stanza, come il rumore statico di una televisione lasciata accesa su un canale non sintonizzato.
    Voleva testare la sua nuova teoria.
    Ma prima gli sembrava quantomeno educato far finire a Dani la sua spiegazione, dopotutto era stato lui stesso a chiedere. «e quale è lo scopo dell'evento?» dubitava che costringere due (o più, immaginava — vivevano nel ventunesimo secolo infondo) persone ad un appuntamento al buio non fosse un'azione a sé, ma che avesse un fine, uno scopo, appunto. Studiarli? Vedere le interazioni tra due esseri umani in situazioni al limite dell'assurdo? A Kyle sfuggiva il senso (o la nota di divertimento) di un'attività simile, ma ancora: era Haeil, non funzionava esattamente come chiunque altro. «Vogliono studiarci?» quello avrebbe potuto capirlo, sebbene non condividesse la scelta: a lui avevano da sempre affascinato di più le cose non umane, piuttosto che le persone stesse, ma era un uomo di scienza e aveva passato così tanti anni a studiare per cercare di capire che non poteva giudicare chi facesse altrettanto, nonostante argomenti di studio alquanto discutibili. Troppo volubili, le persone; troppo instabili per formulare teorie e pensieri che fossero validi — quello dello strizzacervelli non sarebbe mai stato il suo mestiere.
    «ci stanno osservando per portare avanti uno studio antropologico e formulare previsioni, cercando di ipotizzare entro quando ci estingueremo, incapaci di portare avanti la razza umana?» e sapete cosa? Lo domandò con un'aria così seria che nessuno avrebbe potuto pensare non lo fosse davvero: credeva davvero tanto in quello che diceva, Kyle.
    Ad ogni modo, la teoria.
    «dani,» evitò di toccarlo perché figuriamoci se avesse volontariamente allungato le mani verso un altro essere umano, mi dispiace amici del fantaoblinder, ma richiamò comunque l’attenzione del minore schiarendosi la voce, «ho una teoria. ti va di testarla?» che, detto con il tono basso e a quella distanza ravvicinata poteva quasi suonare inquietantemente personale come domanda.
    Ma era Kyle: non era come tutti gli altri, bla bla bla. Non ci aveva nemmeno lontanamente pensato ai vari risvolti di una proposta simile.
    «non è nulla di pericoloso, né di incomodo» E l’avrebbe fatto lo stesso, ma sperava di non doversi trascinare il marinaio intergalattico per la stanza, sarebbe stato (faticoso, e non era fatto per il lavoro faticoso lui) (ah, joke's on him) di cattivo gusto.
    Si alzò lentamente, dando il tempo a Dani di fare altrettanto o di rifiutarsi, anche se, onestamente, non lo faceva il tipo.«vorrei provare con la finestra, o con la porta.» e se le sue ipotesi erano giuste, non si sarebbe aperta nessuna delle due — ma forse avrebbe sentito il pulsare sordo della magia accentuarsi, e le scariche di energia statica pizzicare la pelle in una maniera che fosse stata familiare. ci contava.
    Era anche ora che iniziassero ad esplorare un po'.
    Chissà Dani cosa pensa che voglia fare, mh.
    for all I know the best is over && the worst is yet to come.
    is it enough to keep on hoping when the rest have given up?
    && they go "I hate to say I told you so" but they love to say they told me so
    (at least I try to keep my cool when I'm thrown into a fire.)
  5. .
    CITAZIONE (pathetic. @ 18/2/2024, 19:33) 
    ROOM #06 Roxie tira pugni e grida

    Strappò il bigliettino senza nemmeno farlo leggere a Rain «buon san valentino sta minchia» iniziò a battere i pugni sul muro violentemente, tirando bruscamente Rain. «C'È QUALCUNO? SE NON MI FATE USCIRE DA QUI COMMETTO UN OMICIDIO. SIETE STATI AVVISATI.» il prossimo passo sarebbe stato usare la testa di Rain al posto dei suoi pugni.

    Amore dalla ROOM #07 per Roxina. Sperando che senta, decidi tu, sentiti libera eccetera.

    [...] dovette raccogliere un bel respiro perché sì, voleva proprio rispondere alle minacce dell'Angelo della Morte. « FAI QUELLO CHE TI PARE SORELLA. SENTITI LIBERA!! » cercò di indirizzare l'urlo nella direzione di provenienza di quello a cui stava rispondendo in primo luogo, ma chissà se sarebbe riuscita a farsi sentire.
  6. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    criminal
    jul 5th 1998
    punk
    corvina fosca van veen | lizardking
    Si fece bastare quel "nah" ed evitò di impelagarsi nell'elaborazione di possibili interpretazioni dietro quel momento di kinese assolutamente casuale. Per quel che ne sapeva, poteva aver dato a sua madre della meretrice... ma in fondo, come dargli torto. Che poi, nell'anno del Signore duemilaventiquattro, vorrei anche sottolineare che dovremmo essere un po' oltre la discriminazione verso i sex workers: se ce la facevano nel Cinquecento a normalizzare le case chiuse, ce la si poteva fare anche noialtri moderni avanguardisti.

    La proposta di controllarsi le cicatrici eventuali le parve, forse perché si sentiva vagamente stordita, abbastanza ragionevole. O forse no, in fondo è Corvina, secondo me avrebbe accettato anche da lucida e sobria.
    « Ma sì, perché no. Non da sdraiati che sto scomoda, magari. » fra le manette e il fatto che non fosse al cento percento delle sue facoltà psicofisiche, aveva la vaga idea che provare a spogliarsi sarebbe stato un incubo.

    « Oh, già... » in effetti, di un tredici febbraio aveva vaga memoria. Non sembrava, non le avreste dato una lira, ma al contrario di me Corvina si ricordava molto, molto spesso la data giornaliera. Quasi come una persona normale. In fondo non è che fosse disoccupata. E non aveva neanche le ferie o l'assicurazione, lei: reperibilità a tutto tondo, trecentosessantacinque giorni l'anno sette giorni su sette, rischio cento percento di lasciarci le penne ogni volta. « Ma pensa. T'immagini se è davvero San Valentino? Che romantico. »

    Il "per ora" le diede molte speranze per il futuro. Sia di poterlo portare fra le braccia in giro per la stanza, così per ridere, sia di replicare quel meme coi due che limonano col tipo aggrappato alla rete e la tipa che lo regge. Le possibilità erano: infinite. L'unico limite era: lo sky.
    Gli sorrise di rimando in particolare, non che alla fine facesse tanto altro nella sua vita che non essere ammiccante, fastidiosa ed inopportuna. Strinse le dita incastrate in quelle altrui, un po' comprendendo il pragmatismo un po' perché, sempre, la faceva ridere che lui stesse al gioco; e in effetti, ridacchiò un poco mentre si alzavano quasi in simultanea.
    La sensazione del sangue che si ridistribuiva nel corpo in maniera consona alla stazione eretta fu un po' una vertigine inattesa, ma niente di insuperabile.
    « Per nulla! Amo rompere cose...! » il sorriso si tinse di una palpabile sensazione di rush adrenalinico. Ecco, quella sì che era droga, per lei: la violenza gratuita. Soprattutto sulle persone, ma anche sugli oggetti non era male. « Lo specchio mi pare un'idea buona. » in effetti, ci avrebbe messo un attimo a sfondarlo abbastanza bene da realizzare, inconsapevolmente, le necessità di Kai. Consciamente, le piacevano gli specchi rotti: erano molto aesthetic. A quel punto, provò istintivamente ad utilizzare il suo potere per procurarsi uno strumento adatto e... non ci riuscì.
    La sua espressione si fece interdetta.
    Offesa, persino.
    « Oh ma. Allora. Perché cazzo la mia magia non funziona. » schioccò la lingua sul palato, infastiditissima. Aveva naturalmente bypassato tutta la breve ma intensa presentazione di Kai fino a quel momento, ma ora che aveva quel nuovo dettaglio era temporaneamente meno propensa allo scambio d'amorosi sensi. « Cos'è che sei tu, un mago, special, babbano...? Quando ti stanchi dei nomignoli puoi anche chiamarmi Hekate, comunque. Heck meglio. Sai, i miei genitori erano dei nerd, brutta storia. » mentì spudoratamente, con la facilità con cui respirava ella mentì. Perché era abituata, in primo luogo, e in secondo perché non amava condividere il proprio nome con gli sconosciuti, per quanto potessero starle simpatici. Durante la guerra aveva fatto un'eccezione, se non altro perché non aveva voglia di capire quanto rischiava con la burocrazia che i suoi pseudonimi da alt girl di Tumblr potessero essere debunkati. Sì, a volte nella vita semplicemente la pigrizia vince sulla logica, il buonsenso, il raziocinio e tutto il resto.
    Prese un bel respiro zen, comunque, e tornò a sorridere.

    « Facciamo che prima controlliamo le cicatrici e poi cerchiamo qualcosa con cui spaccare roba? Di solito sono armata ma oggi... mh. Inizio a pensare di non aver preso qualcosa di mia volontà ieri sera come credevo... o l'altroieri... potremmo essere qui da giorni, figurati. » mentre parlava, con la mano libera si alzava la maglietta oversize per rivelare delle grazie miracolosamente coperte da un paio di mutandine molto anonime e leggermente più larghe del dovuto - fortuna che aveva i fianchi abbastanza larghi e ben torniti da non essersele fatte cadere istantaneamente appena in piedi - e... e niente reggiseno. Si alzò con nonchalance tutta la maglia, arrivando anche a sfilarsi la manica del braccio non ammanettato, ed era praticamente quasi nuda. Impossibile non accorgersene, per lei soprattutto, ma come un po' tante altre cose nella vita, gliene fregava poco di farsi vedere semi-svestita da un completo sconosciuto. « Che faccio, mi giro io o mi giri intorno tu? » perlomeno era collaborativa, dai.

    E infine, mentre si spogliava, arrivò quell'esclamazione urlata da una stanza adiacente. Ora, non era sicurissima di tutto, ma... « Ha per caso detto "commetto un omicidio"? Cavolo, e io che pensavo che noi ci stessimo divertendo. O forse... forse è un attacco di panico. Ne ho sentiti di attacchi di panico con le minacce, capita eh. » dovette raccogliere un bel respiro perché sì, voleva proprio rispondere alle minacce dell'Angelo della Morte. « FAI QUELLO CHE TI PARE SORELLA. SENTITI LIBERA!! » cercò di indirizzare l'urlo nella direzione di provenienza di quello a cui stava rispondendo in primo luogo, ma chissà se sarebbe riuscita a farsi sentire.
    Parliamo d’amore in mezzo a una rivoluzione
    Ti pettini i capelli con una calibro 9
    Metti un altro film, un pezzo dei Queen
    Metti che finisce male?
    (Ma non ci pensare)
  7. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    boomer
    doctor
    sweet
    Azrael Lovell | softbear

    non aveva capito precisamente come fosse finita lì, ricordava solo dalla sera precedente che si fosse addormentata alla scrivania, come al solito, su un fascicolo che stava leggendo perché non ne aveva avuto il tempo in ospedale, e poi? un sonno tiepido e profondo. e si era risvegliata da tutt’altra parte
    «ma che…» lei aveva il turno in ospedale, mica poteva starsene lì, così aveva provato ad alzarsi ma era inciampata, sentendosi tirare indietro.
    e di nuovo sul letto.
    aveva guardato l’altra persona, quando lei le aveva detto «se abbiamo già avuto l’onore di incontrarci in passato, spero che perdonerai la mia mancanza di memoria. Azrael scosse il capo «no, scusami, non ci sto capendo molto» guardò le mani legate dalle manette «non capisco…» «e buona festa degli innamorati, hai un regalo per me?» si sporse a guardare quel biglietto dalla scritta beffarda, e si portò una mano alla tempia come faceva di solito per pensare «no, mi spiace deluderti, non ricordavo nemmeno fosse san valentino» e concordava sul fatto che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quel posto «esatto… è quasi soffocante »

    E mi hanno detto che la vita è preziosa
    Io la indosso a testa alta sul collo
    La mia collana non ha perle di saggezza
    A me hanno dato le perline colorate
    Per le bimbe incasinate con i traumi
    Da snodare piano piano con l’età
    Eppure sto una pasqua guarda zero drammi
    Quasi quasi cambio di nuovo città
    Che a stare ferma a me mi viene
    A me mi viene
    La noia
  8. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    rebel
    mar. 17th, 1998
    magi-tech
    kang hae-il (kyle) | errorsound
    «stavo cercando di capire se fossi intenzionato a uccidermi.»
    «non sono un assassino»
    sara’s voice: io cero in quest
    «non uccido le persone»
    tranne i mangiamorte
    «perché dovrei ucciderti?»
    Una domanda lecita, e del tutto priva di inflessione, quella che rivolse al ragazzo. «dovrei farlo?» ed erano in due a non essere grandi conversatori.
    Abbassò lo sguardo sul polso, cercando istintivamente il quadrante familiare dell’orologio che teneva sempre al polso. «uh.» non c’era. Che lo avesse dimenticato nella sua officina-slash-appartamento? Non lo esludeva: se ne separava raramente, ma certe volte i campi magi-magnetici dei suoi esperimenti ne sballavano i circuti e lui era stufo di doverlo resettare ogni volta, perciò aveva preso l’abitudine di toglierlo quando lavorava a qualcosa di potenzialmente fastidioso. Non ricordava se fosse quello il caso, o meno.
    Arricciò le labbra, perso nei suoi pensieri, e se non fosse stato per il braccio sollevato dall’altro, i loro polsi ancora legati dalle manette d’acciaio, avrebbe persino continuato ad ignorare la sua presenza nella stanza; non per cattiveria, ma per la scarsa abitudine (e propensione) di Kyle a interagire con gli altri essere umani.
    «hai una forcina? qualcosa per forzare la serratura,» delle manette, ma volendo anche della porta: dubitava che, avvicinandosi, l’avrebbero trovata aperta. «la magia non funziona.» e lo disse con il tono di stava sottolineando l’ovvio, senza dare a dani alcun beneficio del dubbio.
    «forse dovremmo capire cosa– come uscire?»
    «che giorno è? il tredici? il quattordici?» Kyle non era proprio la persona più affidabile quando si trattava di tenere il conto dei giorni che passavano; dimenticava di pranzare o cenare, alle volte persino di dormire, figuriamoci se tenesse a mente i giorni della settimana che si ripetevano tutti uguali uno dopo l’altro, settimana dopo settimana. Poteva essere ancora gennaio, o già direttamente marzo, per quel che ne sapeva lui. Era strano il tempo, per Haeil.
    A quel proposito.
    «haeil,» si presentò, troppo distratto dalla finestra che dava sul mare per guardare dani mentre facevano la conoscenza uno dell’altro. Gli indicò lo scorcio di scogliera che si intravedeva attraverso i vetri. «riconosci il posto?» lui no, ma c’era anche da dire che non avesse girato molto dell’inghilterra e dintorni per poter riconoscerne le coste, o i resort per quel che valeva.
    Per un attimo pensò che forse c'entravano i Mangiamorte, che lo avessero beccato e in qualche modo tramortito e rapito senza che avesse avuto tempo di reagire, ma Dani non era un ribelle, e sarebbe stato troppo casuale e randomico per lui finire con un civile qualsiasi. Sicuramente c’era un’altra spiegazione.
    Una che, per quanto lo infastidisse, Kyle non aveva.
    Non ancora.
    «ricordi qualcosa di anomalo, avvenuta nei giorni scorsi?» gli chiese di punto in bianco, osservandolo solo per un attimo, prima di riportare lo sguardo sulla porta. «possiamo provare con quella, ma non siamo preparati ad affrontare eventuali ostacoli ad attenderci lì fuori.» un dato di fatto, quello lì: cosa avrebbero fatto, preso a cuscinate i loro carcerieri? «dobbiamo capire prima di tutto dove siamo, e perché. E possibilmente liberarci di queste,» aggiunse un istante dopo, indicando il polso ammanettato, «questo è un hotel,» capitan ovvio all'opera, «magari non siamo soli.» un'idea si stava formando nella sua mente, ma prima di urlare a squarciagola per farsi sentire da eventuali altri ospiti nelle stanze accanto, voleva essere certo ci fosse qualcuno.
    «proviamo ad origliare? In bagno dovrebbe esserci un bicchiere» metodo infallibile, consigliato cento percento.
    for all I know the best is over && the worst is yet to come.
    is it enough to keep on hoping when the rest have given up?
    && they go "I hate to say I told you so" but they love to say they told me so
    (at least I try to keep my cool when I'm thrown into a fire.)
  9. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    23 y.o.
    glitter fairy
    ex ravenclaw
    Finley Lloyd | phannah-montata
    Si rigirò nel letto mugugnando qualche parola, poi allungò il braccio verso il comodino per prendere il cellulare per vedere l'ora ma, ancora ad occhi chiusi si trovò abbracciato a qualcuno. Era un calore talmente confortevole che si strinse ancor di più alla sua stufetta umana e si lasciò sfuggire un sospiro soddisfatto. Non poteva essere altri che Ethan, suo amico d'infanzia e coinquilino. Solitamente era lui a tuffarsi nel suo letto per ricevere qualche abbraccio gratuito o per aiutare a calmare qualche attacco di panico, era raro ma non impossibile osservare la scena inversa. Quando era particolarmente di umore nero, il Lynx bussava alla posta, entrava senza dire una parola e si accasciava accanto a lui e rimanevano lì, in silenzio. Era successo anche recentemente quindi non gli era sembrato così strano. Aprì lentamente gli occhi cercando di mettere a fuoco l'ambiente circostante. «questa non è casa mia» biascicò ancora un po' intontito. Appoggiò il viso contro la spalla di Ethan e solo allora si accorse che quella strana sensazione che stava provando derivava dal fatto di non riconoscere il corpo che stava abbracciando. Non gli era per niente familiare, non aveva lo stesso profumo, stava abbracciando un perfetto estraneo in una stanza che non gli apparteneva, asettica solo come alcune stanze di albergo potevano sembrare. «OH MIO DIO NON SEI ETHAN» gridò alzandosi di scatto, scioccato, imbarazzato e spaventato dalla situazione. Non andò molto lontano perchè una fitta allucinante lo colpì al polso e lo riportò sul letto, dove si rannicchiò dolorante. «chi sei?» Voleva sotterrarsi per la 500milionesima volta, probabilmente quel posto sarebbe stato anche un bel posto nel quale sotterrarsi. «come sono finito qui?» era abbastanza sicuro di non essersi addormentato in quella stanza di hotel la notte precedente. Solo allora alzò lo sguardo verso il suo polso. Come aveva temuto era legato tramite una manetta all'altra persona. «perchè sono ammanettato??» oh quella giornata era iniziata molto male. Si era comportato bene, non aveva fatto nulla che potesse metterlo in pericolo, aveva paura ancora di più della propria ombra per fare qualunque cosa quindi perchè era ammanettato? «stai lontano da me» disse sistemandosi qualche passo indietro strusciando le ginocchia sulle lenzuola, lasciando uno spazio vitale fra se stesso e l'estraneo, però costretto a rimanere fin troppo vicino dato che non poteva allontanarsi molto dalla persona alla quale era ammanettato. Finn chiedeva solo di arrivare vivo al giorno del suo compleanno, mancava esattamente un mese. Era davvero così tanto da chiedere?
    Con gli errori commessi ci farò una collezione
    Negli occhi vedrò solo le allucinazioni
    Tu che non mi ami
    E io ancora che ti chiamo
    Per dirti
    Finiscimi
  10. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    24
    elettrokinesis
    mechanic
    moka telly | vodkatonic!

    [sospiro]
    «non ho memoria di questo posto.»
    [sospiro]
    «Se avessi un penny per ogni volta che mi sono svegliato legato a qualcuno senza ricordarmi come sia successo, avrei due-... uh... no, tre... quattro... quella volta in prigione conta di sicuro... valgono solo le manette o...?»
    [bestemmia]
    neanche il cazzo di tempo per aprire gli occhi, gli aveva dato.
    tralasciando il fatto che non ricordava assolutamente di essersi addormentato — stava chattando con Lawrence su Grinder fingendosi un daddy, ma il resto era tutto molto nebuloso — avrebbe affrontato la novità con maggiore compostezza se solo hamish gli avesse fatto il sacrosanto favore di tacere. cioè ma dico, di prima mattina? (ammesso fosse mattina)
    senza nemmeno aver preso ancora il caffè?
    comportamenti vergognosi e inaccettabili.
    decise che non era ancora arrivato il momento di aprire gli occhi, moka. dopotutto, poteva trattarsi di un incubo incredibilmente vivido, e stringere forte forte le palpebre lo avrebbe fatto dissolvere senza lasciare tracce. «-cazzo, ho rovinato il meme. Merda, vabbè. Non sarei ricco, ma potrei permettermi un happy meal con la sorpresina di spiderman, looks into the camera... forse. Quanto è un penny per voi?» o magari no, insomma. istintivamente, l'elettrocineta fece scivolare la mano libera lungo il fianco, spostando leggermente il bacino per raggiungere con le dita l'elastico dei pantaloni: niente pistola «madonna.» ecco quello che stava dicendo.
    e lo fece presente al suo interlocutore, del quale, una volta accettato di dover aprire gli occhi per valutare la situazione, moka non riconobbe il volto; niente di sconvolgente: a parte i membri della resistenza, la found family siberiana e quei tre cagacazzi dei suoi amici, il telly tendeva a rimuovere rapidamente dalla propria memoria chiunque gli si presentasse davanti. senza un motivo specifico, solo non gliene fregava abbastanza da immagazzinare informazioni inutili su persone con le quali non aveva alcuna intenzione di stabilire un rapporto. Hamish non rientrava nemmeno nella lista di personaggi che il ventiquattrenne si era ritrovato a seguire passo passo quando era ancora un ribelle — prima di morire, friendly reminder.
    rimaneva una terza opzione, che solo la teoria del multiverso poteva spiegare «mi hai rimorchiato tu o ti ho rimorchiato io?» la domanda era lecita, considerato il posto in cui si erano risvegliati e la presenza delle manette: non staremo qui a fingere non fosse mai successo prima. due o tre cose, però, non tornavano, ed era su quelle che si concentrò mentre tentava di mettersi seduto con la schiena contro il cuscino sollevato. tanto per cominciare il Jones doveva avere più o meno la sua età — non proprio nel range d'azione dello special; parlava fottutamente troppo; il terzo fattore moka non era ancora pronto ad affrontarlo. after (sette mesi. cristoddio) all this time? il tempo per negare a se stessi di trovarsi in una relazione, evidentemente, non era mai troppo.
    «comunque è meglio il burger king» spostò le iridi verde acqua da Hamish ai mobili che occupavano le pareti della stanza, terminando il rapido giro di controllo sulle manette strette attorno al polso destro «immagino tu non abbia la chiave per queste.» mah, al massimo gli rompeva l'osso del pollice (google, an intellectual: metacarpo) e via.

    Anche se cadiamo vado ovunque vai
    Andiamo lontano in un posto che non abbiamo visto mai
    In mezzo al temporale abbiamo unito i nostri lividi
    come due oceani indivisibili
  11. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    17 y.o.
    lumokinese
    rebel
    kaz oh | tw hurt comfort
    Kaz non era stata la prima scelta del dado.
    Nè la seconda. O la terza. Il dado aveva delle idee specifiche in merito a chi dovesse partecipare all’oblinder, ma Sara è testarda, e voleva proprio essere ovunque come il prezzemolo: occhi languidi, labbro tremolante. La risposta era stata un drammatico ”ciolla”, con forme e toni diversi, riverberato in ogni cellula, mentre l’Oh si sbracciava come Katniss agli Hunger Games per essere pescato dal mazzo.
    Un sospiro di Sara.
    E tutti i sogni romantici di Kaz infranti dal tono brusco e ruvido di Theo Kayne. Theo Kayne.
    Non che Kaz sapesse cosa stesse succedendo – figurarsi, aveva tutt’altre teorie – ma ci tenevo a specificare che QUANDO LO SAPRà, IL SUO CUORE SARà SPEZZATO E PENSERà DI MORIRE SOLO. Un argomento che approfondiremo a tempo debito, concentrandoci sul
    «è STATO UN INCIDENTE IO NEANCHE C’ERO?» con cui spalancò terrorizzati occhi neri sulla stanza, il busto sollevato ed in allerta, una mano al cuor- uh. Perchè non si muoveva. Una mano. Una - mano. Tirò con forza, trascinando con sé anche il braccio del qualcuno, fino a poggiare drammatico il palmo sul proprio petto.
    Non mentirò.
    Quando vide che attaccato ci fosse il braccio di qualcuno, strillò.
    «AAAAAAAAAAA» poi seguì il profilo del bicipite, constatando che fosse attaccato ad una spalla, ed un corpo in movimento. Sospirò di sollievo, ridendo leggero del proprio timore di essere fuckin svegliato ammanettato ad un braccio mozzato. «haha, scusa theo, pensavo fosse quello di mort» Aspetta.
    Battè le palpebre, strattonando un poco il compagno verso di sé per guardarlo meglio.
    «tHeO?!»
    Oh no. Oh no. Era forse uno di quegli strani sogni erotici dove l’altra persona era assolutamente qualcuno di randomico, ed anche se eri abbastanza certo di non esserne attratto fisicamente, il mattino dopo era tutto strano ed imbarazzante perché l’avevi visto fare – «non hai il mio consenso per toccarmi» specificò, portando la mano libera a coprire gli occhi. «sarebbe strano, sai? Giochiamo a quidditch insieme. Poi l’altra – storia» non Paris, era troppo Kaz per leggere la sexual tension fra i due, ma l’essere ribelli.
    «però il nostro nome ship sarebbe tho. Onestamente?» Curvò le labbra verso il basso, osservando il ragazzo in maniera oggettiva come un pezzo d’arrosto dal macellaio. Mh… «s-smash?» tentò l’opera di auto convincimento, ma la smorfia lasciò intendere tutto ciò che il tono non riuscì a trasmettere. No, niente smash, ew, aveva l’aria di essere uno di quelli che dopo l’allenamento puzzavano di sudore, e giravano per Hogwarts con le ascelle pezzate ed i vestiti umidi. «no, scusa. Magari dopo» tutto così, come primo impatto, ancora convinto di essere in un mondo onirico dalle dubbie scelte morali.
    «ti devo dei soldi? mi pare un modo un po’ estremo per chiederli indietro, ma okay.»
    Un sogno molto buffo. Non il più strano che avesse avuto. Lo osservò in silenzio qualche secondo, prima di annuire lentamente. «moooolti soooldi…..» per niente, ma i prodotti di beauty care costavano reni e primogeniti che l’Oh aveva finito, ed il suo onlyfans aveva una fanbase solida ma poco incline alla generosità. «anzi, sai cosa? qualsiasi cosa tu stia pensando, non è colpa mia» Peccato, un po’ aveva sperato di avere uno stalker che si fosse manifestato nei suoi sogni. Poteva forse essere sicuro non fosse così? Mh. «hai una cotta per me?? puoi dirmelo, eh» con un mezzo sorriso, soffiò una ciocca di capelli dalla fronte, ammiccando gentile verso il compagno. DAI ABBI UNA COTTA PER LUI, PICCOLA, PUOI RIMANERE FEDELE A PARIS, UFF GUARDA COM’è CARINO.
    «se per uscire da qui devo prenderti in spalla e trascinarti, così sia.»
    Ma cosa stava… succedendo. Si era appena offerto di portarlo in giro come Shrek con Fiona? Poteva abituarcisi, a quel trattamento da principessa, per quanto la fonte non fosse delle migliori. «lo faresti?» Lo valutò con occhio clinico.
    «sarò onesto con te: non penso ci riusciresti» ma apprezzava il tentativo.
    «hai dieci secondi per spiegarti.»
    Cielo. Dieci – cosa. COSA? NON FUNZIONAVA BENE SOTTO PRESSIONE! «MA DIECI SECONDI SONO POCHISSIMI, FACCIAMO ALMENO UN MINUTO? OK, OK – SPIEGO, SPIEGO – ma che cosa.» Fine momento di panico. Riflessivi occhi carbone posati sul Grifondoro. «cosa devo… spiegarti» Charades? Cosa significassero i tag su AO3?
    Con orrore, guardò un punto oltre la spalla del Kayne
    «in quale trope ci sto sognando»
    L’ALTA INFEDELTà? Non aveva una storia pronta per giustificare il proprio tradimento!
    Coi pugni stretti e i pensieri fragili, guardati adesso
    Crollavi sempre anche con basi stabili
    ma ora detesto pensare a te come una di quelli lì che ci hanno perso
    Pezzi di loro per darne agli altri
    Pezzi di cuore come gli scarti
  12. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    model
    aug 28th 1992
    huntress
    selena vitalyevna volkova | c00kiemonster
    In fondo si era svegliata in posti peggiori.
    Era comunque quasi sicura di non essersi addormentata lì la sera prima.
    Non in quella posizione, di questa era sicura al cento percento.
    Anche se, a dirla tutta, di essersi addormentata esattamente la sera prima poteva solo supporlo, figurarsi stabilire che lo avesse fatto a casa sua e nel suo letto.
    Insomma, stava affrontando la situazione in maniera molto zen per essersi appena svegliata.
    Sbadigliò, con la grazia di un cucciolo di cervo, prima che quel nome balbettato le arrivasse alle orecchie, portandola a schiudere bene le palpebre che aveva tenuto serenamente chiuse per tutti quegli istanti di presa di coscienza che si erano susseguiti.

    « Eddie...? » echeggiò, con quella sua faccetta innocentina piegata in un'espressione perplessa da pesce rosso non particolarmente sveglio.
    Si era svegliata effettivamente da poco, in sua difesa.
    Ma in sua critica, non sembrava mai particolarmente intelligente.
    Non da fuori.
    Non guardandola in faccia.
    Sicuramente non da appena sveglia.
    Poi che in realtà avesse un intelletto funesto per certe cose era tutto un altro paio di maniche.
    « Ti chiami... tu Eddie...? » ipotizzò alla fine. Ogni tanto aveva paura di perdersi qualche sfumatura nell'inglese altrui e forse stava solo dicendo il suo nome. Per qualche motivo. Insomma, tutto poteva essere in una situazione del genere.
    Più si svegliava, più si sentiva... scomoda, in ogni caso.
    L'odore delle tende le raggiunse l'olfatto e prese finalmente nota di quella posizione un po' incastrata in cui era piegata, non troppo dissimile da quella del compagno di disavventure, con la sensazione delle manette attorno ad un polso.
    Strattonò appena con la mano, per la cronaca, non tanto da dar fastidio a Barbie, il giusto per capire che l'altra metà delle manette fosse legata a qualcosa che non era un tubo di piombo.
    « Mi sa che ci hanno sequestrati, comunque. » annunciò, con leggerezza. « Come ti senti? Ti puoi muovere? Non è che ti sei fatto male? » s'informò, il tono gentile mitigato dalla classica voce sonnacchiosa da appena svegli.

    Era, come detto, abbastanza tranquilla. Se non si fosse trovata in una posizione così scomoda, sarebbe stata nel perfetto stato di pace interiore per un power nappino coi fiocchi. A parte tutto, comunque, non se la sentiva di prendere iniziative senza essere sicura che Barbie fosse perfettamente integro e capace di muoversi.
    Con una mano mi abbracci e con l’altra mi ammazzi
    E sono stato sempre quello solo
    Perché non sono mai stato come loro
    Che hanno lo sguardo pieno d’odio e il cuore vuoto
    Il nostro amore maledetto mi mancherà in eterno
  13. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    21 y.o.
    empath
    baby
    melvin diesel | arma?dillo!
    Ve lo dirò qui, ma lo leggerete ancora: non era la prima volta che si svegliava con le manette ai polsi. Tantomeno in una stanza d’hotel, e senza memoria di come esserci arrivata. Quella, per Vin, era la normalità, e fu con l’indolenza pigra del mattino che socchiuse gli occhi sulle lenzuola azzurre, morbide fusa a sgusciare dalle labbra già curvate in un sorriso, schiena inarcata sul materasso. Sciolse i muscoli delle spalle, affondando la testa nel cuscino. Si sentiva… si sentiva? Corrugò le sopracciglia, i capelli biondi a scivolare sulla spalla. Si rigirò nel letto, la mano libera sotto la guancia e l’altra bloccata dalla manetta. Allungò le dita verso quelle dell’altra persona, facendo scivolare i polpastrelli fino al polso. Il più lieve dei battiti, le fece battere le ciglia perplessa.
    Non sentiva niente.
    Era così abituata a percepire le emozioni altrui, perfino quando mutate come quelle di Grey, che non averne neanche un’impronta la faceva sentire vuota. Scavata e vulnerabile. Non le aveva mai usate come armi, non intenzionalmente, figurarsi per manipolare il suo interlocutore, solo qualche volta, ma avere un’idea di chi avesse al proprio fianco grazie a quello che provava vibrante sotto pelle, era… abitudine. Curioso, lo sguardo di Vin, nel guardare il profilo dell’altra persona. Spostò gli occhi sulla finestra, socchiudendo le palpebre al sole riflesso sui vetri. Sole. Assurdo di per sé, svegliarsi al mattino senza essere sola – a meno che nella notte non si fosse arrampicata nel letto di Grey, o Jamie o Will, ma quelle erano casistiche platoniche e particolari. Eccezioni. Non per scelta di Melvin, ma al Fato piaceva decidere per lei ed a lei lasciarlo fare.
    «cosa sogni?» domandò in un liquido sussurro, incapacitata a sentirlo sulla lingua.
    La mia collana non ha perle di saggezza
    A me hanno dato le perline colorate
    Per le bimbe incasinate con i traumi
    Da snodare piano piano con l'età
  14. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    26 y.o.
    stripper
    bitch
    Adaline Windsor | blackdoggie


    Adaline aprì gli occhi e si rese conto di non essere nel suo letto ad acqua dalle lenzuola nere di seta, ed avrebbe dovuto già accorgersene, perché mancava la sua mascherina per le luci, e mancava il buio totale in cui di solito faceva il suo riposino di bellezza.
    sollevò leggermente il capo per permettersi di guardarsi intorno, era una stanza d’hotel, doveva… preoccuparsi? Aveva declinato decine e decine di richieste dai parte dei suoi clienti, sempre con il sorriso, ed era andata sempre bene, era sempre stata attenta a defilarsi con cautela, in modo che non la seguissero, ma ora? si guardò il polso, dopo aver avvertito il classico freddo dovuto al metallo, e vide una fucking?? manetta?? si era fatta drogare e rapire come una sempliciotta?? prese un respiro profondo cercando di calmarsi e di tenere i nervi saldi, non era solita esternare le proprie emozioni ma in quel caso avrebbe voluto urlare per il nervosismo «come tentativo di abbordaggio mi pare un po’ estremo.»
    «Potrei dire lo stesso, razza di pervertito» eppure non se lo ricordava, certo non ricordava tutti al Lilum, ma per aver fatto un gesto del genere doveva essere un cliente affezionato, cerco di tirare verso di se la mano ammanettata provocandosi solamente dolore «ma che cazzo»
    un san valentino con i fiocchi, insomma
    Sono sempre la ragazza
    Che per poco già s’incazza
    Amarmi non è facile
    Purtroppo io mi conosco
    Ok ti capisco
    Se anche tu te ne andrai via da me
    Col cuore ti ho spremuto come un dentifricio
    E nella testa fuochi d’artificio
  15. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    29 y.o.
    healer
    yikes
    barbie jagger | i'm calling the police
    Barnaby Jagger non si reputava un tipo troppo strano, ma non battè ciglio nell’aprire gli occhi in un posto che non conosceva, con un braccio bloccato da qualcosa. Sarà stato che nei suoi lunghi, infiniti (cento) trent’anni, aveva visto davvero di tutto, e rimanere ancora impressionato da qualcosa avrebbe dovuto richiedere un’apocalisse più completa di quella che già avevano vissuto; sarà stato che Edward Moonarie l’aveva abituato al peggio, e tutto il resto fosse acqua fresca. Qualunque ne fosse l’origine, l’imperturbabilità del guaritore lo portò meramente ad alzare lo sguardo al soffitto, socchiudendo le labbra per un unico, denso, sospiro.
    E null’altro. Non si guardò attorno per cercare di capire come muoversi. Anzi, rimase quanto più immobile possibile, senza cercare né a cosa fosse legato, né tantomeno a chi appartenesse il respiro che sentiva echeggiare insieme al proprio. Gliene interessava solo uno, e sapeva non fosse il suo; chiunque fosse stato così sfortunato da trovarsi in quella situazione, cazzi suoi. Non un problema del Jagger neanche quando, e non se, avesse infine colto di essere ammanettato a tal individuo. Inspirò profondamente, un po’ (tanto) per racimolare altra aria da riciclare in un fiato al nulla, ed un po’ perché neanche l’odore delle tende gli era familiare.
    Perchè sì. Non era in un letto, né in una vasca. Non era su un morbido tappeto persiano. Il lato positivo, era che non fosse neanche appeso al soffitto ed a testa in giù – sì, gli era successo anche quello: una qualsiasi mattina in California, infatti – e nei suoi momenti buoni, sapeva essere un’ottimista. Aveva la schiena poggiata contro la parete, le gambe allungate di fronte a sé. Con la testa, sotto lo spesso strato bruno dei capelli, percepiva gli angoli di quella che doveva essere una finestra. Passò la lingua sull’arcata superiore dei denti, trattenendo l’alito sulla lingua.
    Un imprecazione. Una bestemmia. Una spiegazione – la più ovvia, per il Jagger – ed una supplica, ma Barbie quello non poteva saperlo, direttamente a Cupido. Le probabilità che l’incubo prendesse forma, erano molto basse, ma Barnaby Jagger raccoglieva karma negativo da tre vite.
    «ed-d-ddie»
    (DEROGATORY)
    Ballavamo nella zona nord quando mi chiamavi "fra'"
    Con i fiori, i fiori nella tuta gold, tu ne fumavi la metà
    Mi passerà, ricorderò i gilet neri pieni di zucchero, cambio il numero
    Cinque cellulari nella tuta gold, baby, non richiamerò
22 replies since 11/3/2019
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