[oblinder '24] negli occhi vedrò solo le allucinazioni

Metaball ft. arma?dillo!

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    Lotus Mirage Resort - room #029
    Metaballarma?dillo!
    Lotus Mirage Resort, un hotel situato a Montrose, piccolo villaggio portuale magico sulla costa est della Scozia. L?edificio è su quattro piani (reception, hall, bagno, sala da pranzo ? all?occasione sala da ballo ? e cucine al piano terra; alcune stanze al primo piano, altre stanze e due suite al secondo; alloggi dello staff, magazzino e stanze di servizio al piano interrato) ed è inserito perfettamente nella conformità paesaggistica del luogo, con le pareti di pietra dai colori chiari, il tetto di tegole rosso mattone e il basso muro di cinta che accoglie gli ospiti, mettendo in mostra l?insegna (il nome dell?hotel con sul fondo un fiore di loto i cui petali si aprono e si chiudono).
    Durante i mesi di campionato, quando la squadra della città ? i Montrose Magpies ? gioca in casa, la struttura ospita tifosi arrivati da ogni parte della Scozia, e dei dintorni; il resto dell?anno, è principalmente meta dei turisti che scelgono di visitare il villaggio magico e le spiagge rocciose di quel lato della Scozia, una vista mozzafiato che la posizione privilegiata in cui è stato costruito il resort (in cima ad una collinetta che affaccia proprio sul mare) regala a tutti i villeggianti.
    Noia. Curiosità. Ricerca. Psycho shipping. Fascinazione.
    Potrebbero essere tante, forse addirittura troppe, le ragioni dietro il perché la notte del quattordici febbraio sia diventata, oramai, una notte speciale nel mondo magico; quali che siano i motivi che spingono persone, o gruppi di persone, a lanciarsi ogni anno nell?organizzazione più assurda per garantire la migliore riuscita dell?evento, comunque, non è importante. Il perché raramente lo è, infondo. Non cambia le conseguenze, e non rende più comprensibile l?incredibile ? e francamente inspiegabile ? clamore dietro una notte che, all?apparenza, dovrebbe essere una come tutte le altre.
    Il passaggio di testimone, da un anno all?altro, serve solo a sottolineare ancora di più l?imprevedibilità che San Valentino porta con sé; simulazioni, sopravvivenza, ricerca scientifica.
    Cosa succederà l?anno prossimo?
    È la domanda che si fanno tutti.
    Beh, quasi tutti.

    E poi, in uno schiocco di dita, l?anno prossimo è già qui ? e maghi e streghe e special e babbani (perché no, non c?è più alcun velo a separare i due mondi, dopotutto) di ogni età si trovano, loro malgrado, ad essere i più vicini a scoprire la risposta a quella domanda.
    Che lo abbiate desiderato per trecentosessantacinque giorni o meno, che l?abbiate temuto o agognato, che abbia occupato anche solo una minima parte dei vostri pensieri in questi dodici mesi oppure no, non importa: perché quest?anno il fato ? o chiunque sia a muovere i fili del destino al suo posto, a questo giro ? ha scelto proprio voi come vittime.
    Uhm, pardon: come fortunati vincitori della lotteria annuale.
    Una scelta probabilmente fatta a caso, il proverbiale bastoncino corto beccato per sbaglio, e contro la vostra volontà; o magari vi hanno tenuto d?occhio per tutto l?anno, prendo appunti e aggiungendo note e trascrizioni alla murder board tenuta in soggiorno; lo so, è una possibilità terrificante, non è vero? Essere controllati. Eppure, nessuno può escluderla.

    Qualsiasi sia la ragione, qualsiasi sia il prima, non ha importanza.
    In quella stanza di albergo, quest'anno ci siete voi, e non siete soli.
    E in quello stesso istante, nel momento in cui aprite gli occhi e prendete nota di ciò che vi circonda ? del materasso morbido e delle lenzuola delicate, o del pavimento fresco, o di quanto sia stranamente comoda la vasca? ?, quello è il momento in cui vi rendete anche conto di essere ammanettati a qualcuno. Proprio così: vere manette d'acciaio fredde al contatto con la pelle nuda del polso.
    E potrà sembrare assurdo, ma non è quella la cosa più strana di cui vi rendete conto; e ne prendete velocemente atto quando provate ad avvicinarvi alla porta della stanza, portandovi dietro la vostra anima gemella, e in un battito di ciglia siete di nuovo al centro, accanto al letto, o nel bagno. Potete riprovarci quante volte volete, e potete persino tentare con la finestra che da sul mare: non importa, quanti, o quali, tentativi facciate, non c?è via d?uscita, e perseverare non porterà a nulla ? solo ad un forte mal di testa. La magia che vi tiene lì, è chiaramente una magia più forte di quello che vi sareste aspettati. Ed è anche l'unica magia che funzioni: non ci mettete molto a capire che né le vostre bacchette, né i vostri poteri, sembrano funzionare.

    Quanto alla stanza... beh, è una banalissima stanza d?hotel. Niente di particolare salta all?occhio, se si esclude il fatto che non possiate uscire da lì, certo.
    C?è il numero per contattare la reception al piano terra e il menu per ordinare la colazione in camera, ma nessun dispositivo con cui mettersi davvero in contatto con l?esterno: non un telefono, né alcun oggetto incantato con cui comunicare; c'è una piccola toeletta disposta contro la parete, e una sedia; c'è il bagno (con la vasca, perché a quanto pare l'hotel, il resort, non si fa mancare nulla); c'è il letto, due comodini, alcune stanze hanno persino un balcone ? non che voi possiate uscirvi fuori, certo: vi dovrete accontentare di osservare il paesaggio da dietro i vetri delle finestre.
    E poi c?è un foglio.
    Sul letto, a terra, sulla toeletta, ovunque capiti.
    Poche parole, leggere sulla pergamena ma pesanti sulla coscienza. Cinque beffarde parole.
    Buon San Valentino, miei cari.


    //OFF: BENVENUTI AMICI AD UN NUOVO ED EMOZIONANTISSIMO OBLINDER!!
    Siete pronti?? SIETE KARIKI??? Mi auguro per voi (e per i pg) di sì!!
    Come avrete capito, siete in una stanza di hotel (dalla quale NON potete uscire) che alcuni potranno riconoscere magari dal logo sulle lenzuola o dal panorama esterno (se ci sono già stati). Cosa dovrete fare? BEH!! Ma ovvio: interagire con l vostra anima gemella. Non cercate un modo di uscire, sarebbe solo tempo perso: non c'è una via d'uscita SMACK
    Pensate piuttosto a fare una più approfondita conoscenza della persona con cui siete stati abbinati; il resto verrà da sé.
    XOXO
     
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    Ve lo dirò qui, ma lo leggerete ancora: non era la prima volta che si svegliava con le manette ai polsi. Tantomeno in una stanza d’hotel, e senza memoria di come esserci arrivata. Quella, per Vin, era la normalità, e fu con l’indolenza pigra del mattino che socchiuse gli occhi sulle lenzuola azzurre, morbide fusa a sgusciare dalle labbra già curvate in un sorriso, schiena inarcata sul materasso. Sciolse i muscoli delle spalle, affondando la testa nel cuscino. Si sentiva… si sentiva? Corrugò le sopracciglia, i capelli biondi a scivolare sulla spalla. Si rigirò nel letto, la mano libera sotto la guancia e l’altra bloccata dalla manetta. Allungò le dita verso quelle dell’altra persona, facendo scivolare i polpastrelli fino al polso. Il più lieve dei battiti, le fece battere le ciglia perplessa.
    Non sentiva niente.
    Era così abituata a percepire le emozioni altrui, perfino quando mutate come quelle di Grey, che non averne neanche un’impronta la faceva sentire vuota. Scavata e vulnerabile. Non le aveva mai usate come armi, non intenzionalmente, figurarsi per manipolare il suo interlocutore, solo qualche volta, ma avere un’idea di chi avesse al proprio fianco grazie a quello che provava vibrante sotto pelle, era… abitudine. Curioso, lo sguardo di Vin, nel guardare il profilo dell’altra persona. Spostò gli occhi sulla finestra, socchiudendo le palpebre al sole riflesso sui vetri. Sole. Assurdo di per sé, svegliarsi al mattino senza essere sola – a meno che nella notte non si fosse arrampicata nel letto di Grey, o Jamie o Will, ma quelle erano casistiche platoniche e particolari. Eccezioni. Non per scelta di Melvin, ma al Fato piaceva decidere per lei ed a lei lasciarlo fare.
    «cosa sogni?» domandò in un liquido sussurro, incapacitata a sentirlo sulla lingua.
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    Chi più, chi meno, sembrate riprendervi tutti dopo il primo momento di confusione e disagio. Ma è realmente così? Solo il tempo potrà dirlo, cari amici. Di sicuro, c’è che quella sensazione di smarrimento sembra essersi appiccicata alla vostra pelle; avete dato un nome (forse) al posto dove siete, ma non ancora una motivazione sufficientemente credibile per spiegare il perché. Beh, quello è ovvio, amici: è San Valentino. E se non sapete dell’oblinder, chiaramente non avete amici nei posti giusti, perché è l’evento più atteso delle stagione da anni. Ed è anche altrettanto chiaro che non leggete i miei articoli, tsk.
    Non è quindi del motivo che dovreste preoccuparvi, ma piuttosto delle condizioni in cui ci siete arrivati. Lo stomaco a gorgogliare prepotente nei momenti di silenzio indica forse una cena troppo leggera la scorsa sera? Non sapete dirlo, in effetti non ricordate di preciso qual’è stata l’ultima cosa commestibile che avete mandato giù. Brutto segno? Forse no, mi dispiace solo non ci sia un banchetto ricco ad attendervi nelle stanze: per il momento dovrete combattere contro la fame e la sete, e contro lo stordimento, alla vecchia maniera: arrangiandovi.
    Niente rimedi estremi, capito? Non siamo la società della neve, qui.
    Ma… hey, sì dico a te, non sei un po’ troppo giovane per avere quegli ematomi nell'incavo del braccio? Sembra quasi il segno di ... ah, magari qualcuno di voi saprà riconoscerlo. Ago.
    Uh, uh, amico… la droga non è mai la risposta.
    (Unless.)

     
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    Forse l’adrenalina inizia a fare effetto, scuotendo membra evidentemente provate, perché dopo il livido sul braccio, vi rendete conto di qualcos’altro. Qualcosa a cui prima, troppo presi dalla sorpresa dell’insieme – svegliarsi in un posto che non conoscete, senza magia, ed ammanettati a qualcuno – non avevate fatte caso.
    Abbassate lo sguardo sui vostri vestiti. Alcuni sono troppo grandi per voi, o troppo piccoli. Taglie sbagliate, forme che mai avreste pensato di indossare. Sembrano pescati casualmente, come se qualcuno avesse afferrato gli abiti abbandonati nell’hotel, e ve li avesse messi addosso.
    Profumano di bucato, però. Almeno quello. Una cosa è sicura: non sono i vostri.

     
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    Cercando di uscire dalla stanza, vi rendete conto di tre cose: primo, non sentite alcun passo provenire dal corridoio, segno che nessuno stia facendo la ronda all'esterno della camera; secondo, riuscite a percepire, seppur distanti, i mormorii indistinti di vittime come voi - vicini, altri più lontani, ma forse potreste fare qualcosa in merito; terzo, e questa è la parte in cui vi viene la pelle d'oca, spiando dalla finestra notate che…non ci sia nessuno. È bassa stagione, certo, ma siete in un hotel, e perlomeno il personale e la manutenzione dovrebbero passare ogni tanto. Qualcuno nelle altre stanze, magari lo notate pure; hanno le manette come voi, però. Dove sono tutti gli altri? Questo gioco, non è più divertente.

     
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    è l'ora di svegliarsi
    Sussurra il dolce raggio, accarezzandole una palpebra con fare materno. Una bellissima giornata l'aspetta oltre i portoni di ferro, al di là dei prati fioriti e delle colline verdi.
    Non ricorda nemmeno come si sia addormentata. Eppure il letto è morbido e così avvolgente da non voler aprire gli occhi ancora brillantinati, seppur sbavati. Le labbra le sente secche. Il rossetto ormai ha perso la pennellata accurata, strabordando e sfumandosi lungo gli angoli.
    Una voce lieve, gentile, la udisce. È il sole. Sicuramente il sole che ancora la vede dormire.
    Così come la bella addormentata, apre le palpebre dopo un lungo sonno. Non sa quanto ha dormito ma, per le energie e la fame: tanto.
    fata è un sussurro, ammagliato dalla visuale di Melvin. La prima che mette a fuoco. È così luminosa, dei tratti delicati e quel nasino. È una bella visuale.
    sei una fata un messaggero. Non c'è nessuna casualità di svegliarsi lì. È un dono per quanto brilla. Persino due farfalle sembrano danzare intorno al suo capo che Scarlet non può far altro che fissarla con gli occhi al cuoricino.
    Non ha importanza il luogo, il tempo, il perché stia indossando un vestito florale di qualche taglia più grande.
    Sa solo che in quel attimo è tutto così perfetto.
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    Sempre più dettagli vengono alla luce, ora che la situazione pare prendere una forma; sapere che non siete soli, in quella follia, forse aiuta a rendervi più lucidi. Ed è proprio in questo modo che vi rendete conto di un’altra cosa molto strana: c’è il sole, fuori dalla finestra. È alto, ad occhio e croce mezzogiorno deve essere passato da qualche ora — ma ciò che vi colpisce è il cielo sereno. Non una nuvola all’orizzonte; strano, il meteo aveva previsto pioggia per quel giorno, e alcuni di voi sicuramente avranno buttato un’occhio alle previsioni, prima di organizzarsi per quel San Valentino… che i meteorologi si siano sbagliati? Possibile.

     
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    Ancora ci credeva, che avere un cuore di gomma potesse bastare. Ogni giorno, ogni ora, Melvin Diesel lo strizzava come una pallina antistress, rimbalzandolo da una costola all’altra per riprenderlo fra le dita e ricominciare. Rideva, perché lo trovava divertente. Così malleabile, morbido - senza senso. Accartocciato, appiattito e calpestato tutti i minuti della sua vita, gonfiato alla sua forma originale con respiri profondi ed uno smoothie gelato fra i palmi.
    Non funzionava proprio così, il mondo. Faticava sempre un po’ di più, a tornare intero. Ci metteva più tempo, più sospiri, più disperati sorsi di frullato alla frutta. Non pulsava mai esattamente come prima.
    Ma a chi importava.
    Lei il mondo lo amava comunque, anche quando faceva tutto per essere odiato. Amava quella seconda, terza, millesima opportunità di viverlo tutto, cambiarlo. Stravolgerlo. Era il tipo di persona che mentre tutto bruciava, ballava ai margini della stanza ad una melodia tutta sua, spazzando la cenere a piedi scalzi. Viveva a parte, Vin. Di tutti e di nessuno.
    La sua prima anima gemella, era morta. Si chiamava Callie Jackson. Erano ancora nel loro secolo, quando si erano trovate. Uguali e diverse, calibrate su visioni del mondo più o meno appannate, eppure entrambe rosa. Sorrideva sempre, Calliope. Poi era morta, e la morte inevitabilmente cambiava, e quand’era tornata non era più stata la stessa – come avrebbe potuto. Se n’era andata, perché tutto se ne andava. Sbiadita come un’ombra al tramonto fino a fondersi con il panorama.
    La sua seconda anima gemella, non era mai apparsa. L’aveva attesa, in quella simulazione apocalittica; non si era aspettata nulla, ed era comunque riuscita ad uscirne zoppicante, perché in fondo Melvin un po’ ci credeva sempre, perché le piaceva che le mentissero. Che la ingannassero, e la usassero. Che la guardassero solo per toccarla e spremerla, per poi spolverare i palmi fra loro.
    Non esisteva, qualcuno per Melvin. Andava bene così, la maggior parte delle volte. Le piaceva comunque sognarlo, pur sapendo di non averlo. Faceva solo un po’ più male quando tutti gli altri sembravano avere qualcosa, o qualcuno – per quanto assurdo potesse sembrare, o terribile. Perchè ci credeva nel destino, sapete? Disperatamente. I suoi fili rossi li teneva tutti per agganciarsi a terra e non volare via, legandoli ad un palo o due. Qualcuno diceva di amarla, ma poi spariva. Come poteva bastare, a contrastare la gravità. Faceva affidamento su se stessa, perché nessun altro l’avrebbe fatto.
    Neanche chi gliel’aveva promesso, una vita prima, disegnandole mondi e amici ed un futuro che non le era mai appartenuto.
    La terza anima gemella, viveva in un mondo tutto suo. Esattamente come Melvin, avrebbe detto qualcuno, avendo addirittura ragione. Sarebbe stato adorabile, se avessero trovato un punto di contatto, anziché essere due porte con diverse destinazioni. Lavoravano insieme a giorni alterni, lei e Scarlet, eppure l’altra le disse solo «una fata» e la Diesel non si offese, perché anche lei avrebbe faticato a ricordarsi di se stessa.
    Lo dimenticava comunque, qualche volta.
    Le sorrise, piuttosto. Anche quando Scarlet vide qualcosa di più interessante dei suoi occhi, a catturarne l’attenzione. Allungò placida una mano verso il suo viso, percorrendone il profilo con appena la punta dell’indice. Dolce, nel stringerle la guancia nel palmo e sporgersi per posarle le labbra sulla punta del naso. «ogni tanto» soffiò solo, con quel sorriso triste che spuntava una volta l’anno sulla bocca dell’empatica. «facciamo due passi?» piano, molto piano, nell’aiutarla ad alzarsi.
    Non fece caso al livido sul braccio, perché cos’era uno fra cento. Non si sentiva debole, o affamata. A malapena, quando furono vicino alla finestra, si rese conto di non riuscire ad aprirla. Curioso, ma non davvero abbastanza da suscitare preoccupazione nella Diesel.
    Anche se quello non fosse stato uno dei giochi dei suoi clienti…. cosa sarebbe cambiato. A chi. Melvin spariva come le stelle la mattina, e tornava solo a cielo terso.
    Non se ne sarebbe accorto nessuno per giorni. Forse mai, se la conoscevano un poco.
    Vide qualcuno, riflesso negli altri vetri. Altri volti che non conosceva, figurarsi il contrario.
    Sfregò il pollice sotto il bordo della finestra, trovando il punto in cui il materiale si faceva più affilato e tagliente. Premette fino a sentire la carne cedere, e non battè ciglio. Spremette il polpastrello fino a far uscire qualche goccia di sangue, osservandola con la distrazione che avrebbe riserbato ad una piastrella, prima di passare il polpastrello sulle labbra.
    Appiattì un bacio sul vetro, e con la scia rimanente dipinse un cuore.
    «pensi che ci faranno uscire?»
    Reclinò il capo sentendo i colpi dall’altra parte della stanza, ma non diede segno di voler rispondere.
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    Pensavate di aver colto tutti i dettagli nella stanza, quel poco che avete potuto esplorare, eppure c’è ancora qualcosa che coglie la vostra attenzione. Un foglietto accartocciato sul pavimento, abbandonato al fondo del cestino. O forse, per coloro che si sono spinti nei pressi del balcone, un pezzo di carta che il vento impetuoso ha fatto sollevare fino al vostro piano. Non importa tanto il dove, quanto il cosa. Si tratta di un volantino, uno di quelli che si affigge sui muri per cercare le persone scomparse. Chissà, il volto che vi guarda di rimando potrà sembrarvi familiare nelle persone che avete intravisto nel vostro breve soggiorno, o al contrario quelle fattezze sono del tutto sconosciute, ma una cosa è sicura: c’è qualcosa che non va.
    Perché la data di sparizione segnata sul manifesto, è il 14 Febbraio.
    Ed il volto che vi osserva dalla locandina, è quello di Adaline Windsor.

     
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    È certa di poche cose nella vita. Dei fili che legano le persone.
    Che la casualità non esiste.
    In fine, ieri sera non era con Melvin.
    Quindi se 2+2 fa 5. Il fato ha voluto che si risvegliasse insieme a lei per farle notare particolari mai notati prima.
    Come la bocca secca e quel senso di stordimento.
    Socchiude gli occhi lasciandosi coccolare la punta del naso da quelle labbra amorevoli.
    mhh è un annuire tenue, senza alcuna intenzione di rifiutare il suo aiuto per rimettersi i piedi. Ai cui il vestito scivola inevitabilmente senza offendere il pudore di alcuno. Lasciando l'intimo di pizzo lilla in balia della sua vista.
    La asseconda. La segue in punta di piedi, quasi saltellando da una nuvola all'altra: magari sta ancora sognando.
    È tutto così indeterminato. Confuso e senza spiegazioni. Praticamente la sua vita.
    no..! la guarda con stupore nel vederla tagliarsi il suo bellissimo polpastrello. Che se ne dispiace. Sebbene l'opera d'arte sulla finestra è un tocco di classe!
    Che belle labbra che ha!
    non lo so... non mi dispiace qui. Stare cui con te mormora, sussurra portando la sua mano libera, con delicatezza, sul polso del dito ferito al fine di avvicinarselo alle labbra. non farti maleTra le quali l'avrebbe fatto scivolare per disinfettarlo con la propria lingua e saliva. Lasciando scivolare lo sguardo oltre il vetro. È proprio una bella giornata.
    Non sembrano nemmeno sole. Chissà se anche gli altri riescono a vederle. Le era anche sembrato di sentire una voce... una delle tanti. Magari un'allucinazione.
    Mh! un volantino!?
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    Guardava fuori dalla finestra senza riconoscere nessuno, con quella piega melanconica nello sguardo che raramente si affacciava sulle iridi verdi. Non era fatta per quel languore lì, Vin – troppo energica, troppo viva per lasciarsi frenare da acque dense e melmose – ma sapeva di un sogno, quella stanza d’hotel. Le lenzuola profumate di detersivo; il sole a rimbalzare da un vetro all’altro creando un messaggio in codice senza cifrario. Poteva permettersi di rallentare, ed assaporare quel momento come un mondo di transizione fra ciò che era reale senza esserlo del tutto.
    «non lo so... non mi dispiace qui. Stare qui con te»
    Non era solita provare tenerezza, ma qualcosa di morbido le sciolse comunque la costrizione al petto. Sorrise al loro riflesso, la Diesel, cercando lo sguardo verde della collega sul cristallo a dividerle dal mondo. «neanche a me» ammise, dandole una leggera spallata. Si era svegliata in posti peggiori, ed in compagnie decisamente meno raccomandabili. Scarlet era particolare, certo, ma innocua. Ingenua. Comprendeva perché al Lilum piacesse tanto; in quel mondo fatto di sogni a metà, la mora sembrava esserci nata. Più astratta che concreta. Più un concetto, che una forma solida.
    La osservò stringerle il polso, e portarlo gentile alle labbra. Un tocco delicato a cui non era abituata, e che bastò a dipingere perplessità negli occhi chiari. «non farti male» Avrebbe riso, se non si fosse sentita soffocare. Si sentiva sola, ed incredibilmente vuota, senza riempirsi delle emozioni altrui. Ogni pensiero rimbalzava da una costola all’altra senza filtri, e non poteva incolpare nessuno eccetto se stessa. Era così che si sentivano le persone normalmente? Esposte, e nude. Prive di capro espiatorio, o della capacità di mordere la gioia degli altri e digerirla propria. Non si era resa conto quanto di sé dipendesse da emozioni non sue.
    «è un po’ tardi per quello» ma la voce era leggera, così come il tono. La scintilla negli occhi smeraldo, divertita lo era davvero. Difficilmente si prendeva sul serio, Melvin Diesel, e quasi impossibile che le cose, semplicemente, non le scivolassero addosso. Rabbrividì appena quando sentì la lingua sulla ferita, e diceva tanto dell’empatica che avesse atteso fino alla fine di sentire i denti affondare nella carne. «è solo un graffio, micina» mormorò, approfittando della vicinanza per darle un buffetto sulla guancia. Alzò un braccio per intimarle di avvicinarsi, così da poterla stringere a sé ed appoggiare la testa sulla sua. Vide sventolare qualcosa appena fuori dal loro campo visivo, e si allungò per spiare il pezzo di carta incastrato nel tubo della grondaia.
    «oh. sembra lina» haha, funny.
    Adaline la era davvero, ma la questione non preoccupò Melvin più del dovuto: erano spogliarelliste, ed avevano vite separate rispetto a quelle che vivevano al Lilum. Se la Windsor era fuggita da qualcosa, non era affar suo finché la ragazza stessa non si fosse sentita abbastanza a suo agio da rivelarlo. Mai, probabilmente, conoscendola. Per l’empatica, funzionava comunque.
    Tornò a guardare fuori dalla finestra, lo sguardo a scivolare dall’una all’altra delle superfici riflettenti.
    Lettere. Visi che non conosceva. Mani alzate in segno di saluto. Rabbia.
    Si rese conto di non sapere nulla della mora al proprio fianco. Tornò a guardare lei, studiandola ad impigrite palpebre abbassate. Non sapeva se avesse una famiglia, altri lavori all’infuori del Lilum, coinquilini od amici. Se preferisse i cani o i gatti. L’unica cosa che sapeva dei suoi compagni spogliarellisti, era il segno zodiacale – quello vero, non quello che fingevano di avere con date id nascite fasulle. Lei certe cose le sentiva. «qualcuno verrà a cercarti?»
    La mia collana non ha perle di saggezza
    A me hanno dato le perline colorate
    Per le bimbe incasinate con i traumi
    Da snodare piano piano con l'età
     
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    Che sia perché state facendo la conoscenza gli uni degli altri, o perché siete intenti a scrivere col vostro sangue sul vetro, oppure perché state urlando attraverso le pareti per farvi sentire da chi, come voi, sembra finito in quell’incubo, non importa: siete tutti troppo impegnati, troppo distratti, per accorgervene in tempo. E chi di voi lo fa, arriva comunque troppo tardi.
    Ha l’aria innocua, un disco di metallo di dieci centimetri di diametro e non più di due di spessore, tre al massimo. Era nascosto: sotto il secchio, dietro la sedia, sotto al letto. Non importa nemmeno quello; perché quando sentite il click, e il successivo sibilio, capite subito che qualcosa non va. Qualcuno, i più reattivi – o quelli abituati alle situazioni estreme e complicate –, proverà a proteggere naso e bocca con rimedi di fortuna (le lenzuola, i cuscini, la stoffa degli abiti che indossano). Ma, ancora una volta, è troppo tardi. Non sapete cosa sia la sostanza gassosa rilasciata dal dischetto, ma la state respirando, e nonostante i vostri valorosi sforzi soccombete, chi prima e chi dopo, ai suoi effetti. Nulla di troppo terribile, chiunque vi abbia messo lì dentro non vuole uccidervi — o l’avrebbe già fatto. Vogliono solo rendervi innocui, disorientarvi ancora di più e confondere i vostri sensi. E, con i poteri inibiti, funziona su tutti, special compresi.
    Passa un minuto, poi due. Il gas ha smesso di fuoriuscire, e voi di tossire — o di ribellarvi inutilmente ai suoi effetti. Ed è in quel momento che la porta della stanza si apre, e vorreste tentare di approfittare di quell’occasione per fuggire ma lo stordimento ve lo impedisce, ed è facile per quelle persone (mercenari assoldati da qualcuno? Cacciatori inviati dal ministero? non sapreste dirlo) trascinarvi fuori dalla stanza, insieme a loro.

     
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