[oblinder '24] non ci resta che ridere In queste notti bruciate

coalescence ft. softbear

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    Lotus Mirage Resort - room #001
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    Lotus Mirage Resort, un hotel situato a Montrose, piccolo villaggio portuale magico sulla costa est della Scozia. L’edificio è su quattro piani (reception, hall, bagno, sala da pranzo – all’occasione sala da ballo – e cucine al piano terra; alcune stanze al primo piano, altre stanze e due suite al secondo; alloggi dello staff, magazzino e stanze di servizio al piano interrato) ed è inserito perfettamente nella conformità paesaggistica del luogo, con le pareti di pietra dai colori chiari, il tetto di tegole rosso mattone e il basso muro di cinta che accoglie gli ospiti, mettendo in mostra l’insegna (il nome dell’hotel con sul fondo un fiore di loto i cui petali si aprono e si chiudono).
    Durante i mesi di campionato, quando la squadra della città – i Montrose Magpies – gioca in casa, la struttura ospita tifosi arrivati da ogni parte della Scozia, e dei dintorni; il resto dell’anno, è principalmente meta dei turisti che scelgono di visitare il villaggio magico e le spiagge rocciose di quel lato della Scozia, una vista mozzafiato che la posizione privilegiata in cui è stato costruito il resort (in cima ad una collinetta che affaccia proprio sul mare) regala a tutti i villeggianti.
    Noia. Curiosità. Ricerca. Psycho shipping. Fascinazione.
    Potrebbero essere tante, forse addirittura troppe, le ragioni dietro il perché la notte del quattordici febbraio sia diventata, oramai, una notte speciale nel mondo magico; quali che siano i motivi che spingono persone, o gruppi di persone, a lanciarsi ogni anno nell’organizzazione più assurda per garantire la migliore riuscita dell’evento, comunque, non è importante. Il perché raramente lo è, infondo. Non cambia le conseguenze, e non rende più comprensibile l’incredibile – e francamente inspiegabile – clamore dietro una notte che, all’apparenza, dovrebbe essere una come tutte le altre.
    Il passaggio di testimone, da un anno all’altro, serve solo a sottolineare ancora di più l’imprevedibilità che San Valentino porta con sé; simulazioni, sopravvivenza, ricerca scientifica.
    Cosa succederà l’anno prossimo?
    È la domanda che si fanno tutti.
    Beh, quasi tutti.

    E poi, in uno schiocco di dita, l’anno prossimo è già qui — e maghi e streghe e special e babbani (perché no, non c’è più alcun velo a separare i due mondi, dopotutto) di ogni età si trovano, loro malgrado, ad essere i più vicini a scoprire la risposta a quella domanda.
    Che lo abbiate desiderato per trecentosessantacinque giorni o meno, che l’abbiate temuto o agognato, che abbia occupato anche solo una minima parte dei vostri pensieri in questi dodici mesi oppure no, non importa: perché quest’anno il fato – o chiunque sia a muovere i fili del destino al suo posto, a questo giro – ha scelto proprio voi come vittime.
    Uhm, pardon: come fortunati vincitori della lotteria annuale.
    Una scelta probabilmente fatta a caso, il proverbiale bastoncino corto beccato per sbaglio, e contro la vostra volontà; o magari vi hanno tenuto d’occhio per tutto l’anno, prendo appunti e aggiungendo note e trascrizioni alla murder board tenuta in soggiorno; lo so, è una possibilità terrificante, non è vero? Essere controllati. Eppure, nessuno può escluderla.

    Qualsiasi sia la ragione, qualsiasi sia il prima, non ha importanza.
    In quella stanza di albergo, quest'anno ci siete voi, e non siete soli.
    E in quello stesso istante, nel momento in cui aprite gli occhi e prendete nota di ciò che vi circonda – del materasso morbido e delle lenzuola delicate, o del pavimento fresco, o di quanto sia stranamente comoda la vasca… –, quello è il momento in cui vi rendete anche conto di essere ammanettati a qualcuno. Proprio così: vere manette d'acciaio fredde al contatto con la pelle nuda del polso.
    E potrà sembrare assurdo, ma non è quella la cosa più strana di cui vi rendete conto; e ne prendete velocemente atto quando provate ad avvicinarvi alla porta della stanza, portandovi dietro la vostra anima gemella, e in un battito di ciglia siete di nuovo al centro, accanto al letto, o nel bagno. Potete riprovarci quante volte volete, e potete persino tentare con la finestra che da sul mare: non importa, quanti, o quali, tentativi facciate, non c’è via d’uscita, e perseverare non porterà a nulla — solo ad un forte mal di testa. La magia che vi tiene lì, è chiaramente una magia più forte di quello che vi sareste aspettati. Ed è anche l'unica magia che funzioni: non ci mettete molto a capire che né le vostre bacchette, né i vostri poteri, sembrano funzionare.

    Quanto alla stanza... beh, è una banalissima stanza d’hotel. Niente di particolare salta all’occhio, se si esclude il fatto che non possiate uscire da lì, certo.
    C’è il numero per contattare la reception al piano terra e il menu per ordinare la colazione in camera, ma nessun dispositivo con cui mettersi davvero in contatto con l’esterno: non un telefono, né alcun oggetto incantato con cui comunicare; c'è una piccola toeletta disposta contro la parete, e una sedia; c'è il bagno (con la vasca, perché a quanto pare l'hotel, il resort, non si fa mancare nulla); c'è il letto, due comodini, alcune stanze hanno persino un balcone — non che voi possiate uscirvi fuori, certo: vi dovrete accontentare di osservare il paesaggio da dietro i vetri delle finestre.
    E poi c’è un foglio.
    Sul letto, a terra, sulla toeletta, ovunque capiti.
    Poche parole, leggere sulla pergamena ma pesanti sulla coscienza. Cinque beffarde parole.
    Buon San Valentino, miei cari.


    //OFF: BENVENUTI AMICI AD UN NUOVO ED EMOZIONANTISSIMO OBLINDER!!
    Siete pronti?? SIETE KARIKI??? Mi auguro per voi (e per i pg) di sì!!
    Come avrete capito, siete in una stanza di hotel (dalla quale NON potete uscire) che alcuni potranno riconoscere magari dal logo sulle lenzuola o dal panorama esterno (se ci sono già stati). Cosa dovrete fare? BEH!! Ma ovvio: interagire con l vostra anima gemella. Non cercate un modo di uscire, sarebbe solo tempo perso: non c'è una via d'uscita SMACK
    Pensate piuttosto a fare una più approfondita conoscenza della persona con cui siete stati abbinati; il resto verrà da sé.
    XOXO
     
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    «hm.»
    Beh, vedete: Cybil aveva una nota tendenza a mettere le mani in luoghi sbagliati. Quasi quarant’anni di vita, e ancora non aveva imparato. Il terriccio bagnato in età fanciullesca; libri decisamente poco appropriati a una ragazzina in adolescenza. Quella situazione non era poi così differente – con le dita a sfiorare quelle di un totale sconosciuto, la mente a dolergli, e un vago senso di déjà vu come unica stella polare a guidarla.
    Si era giusto voltata quel necessario per stabilire di non essere accidentalmente tornata indietro nel tempo nel peggiore dei modi: quell’unica volta in cui il Lotus l’aveva accolta, d’altronde, la sconosciuta era stata la damigella d’onore di sua cognata. Che ricordava diversa dalla persona che aveva accanto in quel momento. Soprattutto, era abbastanza certa che le manette le avessero bypassate – ma aveva bevuto così tanto, a quel matrimonio, che infondo tutto era possibile. La totale assenza di pugni a battere contro la porta cancellò quel pensiero dalla sua mente, in ogni caso.
    «creativo.»
    Si concesse un sorriso divertito, perché che altro avrebbe dovuto fare. Strapparsi i capelli? Di cose stupide e rischiose ne aveva fatte; era solo destino che prima o poi tornassero a perseguitarla, in un modo o nell’altro.
    Contro ogni codice etico, si considerava comunque una scienziata. E aveva indubbiamente ereditato una mente analitica dai suoi studi. Avrebbe trovato una via.
    Passò una mano tra le ciocche corvine, scuotendole al loro posto.
    Quindi.
    «se abbiamo già avuto l’onore di incontrarci in passato, spero che perdonerai la mia mancanza di memoria.» Parole biascicate, le sue, e appesantite da un tono più roco del solito. Non ricordava l’ultima volta in cui si era fatta così tante ore di sonno indisturbato; bisognava comprendere le condizioni poco consone.
    «e buona festa degli innamorati.» e sciolse nuovamente le labbra in un sorriso. Non che ci credesse particolarmente, Cybil; il nesso tra il romanticismo e il consumo di massa le sfuggiva, ma chi era per giudicare. «hai un regalo per me?»
    Le chiavi per quelle manette, ad esempio. Tentò un’altra volta di concentrare le energie tra i polpastrelli, spingere via quella sensazione di vuoto; ma indipendentemente da quanto ci provasse, il risultato era sempre lo stesso.
    Quello era un dettaglio che non la rendeva felice. Corrugò la fronte, e lasciò vagare lo sguardo lungo le pareti.
    «temo ci sia qualcosa di sbagliato, in questo posto.»
    Ma tu guarda.
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    non aveva capito precisamente come fosse finita lì, ricordava solo dalla sera precedente che si fosse addormentata alla scrivania, come al solito, su un fascicolo che stava leggendo perché non ne aveva avuto il tempo in ospedale, e poi? un sonno tiepido e profondo. e si era risvegliata da tutt’altra parte
    «ma che…» lei aveva il turno in ospedale, mica poteva starsene lì, così aveva provato ad alzarsi ma era inciampata, sentendosi tirare indietro.
    e di nuovo sul letto.
    aveva guardato l’altra persona, quando lei le aveva detto «se abbiamo già avuto l’onore di incontrarci in passato, spero che perdonerai la mia mancanza di memoria. Azrael scosse il capo «no, scusami, non ci sto capendo molto» guardò le mani legate dalle manette «non capisco…» «e buona festa degli innamorati, hai un regalo per me?» si sporse a guardare quel biglietto dalla scritta beffarda, e si portò una mano alla tempia come faceva di solito per pensare «no, mi spiace deluderti, non ricordavo nemmeno fosse san valentino» e concordava sul fatto che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quel posto «esatto… è quasi soffocante »

    E mi hanno detto che la vita è preziosa
    Io la indosso a testa alta sul collo
    La mia collana non ha perle di saggezza
    A me hanno dato le perline colorate
    Per le bimbe incasinate con i traumi
    Da snodare piano piano con l’età
    Eppure sto una pasqua guarda zero drammi
    Quasi quasi cambio di nuovo città
    Che a stare ferma a me mi viene
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    Chi più, chi meno, sembrate riprendervi tutti dopo il primo momento di confusione e disagio. Ma è realmente così? Solo il tempo potrà dirlo, cari amici. Di sicuro, c’è che quella sensazione di smarrimento sembra essersi appiccicata alla vostra pelle; avete dato un nome (forse) al posto dove siete, ma non ancora una motivazione sufficientemente credibile per spiegare il perché. Beh, quello è ovvio, amici: è San Valentino. E se non sapete dell’oblinder, chiaramente non avete amici nei posti giusti, perché è l’evento più atteso delle stagione da anni. Ed è anche altrettanto chiaro che non leggete i miei articoli, tsk.
    Non è quindi del motivo che dovreste preoccuparvi, ma piuttosto delle condizioni in cui ci siete arrivati. Lo stomaco a gorgogliare prepotente nei momenti di silenzio indica forse una cena troppo leggera la scorsa sera? Non sapete dirlo, in effetti non ricordate di preciso qual’è stata l’ultima cosa commestibile che avete mandato giù. Brutto segno? Forse no, mi dispiace solo non ci sia un banchetto ricco ad attendervi nelle stanze: per il momento dovrete combattere contro la fame e la sete, e contro lo stordimento, alla vecchia maniera: arrangiandovi.
    Niente rimedi estremi, capito? Non siamo la società della neve, qui.
    Ma… hey, sì dico a te, non sei un po’ troppo giovane per avere quegli ematomi nell'incavo del braccio? Sembra quasi il segno di ... ah, magari qualcuno di voi saprà riconoscerlo. Ago.
    Uh, uh, amico… la droga non è mai la risposta.
    (Unless.)

     
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    Forse l’adrenalina inizia a fare effetto, scuotendo membra evidentemente provate, perché dopo il livido sul braccio, vi rendete conto di qualcos’altro. Qualcosa a cui prima, troppo presi dalla sorpresa dell’insieme – svegliarsi in un posto che non conoscete, senza magia, ed ammanettati a qualcuno – non avevate fatte caso.
    Abbassate lo sguardo sui vostri vestiti. Alcuni sono troppo grandi per voi, o troppo piccoli. Taglie sbagliate, forme che mai avreste pensato di indossare. Sembrano pescati casualmente, come se qualcuno avesse afferrato gli abiti abbandonati nell’hotel, e ve li avesse messi addosso.
    Profumano di bucato, però. Almeno quello. Una cosa è sicura: non sono i vostri.

     
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    Annuì fra sé e sé, rigirandosi nella mente le parole dell’altra.
    Soffocante era sicuro un modo per definirlo. Avrebbe voluto rassicurarla; il Lotus, per quanto ne sapesse Cybil, era un luogo sicuro. Quando suo fratello lo aveva scelto per condurre le ultime ore di cerimonia – quelle più, come dire, private –, si era premurato di fare qualche background check di rito. Il genere di paranoia necessaria per chi come lui bazzicava tra i piani alti della società; poche persone, fidate, e ben nascoste da sguardi curiosi.
    O malintenzionati, certo. Tra tutti quei letterati dalla faccia pulita, era stata lei a spiccare come pecora nera. Nessun marito o accompagnatore sotto braccio; non un singolo argomento affrontabile di fronte a un bicchiere di champagne.
    Ma non sapeva davvero chi avesse al suo fianco, in quel momento. Poteva essere il motivo per cui erano finite lì; potevano entrambe essere calate sotto il radar di qualcuno che avevano fatto arrabbiare. Non riusciva a pensare a una persona che potesse avercela con lei al punto da trascinarla in un posto simile, però, e – drogarla, a quanto pare. Arcuò le sopracciglia, e provò a tendere il muscolo del braccio; abbastanza fastidioso da essere recente.
    Era anche vero che non fosse mai andata particolarmente a genio, la Dewar. Le sue stranezze erano sempre state troppo eccentriche, anche per chi sceglieva di definirsi progressivo. C’erano cose, d’altronde, che erano classificabili come rivoluzionarie o inventive, e cose che ricadevano automaticamente tra le farse popolari.
    «sono cybil, allora.»
    Le avrebbe stretto la mano, ma a quello ci aveva evidentemente già pensato chiunque le avesse buttate in quella stanza d’hotel. «posso farti una domanda?»
    Ma anche due, vista la situazione. «cosa fai di professione…» lo spazio necessario per permetterle di completare la frase col suo nome, già che dovevano giocare alle anime gemelle.
    E forse anche perché in quel momento esatto l’universo scelse di donarle le visioni come a Gianluca Ginoble. Invece dello spirito di Aldo Moro, però, lei abbassò lo sguardo sul grembo per notare qualunque cosa avesse addosso. Non esattamente la sua prima scelta – troppe cinghie complesse, per lei –, ma almeno qualunque droga le avessero inserito nel sistema ci aveva azzeccato in fatto di colore. Nero su nero. Su nero.
    Su un altro po’ di nero.
    Distratta come una falena, ma giustificabile.
    «in effetti è anche il caso di chiederti se avverti un qualche tipo di malessere. nausea, confusione, giramento di testa, dolori addominali.» batté le palpebre; poi aprì e chiuse il palmo in movimenti circolari. «allucinazioni.»
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    si sentiva molto stordita, lei che di solito con poche ore di sonno riusciva ad essere arzilla e pimpante per correre subito al lavoro, ma aveva dato la colpa al caffè che le mancava, poi aveva guardato il suo braccio
    «ci hanno iniettato qualcosa» già. ma era davvero difficile fare mente locale e provare a pensare cosa avrebbe potuto essere in quelle condizioni, azrael si poggiò una mano sulla fronte
    «sono cybil, allora.»
    «Azrael» le rispose mentre continuava a prestarle attenzione «non capisco…» «posso farti una domanda? cosa fai di professione…» arricciò le labbra pensierosa «sono un medico» e quando lo sguardo ricadde sulla tuta di pelle che indossava, e che le andava stretta sul petto, aggiunse «anche se non sembra, in questo momento… tu invece?» poggiò i piedi sul pavimento ma esitò a fare leva sulle gambe visto che le sentiva molli, e non voleva trovarsi a terra portandosi dietro anche l’altra
    «in effetti è anche il caso di chiederti se avverti un qualche tipo di malessere. nausea, confusione, giramento di testa, dolori addominali.»
    «leggermente stordita, e ho le gambe molli, tu come ti senti? qualcosa fuori posto?» si avvicinò leggermente per guardarla e darle uno sguardo da medico per l’appunto, poi la sentì dire «allucinazioni» «cosa vedi? vuoi andare in bagno per sciacquarti il viso?» perché ovviamente aveva controllato. e non aveva ne bacchetta ne il suo solito kit da primo soccorso.

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    il prompt diceva pelle. immaginatela vestita da cat woman.
     
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    Cercando di uscire dalla stanza, vi rendete conto di tre cose: primo, non sentite alcun passo provenire dal corridoio, segno che nessuno stia facendo la ronda all'esterno della camera; secondo, riuscite a percepire, seppur distanti, i mormorii indistinti di vittime come voi - vicini, altri più lontani, ma forse potreste fare qualcosa in merito; terzo, e questa è la parte in cui vi viene la pelle d'oca, spiando dalla finestra notate che…non ci sia nessuno. È bassa stagione, certo, ma siete in un hotel, e perlomeno il personale e la manutenzione dovrebbero passare ogni tanto. Qualcuno nelle altre stanze, magari lo notate pure; hanno le manette come voi, però. Dove sono tutti gli altri? Questo gioco, non è più divertente.

     
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    Sempre più dettagli vengono alla luce, ora che la situazione pare prendere una forma; sapere che non siete soli, in quella follia, forse aiuta a rendervi più lucidi. Ed è proprio in questo modo che vi rendete conto di un’altra cosa molto strana: c’è il sole, fuori dalla finestra. È alto, ad occhio e croce mezzogiorno deve essere passato da qualche ora — ma ciò che vi colpisce è il cielo sereno. Non una nuvola all’orizzonte; strano, il meteo aveva previsto pioggia per quel giorno, e alcuni di voi sicuramente avranno buttato un’occhio alle previsioni, prima di organizzarsi per quel San Valentino… che i meteorologi si siano sbagliati? Possibile.

     
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    «sono un medico»
    Ma tu pensa. Studiò la figura della donna, soffermando lo sguardo sulla tutina aderente che aveva addosso in quel momento. Una divisa tutta particolare, la sua.
    Non che potesse veramente giudicare, visto cosa si stava trascinando dietro.
    «e ci si fanno molti nemici in campo medico, azrael?» così, per sapere. Continuava a credere molto poco nell’idea di essere finita lì per una semplice festicciola degli innamorati; lei, che non ricordava l’ultima volta in cui aveva provato un sincero interesse romantico nei confronti di una persona.
    «non siamo poi così differenti.» sempre, certo, secondo il suo onestissimo parere. Forse Azrael avrebbe avuto qualcosa da ridire sulla sua teoria. Ma a scanso di equivoci: «il tuo scopo è curare, e il mio – suppongo, sotto alcuni aspetti, ricada a metà.»
    Beh. Non aveva mai preteso di essere accettata come una persona particolarmente benevola, Cybil. Ma le persone che si affidavano alle sue pratiche avevano comunque necessità di qualcosa che le salvasse da un male. Uno che prendeva le forme più curiose: il lutto e la solitudine nei loro stadi più travolgenti, di solito. E la paura, spesso e volentieri – nei confronti di poltergeist e demoni che erano ritrovabili giusto nelle leggende metropolitane, ma donava ai suoi pazienti lo stesso livello di compassione indipendentemente da quale fosse la causa che li spingeva a cercarla. Una cura come un’altra.
    E per quel che concerneva il suo stato psicofisico – «non saprei.» Stese il palmo contro la coscia, e fece vagare di nuovo lo sguardo sullo spazio circostante. «mi sento stranamente fuori controllo.»
    Mantenne gli occhi fissi sulla finestra, cercando di dare un senso alla situazione. Non era solo la mancanza della magia a tenerla sulle spine; né, tantomeno, gli effetti apparentemente allucinogeni di ciò che le era stato somministrato. Poi le fece segno di alzarsi, una mano già tesa verso di lei così che potessero aiutarsi insieme a camminare fino al vetro. Tanto valeva dire a voce ciò che stava pensando, dall’inizio alla fine. «siamo ostaggi illesi, e nessuno ci è ancora venuto a cercare per… riscattare.» Cosa, non lo sapeva. Rivolse un’occhiata ad Azrael, messaggio silenzioso: se lei invece aveva qualche idea a riguardo, era il momento giusto per dirlo.
    Abbassò brevemente lo sguardo sul suo braccio, a quel punto; lì dove, nascosto dall’abito, c’era l’ematoma che aveva ispezionato poco prima. «non tutti i veleni agiscono subito, e quindi potrebbe trattarsi di qualcosa che ci sta uccidendo lentamente. Ma se così fosse, perché mai dovrebbero lasciarci morire senza prima avere qualcosa in cambio?»
    Non faceva una piega.
    «e non siamo sole, comunque.» di quello ne aveva avuto la certezza un po’ di tempo fa, ma non si era fatta troppe domande a riguardo.
    (voce ovattata in sottofondo, in un momento non specificato della mattinata: ABBIAMO FATTO SESSO??????%%%%%????
    cyb: none of my business.)
    Per motivi validi.
    E ne stava avendo un’altra, curiosa prova. Indicò nella direzione generale di una delle finestre; troppo lontana per notare del vero movimento, ma che ci fosse qualcosa dall’altro lato era indubbio. Qualcuno che lasciava messaggi, forse? Pensa te, che genio dell’intuizione.
    «credo abbiano lo stesso nostro… problema.»
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    «e ci si fanno molti nemici in campo medico, azrael?»
    «ah… no, in realtà pochissimi» si passò la mano libera dietro la nuca, costatando che stava sudando freddo «in realtà dal biglietto che ci hanno lasciato credo sia quella cosa strana che succede ogni anno a san valentino…» si, quella di cui le aveva raccontato neffi e che non vedeva l’ora di provare «non siamo poi così differenti.» la guardò curiosa «tu di cosa ti occupi? se posso chiedere» la osservò mentre compiva quei gesti nervosi e le diceva che si sentiva fuori controllo «deve essere la roba che ci hanno iniettato» iniziò a torturarsi le cuticole della mano libera mentre pensava e ripensava a cosa potesse esserci nelle loro vene in quel momento
    «siamo ostaggi illesi, e nessuno ci è ancora venuto a cercare per… riscattare.»
    scosse il capo «certo,se è ciò che penso ci staranno osservando e si staranno divertendo da matti, ma dubito ci abbiano avvelenate » almeno sperava?? a meno che non volessero sperimentare l’eutanasia di coppia come ultima spiaggia «credo abbiano lo stesso nostro… problema.» «ecco, immaginavo» la seguì ed osservò la gente alla finestra, poi guardò l’altra «dubito sappiano come uscire.» probabilmente erano bloccati lì, come loro «non trovi strano questo sole?» beh. erano in pieno inverno fino a prova contraria.
    E mi hanno detto che la vita è preziosa
    Io la indosso a testa alta sul collo
    La mia collana non ha perle di saggezza
    A me hanno dato le perline colorate
    Per le bimbe incasinate con i traumi
    Da snodare piano piano con l’età
    Eppure sto una pasqua guarda zero drammi
    Quasi quasi cambio di nuovo città
    Che a stare ferma a me mi viene
    A me mi viene
    La noia


    si affacciano entrambe alla finestra.
     
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    Gli indizi c’erano tutti: la stanchezza ingiustificata, la fame, il luogo in apparenza abbandonato e abbastanza appartato da non destare alcun sospetto, degli abiti non vostri e la sensazione a pizzicare sotto la pelle che fosse passato più tempo di qualche manciata di ore, dall’ultimo momento che ricordavate di essere coscienti.
    Perché è esattamente così.
    E la conferma è proprio lì sotto il vostro sguardo, stampata nero su bianco su quella pagina di Morsmordre che vi fissa di rimando; o sull’intestazione sbiadita di uno scontrino dimenticato; o ancora, su quella copia del Boccino d’Argento lasciata per errore sul comodino da qualcuno. Non sapete chi, dovrebbe importarvi, ma non abbastanza perché le vostre attenzioni sono tutte per quel numero che si prende, beffardo, gioco di voi.
    24 febbraio 2024.
    Potete dirlo ai vostri amici, urlarlo attraverso le pareti o continuare a scriverlo con il sangue sui vetri; la domanda è se qualcuno vi crederà, o no. A malapena riuscite a crederci voi.

     
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    Che sia perché state facendo la conoscenza gli uni degli altri, o perché siete intenti a scrivere col vostro sangue sul vetro, oppure perché state urlando attraverso le pareti per farvi sentire da chi, come voi, sembra finito in quell’incubo, non importa: siete tutti troppo impegnati, troppo distratti, per accorgervene in tempo. E chi di voi lo fa, arriva comunque troppo tardi.
    Ha l’aria innocua, un disco di metallo di dieci centimetri di diametro e non più di due di spessore, tre al massimo. Era nascosto: sotto il secchio, dietro la sedia, sotto al letto. Non importa nemmeno quello; perché quando sentite il click, e il successivo sibilio, capite subito che qualcosa non va. Qualcuno, i più reattivi – o quelli abituati alle situazioni estreme e complicate –, proverà a proteggere naso e bocca con rimedi di fortuna (le lenzuola, i cuscini, la stoffa degli abiti che indossano). Ma, ancora una volta, è troppo tardi. Non sapete cosa sia la sostanza gassosa rilasciata dal dischetto, ma la state respirando, e nonostante i vostri valorosi sforzi soccombete, chi prima e chi dopo, ai suoi effetti. Nulla di troppo terribile, chiunque vi abbia messo lì dentro non vuole uccidervi — o l’avrebbe già fatto. Vogliono solo rendervi innocui, disorientarvi ancora di più e confondere i vostri sensi. E, con i poteri inibiti, funziona su tutti, special compresi.
    Passa un minuto, poi due. Il gas ha smesso di fuoriuscire, e voi di tossire — o di ribellarvi inutilmente ai suoi effetti. Ed è in quel momento che la porta della stanza si apre, e vorreste tentare di approfittare di quell’occasione per fuggire ma lo stordimento ve lo impedisce, ed è facile per quelle persone (mercenari assoldati da qualcuno? Cacciatori inviati dal ministero? non sapreste dirlo) trascinarvi fuori dalla stanza, insieme a loro.

     
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