[oblinder '24] se morirò da giovane spero che sia dal ridere

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    Lotus Mirage Resort - room #010
    errorsound jirachi
    Lotus Mirage Resort, un hotel situato a Montrose, piccolo villaggio portuale magico sulla costa est della Scozia. L?edificio è su quattro piani (reception, hall, bagno, sala da pranzo ? all?occasione sala da ballo ? e cucine al piano terra; alcune stanze al primo piano, altre stanze e due suite al secondo; alloggi dello staff, magazzino e stanze di servizio al piano interrato) ed è inserito perfettamente nella conformità paesaggistica del luogo, con le pareti di pietra dai colori chiari, il tetto di tegole rosso mattone e il basso muro di cinta che accoglie gli ospiti, mettendo in mostra l?insegna (il nome dell?hotel con sul fondo un fiore di loto i cui petali si aprono e si chiudono).
    Durante i mesi di campionato, quando la squadra della città ? i Montrose Magpies ? gioca in casa, la struttura ospita tifosi arrivati da ogni parte della Scozia, e dei dintorni; il resto dell?anno, è principalmente meta dei turisti che scelgono di visitare il villaggio magico e le spiagge rocciose di quel lato della Scozia, una vista mozzafiato che la posizione privilegiata in cui è stato costruito il resort (in cima ad una collinetta che affaccia proprio sul mare) regala a tutti i villeggianti.
    Noia. Curiosità. Ricerca. Psycho shipping. Fascinazione.
    Potrebbero essere tante, forse addirittura troppe, le ragioni dietro il perché la notte del quattordici febbraio sia diventata, oramai, una notte speciale nel mondo magico; quali che siano i motivi che spingono persone, o gruppi di persone, a lanciarsi ogni anno nell?organizzazione più assurda per garantire la migliore riuscita dell?evento, comunque, non è importante. Il perché raramente lo è, infondo. Non cambia le conseguenze, e non rende più comprensibile l?incredibile ? e francamente inspiegabile ? clamore dietro una notte che, all?apparenza, dovrebbe essere una come tutte le altre.
    Il passaggio di testimone, da un anno all?altro, serve solo a sottolineare ancora di più l?imprevedibilità che San Valentino porta con sé; simulazioni, sopravvivenza, ricerca scientifica.
    Cosa succederà l?anno prossimo?
    È la domanda che si fanno tutti.
    Beh, quasi tutti.

    E poi, in uno schiocco di dita, l?anno prossimo è già qui ? e maghi e streghe e special e babbani (perché no, non c?è più alcun velo a separare i due mondi, dopotutto) di ogni età si trovano, loro malgrado, ad essere i più vicini a scoprire la risposta a quella domanda.
    Che lo abbiate desiderato per trecentosessantacinque giorni o meno, che l?abbiate temuto o agognato, che abbia occupato anche solo una minima parte dei vostri pensieri in questi dodici mesi oppure no, non importa: perché quest?anno il fato ? o chiunque sia a muovere i fili del destino al suo posto, a questo giro ? ha scelto proprio voi come vittime.
    Uhm, pardon: come fortunati vincitori della lotteria annuale.
    Una scelta probabilmente fatta a caso, il proverbiale bastoncino corto beccato per sbaglio, e contro la vostra volontà; o magari vi hanno tenuto d?occhio per tutto l?anno, prendo appunti e aggiungendo note e trascrizioni alla murder board tenuta in soggiorno; lo so, è una possibilità terrificante, non è vero? Essere controllati. Eppure, nessuno può escluderla.

    Qualsiasi sia la ragione, qualsiasi sia il prima, non ha importanza.
    In quella stanza di albergo, quest'anno ci siete voi, e non siete soli.
    E in quello stesso istante, nel momento in cui aprite gli occhi e prendete nota di ciò che vi circonda ? del materasso morbido e delle lenzuola delicate, o del pavimento fresco, o di quanto sia stranamente comoda la vasca? ?, quello è il momento in cui vi rendete anche conto di essere ammanettati a qualcuno. Proprio così: vere manette d'acciaio fredde al contatto con la pelle nuda del polso.
    E potrà sembrare assurdo, ma non è quella la cosa più strana di cui vi rendete conto; e ne prendete velocemente atto quando provate ad avvicinarvi alla porta della stanza, portandovi dietro la vostra anima gemella, e in un battito di ciglia siete di nuovo al centro, accanto al letto, o nel bagno. Potete riprovarci quante volte volete, e potete persino tentare con la finestra che da sul mare: non importa, quanti, o quali, tentativi facciate, non c?è via d?uscita, e perseverare non porterà a nulla ? solo ad un forte mal di testa. La magia che vi tiene lì, è chiaramente una magia più forte di quello che vi sareste aspettati. Ed è anche l'unica magia che funzioni: non ci mettete molto a capire che né le vostre bacchette, né i vostri poteri, sembrano funzionare.

    Quanto alla stanza... beh, è una banalissima stanza d?hotel. Niente di particolare salta all?occhio, se si esclude il fatto che non possiate uscire da lì, certo.
    C?è il numero per contattare la reception al piano terra e il menu per ordinare la colazione in camera, ma nessun dispositivo con cui mettersi davvero in contatto con l?esterno: non un telefono, né alcun oggetto incantato con cui comunicare; c'è una piccola toeletta disposta contro la parete, e una sedia; c'è il bagno (con la vasca, perché a quanto pare l'hotel, il resort, non si fa mancare nulla); c'è il letto, due comodini, alcune stanze hanno persino un balcone ? non che voi possiate uscirvi fuori, certo: vi dovrete accontentare di osservare il paesaggio da dietro i vetri delle finestre.
    E poi c?è un foglio.
    Sul letto, a terra, sulla toeletta, ovunque capiti.
    Poche parole, leggere sulla pergamena ma pesanti sulla coscienza. Cinque beffarde parole.
    Buon San Valentino, miei cari.


    //OFF: BENVENUTI AMICI AD UN NUOVO ED EMOZIONANTISSIMO OBLINDER!!
    Siete pronti?? SIETE KARIKI??? Mi auguro per voi (e per i pg) di sì!!
    Come avrete capito, siete in una stanza di hotel (dalla quale NON potete uscire) che alcuni potranno riconoscere magari dal logo sulle lenzuola o dal panorama esterno (se ci sono già stati). Cosa dovrete fare? BEH!! Ma ovvio: interagire con l vostra anima gemella. Non cercate un modo di uscire, sarebbe solo tempo perso: non c'è una via d'uscita SMACK
    Pensate piuttosto a fare una più approfondita conoscenza della persona con cui siete stati abbinati; il resto verrà da sé.
    XOXO
     
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    Cavolo sono: euforica.
    Grazie pallina per questa perla, è davvero il personaggio che mai, MAI!!, mi sarei immaginata di portare all’oblinder. C’è un che di terribile iconico nelle scelte di quest’anno, ma questa è la più bella. Lo giuro. KYLE!! E va bene, basta pandi, scrivi cose serie.

    Tipo.
    Quanto meno era già canon che a Kyle capitasse di svegliarsi in momenti random della giornata e di non sapere, almeno per i primi istanti, dove fosse; la novità era che quella sensazione di confusione e disorientamento persistesse anche dopo svariati minuti di veglia. Ora, Haeil, mente razionale quale era, sapeva dovesse esserci una spiegazione a tutto quello, così come sapeva di non aver assolutamente prenotato una stanza d’hotel, né di soffrire di sonnambulismo e aver fatto tutto quello senza rendersene conto. La sua ipotesi più accreditata era che qualcuno l’avesse costretto a farlo — ma non aveva assolutamente idea di come rispondere alla domanda più importante: chi.
    Dubitava fosse uno scherzo, voleva sperare che i suoi amici lo conoscessero meglio di così e non avessero davvero orchestrato tutto quello solo per averlo, privo di conoscenza e confuso, ammanettato a uno sconosciuto.
    (Do’ per scontato lo sia, Kyle conosce quattro persone in croce quindi le probabilità che non sappia chi è sono molto alte.)
    Detto questo, rimanevano ancora così tanti punti irrisolti nella questione che continuare a rimuginarci su, i pensieri a rincorrersi gli uni con gli altri senza arrivare a nulla, non avrebbe portato a nulla se non ad un grande mal di testa. Aveva una scaletta mentale su cosa fare, ovviamente:
    1. cercare l’uscita
    2. —
    Cercare l’uscita era la sua priorità. Nonché unico punto nella lista, esatto. Solitamente programmava e organizzava tutto nel dettaglio, ma quella aveva tanto l’aria di non essere una situazione come tutte le altre; non era un progetto che il ribelle potesse smontare in tanti piccoli pezzi e rimontarli poi nella maniera che avesse più senso. Qualcosa in tutto quello era profondamente sbagliato — e a sostegno di quella (sensazione) tesi c’era anche il fatto che la sua magia non funzionasse.
    Certo che aveva provato a castare un banale incantesimo sulle manette per farle sparire; figuriamoci se voleva davvero rimanere legato a quel qualcuno per anche solo un altro istante. Non c’era stato verso di far collaborare il catalizzatore però; morto, ridotto ad un ramoscello senza utilità. E dubitava che persino i suoi gadget tecnomagici avrebbero funzionato in quella circostanza.
    Era tutto: terribile.
    «puoi smetterla di fissarmi»
    (Non era una domanda.)
    Quella presenza ingombrante al suo fianco, poi, non rendeva le cose più facili.
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    ci divertiremo molto................... io di sicuro. sono al settimo cielo, nemmeno in quest ero così entusiasta
     
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    «puoi smetterla di fissarmi»
    Sorrise, a quel punto, tra l’imbarazzato e il mesto; e come favore a entrambi strinse gli occhi. Magari se si concentrava abbastanza riusciva a svegliarsi da quel sogno bizzarro.
    Quando li riaprì, lo sguardo a saettare ovunque tranne che sul ragazzo legato a lui, lo fece con la stessa apprensione di pochi attimi prima.
    «scusa.» Deglutì a secco, e spinse i denti contro il labbro inferiore, pregando ai battiti di rallentare quel minimo necessario da spingere via il panico crescente. «stavo cercando di capire se fossi intenzionato a uccidermi.»
    Che forse non era più una vera opzione, ma non si poteva davvero mai sapere del tutto. Non sembrava il tipo, d’altronde – eppure, chi gli diceva che non fosse una tattica? Un po’ come quando da bambino gli veniva ricordato di non accettare le caramelle dagli sconosciuti, e con tutta la perplessità del mondo lui si soffermava a pensare a quanto fosse sembrata gentile la vecchietta che aveva probabilmente provato a usarlo come agnello sacrificale.
    Beh, che dire. Stava proprio accadendo. Tagliato fuori da una spiegazione logica e dalla sua magia, in un luogo sconosciuto con una persona con la quale non aveva la benché minima confidenza. Bello. Fantastico. Meraviglioso.
    Sperava davvero l’altro fosse ben predisposto al ragionamento freddo, perché quella era una skill che anni di rigidi insegnamenti a Hogwarts non erano stati in grado di lasciargli. Un po’ troppo emotivo, Daniel, per essere spirito guida; se dopo la breve esperienza a fianco di Mitchell Winston aveva scelto di ritirarsi tra i libri, invece che proseguire a fianco del nuovo docente di Trasfigurazione, era stato proprio per quello. Sentiva già le iridi bruciare.
    Okay. Piccoli passi.
    «dani.» Che insomma, detto così. Schiarì la gola, e ci riprovò. «mi chiamo daniel.» Casomai non lo sapesse già. A quel punto gli pareva ovvio, però, che fossero entrambi nel buio più totale.
    «forse dovremmo–» e alzò una mano per gesticolare, prima di ritirarsi nelle spalle e trasalire. Perché ovviamente aveva scelto quella ammanettata a Kyle. «scusa x2.»
    Dicevamo. «forse dovremmo capire cosa– come uscire?»
    Grande conversatore. Appiattì le labbra in una linea retta, e attese l’insulto con nonchalance.
    Scarabocchi sui miei libri
    mi leggi tra le righe
    Non riesco più a gestirmi
    Io non so come si controllano le emozioni
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    «stavo cercando di capire se fossi intenzionato a uccidermi.»
    «non sono un assassino»
    sara’s voice: io cero in quest
    «non uccido le persone»
    tranne i mangiamorte
    «perché dovrei ucciderti?»
    Una domanda lecita, e del tutto priva di inflessione, quella che rivolse al ragazzo. «dovrei farlo?» ed erano in due a non essere grandi conversatori.
    Abbassò lo sguardo sul polso, cercando istintivamente il quadrante familiare dell’orologio che teneva sempre al polso. «uh.» non c’era. Che lo avesse dimenticato nella sua officina-slash-appartamento? Non lo esludeva: se ne separava raramente, ma certe volte i campi magi-magnetici dei suoi esperimenti ne sballavano i circuti e lui era stufo di doverlo resettare ogni volta, perciò aveva preso l’abitudine di toglierlo quando lavorava a qualcosa di potenzialmente fastidioso. Non ricordava se fosse quello il caso, o meno.
    Arricciò le labbra, perso nei suoi pensieri, e se non fosse stato per il braccio sollevato dall’altro, i loro polsi ancora legati dalle manette d’acciaio, avrebbe persino continuato ad ignorare la sua presenza nella stanza; non per cattiveria, ma per la scarsa abitudine (e propensione) di Kyle a interagire con gli altri essere umani.
    «hai una forcina? qualcosa per forzare la serratura,» delle manette, ma volendo anche della porta: dubitava che, avvicinandosi, l’avrebbero trovata aperta. «la magia non funziona.» e lo disse con il tono di stava sottolineando l’ovvio, senza dare a dani alcun beneficio del dubbio.
    «forse dovremmo capire cosa– come uscire?»
    «che giorno è? il tredici? il quattordici?» Kyle non era proprio la persona più affidabile quando si trattava di tenere il conto dei giorni che passavano; dimenticava di pranzare o cenare, alle volte persino di dormire, figuriamoci se tenesse a mente i giorni della settimana che si ripetevano tutti uguali uno dopo l’altro, settimana dopo settimana. Poteva essere ancora gennaio, o già direttamente marzo, per quel che ne sapeva lui. Era strano il tempo, per Haeil.
    A quel proposito.
    «haeil,» si presentò, troppo distratto dalla finestra che dava sul mare per guardare dani mentre facevano la conoscenza uno dell’altro. Gli indicò lo scorcio di scogliera che si intravedeva attraverso i vetri. «riconosci il posto?» lui no, ma c’era anche da dire che non avesse girato molto dell’inghilterra e dintorni per poter riconoscerne le coste, o i resort per quel che valeva.
    Per un attimo pensò che forse c'entravano i Mangiamorte, che lo avessero beccato e in qualche modo tramortito e rapito senza che avesse avuto tempo di reagire, ma Dani non era un ribelle, e sarebbe stato troppo casuale e randomico per lui finire con un civile qualsiasi. Sicuramente c’era un’altra spiegazione.
    Una che, per quanto lo infastidisse, Kyle non aveva.
    Non ancora.
    «ricordi qualcosa di anomalo, avvenuta nei giorni scorsi?» gli chiese di punto in bianco, osservandolo solo per un attimo, prima di riportare lo sguardo sulla porta. «possiamo provare con quella, ma non siamo preparati ad affrontare eventuali ostacoli ad attenderci lì fuori.» un dato di fatto, quello lì: cosa avrebbero fatto, preso a cuscinate i loro carcerieri? «dobbiamo capire prima di tutto dove siamo, e perché. E possibilmente liberarci di queste,» aggiunse un istante dopo, indicando il polso ammanettato, «questo è un hotel,» capitan ovvio all'opera, «magari non siamo soli.» un'idea si stava formando nella sua mente, ma prima di urlare a squarciagola per farsi sentire da eventuali altri ospiti nelle stanze accanto, voleva essere certo ci fosse qualcuno.
    «proviamo ad origliare? In bagno dovrebbe esserci un bicchiere» metodo infallibile, consigliato cento percento.
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    Chi più, chi meno, sembrate riprendervi tutti dopo il primo momento di confusione e disagio. Ma è realmente così? Solo il tempo potrà dirlo, cari amici. Di sicuro, c’è che quella sensazione di smarrimento sembra essersi appiccicata alla vostra pelle; avete dato un nome (forse) al posto dove siete, ma non ancora una motivazione sufficientemente credibile per spiegare il perché. Beh, quello è ovvio, amici: è San Valentino. E se non sapete dell’oblinder, chiaramente non avete amici nei posti giusti, perché è l’evento più atteso delle stagione da anni. Ed è anche altrettanto chiaro che non leggete i miei articoli, tsk.
    Non è quindi del motivo che dovreste preoccuparvi, ma piuttosto delle condizioni in cui ci siete arrivati. Lo stomaco a gorgogliare prepotente nei momenti di silenzio indica forse una cena troppo leggera la scorsa sera? Non sapete dirlo, in effetti non ricordate di preciso qual’è stata l’ultima cosa commestibile che avete mandato giù. Brutto segno? Forse no, mi dispiace solo non ci sia un banchetto ricco ad attendervi nelle stanze: per il momento dovrete combattere contro la fame e la sete, e contro lo stordimento, alla vecchia maniera: arrangiandovi.
    Niente rimedi estremi, capito? Non siamo la società della neve, qui.
    Ma… hey, sì dico a te, non sei un po’ troppo giovane per avere quegli ematomi nell'incavo del braccio? Sembra quasi il segno di ... ah, magari qualcuno di voi saprà riconoscerlo. Ago.
    Uh, uh, amico… la droga non è mai la risposta.
    (Unless.)

     
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    «perché dovrei ucciderti?»
    Aprì la bocca, lo sguardo perso su di un punto imprecisato della stanza. D’istinto quasi gli venne da chiedere perché non avrebbe dovuto farlo, ma decise saggiamente di rimanere in silenzio. Non era il caso di spingere le sue paranoie su di uno sconosciuto che non voleva essere lì tanto quanto lui; si sorprese da solo, piuttosto, quando la domanda successiva gli provocò una risata. Poco più di uno sbuffo, perché i nervi tesi non erano in grado di concedergli troppo, ma nascose comunque il volto dietro al palmo.
    «perché, hm.» con la coda dell’occhio seguì i movimenti del ragazzo – e si chiese se fosse un gesto nervoso, quello. Se non altro, il momento di distrazione gli diede il coraggio per continuare la sua breve riflessione. Un po’ patetica, ma nulla di nuovo. «sai, no, come nei film. Il primo a morire è quello meno utile.»
    Vero, reale. Facile credere che si stesse piangendo addosso, ma una volta ogni tanto si concedeva anche di essere puramente onesto con se stesso. Non aveva mai avuto tanto, Daniel, al di là dei sani principi tramandati dai genitori; una costante spinta verso lo studio, che però si era tradotta unicamente nel successo accademico e non in quello militare. Cosa che lo poneva a un chiaro svantaggio nel mondo in cui viveva. Tante conoscenze di livello teorico che divenivano inutili in contesti dove era necessario agire. Tipo quello.
    E infatti: «no.» Passò una mano tra i capelli, cercando tra le ciocche qualcosa che sapeva già di non poter trovare. Fece anche un tentativo con le tasche, spingendo via l’inquietudine. Non avvertire la sagoma familiare della bacchetta enfatizzò quella sensazione di vuoto che la mancanza di magia gli stava inconsciamente provocando, e non per la prima volta si ritrovò a riflettere sulle implicazioni. Era così che ci si sentiva a essere… modificati in un laboratorio? O era più qualcosa di travolgente, un’improvvisa crescita di potere – insidioso e alieno, simile al veleno? Domande scomode che non aveva mai provato a rivolgere a qualcuno. Troppo morboso, come interesse; e non era certo di quale sarebbe stata la sua reazione nel sentire una risposta.
    «haeil»
    «hm?» schiacciò la lingua contro il palato, e stavolta lo guardò davvero. Oh. «sei coreano.»
    Un dettaglio che significava più di quanto Haeil potesse immaginare. Sentì qualcosa in lui sbloccarsi, automatico. Non la migliore delle cose, perché non si conoscevano abbastanza da potersi fidare, ma era il suo difetto di fabbrica. Il fatto che fosse chiaramente più pronto a navigare un evento simile non aiutava Daniel a mantenere un distacco mentale; al suo nucleo era ancora un bambino, confortato dalla presenza di un adulto vero che prendeva le redini.
    «riconosci il posto?»
    Si guardò meglio attorno, allora; e sospirò, sollevato al pensiero di poter essere utile in qualcosa. Finalmente. JANE SEI ORGOGLIOSA????&&& «non ci sono mai stato, ma ne ho sentito parlare.»
    Premette un palmo contro le coperte, stendendo coi polpastrelli il logo così che potesse studiarlo meglio anche Haeil. «è un resort scozzese. …e non saprei dire dove ci troviamo esattamente.»
    Eh, il Quidditch non aveva mai fatto per lui.
    «so solo che c’è una squadra locale. montrose?»
    Premette un’unghia contro le cuciture, poi girò la mano così da poterle sfiorare col dorso, sovrappensiero. E fu allora che s’irrigidì; c’era il principio di un livido a sbucare da sotto alla manica della sua felpa. Aggrottò la fronte, e col cuore in gola scostò ulteriormente il tessuto – Haeil e i bicchieri momentaneamente dimenticati.
    «ce lo hai anche tu?»
    La voce resa piccola da un terrore che aveva poco a che vedere con la situazione. Non passi anni della tua vita a guardare il tuo migliore amico divenire lo spettro di se stesso senza sviluppare un qualche tipo di fobia per gli aghi, dopotutto.
    Ricordò improvvisamente ciò che gli aveva chiesto Haeil poco prima; il giorno. Era certo fosse martedì, l’ultima volta in cui era stato libero da quelle manette. Il sole che filtrava nella stanza gli suggeriva fosse passata almeno una notte, ma non potevano essere stati fuori dai giochi per troppo tempo. Logicamente, si sarebbe dovuto sentire molto più debole.
    «ogni anno c’è questo… evento.» sentì le guance avvampare, ma cercò di farci poco caso. Imbarazzo, vecchio amico. «per san valentino.»
    Il problema, ovvio, stava nel fatto che lui non avesse mai partecipato prima. Non conosceva le modalità. Più il genere di persona che subentrava in qualità di spettatore passivo, e che ne leggeva i risultati sulle pagine patinate di Polgy Girl. «ma perché arrivare a certi estremi per una cosa simile?»
    Non osò guardare Haeil, perché insomma. Eh. Se erano lì per quel motivo aveva bisogno di qualche minuto per rifletterci sopra.
    Anche perché. «non ricordo di essermi mai proposto.»
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    «sai, no, come nei film. Il primo a morire è quello meno utile.»
    Apprezzava molto i tentativi del ragazzo di fare conversazione (no, non è vero, a malapena stava ascoltando quello che diceva) ma il punto non era quello. E lo sguardo privo di alcuna emozione che posò su di lui, prima di aprire bocca, la diceva lunga sui sentimenti del Kang riguardo quell’affermazione. «se sei inutile, ti lascerò indietro.» Difficile capire se era uno scherzo (no) o se l’avrebbe fatto davvero (sì), e non avrebbe giudicato se Dani si fosse fatto una mezza risatina al tono involontariamente comico, nella sua serietà, credendola una battuta.
    Aveva sacrificato compagni ribelli, in missioni molto più pericolose: persone con cui aveva servito, e che per necessità aveva lasciato indietro quando non era stato più possibile, per loro, continuare. Era un soldato, ma ancora di più era una persona pragmatica, e se si rendeva conto che non ci fosse alcuna speranza per qualcuno, preferiva sacrificarlo o lasciarlo indietro — sarebbe tornato a prenderlo una volta messo in sicurezza tutto il resto. Forse.
    (Iniziava male, nel non avere una forcina. Ma neppure Kyle ce l’aveva, quindi si sentiva abbastanza magnanimo da perdonarlo.)
    Non tollerava granché l’inutilità, il Kang.
    Strinse le labbra fra loro, studiando la figura esile e la posizione curva delle spalle di Dani, decidendo che, perlomeno, era onesto: sembrava non credere granché nel proprio potenziale, o nelle sue capacità. Senza magia, poi, Kyle immaginava fosse ancora meno utile. A quel proposito, gli sembrava strano gli avessero permesso di tenersi le bacchette, ma evidentemente i rapitori erano molto sicuri sulla tenuta degli incantesimi (o della tecnologia?! Kyle era: incuriosito) che avevano messo fuori uso la loro magia. Thinkin.
    In effetti, stava pensando ad un sacco di cose diverse, in quel momento, il Kang. E poche riguardavano Dani. Aveva già dimenticato di avergli fatto delle domande, o di essersi presentato. Smise di osservare il panorama oltre la finestra, e si voltò a guardare il minore. In effetti, sembrava uscito da scuola l’anno prima, o poco più. «sì, nato e cresciuto a seoul» avrebbe evitato di dire che la sua famiglia risiedeva in uno dei quartieri benestanti della città, o che suo padre era a capo di un’impresa che fatturava milioni — quelli non erano comunque soldi suoi. Lo guardò più intensamente per un attimo, e poi aggiunse (come il disagiato sociale che era, borderline sociopatico) «non darò per scontato lo sia anche tu» che voleva essere anche un modo per fargli capire che non avrebbe indagato oltre, e che qualsiasi cosa Dani avesse scelto di condividere con lui, Kyle l’avrebbe accettata come un’informazione da immagazzinare in un fascicolo virtuale che esisteva solo nella sua testa, e niente di più.
    Ascoltò invece, con più interesse, tutto quello che Dani aveva da dire sul luogo in cui si trovavano — poco, ma ad ogni modo più di quanto avesse da aggiungere Kyle, che come unico contribuito riuscì ad uscirsene con un «ah, sì, le gazze ladre di montrose» per sua sfortuna aveva avuto il piacere di passare più di qualche turno in compagnia di Peetzah, al qg, e quell’uomo non parlava d’altro se non del quidditch.
    (Erano stati turni imabarazzanti e fatti principalmente di silenzi da parte di Kyle.)
    «quindi siamo a montrose. o da qualche parte lì intorno.» annotò mentalmente quella nozione, riflettendo. «posto peculiare, un resort, per tenere degli ostaggi, non trovi?»
    «ce lo hai anche tu?»
    Di solito non apprezzava chi rispondeva ad una domanda con un’altra domanda, ma fece comunque il favore di spostare lo sguardo scuro su Dani, per osservare la cosa così importante che aveva attirato la sua attenzione al punto da non farlo rispondere. E quello che vide, non gli piacque. Ebbe per un attimo l’istinto di informarlo che i suoi svaghi ricreativi non interessavano l’inventore, ma si trattenne nel notare l’espressione di puro terrore dipingersi sui lineamenti asiatici del ragazzo.
    E, per pura curiosità scientifica, pur sapendo (nel bene o nel male) la risposta, alzò la manica, e non si stupì di trovare dei segni simili, seppur meno accentuati, nell’incavo del proprio gomito. «a quanto pare.» e quindi, ecco spiegato come erano riusciti a trasportarlo fin lì senza che se ne rendesse conto: lo avevano drogato. Non ne era particolarmente felice. «come ti senti?» lui immaginava che… avrebbe dovuto sentirsi più stanco? Più confuso? Non che non lo fosse, certo, ma le opzioni erano diverse: o il suo fisico aveva un’incredibile resistenza alle sostanze narcotiche, oppure avevano usato un dosaggio abbastanza alto da tenerlo addormentato il tempo necessario ma non troppo da essere rincoglionito al risveglio, oppure la droga aveva smesso di essere in circolo da diverso tempo — in quel caso, da quanto, di preciso, erano lì?
    Nessuna di quelle ipotesi gli piaceva.
    «ogni anno c’è questo… evento. per san valentino.»
    «uh?»
    «ma perché arrivare a certi estremi per una cosa simile?»
    Non ne aveva mai sentito parlare. E la cosa stupiva assolutamente nessuno.
    Ma si trovava d'accordo con Dani sul resto: erano maniere un po' troppo estreme, quelle. «non credo che l’iscrizione fosse uno dei requisiti fondamentali» affermò con una calma che avrebbe potuto mettere i brividi, o rasserenare l’animo: la stava prendendo particolarmente bene, come notizia.
    O, più probabile, non sentiva nulla.
    «quindi pensi sia il quattordici.» e che quello fosse un evento per un giorno che non aveva alcun peso specifico nell’esistenza di Haeil, ok. Annuì, poco convinto: era comunque una spiegazione più plausibile dell’esser stato rapito perché ribelle. «mh, e cosa succede solitamente durante questo evento?» chiese, nella speranza di mette altre informazioni nelle giuste colonne di pro e contro, e tracciare un quadro completo della situazione.
    Per il momento, fame e stanchezza e segni di punture d’ago sul braccio a parte, non sembravano essere in pericolo di vita: avevano tempo per fare brainstorming e capire cosa stesse succedendo.
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    Forse l’adrenalina inizia a fare effetto, scuotendo membra evidentemente provate, perché dopo il livido sul braccio, vi rendete conto di qualcos’altro. Qualcosa a cui prima, troppo presi dalla sorpresa dell’insieme – svegliarsi in un posto che non conoscete, senza magia, ed ammanettati a qualcuno – non avevate fatte caso.
    Abbassate lo sguardo sui vostri vestiti. Alcuni sono troppo grandi per voi, o troppo piccoli. Taglie sbagliate, forme che mai avreste pensato di indossare. Sembrano pescati casualmente, come se qualcuno avesse afferrato gli abiti abbandonati nell’hotel, e ve li avesse messi addosso.
    Profumano di bucato, però. Almeno quello. Una cosa è sicura: non sono i vostri.

     
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    Cercando di uscire dalla stanza, vi rendete conto di tre cose: primo, non sentite alcun passo provenire dal corridoio, segno che nessuno stia facendo la ronda all'esterno della camera; secondo, riuscite a percepire, seppur distanti, i mormorii indistinti di vittime come voi - vicini, altri più lontani, ma forse potreste fare qualcosa in merito; terzo, e questa è la parte in cui vi viene la pelle d'oca, spiando dalla finestra notate che…non ci sia nessuno. È bassa stagione, certo, ma siete in un hotel, e perlomeno il personale e la manutenzione dovrebbero passare ogni tanto. Qualcuno nelle altre stanze, magari lo notate pure; hanno le manette come voi, però. Dove sono tutti gli altri? Questo gioco, non è più divertente.

     
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    «se sei inutile, ti lascerò indietro.»
    Greve ma onesto. Non era necessariamente una posizione che condivideva, Daniel, ma non sollevò alcun tipo di punto a riguardo; si rendeva conto che fosse lui nel torto, in ogni caso. Le sue erano tendenze dettate da sentimentalismi che nel grande schema delle cose erano inutili. Lo sapeva, tanto quanto sapeva che la sua mancanza di una vera e propria reazione a quelle semplici parole non faceva che andare a suo sfavore. Avrebbe dovuto offendersi, allargare le spalle e dimostrare il contrario; e invece abbassò lo sguardo, il capo inclinato. Preferiva di gran lunga quella versione degli eventi, semmai fossero giunti al punto di dover prendere una decisione: tra il sacrificarsi per gli altri, indipendentemente da quale fosse il livello di conoscenza reciproca, e l’essere quello che gettava via la mano, avrebbe sempre scelto la prima opzione. E se in quel momento non decise di accasciarsi in un angolo e attendere inerme il suo destino fu solamente perché spinto dal desiderio di rendere a Haeil, nel suo piccolo, il lavoro più facile.
    «sì, nato e cresciuto a seoul» e fu quello a riattirare la sua attenzione. Premette le labbra in una linea retta, e annuì. «non darò per scontato lo sia anche tu»
    «no.» la sua, di famiglia, era più il genere da vedere Seoul nelle occasioni speciali. Non così di basso rango da non potersi permettere un pezzo di pane, ma semplici; due stipendi in grado di sostenere tre figli con pretese minime, e poco più. «gwangju» e lasciò che la naturale inflessione del dialetto uscisse fuori. Qualcosa che quasi dieci anni di vita lontana dal suo posto di origine non erano riusciti a scardinare. «fino agli undici anni, poi i miei si sono trasferiti per lavoro.»
    Si limitò a quello, perché non era certo che a Haeil potesse fregare qualcosa di quelle che erano state le sue esperienze di vita prima del loro incontro. Di certo non aveva bisogno di sentirsi dire da uno sconosciuto che era felice che fossero lì insieme, o il perché: quando era arrivato in Inghilterra, spaurito e timido, la presenza di Blaise era stata salvifica. Daniel parlava un inglese maccheronico e Blaise non conosceva parole in coreano che non fossero le più basilari forme di conversazione, ma gli era bastato un ciao privo di pretese. La famiglia Han aveva ben poco in comune con quella degli Shin, ma quel poco che preservavano della loro cultura era stata una coperta confortevole sulla sua testa.
    Non era poi così differente, quella situazione.
    Almeno finché non aveva scoperto di essere stato drogato chissà quando, e il mondo era tornato a girargli al contrario. Prevedibile.
    «come ti senti?»
    Quella era una bella domanda. Ingoiò aria, e ci rifletté sopra. Si sentiva stranamente… bene. Intorpidito, ma poteva benissimo essere l’effetto del lungo riposo che aveva fatto. «non ho molta familiarità con queste cose» oltre lo stretto necessario che si era imposto di scoprire per assicurarsi che Blaise sopravvivesse alla giornata nei suoi periodi meno felici, ma quello era un dettaglio inutile. Non l’aveva mai provato sulla sua pelle; di certo non si trattava del genere di attività che lo interessavano particolarmente. L’esatto contrario, a dirla tutta. «ma non avverto alcun tipo di – beh, controeffetto. Il che è strano.»
    Arricciò le labbra. «il mio corpo dovrebbe voler espellere le tossine.» in modi che, e di questo ne aveva la certezza, non rifletteva il suo stato fisico. Poteva trattarsi di una reazione naturale del suo organismo; di nuovo, non aveva mai avuto modo di testarlo. La sua era una teoria azzardata.
    Certo, poi gli cadde lo sguardo sullo specchio della toeletta e dovette sopprimere un urlo, ma tutto ok. Lo vedeva solo lui? Era un gioco della fucking luce?
    Spinse i polpastrelli contro il fiocco attaccato al collo, e spalancò gli occhi. Decisamente niente allucinazioni. O Haeil era una persona difficile da scuotere, o era stato abbastanza gentile da non fargli domande sul suo cosplay accidentale. E sapete cosa.
    Giunti a quel punto, decise che se poteva ignorarlo Haeil, poteva farlo anche lui. Non vedo non sento.
    «mh, e cosa succede solitamente durante questo evento?»
    Eh, però. Quasi non si soffocò con la sua stessa saliva, impossibilmente più rosso in volto.
    «beh, diciamo che.» ondulò la mano libera in aria, pregando silenziosamente affinché le parole gli venissero incontro. «le persone partecipano a questi… appuntamenti?»
    Dai. Unione telepatica. Si voltò di scatto verso di lui, poi, la mano ancora alzata in segno di resa e un sorriso sbieco appiccicato alla faccia. «ma sono certo sia solo una coincidenza!» e non era certo di chi stesse cercando di convincere, ma insomma. «è l’unica cosa che mi viene in mente, però.»
    Non era abbastanza importante da poter giustificare un rapimento. Chi mai avrebbe voluto qualcosa da lui? L’unico evento strano che era capitato nella sua vita non era neanche del tutto certo che fosse accaduto veramente. Il resto, lo aveva vissuto passivamente; nulla che lo riguardasse in prima persona.
    «a meno che» e aggrottò la fronte, un’unica altra spiegazione a balenargli nella mente. Poi scosse la testa, lo sguardo nuovamente fisso sulle scarpe. «ma no, è passato troppo tempo.»
    Scarabocchi sui miei libri
    mi leggi tra le righe
    Non riesco più a gestirmi
    Io non so come si controllano le emozioni
    Perciò delle volte ho fatto un po' il coglione


     
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    Sempre più dettagli vengono alla luce, ora che la situazione pare prendere una forma; sapere che non siete soli, in quella follia, forse aiuta a rendervi più lucidi. Ed è proprio in questo modo che vi rendete conto di un’altra cosa molto strana: c’è il sole, fuori dalla finestra. È alto, ad occhio e croce mezzogiorno deve essere passato da qualche ora — ma ciò che vi colpisce è il cielo sereno. Non una nuvola all’orizzonte; strano, il meteo aveva previsto pioggia per quel giorno, e alcuni di voi sicuramente avranno buttato un’occhio alle previsioni, prima di organizzarsi per quel San Valentino… che i meteorologi si siano sbagliati? Possibile.

     
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    kang hae-il (kyle) | errorsound
    In un'altra vita, Kyle avrebbe saputo come intrattenere una conversazione e far sentire Dani meno a disagio; in un'altra vita, si sarebbe interessato alle sue origini, pur provenendo da due città diverse, e avrebbe fatto domande, indagando magari sul tipo di lavoro dei genitori, come si fosse trovato in Inghilterra, e cosa avesse fatto dagli undici anni poi; in un'altra vita, avrebbe condiviso le sue più recenti esperienze in occidente, e le motivazioni che avevano portato lui dall'altra parte del mondo; magari, in un'altra vita, TikTok tutte quelle cose le aveva chieste — quelle, e di più. Seduto sulle gambe dei suoi genitori, o su quelle di uno zio di cui al momento non aveva memoria, aveva fatto domande e ascoltato risposte e poi fatto altre domande. Perché c'era stato un tempo, troppo lontano affinché Haeil potesse ricordarlo, in cui conoscere le persone gli era piaciuto; l'aveva trovato divertente, interessante perfino.
    E invece ora i suoi unici interessi ruotavano quasi esclusivamente intorno a due topic principali: magia e tecnologia, spesso mischiate in un unico calderone per tirarne fuori qualcosa di nuovo; e Dani non aveva l'aria di chi, né Corea o né Inghilterra, avesse dato una possibilità allo studio della tecnomagia, sembrava più... uno che preferisse le materie umanistiche, ecco, a quelle scientifiche. Non sapeva dire perché, Kyle, ma aveva quell'impressione. Perciò c'erano poche cose, temeva, che i due potessero avere in comune — le loro interazione erano destinate alla fugacità di un breve attimo condiviso più per sbaglio, che per interesse.
    «il mio corpo dovrebbe voler espellere le tossine.»
    Ci pensò su un attimo, ignorando parecchi dettagli che non arrivavano a preoccupare abbastanza il coreano, nonostante avrebbero dovuto: il fatto che Dani fosse vestito da paladino della giustizia con una gonnellina rossa e un fiocco ingombrante al centro del petto, non lo scalfì — chi era lui per giudicare?
    (Uno con troppa poca curiosità per quel genere di cose, ecco chi.)
    La conclusione ai suoi pensieri arrivò con un istante di ritardo, ma nella sua semplicità aveva così tanto senso che Kyle quasi si rimproverò da solo per non esserci arrivato subito. «probabilmente non c'è niente da espellere, non è detto che abbiano iniettato una droga.» l'aveva dato per scontato, in un primo momento, ma le possibilità erano infinite in quei tempi bui fatti di scienze incomprensibili ed esperimenti folli. «potrebbe essersi trattato di una semplice sedativo per rendere più facile il trasporto, o di qualche inibitore per la magia.» strinse le labbra, si corresse. «magari entrambe le cose.» non sapeva se ci fosse stato anche altro all’interno della soluzione (come qualcosa in grado di stordire più a lungo di qualche ora — non era il tipo da interessarsi al meteo per rendersi conto se fosse o meno il giorno esatto, e abbiamo già detto come lo scorrere del tempo per lui fosse soggettivo). «all'inizio credevo fossero degli incantesimi ad impedirci di usare la magia,» i suoi erano pensieri ad alta voce che avrebbero dovuto aiutarlo a formulare un'ipotesi quanto più solida (e, sperava, corretta); che fossero rivolti anche a Dani, o meno, erano dettagli minimi a cui Kyle non diede peso. «ma ora sono sicuro non sia così,» aveva passato abbastanza tempo a studiare e smontare la magia pezzo per pezzo, per spiegarne quanti più lati possibili, da esser diventato in un certo modo familiare con il ronzio appena percettibile che la traccia magica lasciava dietro di sé; se si concentrava il giusto, avrebbe quasi potuto sentirlo riecheggiare nella stanza, come il rumore statico di una televisione lasciata accesa su un canale non sintonizzato.
    Voleva testare la sua nuova teoria.
    Ma prima gli sembrava quantomeno educato far finire a Dani la sua spiegazione, dopotutto era stato lui stesso a chiedere. «e quale è lo scopo dell'evento?» dubitava che costringere due (o più, immaginava — vivevano nel ventunesimo secolo infondo) persone ad un appuntamento al buio non fosse un'azione a sé, ma che avesse un fine, uno scopo, appunto. Studiarli? Vedere le interazioni tra due esseri umani in situazioni al limite dell'assurdo? A Kyle sfuggiva il senso (o la nota di divertimento) di un'attività simile, ma ancora: era Haeil, non funzionava esattamente come chiunque altro. «Vogliono studiarci?» quello avrebbe potuto capirlo, sebbene non condividesse la scelta: a lui avevano da sempre affascinato di più le cose non umane, piuttosto che le persone stesse, ma era un uomo di scienza e aveva passato così tanti anni a studiare per cercare di capire che non poteva giudicare chi facesse altrettanto, nonostante argomenti di studio alquanto discutibili. Troppo volubili, le persone; troppo instabili per formulare teorie e pensieri che fossero validi — quello dello strizzacervelli non sarebbe mai stato il suo mestiere.
    «ci stanno osservando per portare avanti uno studio antropologico e formulare previsioni, cercando di ipotizzare entro quando ci estingueremo, incapaci di portare avanti la razza umana?» e sapete cosa? Lo domandò con un'aria così seria che nessuno avrebbe potuto pensare non lo fosse davvero: credeva davvero tanto in quello che diceva, Kyle.
    Ad ogni modo, la teoria.
    «dani,» evitò di toccarlo perché figuriamoci se avesse volontariamente allungato le mani verso un altro essere umano, mi dispiace amici del fantaoblinder, ma richiamò comunque l’attenzione del minore schiarendosi la voce, «ho una teoria. ti va di testarla?» che, detto con il tono basso e a quella distanza ravvicinata poteva quasi suonare inquietantemente personale come domanda.
    Ma era Kyle: non era come tutti gli altri, bla bla bla. Non ci aveva nemmeno lontanamente pensato ai vari risvolti di una proposta simile.
    «non è nulla di pericoloso, né di incomodo» E l’avrebbe fatto lo stesso, ma sperava di non doversi trascinare il marinaio intergalattico per la stanza, sarebbe stato (faticoso, e non era fatto per il lavoro faticoso lui) (ah, joke's on him) di cattivo gusto.
    Si alzò lentamente, dando il tempo a Dani di fare altrettanto o di rifiutarsi, anche se, onestamente, non lo faceva il tipo.«vorrei provare con la finestra, o con la porta.» e se le sue ipotesi erano giuste, non si sarebbe aperta nessuna delle due — ma forse avrebbe sentito il pulsare sordo della magia accentuarsi, e le scariche di energia statica pizzicare la pelle in una maniera che fosse stata familiare. ci contava.
    Era anche ora che iniziassero ad esplorare un po'.
    Chissà Dani cosa pensa che voglia fare, mh.
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    Gli indizi c’erano tutti: la stanchezza ingiustificata, la fame, il luogo in apparenza abbandonato e abbastanza appartato da non destare alcun sospetto, degli abiti non vostri e la sensazione a pizzicare sotto la pelle che fosse passato più tempo di qualche manciata di ore, dall’ultimo momento che ricordavate di essere coscienti.
    Perché è esattamente così.
    E la conferma è proprio lì sotto il vostro sguardo, stampata nero su bianco su quella pagina di Morsmordre che vi fissa di rimando; o sull’intestazione sbiadita di uno scontrino dimenticato; o ancora, su quella copia del Boccino d’Argento lasciata per errore sul comodino da qualcuno. Non sapete chi, dovrebbe importarvi, ma non abbastanza perché le vostre attenzioni sono tutte per quel numero che si prende, beffardo, gioco di voi.
    24 febbraio 2024.
    Potete dirlo ai vostri amici, urlarlo attraverso le pareti o continuare a scriverlo con il sangue sui vetri; la domanda è se qualcuno vi crederà, o no. A malapena riuscite a crederci voi.

     
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    Che sia perché state facendo la conoscenza gli uni degli altri, o perché siete intenti a scrivere col vostro sangue sul vetro, oppure perché state urlando attraverso le pareti per farvi sentire da chi, come voi, sembra finito in quell’incubo, non importa: siete tutti troppo impegnati, troppo distratti, per accorgervene in tempo. E chi di voi lo fa, arriva comunque troppo tardi.
    Ha l’aria innocua, un disco di metallo di dieci centimetri di diametro e non più di due di spessore, tre al massimo. Era nascosto: sotto il secchio, dietro la sedia, sotto al letto. Non importa nemmeno quello; perché quando sentite il click, e il successivo sibilio, capite subito che qualcosa non va. Qualcuno, i più reattivi – o quelli abituati alle situazioni estreme e complicate –, proverà a proteggere naso e bocca con rimedi di fortuna (le lenzuola, i cuscini, la stoffa degli abiti che indossano). Ma, ancora una volta, è troppo tardi. Non sapete cosa sia la sostanza gassosa rilasciata dal dischetto, ma la state respirando, e nonostante i vostri valorosi sforzi soccombete, chi prima e chi dopo, ai suoi effetti. Nulla di troppo terribile, chiunque vi abbia messo lì dentro non vuole uccidervi — o l’avrebbe già fatto. Vogliono solo rendervi innocui, disorientarvi ancora di più e confondere i vostri sensi. E, con i poteri inibiti, funziona su tutti, special compresi.
    Passa un minuto, poi due. Il gas ha smesso di fuoriuscire, e voi di tossire — o di ribellarvi inutilmente ai suoi effetti. Ed è in quel momento che la porta della stanza si apre, e vorreste tentare di approfittare di quell’occasione per fuggire ma lo stordimento ve lo impedisce, ed è facile per quelle persone (mercenari assoldati da qualcuno? Cacciatori inviati dal ministero? non sapreste dirlo) trascinarvi fuori dalla stanza, insieme a loro.

     
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