[oblinder '24] in giro è tutto un manicomio, io sono la più pazza

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    Lotus Mirage Resort - room #007
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    Lotus Mirage Resort, un hotel situato a Montrose, piccolo villaggio portuale magico sulla costa est della Scozia. L?edificio è su quattro piani (reception, hall, bagno, sala da pranzo ? all?occasione sala da ballo ? e cucine al piano terra; alcune stanze al primo piano, altre stanze e due suite al secondo; alloggi dello staff, magazzino e stanze di servizio al piano interrato) ed è inserito perfettamente nella conformità paesaggistica del luogo, con le pareti di pietra dai colori chiari, il tetto di tegole rosso mattone e il basso muro di cinta che accoglie gli ospiti, mettendo in mostra l?insegna (il nome dell?hotel con sul fondo un fiore di loto i cui petali si aprono e si chiudono).
    Durante i mesi di campionato, quando la squadra della città ? i Montrose Magpies ? gioca in casa, la struttura ospita tifosi arrivati da ogni parte della Scozia, e dei dintorni; il resto dell?anno, è principalmente meta dei turisti che scelgono di visitare il villaggio magico e le spiagge rocciose di quel lato della Scozia, una vista mozzafiato che la posizione privilegiata in cui è stato costruito il resort (in cima ad una collinetta che affaccia proprio sul mare) regala a tutti i villeggianti.
    Noia. Curiosità. Ricerca. Psycho shipping. Fascinazione.
    Potrebbero essere tante, forse addirittura troppe, le ragioni dietro il perché la notte del quattordici febbraio sia diventata, oramai, una notte speciale nel mondo magico; quali che siano i motivi che spingono persone, o gruppi di persone, a lanciarsi ogni anno nell?organizzazione più assurda per garantire la migliore riuscita dell?evento, comunque, non è importante. Il perché raramente lo è, infondo. Non cambia le conseguenze, e non rende più comprensibile l?incredibile ? e francamente inspiegabile ? clamore dietro una notte che, all?apparenza, dovrebbe essere una come tutte le altre.
    Il passaggio di testimone, da un anno all?altro, serve solo a sottolineare ancora di più l?imprevedibilità che San Valentino porta con sé; simulazioni, sopravvivenza, ricerca scientifica.
    Cosa succederà l?anno prossimo?
    È la domanda che si fanno tutti.
    Beh, quasi tutti.

    E poi, in uno schiocco di dita, l?anno prossimo è già qui ? e maghi e streghe e special e babbani (perché no, non c?è più alcun velo a separare i due mondi, dopotutto) di ogni età si trovano, loro malgrado, ad essere i più vicini a scoprire la risposta a quella domanda.
    Che lo abbiate desiderato per trecentosessantacinque giorni o meno, che l?abbiate temuto o agognato, che abbia occupato anche solo una minima parte dei vostri pensieri in questi dodici mesi oppure no, non importa: perché quest?anno il fato ? o chiunque sia a muovere i fili del destino al suo posto, a questo giro ? ha scelto proprio voi come vittime.
    Uhm, pardon: come fortunati vincitori della lotteria annuale.
    Una scelta probabilmente fatta a caso, il proverbiale bastoncino corto beccato per sbaglio, e contro la vostra volontà; o magari vi hanno tenuto d?occhio per tutto l?anno, prendo appunti e aggiungendo note e trascrizioni alla murder board tenuta in soggiorno; lo so, è una possibilità terrificante, non è vero? Essere controllati. Eppure, nessuno può escluderla.

    Qualsiasi sia la ragione, qualsiasi sia il prima, non ha importanza.
    In quella stanza di albergo, quest'anno ci siete voi, e non siete soli.
    E in quello stesso istante, nel momento in cui aprite gli occhi e prendete nota di ciò che vi circonda ? del materasso morbido e delle lenzuola delicate, o del pavimento fresco, o di quanto sia stranamente comoda la vasca? ?, quello è il momento in cui vi rendete anche conto di essere ammanettati a qualcuno. Proprio così: vere manette d'acciaio fredde al contatto con la pelle nuda del polso.
    E potrà sembrare assurdo, ma non è quella la cosa più strana di cui vi rendete conto; e ne prendete velocemente atto quando provate ad avvicinarvi alla porta della stanza, portandovi dietro la vostra anima gemella, e in un battito di ciglia siete di nuovo al centro, accanto al letto, o nel bagno. Potete riprovarci quante volte volete, e potete persino tentare con la finestra che da sul mare: non importa, quanti, o quali, tentativi facciate, non c?è via d?uscita, e perseverare non porterà a nulla ? solo ad un forte mal di testa. La magia che vi tiene lì, è chiaramente una magia più forte di quello che vi sareste aspettati. Ed è anche l'unica magia che funzioni: non ci mettete molto a capire che né le vostre bacchette, né i vostri poteri, sembrano funzionare.

    Quanto alla stanza... beh, è una banalissima stanza d?hotel. Niente di particolare salta all?occhio, se si esclude il fatto che non possiate uscire da lì, certo.
    C?è il numero per contattare la reception al piano terra e il menu per ordinare la colazione in camera, ma nessun dispositivo con cui mettersi davvero in contatto con l?esterno: non un telefono, né alcun oggetto incantato con cui comunicare; c'è una piccola toeletta disposta contro la parete, e una sedia; c'è il bagno (con la vasca, perché a quanto pare l'hotel, il resort, non si fa mancare nulla); c'è il letto, due comodini, alcune stanze hanno persino un balcone ? non che voi possiate uscirvi fuori, certo: vi dovrete accontentare di osservare il paesaggio da dietro i vetri delle finestre.
    E poi c?è un foglio.
    Sul letto, a terra, sulla toeletta, ovunque capiti.
    Poche parole, leggere sulla pergamena ma pesanti sulla coscienza. Cinque beffarde parole.
    Buon San Valentino, miei cari.


    //OFF: BENVENUTI AMICI AD UN NUOVO ED EMOZIONANTISSIMO OBLINDER!!
    Siete pronti?? SIETE KARIKI??? Mi auguro per voi (e per i pg) di sì!!
    Come avrete capito, siete in una stanza di hotel (dalla quale NON potete uscire) che alcuni potranno riconoscere magari dal logo sulle lenzuola o dal panorama esterno (se ci sono già stati). Cosa dovrete fare? BEH!! Ma ovvio: interagire con l vostra anima gemella. Non cercate un modo di uscire, sarebbe solo tempo perso: non c'è una via d'uscita SMACK
    Pensate piuttosto a fare una più approfondita conoscenza della persona con cui siete stati abbinati; il resto verrà da sé.
    XOXO
     
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    corvina fosca van veen | lizardking
    Sentite. Ascoltate. Corvina era semplicemente abituata a svegliarsi in posti strani.
    Per quanto fosse sempre riuscita a schivare vere e proprie situazioni di dipendenza patologica come Neo in Matrix coi proiettili, questo non toglieva che le piacesse provare pericolosissime sostanze stupefacenti di tanto in tanto.
    Aveva provato anche la droga dello stupro, una volta, ma per amore del buon gusto eviteremo di approfondire la questione più di così.

    Insomma, svegliarsi in una lussuosa camera d'albergo in un resort senza ricordarsi un accidenti di come ci fosse finita, tutt'al più, era un grandissimo upgrade.
    Ammanettata a uno sconosciuto, poi. O sconosciuta, chissà, lo scopriremo vivendo.
    « Kinky shit, approvo. » fece tintinnare appena le manette nello scuoterle mentre vi dava un'occhiata, per nulla intimidita o preoccupata dalla situazione. Si passò la mano libera fra i capelli un momento, guardandosi di nuovo intorno alla ricerca di qualcosa di strano o caratteristico che non trovò. Il rumore delle onde che s'infrangevano contro le spiagge rocciose le aveva immediatamente restituito una sensazione di familiarità, anche se non avrebbe di certo mai potuto supporre di trovarsi nella sua Scozia.

    Si chiuse per un attimo in uno dei suoi incommentabili fili di pensieri, ridacchiando tra sé e sé come una schizofrenica subito dopo. Da seduta che si era messa sul morbido materasso, si rimise supina per poi rigirarsi di fianco verso la persona incredibilmente sfortunata a cui era ammanettata. Con la mano libera, cominciò a far correre le dita fra i capelli altrui, una vera e propria serie di carezze leggere sullo scalpo con i polpastrelli mentre si faceva vicina, vicinissima, soprattutto col viso, a distanza sussurro diretto nell'orecchio.
    Corvina non aveva a cuore il concetto di spazi personali quando si trattava di dare fastidio e destabilizzare l'equilibrio psicologico del prossimo suo, per la cronaca, quindi sì, si era appiccicata come una cozza ad uno scoglio.
    Con quella faccia da schiaffi che si ritrovava, un sorriso stampato che sembrava tagliato con il coltello per quanto era fuori luogo.
    Inquietante da morire.
    « Buongiorno, principessa. » soffiò con una dolcezza al limite del coma diabetico, schioccando la lingua sul palato.
    Parliamo d’amore in mezzo a una rivoluzione
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    Metti un altro film, un pezzo dei Queen
    Metti che finisce male?
    (Ma non ci pensare)
     
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    kaito kageyama | red dress chicken.jpeg
    Come (:eye: :eye: :eye:) vi avevo predetto: non era la prima volta che si svegliava con le manette ai polsi. Era diverso rispetto a quanto fosse abituato, malgrado il freddo del metallo attorno al polso fosse una sensazione familiare che non lasciasse dubbi sulla sua origine: non sentiva la sirena della volante, ad esempio, né la ruvidità delle lenzuola di carta delle celle in cui aveva passato molte notti della sua vita. Non si sentiva dolere da nessuna parte, segno che fosse privo dei lividi violacei con cui, il mattino dopo, lasciava la centrale sfarfallando le dita in sorrisi taglienti.
    Si era addormentato a lavoro? Difficile, ma non impossibile. Finito il turno scambiava volentieri sonate drammatiche di Lana del Rey in cambio di massaggi dagli operatori del benessere del bordello, ed i fumi della stanza tendevano a stordirlo abbastanza da indurre sonnolenza. Non faticava a credere di aver preferito i comfort del Mr Worlwide, rispetto alla catapecchia in cui si era scavato il nido come una gazza ladra, o che qualcuno dei colleghi l’avesse ammanettato for shits and giggles. Ma l’odore era diverso, e di quello il Kageyama se ne accorse subito, abbastanza da svegliarsi completamente lucido. Vigile. Occhi socchiusi a studiare quel che poteva vedere della stanza senza muoversi più del dovuto – aveva problemi di fiducia, fategli causa: suo padre l’aveva ucciso, per l’amor di Dio, ed era cresciuto a paranoie e ripercussioni di clan rivali sempre dietro l’angolo – cercando di mantenere la respirazione quanto più costante possibile.
    Ma dove minchia era.
    Un più giovane Kaito Kageyama avrebbe trovato divertente e nella norma un risveglio simile, ma sopravvivere ad un Abramo ed Isacco core, l’aveva reso più cauto. Non necessariamente saggio, come aveva dimostrato più volte; nessuno era perfetto. Non sapeva di quale perverso ed assurdo gioco si trattasse, ma quando sentì le dita di qualcuno fra i capelli, anziché sottrarsi al contatto, soffiò l’aria in un sibilo soddisfatto, poggiando delicato la testa sui polpastrelli. Era un ragazzo semplice: se avessero voluto ucciderlo l’avrebbero già fatto, e se quella era la perversa versione di tortura di qualcuno, così fosse. C’erano modi peggiori per morire, e lo diceva con cognizione di causa. « Buongiorno, principessa. » Il fatto che la voce non fosse familiare, non lo preoccupò più del dovuto; un po’ più strano che non avesse accento nipponico, ma chi era lui per lamentarsene? Avrebbe decisamente reso le cose piccanti, per una volta, il tentativo di omicidio da parte di qualcuno che non facesse parte della sua famiglia. Il calore di quell’alito lo sentì direttamente sull’orecchio, e quando rotolò verso la ragazza, preoccupandosi di intrappolare la sua mano sotto la propria guancia, Kaito Kageyama stava già sorridendo. Lezioso, come avesse avuto tutto il tempo del mondo e quella situazione fosse prevedibile. Nulla di strano sul fronte occidentale; non bisognava mai far sapere al proprio nemico che non si avesse la più cazzo di pallida idea di cosa cazzo stesse succedendo. Cazzo, per rinforzare.
    Mostrò denti piccoli ed affilati, alla mora al suo fianco cui ricambiò il favore invadendone gli spazi personali.
    (Ma ci pensi?! Kai è un altro fratello di Reggie e Barbie – e Mac - ! Oh, Corvina, sei proprio nostra, rubatissima. Meant to be. Ed è pure quello simpatiko. SOULMATES CONFIRMED CHE ONORE CHE LUSINGA CHE MERAVIGLIA)
    Gli bastò un’occhiata per confermare di non conoscerla, ma le sorrise nella maniera intima di amanti ed amici. «a te, raggio di sole» mormorò, guardandola senza accennare a spostarsi, allargando se possibile il sorriso. Aveva l’aria d’essere tutto eccetto che un raggio di sole; se non fosse stata lì per ucciderlo, sarebbero andati molto d’accordo – e sarebbe stato eccezionale, quasi fenomenale, se aveva voce in capitolo.
    Non si mosse più del dovuto, ma cercò comunque di percepire se avesse le solite armi addosso – e sì, amateur, ci andava anche a dormire. Mh… Mh. Kaito Kageyama disarmato? Neanche sotto la doccia. Non cambiò espressione, continuando a studiare il volto della mora. Non le chiese chi fosse, o dove fossero. Le fece l’unica domanda che la pillow talk meritasse, tenendo ancora in ostaggio la mano di lei fra guancia e cuscino.
    «dormito bene?»

    E non ho mai avuto paura del buio
    Ma di svegliarmi con accanto qualcuno
    Per me l'amore è come un proiettile
    Ricordo ancora il suono: "Click, boom, boom, boom"


    CIAO CORVINA ODDIO TROPPO BELLO SONO EUFORICA E DOPPIA ISE PER ME?? ASSOLUTAMENTE SLAY NON MI SPIACE MANCO PER TE MHMH TIE!!!!
     
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    Chi più, chi meno, sembrate riprendervi tutti dopo il primo momento di confusione e disagio. Ma è realmente così? Solo il tempo potrà dirlo, cari amici. Di sicuro, c’è che quella sensazione di smarrimento sembra essersi appiccicata alla vostra pelle; avete dato un nome (forse) al posto dove siete, ma non ancora una motivazione sufficientemente credibile per spiegare il perché. Beh, quello è ovvio, amici: è San Valentino. E se non sapete dell’oblinder, chiaramente non avete amici nei posti giusti, perché è l’evento più atteso delle stagione da anni. Ed è anche altrettanto chiaro che non leggete i miei articoli, tsk.
    Non è quindi del motivo che dovreste preoccuparvi, ma piuttosto delle condizioni in cui ci siete arrivati. Lo stomaco a gorgogliare prepotente nei momenti di silenzio indica forse una cena troppo leggera la scorsa sera? Non sapete dirlo, in effetti non ricordate di preciso qual’è stata l’ultima cosa commestibile che avete mandato giù. Brutto segno? Forse no, mi dispiace solo non ci sia un banchetto ricco ad attendervi nelle stanze: per il momento dovrete combattere contro la fame e la sete, e contro lo stordimento, alla vecchia maniera: arrangiandovi.
    Niente rimedi estremi, capito? Non siamo la società della neve, qui.
    Ma… hey, sì dico a te, non sei un po’ troppo giovane per avere quegli ematomi nell'incavo del braccio? Sembra quasi il segno di ... ah, magari qualcuno di voi saprà riconoscerlo. Ago.
    Uh, uh, amico… la droga non è mai la risposta.
    (Unless.)

     
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    Forse l’adrenalina inizia a fare effetto, scuotendo membra evidentemente provate, perché dopo il livido sul braccio, vi rendete conto di qualcos’altro. Qualcosa a cui prima, troppo presi dalla sorpresa dell’insieme – svegliarsi in un posto che non conoscete, senza magia, ed ammanettati a qualcuno – non avevate fatte caso.
    Abbassate lo sguardo sui vostri vestiti. Alcuni sono troppo grandi per voi, o troppo piccoli. Taglie sbagliate, forme che mai avreste pensato di indossare. Sembrano pescati casualmente, come se qualcuno avesse afferrato gli abiti abbandonati nell’hotel, e ve li avesse messi addosso.
    Profumano di bucato, però. Almeno quello. Una cosa è sicura: non sono i vostri.

     
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    corvina fosca van veen | lizardking
    « Marò che bono, che paura- » fu grossomodo l'uscita che venne fuori poco dopo essere leggermente sobbalzata, incredula a fronte di quell'agile e reattivo rotolare di fianco del Kageyama per guardarla, occhi negli occhi, proprio: disinvolto.
    Era, in effetti, proprio un bel pezzo di ragazzo, e anche se era partita di intenzioni assolutamente circensi, una botta potendo non gliel'avrebbe negata mica.
    Poi insomma, sorrideva, stava al gioco: era raro incontrare qualcuno con del senso dell'umorismo.

    Reazione sorpresa a parte, comunque, gli fece un sorrisone nel sentirlo risponderle e affibbiarle quel nomignolo stucchevole.
    « Ah, sapessi. Non ricordo assolutamente nulla! Tu, passerotto? » rispose, mimando la disinvoltura altrui. Non sembrava particolarmente indisposta dal fatto che lui le tenesse la mano sotto sequestro e, anzi, si ritrovò a dare una lunga occhiata attenta all'altro, notando, per un colpo di fortuna assoluto perché insomma non è colpa mia se non so come è vestito, ma volendo anche avere le maniche lunghe fingiamo che una è tirata su, insomma, notò l'ematoma da iniezione. « Però mi sa che ci siamo presi davvero qualcosa stanotte, eh- » per scaramanzia si controllò anche lei, e in effetti eccolo là, ematoma numero due. « Prima volta? O sei anche tu un estimatore di divertimenti mondani a prezzi non sempre economici? Io conosco gente che mi deve un sacco di favori, nel giro. » una chiacchierona, e probabilmente anche una grandissima pallonara, ma questo Kaito non avrebbe mai potuto saperlo e in sincerità, vostro onore, non lo so neanche io. L'indice del controllo che ho sui miei personaggi, insomma.

    Prima che potesse dire null'altro, il suo stomaco gorgogliò furiosamente.
    La donna non fece apparentemente una piega, forse perché abituata.
    « Che giorno è secondo te? Io ho fame. Magari hanno il servizio in camera in questo posto- » pensò di alzarsi, poi ricordò le manette. « Dispiace se ci alziamo, gioia? » era abbastanza sicura che trascinarselo in giro sarebbe stato difficile. « O ti prendo in braccio, se vuoi, non ci crederesti mai ma: ce la faccio. » schioccò le labbra un paio di volte nella sua direzione, mimando dei bacetti in maniera abbastanza univoca; questa non era una bugia, stranamente: sarebbe stata capacissima di prenderlo a principessa e portarselo in giro per la stanza, è che poi non avrebbe avuto le mani libere per fare tutto il resto.
    In tutto ciò, nel completo menefreghismo di lei, Kaito avrebbe potuto notare com'era vestita - o quanto lo era poco. Indossava una maglietta a maniche corte talmente oversize che pareva andarle come un vestito, nessun paio di pantaloni visibili, piedi scalzi. Sulla maglietta, campeggiava una scritta che sembrava dire grossomodo: "the beast c*ms quietly for us all"; ma sarebbe stato forse non facile per il Kageyama vedere il design completo da quella posizione.
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    Cercando di uscire dalla stanza, vi rendete conto di tre cose: primo, non sentite alcun passo provenire dal corridoio, segno che nessuno stia facendo la ronda all'esterno della camera; secondo, riuscite a percepire, seppur distanti, i mormorii indistinti di vittime come voi - vicini, altri più lontani, ma forse potreste fare qualcosa in merito; terzo, e questa è la parte in cui vi viene la pelle d'oca, spiando dalla finestra notate che…non ci sia nessuno. È bassa stagione, certo, ma siete in un hotel, e perlomeno il personale e la manutenzione dovrebbero passare ogni tanto. Qualcuno nelle altre stanze, magari lo notate pure; hanno le manette come voi, però. Dove sono tutti gli altri? Questo gioco, non è più divertente.

     
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    Valutò rapidamente la ragazza al suo fianco, lo sguardo a scivolare pigro sul suo profilo. Non lascivo, diamogli un po’ di credito, quanto più di morbido calcolo: la maglia larga poteva nascondere armi, certo, ma non vedeva protuberanze sospette, e tanto bastò a far rilassare maggiormente il Kageyama contro il materasso. Sicuro, avrebbe potuto ucciderlo a mani nude – o usando la magia, visto che di quei tempi non c’era più divisione fra i mondi – ma sapere di avere escluso almeno quello, lo fece sentire meglio. Un incredibile incremento di autostima, comunque, notare le pupille dilatate in stupore quando ne incrociò lo sguardo verde. Era sempre bello sapere che la sua ritrovata vita post morte e monaci buddhisti, fatta di vivere ovunque e da nessuna parte con più noodles precotti che mutande, non l’avesse privato dell’intrinseco fascino di famiglia – almeno quello, per principio, voleva tenerselo.
    Danno e beffa, sapete. Giusto perché Kai non si considerava affatto permaloso, o vendicativo (lying).
    « Ah, sapessi. Non ricordo assolutamente nulla! Tu, passerotto? »
    Le sorrise, perché come avrebbe potuto fare altro? Non era il genere di persona che tendeva a farsi ingannare dall’apparenza – sarebbe stato contro producente, considerando la propria – ma aveva l’impressione che in qualunque situazione fossero, ci fossero insieme. Curvò la testa per premerle un bacio sul palmo, prima di sospirare e sollevare il capo permettendole di riprenderla. Ricordava qualcosa? Cercò di ripercorrere i propri passi, ma si sentiva in uno stato… appannato, e fragile. Onestamente, voleva solo tornare a dormire. «nah, shima enaga» che è un uccellino giapponese, mi suggerisce il buon Google; è anche adorabile, a vederlo così. Schioccò la lingua sul palato, assestando la propria salute fisica stringendo ed allargando i pugni. Si sentiva, perlomeno, intero, che era quanto più potesse desiderare. Seguì lo sguardo della ragazza verso le loro braccia, corrugando le sopracciglia nel rendersi conto di cosa indossasse: non era la prima volta che Kai indossava maglie di rete, ma difficile che la rete fosse metallica. Provò a stringerla fra pollice ed indice, causando un lieve tintinnio. Ecco cosa pesava. «dovremmo controllare se abbiamo cicatrici» suggerì, sollevando occhi scuri e divertiti sulla mora. «mi spoglio io, o ti spogli tu?» si sollevò abbastanza da poter reggere la propria testa con la mano, cercando i giusti termini inglesi nell’accozzaglia confusa del vocabolario nipponico della sua testa. «o entrambi, pari opportunità» una smorfia malandrina quella del Kageyama, ambigua senza essere necessariamente promiscua: pensava davvero dovessero cercare segni di bisturi, così da assicurarsi di avere entrambi i reni. Non replicò riguardo a quanto quella fosse una prima volta o meno, perché non la era, ma rivelare il proprio tumultuoso passato l’avrebbe reso meno affidabile ai suoi occhi – o peggio, avrebbe creduto fossero lì per colpa sua.
    Cosa che. In effetti. Non poteva escludere.
    « Che giorno è secondo te? Io ho fame. Magari hanno il servizio in camera in questo posto- » Anche Kai aveva fame, ma la sua dieta non era delle più equilibrate, quindi tendeva a non darci peso. Strinse le labbra fra loro, cercando di afferrare… qualcosa, nei propri pensieri. Qualcosa che sembrava lontano anni luce, in quel momento, ma che sapeva essere molto ovvio. Fu dopo un silenzio intenso e frustrante, che sibilò soddisfatto. «il tredici febbraio? O forse già il quattordici.» c’erano grandi eventi in programma per quella sera, al MW. L’unico motivo per cui ne aveva memoria, era che la sicurezza fosse affidata a lui.
    Faceva già sorridere così.
    « Dispiace se ci alziamo, gioia? O ti prendo in braccio, se vuoi, non ci crederesti mai ma: ce la faccio. » Non mentirò: Kai era molto tentato. La soppesò ammirato a palpebre socchiuse, valutando la proposta con la lingua a pungolare l’interno della guancia. «ci credo, invece» e fu perfino abbastanza signore da tenere per sé le opportunità di quella posizione, ed i suoi contro. Non erano lì per quello. Forse.
    «per ora no, ma grazie» lampeggiò un altro sorriso, alzandosi a sedere ed intrecciando le dita della mano legata con quelle della sua collega. Intimo? Forse, ma soprattutto pragmatico, se volevano mantenere un minimo di equilibrio senza sembrare ridicoli e basta. Le indicò con un cenno di iniziare a scendere, seguendola con sguardo e sorriso.
    «era un po’ che non dormivo in un hotel» mormorò, alzandosi a sua volta. Portò entrambi in prossimità della finestra, tenendoli però lontani dalla luce diretta. Conosceva troppi cecchini per sentirsi al sicuro. Guardò di sotto: niente. Nessun movimento. Cercò di capire che ora fosse dalla posizione del sole, ma era un mafioso, non un boyscout. Si guardò attorno, voltandosi per cercare se la pelle di Corvina portasse il marchio di qualche famiglia che potesse suonargli familiare. «ti dispiace se rompiamo qualcosa, zuccherino?» il letto, o lo specchio – qualunque cosa potesse dare loro una scheggia, ed entrambi potessero fingere fosse un’arma decente. «ti lascio scegliere» ma la osservò intensamente, accarezzandone il dorso della mano con il pollice per ricordarle fossero sulla stessa barca. Fosse mai che usasse la ritrovata arma contro di lui. Le offrì perfino, in segno di pace, un «kai» indicando il proprio petto.
    Ed ammiccò, perché non poteva farne a meno, suggerendo «ma puoi chiamarmi come vuoi» perché principessa e gioia, non gli dispiacevano affatto.

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    Sempre più dettagli vengono alla luce, ora che la situazione pare prendere una forma; sapere che non siete soli, in quella follia, forse aiuta a rendervi più lucidi. Ed è proprio in questo modo che vi rendete conto di un’altra cosa molto strana: c’è il sole, fuori dalla finestra. È alto, ad occhio e croce mezzogiorno deve essere passato da qualche ora — ma ciò che vi colpisce è il cielo sereno. Non una nuvola all’orizzonte; strano, il meteo aveva previsto pioggia per quel giorno, e alcuni di voi sicuramente avranno buttato un’occhio alle previsioni, prima di organizzarsi per quel San Valentino… che i meteorologi si siano sbagliati? Possibile.

     
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    jul 5th 1998
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    corvina fosca van veen | lizardking
    Si fece bastare quel "nah" ed evitò di impelagarsi nell'elaborazione di possibili interpretazioni dietro quel momento di kinese assolutamente casuale. Per quel che ne sapeva, poteva aver dato a sua madre della meretrice... ma in fondo, come dargli torto. Che poi, nell'anno del Signore duemilaventiquattro, vorrei anche sottolineare che dovremmo essere un po' oltre la discriminazione verso i sex workers: se ce la facevano nel Cinquecento a normalizzare le case chiuse, ce la si poteva fare anche noialtri moderni avanguardisti.

    La proposta di controllarsi le cicatrici eventuali le parve, forse perché si sentiva vagamente stordita, abbastanza ragionevole. O forse no, in fondo è Corvina, secondo me avrebbe accettato anche da lucida e sobria.
    « Ma sì, perché no. Non da sdraiati che sto scomoda, magari. » fra le manette e il fatto che non fosse al cento percento delle sue facoltà psicofisiche, aveva la vaga idea che provare a spogliarsi sarebbe stato un incubo.

    « Oh, già... » in effetti, di un tredici febbraio aveva vaga memoria. Non sembrava, non le avreste dato una lira, ma al contrario di me Corvina si ricordava molto, molto spesso la data giornaliera. Quasi come una persona normale. In fondo non è che fosse disoccupata. E non aveva neanche le ferie o l'assicurazione, lei: reperibilità a tutto tondo, trecentosessantacinque giorni l'anno sette giorni su sette, rischio cento percento di lasciarci le penne ogni volta. « Ma pensa. T'immagini se è davvero San Valentino? Che romantico. »

    Il "per ora" le diede molte speranze per il futuro. Sia di poterlo portare fra le braccia in giro per la stanza, così per ridere, sia di replicare quel meme coi due che limonano col tipo aggrappato alla rete e la tipa che lo regge. Le possibilità erano: infinite. L'unico limite era: lo sky.
    Gli sorrise di rimando in particolare, non che alla fine facesse tanto altro nella sua vita che non essere ammiccante, fastidiosa ed inopportuna. Strinse le dita incastrate in quelle altrui, un po' comprendendo il pragmatismo un po' perché, sempre, la faceva ridere che lui stesse al gioco; e in effetti, ridacchiò un poco mentre si alzavano quasi in simultanea.
    La sensazione del sangue che si ridistribuiva nel corpo in maniera consona alla stazione eretta fu un po' una vertigine inattesa, ma niente di insuperabile.
    « Per nulla! Amo rompere cose...! » il sorriso si tinse di una palpabile sensazione di rush adrenalinico. Ecco, quella sì che era droga, per lei: la violenza gratuita. Soprattutto sulle persone, ma anche sugli oggetti non era male. « Lo specchio mi pare un'idea buona. » in effetti, ci avrebbe messo un attimo a sfondarlo abbastanza bene da realizzare, inconsapevolmente, le necessità di Kai. Consciamente, le piacevano gli specchi rotti: erano molto aesthetic. A quel punto, provò istintivamente ad utilizzare il suo potere per procurarsi uno strumento adatto e... non ci riuscì.
    La sua espressione si fece interdetta.
    Offesa, persino.
    « Oh ma. Allora. Perché cazzo la mia magia non funziona. » schioccò la lingua sul palato, infastiditissima. Aveva naturalmente bypassato tutta la breve ma intensa presentazione di Kai fino a quel momento, ma ora che aveva quel nuovo dettaglio era temporaneamente meno propensa allo scambio d'amorosi sensi. « Cos'è che sei tu, un mago, special, babbano...? Quando ti stanchi dei nomignoli puoi anche chiamarmi Hekate, comunque. Heck meglio. Sai, i miei genitori erano dei nerd, brutta storia. » mentì spudoratamente, con la facilità con cui respirava ella mentì. Perché era abituata, in primo luogo, e in secondo perché non amava condividere il proprio nome con gli sconosciuti, per quanto potessero starle simpatici. Durante la guerra aveva fatto un'eccezione, se non altro perché non aveva voglia di capire quanto rischiava con la burocrazia che i suoi pseudonimi da alt girl di Tumblr potessero essere debunkati. Sì, a volte nella vita semplicemente la pigrizia vince sulla logica, il buonsenso, il raziocinio e tutto il resto.
    Prese un bel respiro zen, comunque, e tornò a sorridere.

    « Facciamo che prima controlliamo le cicatrici e poi cerchiamo qualcosa con cui spaccare roba? Di solito sono armata ma oggi... mh. Inizio a pensare di non aver preso qualcosa di mia volontà ieri sera come credevo... o l'altroieri... potremmo essere qui da giorni, figurati. » mentre parlava, con la mano libera si alzava la maglietta oversize per rivelare delle grazie miracolosamente coperte da un paio di mutandine molto anonime e leggermente più larghe del dovuto - fortuna che aveva i fianchi abbastanza larghi e ben torniti da non essersele fatte cadere istantaneamente appena in piedi - e... e niente reggiseno. Si alzò con nonchalance tutta la maglia, arrivando anche a sfilarsi la manica del braccio non ammanettato, ed era praticamente quasi nuda. Impossibile non accorgersene, per lei soprattutto, ma come un po' tante altre cose nella vita, gliene fregava poco di farsi vedere semi-svestita da un completo sconosciuto. « Che faccio, mi giro io o mi giri intorno tu? » perlomeno era collaborativa, dai.

    E infine, mentre si spogliava, arrivò quell'esclamazione urlata da una stanza adiacente. Ora, non era sicurissima di tutto, ma... « Ha per caso detto "commetto un omicidio"? Cavolo, e io che pensavo che noi ci stessimo divertendo. O forse... forse è un attacco di panico. Ne ho sentiti di attacchi di panico con le minacce, capita eh. » dovette raccogliere un bel respiro perché sì, voleva proprio rispondere alle minacce dell'Angelo della Morte. « FAI QUELLO CHE TI PARE SORELLA. SENTITI LIBERA!! » cercò di indirizzare l'urlo nella direzione di provenienza di quello a cui stava rispondendo in primo luogo, ma chissà se sarebbe riuscita a farsi sentire.
    Parliamo d’amore in mezzo a una rivoluzione
    Ti pettini i capelli con una calibro 9
    Metti un altro film, un pezzo dei Queen
    Metti che finisce male?
    (Ma non ci pensare)
     
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    Gli indizi c’erano tutti: la stanchezza ingiustificata, la fame, il luogo in apparenza abbandonato e abbastanza appartato da non destare alcun sospetto, degli abiti non vostri e la sensazione a pizzicare sotto la pelle che fosse passato più tempo di qualche manciata di ore, dall’ultimo momento che ricordavate di essere coscienti.
    Perché è esattamente così.
    E la conferma è proprio lì sotto il vostro sguardo, stampata nero su bianco su quella pagina di Morsmordre che vi fissa di rimando; o sull’intestazione sbiadita di uno scontrino dimenticato; o ancora, su quella copia del Boccino d’Argento lasciata per errore sul comodino da qualcuno. Non sapete chi, dovrebbe importarvi, ma non abbastanza perché le vostre attenzioni sono tutte per quel numero che si prende, beffardo, gioco di voi.
    24 febbraio 2024.
    Potete dirlo ai vostri amici, urlarlo attraverso le pareti o continuare a scriverlo con il sangue sui vetri; la domanda è se qualcuno vi crederà, o no. A malapena riuscite a crederci voi.

     
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    kaito kageyama | red dress chicken.jpeg
    Kaito Kageyama era una brava persona.
    … Per i suoi standard. Era stato molto, molto peggiore fino a qualche anno prima, quindi la sua bussola morale era piuttosto decentrata. Essendo stato fino a quel momento solo un angelo, si sentì leggermente offeso del «Cos'è che sei tu, un mago, special, babbano...?» della mora, perché la sua vita era sempre stata ridotta a quello. Non un tasto dolente (sì invece.) ma comunque qualcosa d’amaro che bastò a farlo corrucciare, le ciglia a battere lente mentre cercava di elaborare il resto della frase in una lingua conosciuta. Tornò a guardare il braccio di entrambi, passando a come il livido avesse colorato i tatuaggi sul proprio braccio, a cercare qualcosa in più su quello dell’altra: non aveva senso che avessero iniettato a entrambi la stessa cosa, se serviva a sedare la magia, considerando che lui non ne aveva.
    A meno che non lo sapessero.
    Ed allora, la questione personale si scioglieva come neve al sole, perché la sua presenza lì significava solo quello che da venti-something anni la sua vita rappresentava: casualità. Sfortuna, con il senno di poi – non in quel preciso momento, c’erano destini peggiori rispetto ad una Corvina Van Veen (e perché proprio Theo Kayne). Si strinse nelle spalle, osservandola con rinnovata curiosità. Non aveva neanche provato a cercare la bacchetta, il che significava che dovesse essere uno degli altri. Cercò il termine inglese che potesse riassumere il suo particolare dono, e quando l’ebbe trovato, sorrise ferino ed offrì un inchino alla sua signora. «prestigiatore» illusioni, rapidità di mano, destrezza. Doveva pur valere qualcosa. «la mia specialità sono le carte» scherzava, ma non del tutto. «tranquilla, non ho intenzione di sfidarti a poker,» perché avrebbe barato, ed avrebbe vinto – come sempre. «kate» mostrò tutti i denti, perché i soprannomi scelti dagli altri sembravano sempre così banali, e personalizzarli li rendeva più intimi. Il prossimo passo sarebbero stati i braccialetti dell’amicizia, e fare molta attenzione a non stringere amicizia con altre persone la cui iniziale del nome fosse k, perché l’unico klan accettabile era quello di mahmood (LA NOTTE LA NOTTE LA NOTTE NOI SIAMO UN KLAN) e non voleva essere additato come xenofobo.
    « Facciamo che prima controlliamo le cicatrici e poi cerchiamo qualcosa con cui spaccare roba? Di solito sono armata ma oggi... mh. Inizio a pensare di non aver preso qualcosa di mia volontà ieri sera come credevo... o l'altroieri... potremmo essere qui da giorni, figurati. » Wow. Aveva sempre pensato che quando infine avesse trovato il proprio sugar parent, perlomeno l’avrebbe ricordato: poteva sopportare il rapimento, se significava avere un tetto sopra la testa. Non era schizzinoso, il Kageyama. E vorrei ricordare lavorasse in un bordello, ed al contrario di molti WOMINI, fosse educato e non un animale. Non battè ciglio nel vedere Kate nuda, se non un leggero sorriso di apprezzamento – perché anche lei non aveva fatto una piega, ed ammirava quel tipo di scioltezza, e per la fiducia dimostrata nei suoi confronti: thank you darling NOT ALL MEN – ed un rispettoso passo indietro, per quanto permesso dalle manette, per lasciarle spazio di manovra.
    « Che faccio, mi giro io o mi giri intorno tu? »
    Disse il Sole alla Terra.
    Aprì i palmi mostrandosi disarmato, malgrado a quel punto dovesse saperlo, e domandò silente il consenso prima di poggiare le dita sul fianco della ragazza e voltarla quanto permesso dalla loro situazione. Nel mentre, spinse gentilmente entrambi più vicino allo specchio, così che anche lei potesse sbirciare il proprio corpo – magari avrebbe visto qualcosa che a lui sfuggiva. Strinse le labbra fra loro, un uhm basso e pensieroso.
    «i reni sembrano essere al loro posto, ma chissà» scrollò ancora le spalle, offrendo il palmo per aiutare Hecate a rivestirsi – se l’avesse voluto, certo: la apprezzava anche con le forme in bella mostra, chi era lui per privarsene. «maghi» non poteva escludere che la magia avesse cancellato anche quello, oltre che la loro memoria e percezione del tempo.
    Poi accaddero cose: una voce femminile che urlava parlando di omicidio, accompagnata dal suono meno melodioso di un ragazzo che chiedeva quanti fossero; dall’altra parte, come i suoni 8D, qualcuno cantava SIA.
    «mi sento a casa» commentò distratto, perché sembrava proprio una qualsiasi serata al bordello di Lapo – che dai, ormai era un po’ casa, passava più tempo lì che in quella pagliacciata che chiamava appartamento.
    «PERCHè, VI SENTITE SOLI?» Urlò in risposta al ragazzo – era una proposta? Forse – portando poi la mora verso la parete opposta, verso gli altri suoni e la testata del letto. Le indicò con un cenno la lampada, la base sembrava abbastanza solida da poterci rompere lo specchio, e si schiarì la voce prima di avvicinare la bocca alla parete.
    «LA CONOSCETE TAYLOR SWIFT?»
    (avery vibrating in background diverse stanze più in là)
    Non gli piaceva non poter scegliere la musica. Aveva poche priorità, ma fondamentali.
    Allo spostamento della lampada, colse un movimento. Un foglio a scivolare tra il mobile e la parete, qualcosa a cui non aveva fatto caso fino a quel momento. Corrugò le sopracciglia, allungando il braccio per raccogliere.
    Una busta, che passò a Hecate.
    Un frammento di giornale, che diventò interessante solo quando ebbero aperto la lettera.
    Buon San Valentino e 24 Febbraio? Non era una cima in matematica, ma qualcosa non tornava.
    «ti dirò, kate. Percepisco un po’ di segnali confusi. Mi sento quasi in una situationship» cose che avevano senso solo nella sua testa parte mille104.
    E non ho mai avuto paura del buio
    Ma di svegliarmi con accanto qualcuno
    Per me l'amore è come un proiettile
    Ricordo ancora il suono: "Click, boom, boom, boom"
     
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    Che sia perché state facendo la conoscenza gli uni degli altri, o perché siete intenti a scrivere col vostro sangue sul vetro, oppure perché state urlando attraverso le pareti per farvi sentire da chi, come voi, sembra finito in quell’incubo, non importa: siete tutti troppo impegnati, troppo distratti, per accorgervene in tempo. E chi di voi lo fa, arriva comunque troppo tardi.
    Ha l’aria innocua, un disco di metallo di dieci centimetri di diametro e non più di due di spessore, tre al massimo. Era nascosto: sotto il secchio, dietro la sedia, sotto al letto. Non importa nemmeno quello; perché quando sentite il click, e il successivo sibilio, capite subito che qualcosa non va. Qualcuno, i più reattivi – o quelli abituati alle situazioni estreme e complicate –, proverà a proteggere naso e bocca con rimedi di fortuna (le lenzuola, i cuscini, la stoffa degli abiti che indossano). Ma, ancora una volta, è troppo tardi. Non sapete cosa sia la sostanza gassosa rilasciata dal dischetto, ma la state respirando, e nonostante i vostri valorosi sforzi soccombete, chi prima e chi dopo, ai suoi effetti. Nulla di troppo terribile, chiunque vi abbia messo lì dentro non vuole uccidervi — o l’avrebbe già fatto. Vogliono solo rendervi innocui, disorientarvi ancora di più e confondere i vostri sensi. E, con i poteri inibiti, funziona su tutti, special compresi.
    Passa un minuto, poi due. Il gas ha smesso di fuoriuscire, e voi di tossire — o di ribellarvi inutilmente ai suoi effetti. Ed è in quel momento che la porta della stanza si apre, e vorreste tentare di approfittare di quell’occasione per fuggire ma lo stordimento ve lo impedisce, ed è facile per quelle persone (mercenari assoldati da qualcuno? Cacciatori inviati dal ministero? non sapreste dirlo) trascinarvi fuori dalla stanza, insieme a loro.

     
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