[oblinder '24] scivoliamo sopra tetti, prima di cadere a pezzi

I'm calling the police ft. c00kiemonster

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    Lotus Mirage Resort - room #018
    I'm calling the policec00kiemonster
    Lotus Mirage Resort, un hotel situato a Montrose, piccolo villaggio portuale magico sulla costa est della Scozia. L’edificio è su quattro piani (reception, hall, bagno, sala da pranzo – all’occasione sala da ballo – e cucine al piano terra; alcune stanze al primo piano, altre stanze e due suite al secondo; alloggi dello staff, magazzino e stanze di servizio al piano interrato) ed è inserito perfettamente nella conformità paesaggistica del luogo, con le pareti di pietra dai colori chiari, il tetto di tegole rosso mattone e il basso muro di cinta che accoglie gli ospiti, mettendo in mostra l’insegna (il nome dell’hotel con sul fondo un fiore di loto i cui petali si aprono e si chiudono).
    Durante i mesi di campionato, quando la squadra della città – i Montrose Magpies – gioca in casa, la struttura ospita tifosi arrivati da ogni parte della Scozia, e dei dintorni; il resto dell’anno, è principalmente meta dei turisti che scelgono di visitare il villaggio magico e le spiagge rocciose di quel lato della Scozia, una vista mozzafiato che la posizione privilegiata in cui è stato costruito il resort (in cima ad una collinetta che affaccia proprio sul mare) regala a tutti i villeggianti.
    Noia. Curiosità. Ricerca. Psycho shipping. Fascinazione.
    Potrebbero essere tante, forse addirittura troppe, le ragioni dietro il perché la notte del quattordici febbraio sia diventata, oramai, una notte speciale nel mondo magico; quali che siano i motivi che spingono persone, o gruppi di persone, a lanciarsi ogni anno nell’organizzazione più assurda per garantire la migliore riuscita dell’evento, comunque, non è importante. Il perché raramente lo è, infondo. Non cambia le conseguenze, e non rende più comprensibile l’incredibile – e francamente inspiegabile – clamore dietro una notte che, all’apparenza, dovrebbe essere una come tutte le altre.
    Il passaggio di testimone, da un anno all’altro, serve solo a sottolineare ancora di più l’imprevedibilità che San Valentino porta con sé; simulazioni, sopravvivenza, ricerca scientifica.
    Cosa succederà l’anno prossimo?
    È la domanda che si fanno tutti.
    Beh, quasi tutti.

    E poi, in uno schiocco di dita, l’anno prossimo è già qui — e maghi e streghe e special e babbani (perché no, non c’è più alcun velo a separare i due mondi, dopotutto) di ogni età si trovano, loro malgrado, ad essere i più vicini a scoprire la risposta a quella domanda.
    Che lo abbiate desiderato per trecentosessantacinque giorni o meno, che l’abbiate temuto o agognato, che abbia occupato anche solo una minima parte dei vostri pensieri in questi dodici mesi oppure no, non importa: perché quest’anno il fato – o chiunque sia a muovere i fili del destino al suo posto, a questo giro – ha scelto proprio voi come vittime.
    Uhm, pardon: come fortunati vincitori della lotteria annuale.
    Una scelta probabilmente fatta a caso, il proverbiale bastoncino corto beccato per sbaglio, e contro la vostra volontà; o magari vi hanno tenuto d’occhio per tutto l’anno, prendo appunti e aggiungendo note e trascrizioni alla murder board tenuta in soggiorno; lo so, è una possibilità terrificante, non è vero? Essere controllati. Eppure, nessuno può escluderla.

    Qualsiasi sia la ragione, qualsiasi sia il prima, non ha importanza.
    In quella stanza di albergo, quest'anno ci siete voi, e non siete soli.
    E in quello stesso istante, nel momento in cui aprite gli occhi e prendete nota di ciò che vi circonda – del materasso morbido e delle lenzuola delicate, o del pavimento fresco, o di quanto sia stranamente comoda la vasca… –, quello è il momento in cui vi rendete anche conto di essere ammanettati a qualcuno. Proprio così: vere manette d'acciaio fredde al contatto con la pelle nuda del polso.
    E potrà sembrare assurdo, ma non è quella la cosa più strana di cui vi rendete conto; e ne prendete velocemente atto quando provate ad avvicinarvi alla porta della stanza, portandovi dietro la vostra anima gemella, e in un battito di ciglia siete di nuovo al centro, accanto al letto, o nel bagno. Potete riprovarci quante volte volete, e potete persino tentare con la finestra che da sul mare: non importa, quanti, o quali, tentativi facciate, non c’è via d’uscita, e perseverare non porterà a nulla — solo ad un forte mal di testa. La magia che vi tiene lì, è chiaramente una magia più forte di quello che vi sareste aspettati. Ed è anche l'unica magia che funzioni: non ci mettete molto a capire che né le vostre bacchette, né i vostri poteri, sembrano funzionare.

    Quanto alla stanza... beh, è una banalissima stanza d’hotel. Niente di particolare salta all’occhio, se si esclude il fatto che non possiate uscire da lì, certo.
    C’è il numero per contattare la reception al piano terra e il menu per ordinare la colazione in camera, ma nessun dispositivo con cui mettersi davvero in contatto con l’esterno: non un telefono, né alcun oggetto incantato con cui comunicare; c'è una piccola toeletta disposta contro la parete, e una sedia; c'è il bagno (con la vasca, perché a quanto pare l'hotel, il resort, non si fa mancare nulla); c'è il letto, due comodini, alcune stanze hanno persino un balcone — non che voi possiate uscirvi fuori, certo: vi dovrete accontentare di osservare il paesaggio da dietro i vetri delle finestre.
    E poi c’è un foglio.
    Sul letto, a terra, sulla toeletta, ovunque capiti.
    Poche parole, leggere sulla pergamena ma pesanti sulla coscienza. Cinque beffarde parole.
    Buon San Valentino, miei cari.


    //OFF: BENVENUTI AMICI AD UN NUOVO ED EMOZIONANTISSIMO OBLINDER!!
    Siete pronti?? SIETE KARIKI??? Mi auguro per voi (e per i pg) di sì!!
    Come avrete capito, siete in una stanza di hotel (dalla quale NON potete uscire) che alcuni potranno riconoscere magari dal logo sulle lenzuola o dal panorama esterno (se ci sono già stati). Cosa dovrete fare? BEH!! Ma ovvio: interagire con l vostra anima gemella. Non cercate un modo di uscire, sarebbe solo tempo perso: non c'è una via d'uscita SMACK
    Pensate piuttosto a fare una più approfondita conoscenza della persona con cui siete stati abbinati; il resto verrà da sé.
    XOXO
     
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    Barnaby Jagger non si reputava un tipo troppo strano, ma non battè ciglio nell’aprire gli occhi in un posto che non conosceva, con un braccio bloccato da qualcosa. Sarà stato che nei suoi lunghi, infiniti (cento) trent’anni, aveva visto davvero di tutto, e rimanere ancora impressionato da qualcosa avrebbe dovuto richiedere un’apocalisse più completa di quella che già avevano vissuto; sarà stato che Edward Moonarie l’aveva abituato al peggio, e tutto il resto fosse acqua fresca. Qualunque ne fosse l’origine, l’imperturbabilità del guaritore lo portò meramente ad alzare lo sguardo al soffitto, socchiudendo le labbra per un unico, denso, sospiro.
    E null’altro. Non si guardò attorno per cercare di capire come muoversi. Anzi, rimase quanto più immobile possibile, senza cercare né a cosa fosse legato, né tantomeno a chi appartenesse il respiro che sentiva echeggiare insieme al proprio. Gliene interessava solo uno, e sapeva non fosse il suo; chiunque fosse stato così sfortunato da trovarsi in quella situazione, cazzi suoi. Non un problema del Jagger neanche quando, e non se, avesse infine colto di essere ammanettato a tal individuo. Inspirò profondamente, un po’ (tanto) per racimolare altra aria da riciclare in un fiato al nulla, ed un po’ perché neanche l’odore delle tende gli era familiare.
    Perchè sì. Non era in un letto, né in una vasca. Non era su un morbido tappeto persiano. Il lato positivo, era che non fosse neanche appeso al soffitto ed a testa in giù – sì, gli era successo anche quello: una qualsiasi mattina in California, infatti – e nei suoi momenti buoni, sapeva essere un’ottimista. Aveva la schiena poggiata contro la parete, le gambe allungate di fronte a sé. Con la testa, sotto lo spesso strato bruno dei capelli, percepiva gli angoli di quella che doveva essere una finestra. Passò la lingua sull’arcata superiore dei denti, trattenendo l’alito sulla lingua.
    Un imprecazione. Una bestemmia. Una spiegazione – la più ovvia, per il Jagger – ed una supplica, ma Barbie quello non poteva saperlo, direttamente a Cupido. Le probabilità che l’incubo prendesse forma, erano molto basse, ma Barnaby Jagger raccoglieva karma negativo da tre vite.
    «ed-d-ddie»
    (DEROGATORY)
    Ballavamo nella zona nord quando mi chiamavi "fra'"
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    Mi passerà, ricorderò i gilet neri pieni di zucchero, cambio il numero
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    In fondo si era svegliata in posti peggiori.
    Era comunque quasi sicura di non essersi addormentata lì la sera prima.
    Non in quella posizione, di questa era sicura al cento percento.
    Anche se, a dirla tutta, di essersi addormentata esattamente la sera prima poteva solo supporlo, figurarsi stabilire che lo avesse fatto a casa sua e nel suo letto.
    Insomma, stava affrontando la situazione in maniera molto zen per essersi appena svegliata.
    Sbadigliò, con la grazia di un cucciolo di cervo, prima che quel nome balbettato le arrivasse alle orecchie, portandola a schiudere bene le palpebre che aveva tenuto serenamente chiuse per tutti quegli istanti di presa di coscienza che si erano susseguiti.

    « Eddie...? » echeggiò, con quella sua faccetta innocentina piegata in un'espressione perplessa da pesce rosso non particolarmente sveglio.
    Si era svegliata effettivamente da poco, in sua difesa.
    Ma in sua critica, non sembrava mai particolarmente intelligente.
    Non da fuori.
    Non guardandola in faccia.
    Sicuramente non da appena sveglia.
    Poi che in realtà avesse un intelletto funesto per certe cose era tutto un altro paio di maniche.
    « Ti chiami... tu Eddie...? » ipotizzò alla fine. Ogni tanto aveva paura di perdersi qualche sfumatura nell'inglese altrui e forse stava solo dicendo il suo nome. Per qualche motivo. Insomma, tutto poteva essere in una situazione del genere.
    Più si svegliava, più si sentiva... scomoda, in ogni caso.
    L'odore delle tende le raggiunse l'olfatto e prese finalmente nota di quella posizione un po' incastrata in cui era piegata, non troppo dissimile da quella del compagno di disavventure, con la sensazione delle manette attorno ad un polso.
    Strattonò appena con la mano, per la cronaca, non tanto da dar fastidio a Barbie, il giusto per capire che l'altra metà delle manette fosse legata a qualcosa che non era un tubo di piombo.
    « Mi sa che ci hanno sequestrati, comunque. » annunciò, con leggerezza. « Come ti senti? Ti puoi muovere? Non è che ti sei fatto male? » s'informò, il tono gentile mitigato dalla classica voce sonnacchiosa da appena svegli.

    Era, come detto, abbastanza tranquilla. Se non si fosse trovata in una posizione così scomoda, sarebbe stata nel perfetto stato di pace interiore per un power nappino coi fiocchi. A parte tutto, comunque, non se la sentiva di prendere iniziative senza essere sicura che Barbie fosse perfettamente integro e capace di muoversi.
    Con una mano mi abbracci e con l’altra mi ammazzi
    E sono stato sempre quello solo
    Perché non sono mai stato come loro
    Che hanno lo sguardo pieno d’odio e il cuore vuoto
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    Chi più, chi meno, sembrate riprendervi tutti dopo il primo momento di confusione e disagio. Ma è realmente così? Solo il tempo potrà dirlo, cari amici. Di sicuro, c’è che quella sensazione di smarrimento sembra essersi appiccicata alla vostra pelle; avete dato un nome (forse) al posto dove siete, ma non ancora una motivazione sufficientemente credibile per spiegare il perché. Beh, quello è ovvio, amici: è San Valentino. E se non sapete dell’oblinder, chiaramente non avete amici nei posti giusti, perché è l’evento più atteso delle stagione da anni. Ed è anche altrettanto chiaro che non leggete i miei articoli, tsk.
    Non è quindi del motivo che dovreste preoccuparvi, ma piuttosto delle condizioni in cui ci siete arrivati. Lo stomaco a gorgogliare prepotente nei momenti di silenzio indica forse una cena troppo leggera la scorsa sera? Non sapete dirlo, in effetti non ricordate di preciso qual’è stata l’ultima cosa commestibile che avete mandato giù. Brutto segno? Forse no, mi dispiace solo non ci sia un banchetto ricco ad attendervi nelle stanze: per il momento dovrete combattere contro la fame e la sete, e contro lo stordimento, alla vecchia maniera: arrangiandovi.
    Niente rimedi estremi, capito? Non siamo la società della neve, qui.
    Ma… hey, sì dico a te, non sei un po’ troppo giovane per avere quegli ematomi nell'incavo del braccio? Sembra quasi il segno di ... ah, magari qualcuno di voi saprà riconoscerlo. Ago.
    Uh, uh, amico… la droga non è mai la risposta.
    (Unless.)

     
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    «Eddie...?» Sentirlo echeggiare nel piccolo appartamento, fu più inquietante del necessario. Aprì gli occhi lentamente, temendo che nominarlo una terza volta l’avrebbe evocato come la bloody mary negli specchi di tutti i pre-adolescenti, curvando appena lo sguardo sulla voce femminile al proprio fianco. Il fatto che avesse un’aria familiare, non restringeva affatto il campo - la maledizione di chiunque lavorasse a contatto con il pubblico – ma che la ricordasse, con quella sua peculiare memoria selettiva, era il segno che non solo l’avesse vista da qualche parte, ma ci avesse fatto caso. Non così scontato. Lungi da lui, in quel momento come in qualsiasi altro, connettere i puntini e collegarla al campo dove aveva stanziato per un mese, o al fatto che avesse impresso il suo profilo perché in partenza per il Messico con sua madre.
    Era pur sempre un uomo, ed in quanto tale, assai limitato. Forse se invece del viso le avesse guardato il culo, l’avrebbe riconosciuta: triste, ma reale. Voleva dire di essere stato cresciuto meglio di così, ma non sarebbe stato vero – fingeva, e solo per l’onore di Mads.
    « Ti chiami... tu Ed-» «n-n-non d-d-dirlo» Provò ad intimarle di tacere prima che potesse concludere il nome, occhi bruni a scrutare ogni angolo più oscuro della stanza. Si chinò perfino per controllare che sotto la rete del materasso di fronte a loro, non ci fosse nessuno. «-ie?» Trattenne il respiro, ed attese.
    Attese.
    Con molta calma, e non del tutto fiducioso di poterlo fare, rilassò le spalle contro il muro.
    Nessun demone era giunto per quel che rimaneva della sua anima.
    « Mi sa che ci hanno sequestrati, comunque. » Iniziò a ridere. Un suono non particolarmente piacevole, perchè le cose sincere non lo erano mai, ma smise nel rendersi conto che la donna non sembrasse star scherzando. La guardò con il sorriso a pendere ancora appiccicoso dalle labbra, sopracciglia corrugate. «m-m-ma c-c-chi.» Viveva a New Hovel, faceva il gelatiere, non aveva mai rotto il cazzo a nessuno. Chi mai avrebbe dovuto rapirlo? Non aveva nemici, Barnaby Jagger, e non era nessuno. Il tempo degli esorcismi della California, era passato da un pezzo. Rimise la mano al proprio fianco, seccato di averla dovuta spostare a causa del movimento dell’altra – non era un tipo collaborativo, mai stato – e pungolò l’interno della guancia con la lingua.
    Era troppo rude chiederle se qualcuno l’avesse pagata per essere lì, vero? Non era ben visto domandare a qualcuno se fosse una escort (non sessista, avrebbe fatto la stessa domanda ad un uomo.), né? Il dubbio lo aveva, ed incolpava sempre il Moonarie. Da quando anni prima, come un nano qualsiasi (nano vero. Era successo davvero) l’aveva morso al polpaccio (sì, è canon.) aveva capito che il tetano non aveva nulla su Edward. Era lui, la malattia. Colpiva con sintomi disparati e caotici, e quello, uno strano gioco di roleplay che implicava svegliarsi senza memoria in un hotel ammanettato ad una persona decisamente troppo attraente per lui – sembrava rientrare perfettamente nel pattern disordinato del suo collega.
    Per una volta, meglio per Barbie: con la Guarigione, non aveva giorni di malattia, e non potendo call in death quando non voleva andare a lavoro, un rapimento era il modo migliore per giustificare la propria assenza a lavoro. Incomprensibilmente a tutti eccetto che lui, sorrise. «b-b-bene. Ma ho la g-g-guarigione, quindi n-non c-c-conta» fece spallucce, piegando la gamba contro il petto per dimostrare la propria tesi. La guardò, chiedendosi come avrebbero fatto ad alzarsi. Non era mica facile, con le manette. Magari potevano rimanere lì seduti e basta a farsi un briscolino. «t-t-tu p-p-piuttosto» Abbassò gli occhi sul suo braccio, indicandolo con un cenno del capo. Aveva le maniche corte? La canottiera? BARBIE AVEVA I RAGGI X? Non lo sapremo mai, ma per un bene superiore (proseguire con la storia) fingeremo che il Jagger potesse vedere il gomito di Styx – e viceversa eh, pari opportunità. «n-n-non ha una b-bella c-c-cera» una tossica? Allora forse
    forse
    era davvero colpa di Eddie.
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    Forse l’adrenalina inizia a fare effetto, scuotendo membra evidentemente provate, perché dopo il livido sul braccio, vi rendete conto di qualcos’altro. Qualcosa a cui prima, troppo presi dalla sorpresa dell’insieme – svegliarsi in un posto che non conoscete, senza magia, ed ammanettati a qualcuno – non avevate fatte caso.
    Abbassate lo sguardo sui vostri vestiti. Alcuni sono troppo grandi per voi, o troppo piccoli. Taglie sbagliate, forme che mai avreste pensato di indossare. Sembrano pescati casualmente, come se qualcuno avesse afferrato gli abiti abbandonati nell’hotel, e ve li avesse messi addosso.
    Profumano di bucato, però. Almeno quello. Una cosa è sicura: non sono i vostri.

     
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    Cercando di uscire dalla stanza, vi rendete conto di tre cose: primo, non sentite alcun passo provenire dal corridoio, segno che nessuno stia facendo la ronda all'esterno della camera; secondo, riuscite a percepire, seppur distanti, i mormorii indistinti di vittime come voi - vicini, altri più lontani, ma forse potreste fare qualcosa in merito; terzo, e questa è la parte in cui vi viene la pelle d'oca, spiando dalla finestra notate che…non ci sia nessuno. È bassa stagione, certo, ma siete in un hotel, e perlomeno il personale e la manutenzione dovrebbero passare ogni tanto. Qualcuno nelle altre stanze, magari lo notate pure; hanno le manette come voi, però. Dove sono tutti gli altri? Questo gioco, non è più divertente.

     
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    E mentre Barbie veniva investito da una folata di dejà vu, per la cronaca, Styx, in pieno stile spazio vuoto fra le tempie, lo guardava come se non lo avesse mai visto prima neanche di striscio. In sua difesa, era abituata ad un tale viavai di persone, cose, animali e città che non avrebbe potuto farsi rimanere impressa il povero Barbie neanche volendo, non senza averci mai scambiato neanche una parola in vita sua.

    Quando lui iniziò a ridere, sfarfallò le palpebre molto perplessa, anche se non risentita.
    « Non sto scherzando... » provò a dire, poco prima che l'altro balbettasse una giusta domanda. « Non lo so. Non ricordo nulla. Chissà che giorno è... » piegò il capino un po' di lato, guardando nel vuoto davanti a sé con fare vagamente pensoso. Si stava realmente impegnando a cercare di capire se ricordasse qualcosa, ma: nulla. Zero. Più vuoto di così non si può.
    In fondo, era ancora viva.
    Poteva andare molto peggio.

    « La guarigione tipo...? Il potere? » domandò per sicurezza; benché fosse stata naturalmente costretta a suo tempo a cercare di inserirsi nel mondo magico, per ovvie questioni legate alla sua professione e alle sue origini aveva continuato più o meno placidamente a vivere nel mondo babbano finché i due mondi erano rimaste questioni separate, ergo non aveva mai assorbito particolarmente lo slang corrente sui poteri da Special. « Io? » lo echeggiò nel sentirsi apostrofata, sempre con quel musetto da diversamente intelligente. Fu comunque abbastanza encefalicamente attiva da seguire lo sguardo di lui fino all'incavo del suo braccio dove lui guardava, sgranando prima gli occhi e poi assottigliandoli: incredibile ma vero, non aveva mai visto un ematoma da iniezione di quel tipo, e se lo aveva visto non sapeva minimamente cosa volesse dire. Però a sembrare brutto lo sembrava.

    « Ma cosa... è successo? » in effetti, non si sentiva in gran forma. A parte la memoria corta e la posizione molto poco ergonomica in cui aveva evidentemente dormito, sentiva distintamente fame e sete. Per il primo problema tante grazie, aveva un curriculum di disturbi alimentari tipo malattie professionali - che fortunatamente si era lasciata alle spalle - ma per la seconda... ecco. Non le piaceva essere disidratata.
    Non pensò di guardare il braccio di Barbie, per la cronaca.
    Pensò piuttosto che si sentiva un paio di vertebre un sacco compresse e dopo un po' che era sveglia si rese conto che doveva avere addosso un reggiseno che non era per niente della sua misura. Ebbe il buonsenso di guardarsi e scoprì di indossare... una carinissima uniforme alla marinara. Quella, almeno, non pareva calzare troppo male, ma il reggiseno - quello era il male puro.
    « Senti, credo che questi vestiti non siano miei e mi abbiano messo un reggiseno troppo stretto. » prese a dire, con tutta la tranquillità del mondo. « Mi sento un po' stordita, quindi non è che potresti aiutarmi a toglierlo? O almeno a sganciarlo. In effetti... non so se si toglie, con le manette. O magari me lo strappi. » un discorso mediamente neanche troppo corto ma che enunciò con molta calma, per poi sorridere al Jagger con l'arietta più incoraggiante mai concepita.
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    « La guarigione tipo...? Il potere? » Osservò il braccio della donna a lungo, prima di sollevare con poca flemma gli occhi bruni sul suo volto. La soppesò, chiedendosi da quale ecosistema arrivasse per fare una domanda simile in un contesto come il loro: era forse una babbana? In quale casino si era infilato? Possibile che le cose più assurde, capitassero sempre a lui? Lui, che non era altro che un angelo (per davvero, non come chi lo diceva sapendo di mentire), sempre invischiato nelle peggiori trame del destino.
    Oh, Sander, ma che cazzo hai fatto per portarmi tutta sta sfiga.
    Resistette alla tentazione di dirle sicuro non quella spirituale, perché la bionda sembrava smarrita quanto lui. Annuì e basta, aprendo il palmo ed offrendolo perché potesse dimostrarlo facendo guarire il suo braccio, e – uh. Abbassò lo sguardo sul proprio corpo, decisamente più esposto di quanto fosse abituato. Era pur sempre nato a fine Ottocento, e sì che i tabù erano sempre stati la sua cosa preferita da rompere, ma neanche planare nel secolo successivo l’aveva mai convinto ad indossare crop top. Provò a flettere i muscoli del braccio, e sentì il tessuto tirare.
    Ma che minchia aveva addosso. Una maglia di disneyland per bambini? E quei… pantaloncini che arrivavano sopra al ginocchio, sembravano davvero tanto quelli dei personaggi dei Looney Tunes in space jam. Non fu comunque quello il dettaglio che gli fece storcere il naso. «p-p-pensa» borbottò, perché portava un segno gemello a quello della bionda, ma era impossibile. Avrebbe dovuto essere già guarito…? A meno che non gli avessero iniettato qualche tipo di inibitore, ma gli sembrava un po’ … come dire. Esagerato. E lusinghiero, se doveva essere onesto. «n-niente m-m-magia» avvisò, troppo confuso per poter anche esserne deluso.
    Quello era davvero strano forte.
    Neanche Eddie sarebbe arrivato a tanto.
    « Ma cosa... è successo? » Un’ottima domanda, alla quale, prevedibilmente, non aveva risposta. Si guardò attorno, inspirando piano. Avrebbe ucciso per una sigaretta, in quel momento, ma molto di più per del sano rum: senza il proprio potere, poteva finalmente ubriacarsi quanto gli pareva. Che occasione sprecata. Cercò se ci fosse il mini bar, perché era umile e sapeva accontentarsi. «c-c-cosa s-sei?» domandò, dopo un lungo silenzio, tornando a guardarla. Era… possibile che quella fosse una rivolta contro gli special di qualche gruppo di maghi Purosangue, dopotutto. Sacrificabile, lo erano di sicuro. Magari qualcuno, in quel preciso momento, stava inonando l’edificio di benzina. Non fu abbastanza derisorio a se stesso per controllare: se doveva morire, preferiva farlo senza saperlo.
    E nella tragedia. Nell’assoluta, miserabile, vita del Jagger, un punto di luce. Come un qualsiasi uomo medio, si volse verso la bionda – già detto che fosse bellissima? Perché la era, eterea come una ragnatela di cristallo – con molta lentezza, quando lei, con i suoi succinti abiti da marinaretta (che preferì, per orgoglio personale, rendere provocante, piuttosto che essere riportato ai war flashback della sua divisa. Grazie tante.) gli domandò se potesse slacciarle il reggiseno. Nulla di sessuale nella proposta, ma davvero, ormai era così disperato da prendere tutto quello che l’universo aveva da offrire.
    Ci pensò ben mezzo secondo, prima di annuire. Non era nelle condizioni di fare da sé, e se doveva fare quel sacrificio per la patria, eh, così fosse. Dalla loro posizione era difficile, avendo a disposizione una sola mano, quindi «ce l-la fai a-a-ad alzart-t-ti?» domandò, puntando già un piede al suolo ed offrendole una mano per aiutarla. Se fossero riusciti ad alzarsi, ed era un grande se, avrebbe fatto in modo di farla girare verso la finestra, così da avere la schiena verso di sé. Provò, con la mano libera dalle manette, a far scattare i gancetti del reggiseno, ma quei gran bastardi continuavano a scivolare via, rendendolo il solito ridicolo pagliaccio. MA CHE FIGURE FACEVA!. «s-s-scusa, p-p-posso, mh» e con il gentile consenso della fanciulla, speriamo, avrebbe usato i denti per tenere ferma la stoffa del reggiseno, e le dita per riuscire, finalmente!, a liberarla da quella presa.
    Click. E sorrise trionfante, Barbie, prima di rendersi conto della peculiare posizione in cui si trovavano – lei spalmata contro il vetro, le mani di entrambi sulla finestra per mantenerli in equilibrio, lui dietro ad osservare il mondo da sopra la spalla della bionda.
    Non sarebbe stato troppo strano, se non avesse incrociato, nella distanza, lo sguardo di due persone.
    Ciao Didi, ciao Mira, chi cazzo siete. Assolutamente impassibile, perché conceal don’t feel don’t let them know, li salutò con una mano. Non senza una leggera confusione, perché la donna sembrava picchiare sul vetro con la violenza di mille soli. Qualcuno si era svegliato male, peggio di loro.
    «d-d-dovremmo… fare… q-q-qualcosa?» perché a Barbie che lì dentro fossero cinquanta o solo loro due, non cambiava un emerito cazzo.
    UNF.
    Reclinò il capo sulla spalla, cercando nel riflesso gli occhi chiari della bionda.
    «l’hai s-s-sentito anche t-t-tu?» Seguendo la fonte del tonfo, premette l’orecchio contro una parete assolutamente randomica della stanza.
    Erano in un hotel. Le possibilità che stesse per ascoltare qualcosa per cui altri avrebbero pagato su onlyfans, c’erano eccome. Nel dubbio, non essendo da solo nella propria miseria e provando un vago moto di tenerezza per la povera crista costretta a condividere quei momenti con lui, provò a picchiare contro il muro seguendo un ritmo ben preciso.
    Colpi lunghi. Brevi. Pause. Rimase per un bel po’ a picchiare il pugno contro il muro, Barnaby Jagger.
    E dire che aveva solo una domanda, e molto specifica:
    S-T-A-I—S-C-O-P-A-N-D-O
    PUNTO-DI-DOMANDA
    Ballavamo nella zona nord quando mi chiamavi "fra'"
    Con i fiori, i fiori nella tuta gold, tu ne fumavi la metà
    Mi passerà, ricorderò i gilet neri pieni di zucchero, cambio il numero
    Cinque cellulari nella tuta gold, baby, non richiamerò
     
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    Sempre più dettagli vengono alla luce, ora che la situazione pare prendere una forma; sapere che non siete soli, in quella follia, forse aiuta a rendervi più lucidi. Ed è proprio in questo modo che vi rendete conto di un’altra cosa molto strana: c’è il sole, fuori dalla finestra. È alto, ad occhio e croce mezzogiorno deve essere passato da qualche ora — ma ciò che vi colpisce è il cielo sereno. Non una nuvola all’orizzonte; strano, il meteo aveva previsto pioggia per quel giorno, e alcuni di voi sicuramente avranno buttato un’occhio alle previsioni, prima di organizzarsi per quel San Valentino… che i meteorologi si siano sbagliati? Possibile.

     
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    Gli indizi c’erano tutti: la stanchezza ingiustificata, la fame, il luogo in apparenza abbandonato e abbastanza appartato da non destare alcun sospetto, degli abiti non vostri e la sensazione a pizzicare sotto la pelle che fosse passato più tempo di qualche manciata di ore, dall’ultimo momento che ricordavate di essere coscienti.
    Perché è esattamente così.
    E la conferma è proprio lì sotto il vostro sguardo, stampata nero su bianco su quella pagina di Morsmordre che vi fissa di rimando; o sull’intestazione sbiadita di uno scontrino dimenticato; o ancora, su quella copia del Boccino d’Argento lasciata per errore sul comodino da qualcuno. Non sapete chi, dovrebbe importarvi, ma non abbastanza perché le vostre attenzioni sono tutte per quel numero che si prende, beffardo, gioco di voi.
    24 febbraio 2024.
    Potete dirlo ai vostri amici, urlarlo attraverso le pareti o continuare a scriverlo con il sangue sui vetri; la domanda è se qualcuno vi crederà, o no. A malapena riuscite a crederci voi.

     
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    Che sia perché state facendo la conoscenza gli uni degli altri, o perché siete intenti a scrivere col vostro sangue sul vetro, oppure perché state urlando attraverso le pareti per farvi sentire da chi, come voi, sembra finito in quell’incubo, non importa: siete tutti troppo impegnati, troppo distratti, per accorgervene in tempo. E chi di voi lo fa, arriva comunque troppo tardi.
    Ha l’aria innocua, un disco di metallo di dieci centimetri di diametro e non più di due di spessore, tre al massimo. Era nascosto: sotto il secchio, dietro la sedia, sotto al letto. Non importa nemmeno quello; perché quando sentite il click, e il successivo sibilio, capite subito che qualcosa non va. Qualcuno, i più reattivi – o quelli abituati alle situazioni estreme e complicate –, proverà a proteggere naso e bocca con rimedi di fortuna (le lenzuola, i cuscini, la stoffa degli abiti che indossano). Ma, ancora una volta, è troppo tardi. Non sapete cosa sia la sostanza gassosa rilasciata dal dischetto, ma la state respirando, e nonostante i vostri valorosi sforzi soccombete, chi prima e chi dopo, ai suoi effetti. Nulla di troppo terribile, chiunque vi abbia messo lì dentro non vuole uccidervi — o l’avrebbe già fatto. Vogliono solo rendervi innocui, disorientarvi ancora di più e confondere i vostri sensi. E, con i poteri inibiti, funziona su tutti, special compresi.
    Passa un minuto, poi due. Il gas ha smesso di fuoriuscire, e voi di tossire — o di ribellarvi inutilmente ai suoi effetti. Ed è in quel momento che la porta della stanza si apre, e vorreste tentare di approfittare di quell’occasione per fuggire ma lo stordimento ve lo impedisce, ed è facile per quelle persone (mercenari assoldati da qualcuno? Cacciatori inviati dal ministero? non sapreste dirlo) trascinarvi fuori dalla stanza, insieme a loro.

     
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