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julio peña fernández/julian morris* sunday de thirteenth scheda pgCODICE<span class="pv-m">julio peña fernández/julian morris[color=red]*[/color]</span> sunday de thirteenth [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62840582][color=#999920]scheda pg[/color][/URL] -
.sunday de thirteenth25.12.2000united kingdomTrattenne per qualche istante di troppo la pallina da tennis tra le dita, sentendola diventare sempre più pesante davanti ai propri occhi. Solo quando la gravità vinse contro la forza del polso, e la piccola sfera gialla rischiò di cadergli in faccia, gli diede una spinta lanciandola contro il soffitto. Non lo raggiunse, ed il De Thirteenth la riprese al volo.
Ancora.
E ancora.
E ancora, un'altra volta.
Se il Linguini fosse entrato nella stanza del metamorfo – perché avrebbe dovuto?, beh... perché era un Romolo: ci conviveva da pochi giorni, ma già aveva iniziato a capire come funzionasse; non che la cosa lo disturbasse, ad ogni modo – un'ora prima, il giorno precedente o quelli più addietro, e in quel momento, non avrebbe trovato molte differenze. Sandy sarebbe stato sempre lì: sdraiato sul letto con una mano dietro la nuca, gli airpods nelle orecchie e una palla come passatempo. Quel che cambiava era la musica a tutto volume che gli veniva sparata direttamente dentro al cervello, o la lunghezza della canna stretta tra i denti che, purtroppo, non era immune all'infame scorrere del tempo.
O la faccia con cui gli avrebbe sorriso tiepido, chiedendogli se volesse farsi un tiro o se avesse bisogno di qualcosa. Assurdamente, non per prendersi gioco di lui né di nessun altro; tantomeno perché non sentiva di riuscire a governare il proprio potere.
Ciò su cui aveva perso il controllo, probabilmente, era sé stesso.
Ogni mattina Sunday si svegliava, si preparava per andare al San Mungo, controllava che Lollo non avesse distrutto l'appartamento che condividevano durante la notte, e accettava il fatto di dover rimodellare il proprio aspetto davanti ad uno specchio che non sempre gli mostrava quello che aveva lasciato la sera prima, o che si aspettava di trovare. Si vestiva del viso con cui si era presentato al colloquio la prima volta, quello con cui avevano iniziato a conoscerlo a lavoro e con cui avevano preso confidenza i pazienti, come fosse una maschera: era stato sicuro che fosse il suo, quello vero, fino alla fine dell'estate; aveva già perso molte certezze nell'ultimo anno (più di quante avesse facoltà di dire), ma la festa hawaiana alla quale nemmeno voleva partecipare aveva dato il colpo di grazia – così il suo cervello aveva fatto fold e scelto il caos, o aveva inconsciamente deciso di lasciare le redini e smettere di trattenersi. Non avrebbe saputo dirlo, e nemmeno gli interessava più di tanto: aveva molti altri problemi a tenerlo inchiodato sul materasso, e salutare una persona diversa ogni mattina allo specchio era l'ultimo tra questi.
Le notifiche ad abbassare il volume di Orville Peck che gli cantava del tentativo di sfuggire all'inevitabile destino che ci accompagna, invece, rientravano tra le cose che lo turbavano. Per un po' ignorò quell'ultima che aveva fatto vibrare il telefono sul comodino, alzandosi a sedere con l'unico intento di non farsi cadere la cenere addosso. Un atteggiamento che andava contro tutti i suoi principi: Sandy era esattamente quel tipo di persona che, se fosse stato possibile, avrebbe risposto ai messaggi prima ancora che potessero arrivargli, incapace di aspettare e di far aspettare. Ma non aveva voglia.
Non aveva voglia di dire ai colleghi del San Mungo sui gruppi, che proponevano uscite o cazzate del genere, quanto poco gliene sbattesse di uscire di casa.
Non aveva voglia di spiegare alle conoscenze fatte in quei mesi in America dove fosse finito, cosa gli fosse successo – perché tanto non avrebbero capito, e perché tanto non gli importava che lo facessero: non erano i suoi amici.
Non aveva voglia di rispondere alle sue sorelle, qualsiasi cosa avessero da dirgli: le amava, ma non poteva negare che qualcosa, per lui, a quel punto fosse diverso.
Soffiò il fumo verso il pavimento, palpebre pesanti e sguardo puntato verso il cellulare. C'era qualcosa –
un braccio attorno alle spalle
un buco nel petto
le nocche sporche di sangue
quel pizzico agli angoli degli occhi
– qualcosa che lo spinse ad allungare la mano e a leggere il messaggio prima che avesse modo di ribellarsi al proprio corpo. Qualcosa che gli diceva fosse la cosa giusta da fare.
L'unica che avesse importanza.
Una sigaretta dietro l'orecchio, una mano affondata nella tasca della felpa e l'altra a tenere una busta, il De Thirteenth rimase qualche minuto ad osservare la Stamberga Strillante in lontananza – poco più vicino alla struttura rispetto a dove si era fatto lasciare dal suo taxi personale (Lollo) –, un angolo delle labbra sollevato involontariamente.
Un sorriso acido, dal sapore di esperienze che avevano trapanato nel petto per restarci incastonate, e che poi erano state estratte lasciando solo un vuoto doloroso.
E guardò il ragazzo sulla soglia della casa marcescente con lo stesso, innominabile, sentimento; e si chiese, per tutto il tempo che era rimasto lì impalato come un lampione, se davvero fosse l'unica cosa giusta da fare.
Per sé, per l'altro.
Ma era l'unica cosa che sentisse di voler fare.
«è qui la festa?» il canto delle cicale in sottofondo suggerivano di sì. Deglutì. Inspirò più forte, a denti stretti e narici spalancate, perché porca puttana il petto non si allargava e faceva tutto più male di quanto riuscisse a comprendere, ma sorrise. «questa viene direttamente da novi lugubre,» tirò fuori dalla busta la bottiglia di vodka dal dubbio aspetto ed etichetta (le sue cose preferite, a dirla tutta), un po' per liberare le mani dall'impaccio e un po' per tenersi occupato. «dicono sia terribile.»
Non era davvero una festa, né gli aveva detto di portare qualcosa da bere: sinceramente, non sapeva se l'aveva presa perché sentiva ne avrebbe avuto bisogno, o per altro.
Senza dubbio, avrebbe fatto il suo dovere.hogwartshufflepuffrebel 2043: ramses psychowiz freak? -
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sunday de thirteenth ramses de thirteenthFalling too fast to prepare for this
Tripping in the world could be dangerous
Everybody circling, it's vulturous
Negative, nepotist«mh.» appollaiato sulla panchina di fronte al Captain Platinum, Sunday De Thirteenth continuava a rigirarsi tra le mani nodose la lettera ricevuta qualche giorno prima, torturandola più in quei minuti di attesa di quanto non avesse fatto dal momento in cui Thor gliel’aveva portata in camera sua – una stanza dalla quale era uscito fin troppo di rado negli ultimi due mesi, ed unicamente per mangiare con chi della propria famiglia capitava in casa per pranzo o per cena; di mettere il naso fuori dal portone d’ingresso della villa non se n’era parlato per molte settimane e, fosse dipeso da lui, la propria reclusione avrebbe potuto protrarsi ancora a lungo.
Non si sentiva pronto.
Non si sentiva a proprio agio.
Riflesso nello specchio vedeva sé stesso, senza alcun problema. Che gli occhi ambrati a ricambiare il suo sguardo fossero diversi da quelli dipinti nei ritratti disseminati per casa, o che la mano accarezzasse lineamenti più morbidi e meno affilati, capelli ramati decisamente più chiari e mossi rispetto a quelli nei quali era abituata a perdersi, gli era del tutto indifferente. Sapeva quello fosse lui, il vero Sandy – che non ci fosse niente di sbagliato, nel diverso aspetto con cui aveva bussato alla porta dei De Thirteenth all’alba di una guerra che avrebbe di lì a poco travolto l’intero mondo, magico e non.
E quando distorceva i connotati di quel nuovo corpo a proprio piacimento e nei modi più disparati, lo faceva con una facilità e leggerezza che non aveva affatto preventivato nel momento in cui aveva percepito qualcosa cambiare nella propria magia. Non aveva avuto paura, non aveva provato alcun tipo di dispiacere, quando si era reso conto che i poteri di cui gli avevano fatto dono le sorelle anni prima avevano iniziato a scemare, fino a sparire completamente: era un tipo strano quello che gli aveva permesso di usare la bacchetta, ed altrettanto stravagante era la stregoneria che aveva usato; credere che sarebbe durata per sempre era un’idiozia. Si chiedeva perché fosse successo, sì, se avesse a che fare con l’incedere di Abbadon sul loro piano della realtà o se fosse semplicemente scaduto qualsiasi contratto che le gemelle avevano stipulato con Kosmo otto anni prima; quesiti di pura curiosità, che per quanto lo riguardavano potevano rimanere irrisolti per tutta la vita – non gli era nemmeno interessato perdere completamente ciò che lo legava all’universo nel quale aveva sempre vissuto, a dire il vero. Scoprire di avere quelle capacità fu strano, quello senz’ombra di dubbio, ma non di certo sconvolgente: a dire il vero, la semplicità con cui ci aveva preso dimestichezza gli avevano fatto pensare di averle sempre avute; un abito comodo e cucito su misura per lui, chiuso in un cassetto di un vecchio armadio ed ivi dimenticato per un sacco di anni.
Tornare a Londra non era stato facile. Restare in America sarebbe stato inutile (aveva lasciato l’università, non aveva niente nel Nuovo Continente per cui valesse la pena trattenercisi; sentiva di volersene andare già da tempo, sebbene non ne comprendesse il motivo) ma doversi svegliare la notte perché non riusciva a respirare, non era facile; ritrovarsi con le guance rigate e la testa che minacciava di esplodere da un momento all’altro, non era facile. L’idea di girare per la capitale del Regno Unito, incontrare persone di cui non aveva più mezza memoria nonostante ricordasse di averci vissuto – e di aver vissuto Hogwarts, e delle maledette battaglie, e la cazzo di California dei ruggenti anni Venti, e la Resistenza alla quale non aveva ancora avuto il coraggio di rivolgersi – consapevole di quanto sarebbe stato assurdo per lui e per loro, non era fottutamente facile.
Infatti, aveva inizialmente declinato l’invito. Una festa hawaiana, che già per definizione non poteva non essere trash, a Diagon Alley? Un sogno, forse una favola. Eppure, non gli c’era voluto molto, dopo aver letto la lettera, a ridarla alla sorella: le aveva proposto di andarci lei al posto suo, o magari qualche sua amica che immaginava avesse accettato. Thor gliel’aveva sbattuta in faccia con la delicatezza di un rinoceronte, dicendogli – testuali parole – di “non rompere il cazzo, idiota” e che “ti ci faccio arrivare a calci in culo se non ti alzi da quel letto”.
Tutto sommato non poteva fargli così male una festa.
«cazzo guardi?» aveva comunque ritenuto opportuno prendere le dovute cautele prima di infilarsi nella mischia. Precauzioni quali: prendere l’aspetto di una vecchietta, appostarsi su una panchina, fissare il locale da dietro le lenti scure, cercare di riconoscere qualcuno degli invitati man mano che entrava. Ma se non era riuscito a riconoscere nessuno – solo brividi lungo la schiena, o sorrisi trattenuti perché incomprensibili –, era invece stato capace di attirare l’attenzione di una giovane coppietta. «una signora della mia età non può farsi una canna in santa pace?» assurdo, non c’era davvero più rispetto per gli anziani. Attese che i due passassero oltre smettendo di fissarlo, osservandoli di rimando con l’aria torva dell’ottantenne qual era indispettita dalla gioventù dell’epoca; dunque, si alzò in piedi, scivolando in un vicolo per spogliarsi degli abiti della vecchietta – quasi letteralmente: toltosi di dosso quell’aspetto gli rimaneva una camicia a fiori sbottonata, un paio di bermuda abbinati e gli infradito, oltre allo spinello spento che pendeva dalle labbra.
Inspirò.
Quanto poteva essere tragica, una festa?
Espirò.
«si può fumare qui dentro?» non attese il «in realtà… no.» del proprietario del Captain Platinum, prima di accendere nuovamente la canna e sorridere sornione al Lovecraft. Sedeva sullo sgabello del bancone, gomiti poggiati sullo stesso e occhi rivolti alla sala: di tanti posti, non riusciva davvero a comprendere perché avessero scelto quello come location per un party con quel tema. Non aveva un cazzo di senso, e lo adorava.
«duh.» rispose ai versi dell’altro ragazzo, piegando le labbra verso il basso e annuendo solenne ai suoi mah e boh: un mood, doveva ammetterlo. «un altro. doppio!» «anche per me!» non aveva assolutamente idea di cosa avesse ordinato il Withpotatoes, ma non gli interessava: la promessa dell’alcol gratuito era tra i due unici motivi per cui alla fine si era spinto fino a Quo Vadis Town (l’altro era, chiaramente, il trash), e non era un tipo particolarmente schizzinoso; mandava giù di tutto senza battere un ciglio. Anche avesse detto cosa voleva, non l’avrebbe davvero ascoltato: era troppo impegnato a guardarsi attorno, e a soffermarsi su poche persone.
Il biondo dall’aria di uno che nel giro di pochi istanti sarebbe potuto morire seduta stante, e che una vocina nella testa di Sandy gli sussurrava che, se fosse successo, avrebbe avuto tutto il diritto di ballare sul suo corpo ancora caldo.
La ragazza che sapeva essere tra le organizzatrici di quella serata, Kieran – non sapeva perché, ma la osservava e istintivamente pensava agli UFO. Okay, il metamorfo pensava spesso agli alieni, ma quella era una sensazione diversa, serena e leggera.
Il ragazzo che «chissà se viene anche sunday.» uh.
Aggrottò le sopracciglia e, guardandolo meglio, lo riconobbe. Prese il suo («cos’è?» «scotch.» «meh.») bicchiere e si avvicinò al moro, puntandogli contro indice (e medio, dato che erano uniti a tenere fermo lo spinello). «tu sei… quello che mi ha mandato il selfie, giusto?» era stato un momento davvero strano, quello in cui aveva ricevuto il messaggio ominous da parte sua – ma tanto a quel punto non si stupiva più di nulla. «sono io sandy,» strinse il filtro tra le labbra storte in un sorriso a metà, allungando la mano verso di lui. «ci conosciamo?» insomma – al diavolo l’idea di starsene in disparte e limitarsi a bere qualche cocktail, partecipando a quella festa senza farlo davvero.
D’altronde, Sunday De Thirteenth era fatto così: o tutto o niente; nessuna zona grigia.whatever it takes
imagine dragons -
.nickname: wild one;
gruppo: special born
link in firma? yo
e abilito -
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- psicomago
e prenoto la cattedra di strategia .
e aggiorno -
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scuola: hogwarts
casata: hufflepuff
ripetente? +3
anno di nascita: 2000
nato dopo settembre? SI
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personaggio: HTML[URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62840582]Sunday De Thirteenth[/URL] - <b>metamorfosi</b>
razza: nato special
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RIBELLE
e aggiorno -
.nome personaggio + scheda:HTML[URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62840582#newpost]Sunday De Thirteenth[/URL]
risultato del test: 95/100
ruolo nella resistenza: guerrigliere
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julian morris sunday de thirteenth scheda pg HTML<span class="pv-m">julian morris</span> sunday de thirteenth [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62840582][color=#999920]scheda pg[/color][/URL]
e aggiorno -
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the dado has spoken - e chi sono io per non ascoltarlo.
↳ PRIMA UTENZA: jic.
↳ NUOVA UTENZA: wild one;
↳ PRESENTAZIONE: magari no
↳ ROLE ATTIVE:
JUSTIN: ft. barry [22.06]proprio allo scoccare dei dieci giorni bonus, daje lele daje
BALTASAR: ft. shiloh [19.07]
ALOYSIUS: ft. mae [29.07]
DAVETH: ft. yale [27.07]
ISAAC: ft. stiles [21.07]
TVÄTTBJÖRN: ft. hans [22.07]
KIEL: ft. bash [19.07]
JEKYLL: ft. elias [01.08]
↳ ULTIMA SCHEDA CREATA: jekyll orwell crane-winston [15.06] -
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In lontananza, Sunday De Thirteenth poté chiaramente shentire un sospiro provenire da Kiel Kane, quando il bolide evitò di colpire la portiera (TM) dei Tassorosso: quello che non capì, e se si trattasse di sollievo o di rammarico. «Mh.» abbassò il capo, puntando gli occhi sul taccuino abbandonato sulle gambe distese. Se avesse avuto una penna sarebbe stato più utile, certo, ma era il pensiero che contava. E col pensiero, stava cerchiando il nome di Kaz Oh più volte. «Sai,» chi, boh. «gli ho letto i tarocchi, prima di iniziare la partita.» pausa.
Suspence.
Testa di cazzo dal sedile davanti che si lamentava dei piedi sulla sua testa.
«Sono andate a fuoco. Non so quanto possa essere un buon segno.»
Pregò per lui. -
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«Allora,» acciuffò un pop corn dal sacchetto di CJ, le gambe allungate sul sedile davanti al proprio ed un braccio posato sulla spalliera del sedile di Joey. Le iridi nocciola nascoste dalle lenti scure - cosa, pensate siano inutili gli occhiali da soli con la pioggia a novembre? Cazzi vostri - seguivano le azioni sul campo da Quidditch, ma senza davvero vederle: avrebbe preferito rimanere a letto, quella mattina. «chi dobbiamo tifare, oggi?» insomma, aveva delle scommesse da fare. Ovviamente avrebbe tifato per le tasse più Kaz - perché c'era Thor a giocare, più che perché fosse la sua casata -, ma erano cose che un giocatore d'azzardo doveva sapere. Chi era più quotato? Chi aveva i giocatori migliori? Su chi valeva la pena puntare per vincere qualcosa?
Nel dubbio, lui in quel momento sapeva benissimo chi incitare a dare il meglio di sé.
«VAI VAL SCUOTI QUEL SEDERE COME TI HO INSEGNATO!» this is his emotional support, sir.SPOILER (clicca per visualizzare)tifo tassorosso -
.nickname: wild one;
gruppo: hufflepuff
link in firma?