extra: tassorosso vs serpeverde

Per citare un grande saggio: «YATTAAAAAAA!» Hiro Nakamura, in sottofondo: yatta, indeed.
Come dite? Kaz era koreano e non giapponese? E QUINDI? Dylan, nella sua euforia, non ci badava più di tanto. Era così... strano, averlo lì.
Perché era (alto) (un maschio) (uno special) (un po' troppo poco a suo agio) nuovo e Dylan doveva ancora farci l'abitudine. «Sei sicuro dunque che non cadrai dalla scopa???» Si preoccupava tantissimo.«Jo, ma ci possiamo fidare di quelli che le hanno costruite???» Erano o no dei propopiti (Taichi e Sully non erano gli unici ad avere problemi con le parole nuove, a quanto pareva) da collaudare? Li avevano collaudati abbastanza???
Lanciò uno sguardo alla scopa che lo special teneva in mano, nell'altra la mazza, e storse il naso. «Facciamo mettere dei materassi sul campo? Dai, così se cadi non ti fai-» troppo «-male.» E un sorriso raggiante in direzione di Kazzino, prima di frustarlo con una delle lunghissime trecce, nel dargli le spalle e salire in groppa a quelle di Thor. «KARIKAAAA»
Era a dir poco: su di giri.
Le partite l'avevano sempre agitata (un po' tutto, a dire il vero, l'agitava.) ma non nel senso di “oh meo deo ho l'ansia” più nel senso di: ho troppe energie e non so cosa farmene allora tanto vale che svanghi un po' i bolidi delle mie compagne. (Rimanevano al femminile, erano in maggioranza, duh.) La lung(hissim)a permanenza in infermeria, poi, non aveva fatto altro che farle accumulare ancora più energie che adesso, a pochi minuti dal fischio iniziale, supplicavano di essere lasciate a briglia sciolta. Non vedeva l'ora di salire in sella al manico di scopa e piazzarsi a difesa degli anelli: l'adrenalina della partita, le urla e il tifo, più l'ansia di dover parare la pluffa, l'avrebbero sicuramente fatta sfogare a dovere (per la gioia di Joni e delle Furie e della sala comune e dell'intero castello).
«COL TRATTORE IN TANGENZIALE, ANDIAMO A COMANDARE!!» Non sapeva minimamente cosa fossero un trattore o una tangenziale, ma l'aveva sentito dire dai Linguini e le era piaciuto. Un po' come il suo five (SIX!!) makes one team che non passava mai di moda.

Discorso motivazionale di Joni che poi arriverà (ciao socc), protezioni sistemate, scope controllate per evitare che fossero manomesse, ultima controllatina alla divisa e poi «AAAAAAAHHHHHHH» era così bello tornare a volare – o fare qualsiasi cosa che non fosse stare a letto. Erano passate settimane da quando era stata dimessa, okay, ma aveva perso un sacco di tempo che in qualche modo doveva recuperare. Salutò con la manina i compagni di scuola sugli spalti, pure quelli che non conosceva perché dai, tanto non li vedeva nemmeno davvero per bene, e volò verso i suoi anelli pronta a proteggerli al suo meglio. Quando il coach mise in gioco le palle, Dylan si avventò sulla pluffa, pronta a lanciarla verso la prima compagna libera.
«TUTURUTUUUUUUUU» fate finta sia il suono di un corno che da il via alla partita.
E se il passaggio va male ricordate: (è Dylan) non è il suo ruolo SMACK

la partita era già arrivata al secondo tempo e a rob già giravano un paio di cose: la testa e le palle che non aveva.
meanwhile, in un altro universo, la partita non era ancora iniziata e a Joni già giravano un paio di cose: la testa e le palle che non aveva.
due mondi cosi diversi, eppure uguali. entrambe, rob e la peetzah, potevano solo sperare che il gioco fosse migliore, sotto tutti i punti di vista — più divertente, meno raffazzonato, con un minimo di senso. non poteva certo aspettarsi degli standard molto alti quando in campo c'erano i Serpeverde (ciao nipoti vvb), ma almeno una delle due squadre aveva il dovere di impegnarsi e dare spettacolo.
loro, loro erano quella squadra.
il mal di testa e il bad mood della capitana erano dovuti più che altro a cause esterne, che il quidditch riusciva almeno in parte a stemperare; proprio come una medicina, un balsamo naturale spalmato delicatamente sulla pelle, salire sua scopa ed impugnare la mazza rimetteva (almeno per un paio d'ore) i tasselli sconnessi della sua vita al loro giusto posto.
lassù, a venti metri d'altezza, joni poteva dimenticarsi di quello che provava o non provava per Julian Bolton, di cillian noolan che voleva scipparle il posto di capitano, dei ricordi annebbiati appartenuti ad un Ché Cheemy ormai morto e defunto.
e pensare solo a menaje.
«Jo, ma ci possiamo fidare di quelli che le hanno costruite???» joni, che come rob leggendo aveva capito 'ci possiamo fidare di quelli che fanno le prostitute', si strinse leggermente nelle spalle, senza distogliere lo sguardo da Jeremy «immagino di si. dopotutto lo fanno per sopravvivere, è la società che li costringe» una società malata, quella dei costruttori di scope.
diverse urla della kane dopo, il fischio d'inizio riempì l'aria sovrastando il tifo imbizzarrito e la pioggia scrosciante, e la peetzah si concesse solo un istante per raccogliere i capelli ramati ormai appesantiti dall'acqua in una coda bassa, prima di spingere il busto in avanti stringendo il manico della scopa con la destra e la mazza tra le dita della mano libera «DYL!» fece cenno a Dylan, che con forza e precisione tiró la pluffa nella sua direzione, e una volta afferrata non perse tempo per rinviarla a sua volta ad un'altra furia — termine che ormai comprendeva anche il giovine kaz oh, prima eccezione maschile nella squadra delle tasse da quando joni era diventata capitano.
e ultima, si spera.
cos

Era veramente: euforica. Nulla di nuovo, ovviamente, essendoci il Quidditch di mezzo. Ma, udite udite, non era solo l’imminente inizio della partita a far sentire Thor così. Anzi, il Quidditch era quasi collaterale. Il motivo, quello preponderante, quello vero, era che… tutti stavano bene. Dylan stava bene. Quando aveva sentito per la prima volta dopo settimane che sembravano anni il suo urlo da ultrasuono in Sala Comune si era commossa e no, non aveva nascosto le lacrime. Era guarita. Erano tutti guariti. E nessuno di loro era rimasto bloccato nel passato, nel corpo di un’altra persona. Non che Dear avesse nulla di male, a parte essere maschio e gentile, ma Thor, nonostante tutto, amava essere sé stessa. Amava il suo mondo, la sua famiglia, le sue amiche. Amava essere… Thor.
E amava il Quidditch, naturalmente. Avere un secondo battitore era fantastico, certo, ma… un maschio?! D’accordo, Kazzino non poteva essere definito maschio al cento per cento, però era tutto molto… strano. Aveva un po’ storto il naso, ma alla fine se l’era fatto andare bene: avevano bisogno di un altro battitore. E una parte di lei, piccolissima e nascostissima, ovvio, era quasi intenerita: le ricordava Clay, così spaesato, alto e… beh, speciale. In tutti i sensi. Quelli cattivi, certo.
Eppure sorrideva, Thor, ascoltando Dylan riempire Kaz di domande preoccupate e di proposte strampalate. E sorrise ancora di più quando le saltò sulle spalle, stringendola decisa dalle gambe per non farla cadere. «YAAASSSS!!! KARIKEEE!!!» decise addirittura di farle eco, anche se, chiaramente, il suo urlo non era nulla rispetto a quello di lei.
Altre urla di Dylan e discorso bellissimo della cap dopo (compreso il dover giurare di non fare falli fino a quando non avrebbero cominciato le Serpi – ma di là c’era Mortino, quindi doveva cominciare a scaldarsi, era solo questione di tempo), erano tutte, Kaz compreso, perché era pur sempre l’unico uomo, quindi basta con il patriarcato, se la maggioranza è femminile si parla di tuttE, in sella alla scopa, pronte a partire. Non sentiva neanche il freddo, tanto era carica: «WOOOOO!!! RAWWW RAWWWW!!». Rise forte, guardando orgogliosa e contenta le sue amiche (e sì, pure Kaz, dai). «BRAVISSIMA DYL!!» tuonò allegra, vedendo l’amica eseguire alla perfezione il primo passaggio. Quanti goal avrebbe segnato? Citando Dylan, era davvero, davvero KARIKA!!!
Intanto, però, doveva evitare di farsi del male a nemmeno due minuti dall’inizio della partita: vedendo il bolide avvicinarsi zigzagò via nella pioggia. «VAI JONI, SPACCAGLI LE OSSA!!» A chi? Non importava, basta che fosse un Serpeverde.

inutile dire che ty si trovava lì, in quel luogo ameno, con un compito ingrato a gravargli sulle spalle esili, sotto costrizione.
livy lo aveva circuito preparando biscotti allo zenzero e guardandolo dal basso con i grandi occhi a cuoricino, ma non solo: il gomito che gli puntava costantemente nel fianco con forza +2 ogni volta che si trovavano vicini andava preso esattamente per ciò che era — una minaccia fatta e finita. alla quale ty aveva cercato di fare una placida resistenza, per poi cedere quando la hawkins si era giocata il jolly definitivo («ok, allora dico a joni di convincerti lei. a modo suo.»); e il cinese sapeva esattamente quale fosse il metodo di joni peetzah.
di botte taichi ne aveva già prese abbastanza durante quell'ultimo mese all'insegna del razzismo pandemico, ed era deciso a farsele bastare.
quindi eccolo li, con i capelli ricci tinti (again) rigorosamente di rosso (più un bordeaux venuto male) per adeguarsi al suo nuovo status — cheer-fucking-leader, lui.
«la smetti» guardava fisso davanti a sé, l'altair, nonostante i due bambini (clay e Val) casinisti che si agitavano alla sua destra, per trovare la concentrazione ma soprattutto per evitare le occhiate di Brienne.
la quale magari stava guardando oltre il palo della luce che era per godersi lo spettacolo delle squadre che entravano in campo, ma ty dubitava di essere così fortunato: dopotutto, non capitava tutti i giorni di vedere taichi limore con i pom pom in mano. «io non sto facendo niente» «ma lo stai pensando» il diciassettenne non era telepate, ma per intuire certe cose non serviva «non farmi foto» insomma, le priorità.
come era, purtroppo, prioritario fare quel cavolo di tifo, ora che la de13 stava per beccarsi il primo bolide in faccia «te tocca» tu pensa che fortuna. inspiró profondamente l'aria densa, resa ancora più umida dalla pioggia battente (si può starnutire o rischia un viaggio in sala torture? chiedo), occhi chiusi e pom pom giallo-neri stretti al petto — sul cuore «FURIE ROSSE SEMPRE PRONTE
DEVE VINCERE IL PIÙ FORTE
SUL CAMPO SCONTI NON DOVETE FARE
MA AI BOLIDI (e avversari) UN SACCO DI MAZZATE DARE
CACCIATRICI E BATTITORI
FANNO SOLO FIGURONI
DYLAN A GUARDIA DEGLI ANELLI
COME FRODO E SAMWISE GAMGEE
E SE POI ESCE IL BOCCINO
CON LA HAWKINS È GIÀ FESTINO» oh, quella se l'era scritta da solo eh.

«Carotina carotina.» Niente, in realtà, Piz non aveva nulla da dire alla sorella in campo, in quel momento -- anche perché la partita era appena iniziata, non aveva ancora nemmeno tirato fuori il blocco degli appunti. Ma era lì, pronto nel taschino della giacca.
«Tulipano,» posò le iridi azzurre sulla figura del suo assistente (che si, lavorava ancora per lui anche se da qualche tempo lo tradiva per un certo Bar dello Sport) (con quale coraggio!!1!!) «mi sta piovendo in testa.» se si era portato dietro Delith solo per farsi tenere l'ombrello mentre lui scriveva sul taccuino??? Ebbene sì.
Taccuino che apparì, finalmente, con l'arrivo dei bolidi.
«Oooooh, finalmente. Ora sì che si ragiona.»
I bolidi, se non lo miravano direttamente, lo facevano ancora emozionare. «Tifo per Tassorosso.» annunciò a nessuno in particolare, ma a tutti quelli che si potevano (lecitamente) domandare in quel momento: Morley, tifi per i tuoi figli o per tua sorella??

Duh.

«femminuccia»
«magari?» Avrebbe sognato una pelle come la loro, o quel profumo che sembrava pertinente a tutte le donne – anche non cis – di fragole e zucchero e budino - invece no, aveva gli ormoni maschili che tendevano a puzzare. C’era un motivo se usava deodoranti, bagnoschiuma, shampoo e creme di varia natura destinate al genere femminile: ma chi Kaz Oh voleva puzzare di abete o pino silvestre?
«frocio»
«manco quello» un tono triste, quello di Kaz. Innanzitutto, essere attratto dal genere maschile avrebbe ampliato la sua pool di possibilità, ma poi voleva far parte del cambiamento, e del futuro, e di un mondo dove non si nasceva eterosessuali o womini solo perché con un pene. Quel genere di critiche da parte dei compagni di scuola, non lo toccava minimamente, perché non lo trovava affatto offensivo. Era il resto a rendere lo sguardo dell’Altair un po’ più distratto, il sorriso un po’ meno languido sulle labbra.
Solo perché non era un mago.
Gli dispiaceva che a rimetterci fossero le sue compagne, bisbigli fra i corridoi e spinte che si fingevano involontarie, malgrado sapesse che fossero perfettamente in grado di difendersi. Adorava Joni per averle permesso di far parte della squadra – e perché era super kool, ma quello era secondario – e gli piacevano le Furie – tutte ed in tutti sensi, can’t blame him – ma non abbastanza da fargli fare il passo indietro che avrebbe permesso a tutti di vivere più serenamente quell’esperienza.
Perchè era il primo. Era il pioniere di quello che il mondo avrebbe dovuto essere. Era un simbolo, e se il peso d’esserlo era un po’ di bullismo, poteva affrontarlo. Voleva dimostrare agli altri special che anche loro meritassero un’opportunità, che potessero farlo. Che in una realtà dov’erano insignificanti, potessero comunque fare la differenza. E forse non era il più adatto a quello scopo, con quei suoi arti troppo lunghi e lo scoordinamento di un cerbiatto, non il più bravo, ma … almeno ci avrebbe provato. Negli allenamenti non era neanche uno dei peggiori!
(Neanche dei migliori, ma gli altri erano indisposti; lasciatelo sognare.)
«Sei sicuro dunque che non cadrai dalla scopa???»
No. Ma con quale cuore l’avrebbe detto all’espressione sinceramente preoccupata di Dylan Kane. Arrossì leggermente, perché DYLAN KANE SI STAVA PREOCCUPANDO PER LUI CON QUEGLI OCCHIONI GRANDI E QUEL SORRISO ENORME, e si schiarì la voce drizzando le spalle. «può provarci, ma non ce la farà facilmente» più o meno. «una volta ho cavalcato un ippogrifo» in un videogioco, ma dirlo avrebbe rovinato la sua reputazione.
Non solo Kaz era l’unico con un pene in squadra, non solo era l’unico special in campo, ma – fattore ancora più grave – era l’unica persona alta. Cioè, tipo altissima. Le ragazze gli arrivavano sì e no al petto. Neanche quello riusciva a farlo sentire a disagio, però – onorato, al massimo.
HE
WAS
THEONLYEXCEPTION.
Il che lo rendeva SPECIALE E MERAVIGLIOSO, CLAY MA HAI VISTO QUANTO SONO BELLO, CIOè NON PROPRIO BELLO MA QUASI!!!! CI STO ARRIVANDO.
E niente, si stava per iniziare.
Ok.
Si sentì in dovere di schiarirsi ancora la voce, e voltarsi verso la Capa indicando i propri capelli. «mi sono tinto» caso mai non avesse notato. Ed era un vero segno d’amore, uno che non avrebbe ripetuto le partite successive visto che a) il rosso gli stava malissimo b) tingersi rovinava i capelli, ma still un atto di fede. Come il loro ad accettarlo in squadra.
SI VOLA!

«uh» UHUH. Con un braccio strinse la mazza al petto – chi avrebbe fatto la battuta del “sei solo felice di vedermi o”, Kaz alla maz o la maz a Kaz? Mishtero – e con l’altra così forte il manico della scopa, da temere di perdere definitivamente l’uso delle dita. Sì, l’aveva usata durante gli allenamenti, ma in una partita era… diverso. Più frenetico, caotico. Poi contro i serpeverde, la cui leggenda narrava fossero i maestri indiscussi del fallo (NON CONOSCEVANO KAZ OH CON LA MAZ, OH) insomma era tutto ok.
Hhaha.
Tutto ok!
«VADO IO???»
joni: *eye* * mouth * * eye*
«!!!!!!!!!»
Andò lui, le cosce strizzate sul manico – tanto non gli servivano le palle, doveva conformarsi al team – ed entrambe le mani sulla mazza: cercò di intercettare il bolide diretto verso Thor, rimbalzandolo sul tizio vestito di verde che vedeva in piccolo che boh pareva avesse una mazza?? O un braccio molto lungo. Non poteva giudicare.

«Dio mio…» Yugmur arricciò il naso, le iridi verdi a scivolare sulla squadra giallo-nera che camminava vicino – troppo vicino, per i suoi gusti – ai giocatori Serpeverde. Rallentò un poco il passo, così da potersi far raggiungere da Mort con tutta la calma del mondo, e piegò appena la testa nella direzione del cercatore. «devono essere proprio disperati per far giocare scarti del genere.» non si premurò di tenere un tono di voce basso, tutt’altro, così come non evitò di posare lo sguardo direttamente sull’intestatario di un commento che il Rickenbach mai aveva tenuto per sé. E non perché avesse visto l’unico pene munito degli avversari provare a giocare con la mazza durante gli allenamenti (ma anche: era stato, a suo poco modesto parere, uno spettacolo orribile). Avevano giocatori così scarsi, tra le loro fila, da dover permettere ad uno special di vestire i loro colori? Non avrebbero fatto una più bella figura a giocare in sei, piuttosto che portarselo con loro sul campo?
Quella scuola era proprio arrivata alla frutta.

Ma adesso passiamo al momento in cui, sotto la pioggia e sospinto dal vento gelido di novembre, a mezz’aria vide una pluffa stortissima – a quanto pare, non avevano giocatori buoni nemmeno tra i titolari: buono a sapersi! – volare poco lontano dalla sua posizione. «MIA!» avvertì i compagni, prima di lanciarsi sulla palla come se ne valesse della sua vita.

Era arrivato il giorno della partita e Costas non era certo di essere davvero pronto, come capitano aveva delle responsabilità diverse che come semplice giocatore.
Era stato molto severo con i compagni perché quella volta voleva vincere ma affrontare le tasse non sarebbe stato così semplice.E ora che era arrivato il momento doveva anche trovare le parole giuste per incoraggiare la squadra «Forza coglIOni, AVvicINateVi» non era mai stato bravo con le parole, era più una persona fisica, in tutti i sensi. Quello bravo con le parole era Arturo, ma li aveva lasciati, lo aveva lasciato, da diverso tempo. Perché se non farsi sentire ed evitarlo il più possibile era stato difficile, essere lasciato anche nel Quidditch era stata la manna che colpiva la testa. Aveva, Arturo, con quel gesto chiuso ogni tipo di rapporto tra i due e Costas era stato costretto ad accettarlo. Aveva sofferto, ma il mare era pieno di pesci e lui doveva vincere il Quidditch. Fanculo Arturo.
Guardò i componenti della squadra, prima Sorta che continuava a provarci con Bbq(così si fa chiamare, giuro )cazzona quanto loro, era perfetta per la squadra. Passò per Keegan il goleador e Rick, un vero coglione ma batteva forte, non bene come lui ma avrebbe aiutato. Infine accanto a lui c'era Mort, il più eccitato di tutti per quella partita, aveva una cattiveria negli occhi che quasi lo rendeva fiero. «Non
starò qui a dirvi quanto sia importante vincere perché ci siamo allenati per questo. Fino ad ora siamo stati all'altezza e non vi dirò bravi per questo perché lo farò solo una volta che alzeremo quella cazzo di coppa.» ci credeva davvero a quello perché sentiva di meritarsela «Io non sono Arturo, che forse ci starà seguendo dall'alto» intendeva gli spalti ma a voi libera interpretazione. Perché doveva esserci, glielo doveva, anche solo fare il tifo per la sua casata. «Non vi dirò niente falli. Se servono e sarà così, siate liberi di farli ma non fatevi vedere da Jeremy, non possiamo permetterci di perdere nessuno di voi. Siamo qui per combattere quelle ragazzine che vogliono spaventarci. Loro sono delle bestie e lo sappiamo ma noi siamo cazzi duri» guardò poi le donne «e cazzi duri che non mollano. Quindi giochiamo come sappiamo» posò la mano al centro «per la grande casa di Salazar Serpeverde. al tre...» forza serpiiiiiii.
E fu poi il momento di salire sulle proprie scope e alzarsi in cielo. Costas prima di fare qualsiasi altra cosa, come gesto scaramantico ( anche se ha portato spesso male) baciò la propria mazza per poi dirigersi anche lui in alto pronto a battere le tasse e Kaz.
«tiriamo fuori le palle» guardò poi gli altri rendendosi conto con chi aveva a che fare «non letteralmente» silenzio per questa battuta«vale anche per voi ragazze» e niente si preparò al peggio, iniziando subito con la difesa di un bolide verso
Keegan. Che ve lo dico a fare il ragazzo era davvero felice di avere la mazza tra le mani e poter battere, lo aveva fatto agli allenamenti ma una partita dava una scarica di adrenalina che lo rendeva vivo come non mai. Sentire la mazza che colpiva il bolide lo faceva vibrare, per non parlare del dopo, vedere quello stesso bolide dirigersi verso l'avversario poi era quasi eccitante. Avrebbe dovuto essere meno cattivo nei confronti di Dylan ma era il Quidditch e tutto era lecito.

«Il segreto è non pensarci» all'ultima, disastrosa, stagione? Allo scarto di punti con cui avrebbero perso anche quell'incontro? Alle conseguenze di una potenziale figuraccia? A quelle rigide temperature che avrebbero potuto, sì, mantenerlo giovane più a lungo, ma soltanto se fosse riuscito a sopravvivere alle bolidate delle Furie? Alla pioggia battente, che aveva inzuppato la sua divisa, limitava la visibilità e rendeva i movimenti più difficoltosi? A tutto, nel dubbio. Perché se non era semplice, in generale, vestire i panni di un giocatore di Quidditch – e sfidare fulmini, sputi corrosivi e quant’altro –, risultava ancor più complesso, negli ultimi tempi, vestire i panni verde-oro di un giocatore di Quidditch. E pensare che il Mathews era entrato a far parte della squadra (perché non c’era nessun altro a disposizione) (e perché i suoi cesti di frutta avevano conquistato i compagni) per elevare il suo status scolastico ed essere ricordato per qualcosa che andasse oltre il suo sorriso smagliante o la sua morbida chioma – cui riservava metodiche cure per renderla paragonabile, un giorno, a quella del suo guru PersesdellacasatadeiSerpeverde.
Portò gli indici all'altezza della fronte, appoggiò i polpastrelli sulle boscose sopracciglia e ne seguì la linea per eliminare l'acqua che si era accumulata fino a quel momento; poi, ascoltò il discorso del Motherfucka e mandò un bacio verso il cielo in onore di un Arturo che li stava «seguendo dall'alto»; infine, utilizzò il tessuto della manica per asciugare gli occhiali protettivi e posare lo sguardo su quello che, un attimo prima, gli era sembrato un innocuo, minuscolo, puntino in lontananza e che invece, una volta riacquistata la vista, aveva assunto l’aspetto minaccioso di un bolide diretto contro il suo naso. «Di già? CAAAP» richiamò l'attenzione dell'amico, virando nella sua direzione per permettergli di ribattere contro le tassorosso.