Votes given by melodia di giugno.

  1. .
    when oscar wild was asked to list his 100 favourite books
    he said he couldn't because "I have only written five"
    when & where
    1948, London
    what
    librarian
    who
    artemokinesis
    «uno smartphone»
    Minchia i giovani d'oggi, non c'era più rispetto!!!1 gngngn uno smartphone. Pf! Aveva più o meno detto lo stesso!!1 Ai suoi tempi per una risposta del genere si sarebbe preso uno schiaffo (non che se ne fosse presi: Noah era sempre stato sassy solo quando sapeva di poterselo permettere).
    Ma lo special era educato, e annuì nonostante la seccata correzione dell'altro. Almeno il giovanotto avrebbe potuto apprezzare lo sforzo del Parrish nel trovare un punto di incontro, mh......... «giusto giusto. Smarfon. Quasi» Sorrise.
    Fu felice per lo meno quando l'altro spense lo schermo del cellulare, vedendo la voglia di Noah di fare conversazione. Le (per fortuna poche.) volte che aveva avuto a che fare con giovani gen z, Noah aveva dovuto sorbirsi anche la loro attenzione rubata dallo schermo luminoso nel ben mezzo di una frase.
    «sono alla ricerca di un libro.»
    Noah sorrise di cortesia, dando ancora il beneficio del dubbio prima di reputarla una risposta sus e troppo vaga. Effettivamente, c'erano altre ragioni per andare in libreria di buon'ora, tipo... boh, pedinare qualcuno, essere a caccia di fantasmi irati. Been there, done that.
    «e — le indicazioni lo davano già aperto»
    Questo fece drizzare le orecchie di Noah. Quindi non era andato lì apposta prima dell'apertura, per superarlo in fila. Era un caso. Forse non voleva rubare tutte le copie del sociopatico serpeverde!!! «è un libro che promette di essere molto interessante»
    «capisco» ancora annuì «mi chiedevo se foste anche voi alla ricerca di un libro che sarà oggi qui in vendita in anteprima»
    sì, vuotava il sacco. Aveva bisogno di saperlo-... «ci conosciamo?»
    ...
    oh no.
    Lo conosceva? Si conoscevano? potevano esserci ragioni negative dietro la sensazione di familiarità che si davano vicenda: poteva essere un cliente non soddisfatto della mystery, qualcuno che avevano scambiato per sbaglio per l'uomo delle nevi, o poteva essere un ex studente a cui aveva cercato di dare la colpa per libri bruciacchiati (ciao minjun). Sperava niente di tutto questo, e che lo conoscesse magari attraverso Idem. Ma poteva esserne certo?? Poteva già presentarsi con nome e cognome e rischiare di infangarlo??
    «non mi risulta, ma ammetto che anche voi avete un viso familiare» e non assomigliava a Finley Lloyd quindi insomma, il cerchio si stringeva; non conosceva molti uomini asiatici. «se siete un avido lettore, potreste avermi visto quando lavoravo in un'altra libreria di Quo Vadis» ci pensò un attimo prima di dire il nome, poi decise di rischiarsela: se era un fissato con il Regime e avesse detto qualcosa sull'ex lavoro di Noah, lo special avrebbe valutato come uscirne con classe. In fondo, era davvero innocente da qualsiasi crimine legato alla resistenza. «la Lanterna Dorata»
    noah e.
    parrish
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  2. .
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
    ALOYSIUS ANGUS CRANE
    33 yo | lightbender | rebel
    Sono io.
    Se solo le mani non fossero state impegnate a mostrarlo in tutta la propria innocenza e vulnerabilità - ché non solo voleva sapesse che non avrebbe mai fatto nulla per fargli del male, ma che gli stava offrendo il ventre indifeso: non poteva fidarsi abbastanza di un figlio che aveva in qualche modo abbandonato e di certo mai cresciuto, e pur facendolo ciecamente Arturo doveva sapere che avrebbe potuto colpire senza problemi; sicuro come le tasse, più che la morte visti i precedenti, doveva avere almeno un motivo per farlo -, Al si sarebbe volentieri sbattuto i palmi contro la fronte. Chissà in base a quale assurdo colpo di genio aveva pensato che presentarsi in quella maniera potesse tranquillizzare il ragazzo. Non era nemmeno una pretesa assurda quella ad averlo spinto: nemmeno per un singolo istante aveva immaginato che il mago, vedendolo così, avrebbe potuto avere una buona ragione per mettere via la bacchetta, dicendosi con un filo di sollievo a svuotare i polmoni che “ah beh, è solo quel coglione di mio padre che mi pedina, tutto apposto”.
    Puro istinto. Nient'altro se non quel viscerale senso di fiducia, per quanto incondizionata ed immotivata, a lasciare visibile ogni singola crepa della propria armatura. Lo stesso scudo che aveva costruito, sia volente che nolente, tra colpi subiti e dati, fino ad arrivare ad essere quel che era allora - di certo, non un qualcuno che apre le braccia ad un presunto sconosciuto. Si era sempre fidato poco delle persone, sin da giovane, ma aveva lasciato aperti troppi spiragli - e chiuso troppe volte gli occhi, ascoltato troppi consigli sbagliati - nel corso degli anni: un qualcosa che un uomo nella sua posizione non poteva, né tantomeno voleva, permettersi.
    Arturo Hendrickson non era il suo River, e tantomeno quell'Aloysius Crane era il padre dell'ex serpeverde. Perfetti estranei, in fin dei conti. Eppure, c'era quella tenaglia alla bocca dello stomaco, quella bile a salire acidula e bollente su per l'esofago; quella botta dietro le spalle a fargli muovere passi decisi verso di lui - e verso Amalie, Oscar, Hyde, Jekyll -, come a dirgli che magari poteva essere anche solo una replica, un cartonato in carne ed ossa contro cui scagliare tutte le freccette necessarie a sentirsi meglio.
    Le avrebbe incassate tutte, e senza fare un fiato.
    Non lo avrebbe mai definito stupido da parte sua, per quanto potesse apparire tale.
    Da dementi era invece approcciare un ventenne in un vicolo buio con due parole altrettanto idiote.
    Ad ogni modo, non poteva né rimangiarsele né aggiustare il tiro: Turo oramai l'aveva riconosciuto (come quel coglione di suo non-padre) ed aveva abbassato la bacchetta.
    «Non ho bevuto così tanto. Giuro.» ah!, come gli sarebbe piaciuto credere non avesse ripreso la sua passione per l'alcol. Purtroppo, l'aveva visto trangugiare l'impossibile - motivo in più per assicurarsi non andasse a mettersi in qualche guaio, si era ripetuto in virtù di un futile autoconvincimento, come se il minore non fosse un mago ormai adulto e perfettamente in grado di sopravvivere in perfetta autonomia.
    Corrugò la fronte senza dire una parola, facendo scivolare le mani nelle tasche del giubbetto e limitando quel che avrebbe avuto da dire ad un sorriso stirato su un lato della bocca. Non era assolutamente nessuno per poter giudicare se avesse bevuto davvero così tanto oppure no, viste tutte le volte che si era svegliato sul pavimento della sua stanza alle tre del pomeriggio con la nausea e una bottiglia di whisky vuota stesa al suo fianco; a occhio e croce, doveva solo che ringraziare Morgan: o reggeva bene la botta, o aveva bevuto meno di quanto egli stesso immaginasse.
    Il sorriso dell'uomo non riuscì a trattenersi dal distendersi nel momento in cui Arturo annuì. Percepì la tensione sciogliersi, scivolare via dai muscoli di collo e spalle in un brivido lungo la spina dorsale.
    L'isteria data dalla presa di coscienza che non pensava sarebbe arrivato a quel punto e per cui non sapeva realmente di cosa voleva parlare, come gli era stato appena domandato, l'avrebbe lasciata ad un altro momento. «Di nostro signore Gesù Cristo.» sbuffò una risata, lasciando che il proprio potere illuminasse il breve tratto di strada che avrebbero dovuto percorrere. Rimase in silenzio lungo tutto il tragitto: non gli sembrava nelle condizioni adatte ad ascoltare e camminare contemporaneamente, e lungi da lui metterlo in difficoltà a quell'ora; si premurava, soltanto, di dargli uno sguardo ogni due passi, temendo sinceramente di perderselo per la via.
    «Di qua.» esclamò, e spingendo una vecchia ed anonima porta di legno lo invitò a precederlo sulla fiducia - ché tanto, le poche lettere rimaste sull'insegna non gli avrebbero permesso di capire in che posto lo stava portando per parlare. Al stesso aveva varcato la soglia senza pensarci troppo, dal momento che se lo avesse fatto si sarebbe sentito ancora più in imbarazzo nel portare suo figlio in un night club. A sua discolpa, era anche l'unico luogo che conoscesse in quella zona, di cui si fidasse e che fosse aperto fino al mattino seguente.
    Salutò con un cenno della mano il barista, Jimmy, e gli indicò un piccolo tavolo rotondo abbastanza distante dal cuore pulsante della serata.
    «Tutto bene?» domandò, prendendo posto ed aspettando il maestro dei suoi figli facesse lo stesso. Poteva davvero non aver bevuto così tanto da andare in coma etilico, ma aveva una strana cera.
    «Ehi, bellezza...» non fece in tempo ad aprire bocca per iniziare a parlare, le dita a cercare sotto il maglione il piccolo ciondolo che aveva visto anche al collo di Turo, che si ritrovò ad alzare gli occhi verso il giovane che li aveva già approcciati, pronto a rispondere d'istinto che fosse impegnato - cioè... almeno spiritualmente... poi la realtà dei fatti non la sapeva nemmeno lui, ma questo sarebbe stato materia d'esame per una chiacchierata con il suo amato fratello psicologo. Non aveva fatto i conti con il fatto che fosse lì per la prima volta con qualcuno, anziché da solo: osservò il biondo mezzo nudo prendere posto a sedere sulle gambe di Arturo, e non era certo di come sentirsi al riguardo. Perciò, reagì nell'unico modo apparentemente lecito: piegò gli angoli della bocca verso il basso, arcuò entrambe le sopracciglia e, guardando suo figlio negli occhi chiari, annuì un paio di volte. Erano appena entrati e già aveva fatto colpo, non poteva che essere fiero.
    «Cosa vi porto?»
    Back on track. Si schiarì la voce «A me nulla. Per lui, chiedi a Jimmy un Brian.» strizzò l'occhio a Turo, sillabandogli un “fidati” labiale.
    Attese fino a quando il tipo decise di smetterla di strusciarsi contro il figlio - o di strusciarsi a vicenda: non voleva sapere così tanto -, dunque estrasse la collana e la posizionò sul tavolo tra loro due, il totem battuto nel ferro rivolto verso il soffitto.
    «Non ti vedo troppo nelle condizioni di sorbirti convenevoli o giri di parole.» iniziò, giocherellando con il ciondolo. «Quindi - oh, velocissimi!» sorrise al tipo di poco prima, mentre questo lasciava uno shottino sul piano. «Ha detto Jimmy che ha iniziato a prepararlo quando siete entrati.» uomo di poca fiducia.
    Attese - di nuovo - la fine del rituale di accoppiamento con un sorriso cordiale sulle labbra. «Bevilo tutto d'un sorso, fa miracoli!» e solo quando l'ebbe ingurgitato, aggiunse la postilla a piè di pagina: «È un mix di caffè, acciughe in salamoia e limone. Fa schifo ma ti passa tutto!» oh, a lui l'aveva tirato su da situazioni peggiori di quella.
    «Dicevo...» umettò le labbra, abbassando lo sguardo nel vano tentativo di trovare parole in grado di districare la matassa che aveva davanti a sé. Non ce n'erano.
    «Ho visto che hai la stessa collana.» schioccò la lingua sul palato, anche solo per evitare di mordersela. Era a tanto così dal dirgli sapesse tutto, pensando che lo avrebbe in qualche modo aiutato. «Sai cos'è, vero?» ma poi, aveva capito quanto fosse egoista da parte sua - e che avrebbe aiutato soltanto se stesso, che Turo voleva avere i suoi tempi, che non era giusto privarlo di quella scelta. Se avesse voluto, gliene avrebbe parlato lui. «È un cimelio... molto importante. Magico. Non l'ho scoperto se non poco tempo fa, ma ce l'ho da sempre.» ed era anche unico del suo genere, dal momento che era un regalo forgiato appositamente per lui. «Hai mai provato ad aprirlo?»
    They say I should be a strong man
    But baby, I'm still filled with fear
  3. .
    zachary milkobitch
    Zac era un bastoncino fatto di zucchero, ricoperto di zucchero filante e poi ricoperto di zucchero a velo. Sul serio, era un amorino fatto e finito, un concentrato di diabete e colesterolo insieme – perché oltre a essere bellino era anche pesante, certo.
    Ma!!! Prima di essere un bastoncino di zucchero, era un!!! PAPA’!!! (Sì, era uno status ufficiale, i “suoi” animali erano suoi figli.) E come qualsiasi papà che si rispetti, non aveva una buona opinione di chi bullizzava i suoi figli: quel tizio aveva appena spezzato il cuoricino a Cookie che, confuso, aveva iniziato a ondeggiare le code e alternare lo sguardo dal Grinch al bastoncino ormai rotto. Il tutto era avvenuto mentre l’altro prestava attenzione a fissarlo, come in una provocazione. Zachary sentì l’irritazione e l’istinto protettivo smuovergli il petto. Come osava rompere il giocattolo di suo figlio. «Ops. Colpa mia MHMH, voleva giocare? Allora avrebbero giocato. Tirò su un lembo della giacca, scoprendo la bacchetta custodita in tasca al proprio fianco. «Lo hai voluto tu.» Avvicinò le dita alla bacchetta… pronto a sfoderare la sua arma di riserva, con tutta l’aria di chi avrebbe voluto ricorrere a uno Schiantesimo…!!!
    E invece la sua mano scivolò oltre, tirando fuori, TADA’!!!, un altro legnetto nuovo di zecca. Cosa credevate. «Nessuno può mettere Cookie in un angolo,» professò, mano sul cuore, constatando con soddisfazione che le code del Furnic erano tornati di un arancione purissimo. «Vai bello!» Lanciò il bastoncino, e poi lanciò un’occhiata con un sopracciglio inarcato allo sconosciuto. E non aveva mai smesso di sorridere eh! - girava la leggenda secondo cui 1) aveva una paresi facciale 2) non diventava serio neppure quando infuriato. La prima opzione era la più divertente: sicuro l’avevano pensato perché Zac aveva la mandibola un po’ storta. BURLONI. «Non l’hai presa bene? Guarda che te le ricompro le patatine, se vuoi!» D’altronde lo sapeva, le patatine erano la parte migliore della giornata, okay, MA: «Non è stato da badass prendersela con un piccolo Furnic. Buuu.» Pollice verso il basso, mentre Cookie tornava con il bastone e Zac glielo lanciava con altrettanto entusiasmo, manco dovesse essere lui a giocare. Sicuramente il tizio non aveva figli; francamente Zachary lo sperava. Proprio umanamente.
    E poi, giusto perché tanto era convinto che se fosse morto si sarebbe reincarnato in un bellissimo drago con la mandibola altrettanto storta, si sedette accanto all’altro. Se era irritato con lui perché aveva fatto una cafonata? OvViO. Ma trovava più stancante odiare che perdonare, e poi neppure lo conosceva e non poteva dire fosse solo una persona lunatica o davvero perfida, quiiiindi. Sbadigliò, gamba sull’altra e braccio sullo schienale della panca – zero senso dello spazio altrui... «Non era mica un insulto!!» Non per il dubbio giudizio del Milkobitch, almeno! «Sai quante volte io non ho una bella cera perché faccio nottata a guardare le sfilate di oche??» Annuì più volte, come se la sapesse lunga – ma su cosa poi. «E poi guarda come mi riprendo. Un fiorellino.» Si indicò il viso con l’indice, sorriso scintillante da rintronato. Magari l’altro era suscettibile sul suo aspetto!!! Avrebbe dovuto pensarci prima, mannaggina. «Anche tu sei un fiorellino, solo un po’ sciupato!» Siamo tutti fiorellini nella vita. Aaah, meglio, molto meglio, bravo Zac! ignaro di aver fatto peggio
    «Sai che me ne faccio delle tue scuse.»
    «So io cosa ti ci vuole.» Un letto? Che lui scomparisse? NO!! Un’iniezione di gioia!!!! Afferrò il bastone che gli porse dal suo adorabile Cookie, lasciandogli una carezza. Lo passò all’altro. «Se lo spezzi ne ho comunque un altro.» Kit base di un padre Fulvic. «Tiraglielo! VEDRAI CHE SODDISFAZIONE!» Era serio? Era serio.
    Ma non credeva esistesse un essere umano capace di ignorare i versetti felici di Cookie e i suoi occhioni meravigliosi. IMPOSSIBILE!!!
    once: ray- of sunshine
    I have a happy personality with a heavy soul!
    ... sometimes, it gets weird.
    magizoologistinventor
  4. .
    pervenche roux
    lilac
    parker
    Quello era uno dei suoi momenti preferiti: un’uscita tra ragazze!!
    Circa. Più o meno. Insomma. Nel suo cuore lo era, ecco. Che poi all’esterno fosse un’uscita tra una ragazza e un ragazzo che era praticamente un armadio a due ante era un… dettaglio insignificante. Questione di (bUgIe) apparenze.
    «Non è che non mi stia divertendo.» Si girò verso l’amica, gli angoli della bocca che le concedevano un sorrisetto. «È che non ho voglia di sorridere.» Per la Roux, divertirsi e sorridere non erano mai andati a braccetto: Lilac era una persona solare, ma visto che Erisha conosceva Lilac un po’ meglio delle persone che lo salutavano allegramente per i corridoi, Perv aveva giudicato potesse comportarsi in maniera un po’ più naturale. E Pervenche aveva l’anima più ombrosa di un’eclissi solare – era comunque un modo di essere “solare”, ahah. Non era abituata a sorridere. Punto. Ma le piaceva un sacco il quidditch, ed era felice di andarci con la sua unica vera amica di Hogwarts!! Le piaceva stare con Asher, che discorsi, ma a volte voleva mostrare la parte di sé cui piacevano… be’, altre cose oltre lo sport o gli allenamenti eccetera.
    Si sfiorò la tesa del cappellino, sistemandoselo meglio in testa. «Lo so, ho il fascino del ragazzo della porta accanto.» Un sospiro teatrale, mentre prendeva posto sugli spalti e rubava una manciata di pop corn a Erisha. Spostò gli occhi dal campo di Quidditch, non vedendo l’ora iniziasse la partit- «se non fossi pazzamente innamorata del mio “hot italian boy-friend”» Si strozzò. Batté una mano sul petto ma (probabilmente per disgrazia, in effetti.) bastò un colpetto di tosse per far scendere il pop corn. Il suo hot italian boy-friend aka Il Dannato Linguini aka Unica Persona che Sapeva della Messinscena. Fantastico. Lilac lo amava.
    (no, non era vero).
    Da quando si erano beccati alla Stamberga Strillante, se possibile, Romolo Linguini era diventato ancora di più il suo incubo peggiore. Non solo per la sua essenza italiana e rumorosa e linguinesca, ma perché a Perv la sua bocca larga faceva sinceramente paura: gli aveva intimato a dovere di non far mai parola del suo segreto ad anima viva, ma aveva paura che prima o poi sarebbe stata qualche birra di troppo a parlare per lui. Ansia vera. Stavolta sorrise, mascherando i suoi pensieri. Erisha, al di là della prima impressione, era gentile, divertente e supportiva. Non era colpa sua se……… aveva gusti pessimi in fatto di ragazzi stava con Lollo. «ci avrei fatto un pensierino» Mio dio, era tutto così ironico. COSTANTEMENTE. Ridacchiò. «Posso sempre essere il tuo bodyguard di fiducia quando andiamo in giro.» Si lanciò occhiate attorno, costatando con suo sommo fastidio che Erisha era già obiettivo di attenzioni da parte di alcune persone. Alcuni erano sguardi talmente viscidi che Pervenche avrebbe voluto tanto togliere quelle espressioni con un pugno sul naso. Sbuffò (elegantemente, da bravo francese #cosa), incrociando le braccia al petto. «Viscidi… ew Almeno non ci avrebbero provato con Eri, vedendola in compagnia di un amico grumpy, alto e muscoloso.
    Poi la partita iniziò, e per Perv il mondo divenne un po’ meno mainagioia: la sua famiglia non aveva mai visto di buon occhio la sua passione per il quidditch (“Uno sport così… violento” bello per quello. “Così poco femminile!!!” NON AVEVA SENSO.), ma era davvero spropositata! Con i suoi popcorn, il cappellino da partita e un’amica a vedere la partita, era proprio una giornata perfettaTM! In quel contesto, la confessione di Erisha le parve naturale e non inaspettata; si girò verso di lei, espressione fiera e un pollice in alto a mostrare tutta la sua approvazione. «Saresti fantastica!» E non lo diceva mica tanto per dire, quando mai Pervenche diceva tanto per dire. Le diede una leggera spallata, e prese altri popcorn. In genere, da brava perfettina, le dava fastidio la gente che parlava con la bocca piena, ma la Byrne era talmente raffinata senza sforzo che non la toccò minimamente. «Se non ti va di studiare, non studiare. Scelta tua!» Era davvero contenta che Erisha non si facesse condizionare, controllare da altri nelle sue scelte. Lei lo aveva fatto, per non contrariare la sua famiglia, e se ne era resa conto solo con la libertà di scelta che aveva trovato in Inghilterra. A volte la disorientava ancora, quell’assenza di vincoli. «Sono sicuro che più di una squadra ti vorrà, e verrò a vederti giocare ogni volta,» disse con tono solenne, per poi porgerle il mignolo, consapevole di come la scena dovesse sembrare buffa. Lilac sarebbe stato un fan indiscusso!!! «Hai già adocchiato qualche squadra che ti interessi?» Forse, anche lei avrebbe dovuto iniziare a pensare… a cosa? Le si seccò la gola, e masticò più lentamente con la sensazione di avere sabbia sotto i denti. A costruirsi un futuro con un’identità che non le apparteneva, e che poteva crollare come un castello di carte senza fondamenta?
    Meglio concentrarsi sui sogni di Erisha, decisamente.
    have you seen her?
    2006 (2000) • french
    ravenclaw • werewolf
    fake identity


    Edited by ancient‚ - 19/1/2023, 17:34
  5. .
    mckenzie leighton hale
    oooooooooooooh
    , I told you once again
    I can't do this again,
    do this again,
    oh


    legionario ✧ 19 y.o. ✧ joni stan
    I'm getting tired of
    fighting all the panic
    I'm getting by but
    I'm still a little maniac
    Sometimes it feels like I'm on another planet
    Is anybody there?
    Soppesò le parole del Belby, tentando un ultimo – fallimentare – Lumos agitando vago la bacchetta. Non sarebbero stati quelli gli aggettivi che l’Hale avrebbe usato per definire il contatto con la magia in quel posto, più sottile e diverso; si domandò se Tottington reagisse diversamente agli Special piuttosto che ai maghi. Non gli domandò se volesse testarlo – se avesse voluto provare, l’avrebbe già fatto, e Mckenzie conosceva abbastanza special da aver imparato a farsi i cazzi suoi. - limitandosi a stringersi nelle spalle, offrendo il ghigno sbilenco che quella situazione non meritava ma il tono del pirocineta un po’ sì. «non mancherebbe a nessuno» sempre frasi un po’ a metà, perché seguire dal principio un pensiero fino alla sua conclusione, era sempre stato complesso per l’ex Corvonero. Partiva da metà, o dalla fine. Quando cominciava dall’inizio, raramente arrivava alla fine. Se Tottington fosse bruciata, non sarebbe mancata a nessuno - anzi, Mac personalmente l’avrebbe trovato catartico (ma Willow sarebbe stata molto offesa, se avesse commesso il suo primo incendio doloso senza di lei; lo teneva come piano di riserva).
    Era in piedi. Era determinato. Aveva rassettato i vestiti, spolverato i pantaloni, e malgrado non facesse propriamente caldo, aveva iniziato a raccogliere metodo le maniche sui gomiti.
    Mckenzie………………………..stai prendendo tempo?
    Sì. Sempre. Era in piedi, era determinato, era arrabbiato, ma era pur sempre un Mckenzie Leighton Hale, e agire senza pensarci per almeno due o tre giorni lavorativi, era… qualcosa a cui decisamente non era abituato. Non aveva avuto tempo per processare, né per rimpiangere tutto. Non aveva un piano, smarrito come la prima volta in cui era uscito di casa nel ventunesimo secolo con il minuscolo compito di andare al supermarket sotto casa, ed aveva avuto uno dei primi, ma non ultimi!, crolli mentali della sua carriera da :sparks: instabile :sparks: Aveva potuto permetterselo, all’epoca. Sapeva che Run l’avrebbe sempre trovato, e che a casa ci sarebbe stata Harper; era ancora ottimista sulla propria ripresa. Si era dato abbastanza corda da potercisi impiccare – e l’aveva fatto.
    Se fosse stato da solo, le probabilità che sarebbe morto lì dov’era atterrato con la Passaporta, erano altissime. Una certezza. Si sarebbe lasciato morire, decidendo di arrendersi prima ancora di cominciare, perché era stanco, cazzo. Era fottutamente stanco.
    Però, non era da solo. Poteva anche non essere stata cresciuto come la migliore delle persone, ma stava provando a crescere come tale. Così, al «vengo» di Hans Belby, sospirò piano e drizzò le spalle, iniziando a camminare per le strade desolate che troppo spesso avevano popolato incubi e sogni e tutto quello che c’era in mezzo. [ link del mood ] Sapeva dove andare? No, ma non erano a New York City: non c’era così tanta scelta. Abbandonò il centro della strada, spostandosi verso le abitazioni così da assicurarsi almeno un (1) lato coperto, e la possibilità di poter trovare qualcosa di utile. L’intero panorama era … spettrale, e non solo per l’ombra dei ricordi che portava con sé. C’era qualcosa di latente, invisibile, insapore a pesare fra i denti del Legionario, come parole che non venissero mai al momento opportuno. Qualcosa che sapeva avrebbe dovuto sapere, ma su cui non riusciva a mettere dito. «come funziona una passaporta?» Sistemò il taschino con l’anatroccolo, assicurandosi che fosse abbastanza stabile da non scivolare qualora – e sapeva fosse un quando, non un se - fosse stato obbligato a retrocedere molto velocemente. «un po’ più specifico?» Era una domanda complessa, soprattutto per chi, come Mac, prendeva tutto alla lettera. Dubitava volesse una spiegazione specifica e tecnica sulla magia che permetteva di spostarsi da un posto all’altro tramite l’uso di oggetti, e tanto meno che volesse sapere aneddoti storici o culturali. Mac li sapeva perché era un secchione, e non sapendo cosa aspettarsi da Hogwarts, affacciandosi al suo quinto anno aveva studiato tutto, ma Hans poteva sopravvivere anche senza conoscere di quando dei babbani erano accidentalmente finiti ad un concerto magico. «chi la realizza deve conoscere bene il posto di arrivo? O basta avere una minima idea di dove far atterrare?» Si fermò di fronte ad un portico, studiando l’entrata di una delle abitazioni. Sentiva che non avesse importanza fermarsi lì, e per puro principio avrebbe voluto entrare ed alzare un dito medio al proprio, chiaramente fallibile, intuito, ma non sapeva come funzionasse… quella cosa. Qualunque cosa fosse. Quanto tempo avessero. Avevano tempo? «al contrario della metropolvere – la polvere colorata lanciata nei camini che ti porta da, uh, un camino all’altro – le passaporte funzionano come la smaterializzazione: devi conoscere l’arrivo, indipendentemente se sia per te, o progettata per altri» si rilassò leggermente, sciogliendo la tensione delle spalle in uno dei pochi conforti della sua vita - la conoscenza. - trovando che respirare fosse, se non più facile, un po’ più normale. Quella magia, la conosceva. Poteva spiegarla. Poteva rendersi utile. Il resto? Eh. «diciamo che nella teoria, immagino si potrebbe creare una passaporta tramite l’uso di una semplice foto. In pratica? Non è sicuro. Devi sapere esattamente il punto d’atterraggio, altrimenti rischi di...» si fermò pochi passi dopo, sporgendosi oltre l’ennesimo vicolo deserto. «non cadere in piedi, mettiamola così» umettò le labbra, ruotando gli occhi chiari sul pirocineta. «se siamo qui, è perché qualcun altro c’è stato prima di noi» concluse quindi, per entrambi, lasciando vagare l’interrogativo che affliggeva ambedue.
    Ma perché. Con che cazzo implicito. Scosse il capo, bloccandosi a metà gesto. Corrugò le sopracciglia, riflettendo sulla domanda. Non avrebbe funzionato in un’altra dimensione, no? Una vita prima, gli avrebbe detto di no. Dopo (svariati.) viaggi nel tempo, resurrezioni ed incidenti dimensionali? «non dovrebbe» gli offrì uno sguardo di scuse, subito abbassato sulla strada. «non lo so» ammise in un soffio, perdendo quel briciolo di vitalità che l’aveva spinto gli ultimi metri. «sei fatto? Io non sono fatto.» Tacque una manciata di secondi, lasciando che il più appannato dei sorrisi curvasse le labbra. «non abbastanza» concesse l’unica risposta accettabile, la più sincera con meno parole possibili, perché non era né abbastanza fatto per giustificare quella gita, né abbastanza per tollerarlo.
    «solitamente i sogni iniziano in media res»
    «chi ti dice che questo non lo sia?» un bisbiglio che probabilmente neanche raggiunse le orecchie dell’altro, malgrado gli unici rumori presenti fossero quelli dei loro passi.
    Credeva. Non ne era certo. Perchè non ne era certo? «non è neanche un inizio» l’avevano già avuto, quello. Ancora, si fermò, perché era incapace di pensare, parlare e camminare contemporaneamente. Più improvviso, abbastanza da dover portare una mano al petto per impedire a GI Joni di scivolare. «forse è questo il motivo? Che siamo qui, intendo. Perché ...ci siamo già stati» battè rapidamente le palpebre, guardando Hans ma senza vederlo davvero. «non fisicamente. E non ...metafisicamente. Siamo stati in una ...versione. Di questa. sul serio» e c’era la più piccola, infida, bastarda delle speranze nel tono di Mac. Non perché fosse una buona notizia, non in quel momento né tantomeno in quello precedente, ma perché non era pazzo. Non ricordava… non ricordava, non davvero, ma sapeva di – sapeva. Qualcosa, sempre premuto fra palato e lingua, lo sapeva. Dovette fare un passo indietro, involontario e liquido, premere una mano sugli occhi per impedirsi di piangere o ridere.
    Inspira. Espira. Inspira. Espira.
    «scusa. io...» tu cosa? Deglutì, scuotendo il capo e umettando ancora le labbra. «scusa.» Aveva bisogno di - un attimo. Sentì la domanda di Hans sull’uscita, e lo percepì fermarsi poco più avanti. Il suggerimento sulla bacchetta, a cui l’Hale risposte scuotendo il capo. No. No, non voleva saperlo. Voleva sapere che ci fosse la possibilità che non potesse usarla, e dovesse essere preparato ad altri metodi, ma non voleva quella certezza. Non ne aveva bisogno, quando già la sentiva. Non tremula, e priva di vibrazione. Sapeva anche l’altro ne fosse conscio, quindi scosse ancora il capo, riassestando i frammenti di idee teorizzate da quando avevano messo piede in quell’inferno. Cercò di montarle perché avessero un senso. Di cucirle con lo stesso disperato bisogno con cui aveva ricamato il giacchetto di Joni pochi giorni dopo l’incubo-sogno-mezzaverità.
    «non ha senso, ma.»
    Ma. Rimise a fuoco l’ambiente circostante, arretrando nella zona precedente ed invitando Hans a fare lo stesso. La sentiva la differenza? La sentiva? «non sono pazzo. Solo – per favore. » ingoiò la saliva, e la bile a bruciare la gola, l’urgenza nella sua voce appena velata di timore. Mac non era il genere di persona che parlava (punto) di opinioni sue. Non così, non quando - quando non sapeva. Il rifiuto, la polemica, il disappunto, miravano a parti ancora troppo tenere ed esposte perché si sentisse a suo agio.
    Ma quali scelte aveva?
    E non era la prima volta, con Hans. Poteva non sapere che fosse l’amico di Twitter che gli aveva tenuto compagnia in alcuni dei momenti più bui della sua vita, ma in qualche modo lo shentiva nella facilità con cui riusciva, seppur a tentoni, a mettere insieme due parole. Due pensieri. Banalmente, anche guardarlo negli occhi; non il punto forte dell’Hale, con chi non conosceva. In qualche modo – Tottington, il social ormai bannato – sapeva di poter… non fidare, ma affidare qualcosa al pirocineta senza che lo facesse a brandelli. «ascolta. Un secondo. Non me – cioè, anche? - il … il resto» non sapeva cosa indicare, e lo lasciò vago. «c’era qualcosa che non mi tornava. Ho… ho una teoria» alzò gli occhi al cielo, cercando La Forza TM.
    In un altro universo era l’una e mezza, e Sara doveva davvero – davvero. - dormire, ma ormai era una questione di principio.
    Mac aveva i concetti, ma – come sempre – gli mancavano le parole per farlo. La voce per farlo tutto insieme, anziché a bocconi e morsicate. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sulla sua mappa mentale anziché tutto il resto.
    Quindi «sovrapposto»
    e «sembra ci sia qualcuno, ma non – uh – c’è nessuno? Quindi.» Agitò vago una mano nell’aria, innervosito dalla propria incapacità di esplicare un concetto senza cinque minuti di riflessione su come farlo. «e noi siamo qui. E siamo più o meno già stati qui. Tipo. Come se avessimo lasciato la nostra impronta?» altra parola apparentemente randomica: «loop» espirò, aprendo gli occhi e guardando Hans, chiedendo scusa e aiuto insieme. «e quindi. Magari c’è un’altra passaporta? Dove - » Corrugò le sopracciglia, guardandosi attorno.
    Dove. Dove. Indicò entrambi. Sapeva che non avrebbe capito. «c’era una casa?» Una richiesta, un’affermazione ed una proposta tutta insieme.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©



    situazione attuale (mac @ sara / hans / pandi, e sono pure tutti reciproci!!&&

    2wxmbd

  6. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    kinda famoustraveller
    gaylord
    beckham
    Gaylord Romeo Beckham si sentiva una frode. Uno sporco traditore, qualcuno di cui non ci si poteva fidare. Quando gli avevano offerto -imposto, più che altro- di scrivere un libro sulla sua vita aveva provato a rifiutare, giustificandosi con il fatto che non avesse fatto nulla di speciale nella sua vita. O almeno, nulla che il pubblico potesse sapere. Venire dal futuro non era esattamente di pubblico dominio. E poi ultimamente erano stati pubblicati abbastanza libri scritti da influencer, il Beckham non aveva intenzione di essere associato a questi ultimi. Non era il suo brand, non era nato per finire tra gli scaffali di un supermercato qualsiasi- voleva intrattenere i suoi fan, e tanto gli bastava, senza tutti quei fronzoli. Alla fine, però, Gaylord non aveva avuto altra scelta che accettare la proposta nel suo manager per obblighi contrattuali. Perché ovviamente anni prima non l’aveva davvero letto prima di firmarlo, tantomeno le parti più piccole. Così Gaylord si era trovato affiancato a un ghostwriter ancora prima che potesse aprire bocca, spaesato sul cosa esattamente avrebbe dovuto mettere in quel libro. Aveva diciannove anni, ancora non aveva toccato le due decadi di vita, la cosa più emozionante e spaventosa che gli era accaduta era stato finire all’oblinder e combattere ad Hogwarts. La parte peggiore non era stata nemmeno dover spendere le sue energie mentali sull’autobiografia, ma sorbirsi le lamentele di Shiloh sul perché non fosse stata scelta lei al posto di qualche (citazione letterale) scrittore pezzente che non ha idea di quello che sta facendo. Gaylord ci aveva provato a chiederglielo, ma non era colpa sua se la Jolie-Pitt aveva il brutto vizio di sparire nella giungla (literally) ogni tanto. MALFIDATA.
    E fu così che Gaylord si trovò un casuale giorno di ottobre a tenere un firma copie. Si trovava in un complesso che aveva tutta l’aria di essere stato arredato a un hipster, quello stile pretenzioso e alt che non faceva altro che dare il vibe di una birreria olandese. Ma il Beckham era un uomo di poche pretese, e finché aveva un tetto sopra la testa per il suo firma copie era felice. Il suo banchetto era sistemato su un mini-palco che gli permetteva di vedere la stanza e le persone ancora in fila. La mano gli faceva male da quanti libri aveva firmato, era abbastanza sicuro di essere vicino a un crampo. Volse il capo in direzione del suo vicino, finalmente libero di approcciarlo ora che erano in pausa. Un po’ gli dispiaceva per lui, la sua postazione non sembrava avere lo stesso afflusso di quella del Beckham……..e dire che lui l’aveva letto il libro, e gli era anche piaciuto! Non gli era capitato sottomano di proposito, era più il fatto che il Rainey l’avesse distribuito all’intera Hogwarts inclusa sua sorella. Per fortuna, Gaylord era riuscito a sfilarglielo dalle mani prima che lo usasse per la carta pesta. Fategli causa se era curioso di sapere di più sul fratello minore! Non era che avessero un grande rapporto ad Hogwarts, e la reputazione di Mort non era proprio delle migliori………ma Gaylord aveva fiducia! «hey!» chiamò in direzione di Mort per salutarlo, con tanto di mano a sventolare. «non so se ti ricordi di me, andavamo a scuola insieme?» perché sarebbe stato presuntuoso da parte del Beckham assumere che chiunque lo conoscesse solo per la sua fama da influencer. Sì, anche quando uno si trovava al suo firma copie. Suo, insomma, era più un evento per diversi scrittori ma nel concreto era Gaylord ad attirare la folla maggiore. «volevo dirti che ho letto il tuo libro, l'ho trovato molto interessante!» guardatelo, ci stava provando così tanto a bondare con il suo fratellino. Aveva persino portato l'autobiografia di Mortino per farsela autografare, anche se per il momento era ancora riposta nella sua borsa. «ti va di prendere un caffè o qualcosa? siamo seduti qua da ore, mi farebbe bene cambiare aria» Mort: no, fottiti.
    Watching the nighttime
    turn into day
    it's okay if we both end up afraid
    Watching the days
    turn to decades
    Every moment's
    just a memory away
    matt maeson
    a memory away
    never had to leave
  7. .
    mckenzie leighton hale
    oooooooooooooh
    , I told you once again
    I can't do this again,
    do this again,
    oh


    legionario ✧ 19 y.o. ✧ joni stan
    I'm getting tired of
    fighting all the panic
    I'm getting by but
    I'm still a little maniac
    Sometimes it feels like I'm on another planet
    Is anybody there?
    Sarebbe stato davvero imbarazzante, perfino per lui, indietreggiare di fronte allo sguardo indagatore di una bambina, ma non significava che non volesse farlo. Non solo si sentiva sotto esame, ma anche un po’ violato dei propri spazi personali (e di parte della sua anima), mentre quella si allungava tutta per piantargli il naso a pochi centimetri dal proprio. Battè le ciglia, ricambiando l’occhiata con palpabile confusione. Stavano perdendo tempo in attesa delle ultime sistemazioni nell’alloggio di Different Lodge, dove avrebbe iniziato il suo percorso formativo il giorno dopo. Ruby era un acquisto recente, frutto della scoperta di un covo di sopravvissuti e fuggitivi; non era l’unica sopravvissuta, ma la sola che fosse in età scolastica, sì.
    Si era offerto per accompagnare gli altri a New Hovel, ovviamente. Ogni minuto passato sul terreno di Hogwarts, era un minuto meno sulla sua – già provata – linea della vita, e cedeva volentieri il sacrosanto compito di DL a Nicky, ma Ruby l’aveva privato di ogni scelta, intrecciando le dita alle sue e decidendo che dovessero rimanere insieme. L’avrebbe trovato tenero, se Ruby non avesse continuato a fissarlo con qualcosa di malvagio negli occhioni azzurri, e se la sua risata non gli avesse fatto venire la pelle d’oca. Era parsa più una minaccia, che una dimostrazione d’affetto. Non che Mac non ci fosse abituato. Il gioco con cui aveva deciso di distrarre la bambina in attesa di abbandonarla al suo destino, era vedo qualcosa: a turno, ciascuno di loro doveva scegliere qualcosa, e descriverlo fino a che l’altro non l’avesse indovinato. Vedo qualcosa di verde; vedo qualcosa di alto. Tranquillo, no?
    «vedo qualcosa di oscuro» sussurrò, la bambina del male, sillabando le parole con inquietante lentezza. Mckenzie Leighton Hale, diciannove anni, un Vero Lavoratore TM, decise che non si sarebbe girato. Se c’era qualcosa di oscuro e minaccioso alle sue spalle, preferiva morire ignorante che sapere cosa l’avrebbe ucciso. «la mia ombra?» tentò, con una breve risata solo leggermente isterica. «no. Nella tua vita» Gli piantò un dito sulla fronte, accecando il suo terzo occhio. «si chiama willow» gentilmente, spostò la mano della ragazzina, facendo con non curanza un passo indietro. «non lei» Willow sarebbe stata molto offesa di sapere di non essere la cosa più oscura della sua vita. Mac strinse le labbra fra loro, guardandosi attorno alla ricerca di forme di vita. Evidentemente, avevano tutti lezione. Se in qualsiasi altro frangente l’avrebbe preferito, in quello rimpianse la mancanza di distrazioni. Non chiedeva Joni, sarebbe stato troppo bello, ma una Furia qualsiasi…? Erisha e i suoi ex compagni di squadra…? Barrow assistente? Perfino Mort sarebbe stato cosa ben gradita, se fosse bastato ad allontanare l’attenzione di Ruby. Potevano allearsi, cospirare sulla fine del mondo; con qualche monologo ben piazzato, avrebbe occupato tutto il tempo rimanente all’Hale su quel mondo ad Hogwarts, e intrattenuto la bambina anche dopo – per sempre, forse. Preferiva le novelle su Alan, dei trapassanti occhi lapislazzuli di Ruby.
    L’avrebbe trovata molto meno disturbante, se non fosse stata una chiaroveggente.
    «le mie scelte di vita, probabilmente» le sorrise, conscio che le sue filosofiche battute sull’esistenza avessero poco acchito sulla psiche di una pargola. Dai Mac… è chiaramente traumatizzata...Devi essere paziente…
    «di morte» e lo guardò.
    Mac la guardò.
    Ruby rise.
    Mac rise.
    Smise d’improvviso, squadrandolo con solennità aliena. «sul serio.»
    Non sapremo mai cosa avrebbe risposto Mac, perché fece capolino dall’entrata dell’edificio la testa bitorzoluta di un elfo che li invitò a procedere. Doveva anche essere scattato il cambio dell’ora, perché in lontananza vide giungere i primi studenti diretti al dormitorio. «è arrivato tutto il tuo materiale! I tuoi compagni ti aiuteranno ad ambientarti, e ti mostreranno il castello. Fai la brava? Haha. Farai la brava. Io – mh. Vado? Se hai bisogno di qualcosa...mh. Passerò a trovarti?»
    «non lo farai»
    Non la corresse. «alla prossima?»
    «addio, mckenzie hale»
    haha….ha.
    H – (cit)

    Era stata una giornata strana.
    Chissà perché si era aspettato che non sarebbe finita in maniera altrettanto strana: avrebbe dovuto conoscere il fato molto meglio di così, ma quando non doveva, era un ottimista della peggior specie.
    «ahia» Un passo. «ahi» Due passi. «ah - senti» si accovacciò a terra, abbassando lo sguardo sull’anatroccolo che lo stava seguendo, ed il cui becco continuava a impigliarsi nelle sue caviglie. L’aveva incontrato all’Aetas, di passaggio mentre tornava a casa; avevano avuto un intenso scambio di sguardi, con qualche – lecita – confidenza da parte dell’Hale di come, quel giorno, avessero nuovamente predetto la sua dipartita (perché parlare con le persone era complicato, ma fermarsi in mezzo al parco e farlo con una paperella, era del tutto nella sua norma; era un po’ fatto? sì). Non era una creatura magica: era un semplice anatroccolo giallo, con due occhi scuri un po’ troppo intelligenti per la sua razza. «non puoi venire con me» tentò, per l’ennesima volta. Tornò pure sui propri passi accompagnandolo al laghetto dove l’aveva incontrato, ma quando girò sui tacchi, se lo ritrovò nuovamente appresso. «non puoi – mh.» all’ennesima beccata, si chinò per prenderlo fra le mani, portandolo all’altezza del proprio volto. Si guardarono, ed in quel momento accaddero due cose: uno, Mac notò una piuma rossa; due, l’anatroccolo poggiò il becco sulla sua fronte, ritraendolo con un risoluto quack.
    Oddio. Stava succedendo. «ok. ok. ok» Lo infilò nel taschino della giacca: a quanto pare, sarebbe tornato a casa con lui. Per l’intero tragitto fino all’appartamento, si interrogò su dove portarlo, o cosa dovesse comprare fintanto che non avesse trovato un posto adatto dove liberarlo; quando, sull’uscio della porta, abbassò lo sguardo e lo trovò addormentato contro il proprio petto, cambiò domande, chiedendosi come avrebbe detto ai suoi coinquilini che avessero un nuovo affittuario. Magari poteva...tenerlo...nascosto per un po? Baby. Oh, baby. Sospirò, perché era perfettamente consapevole di essere un idiota – almeno quello – e che ci volesse davvero molto poco a convincerlo.
    Una busta a terra.
    Non era mai un buon segno. La girò con la punta del piede, notando che fosse indirizzata a lui.
    Ancora peggio. Assottigliò le palpebre, cercando di capire se riconoscesse la scrittura – soprattutto: se fosse l’ennesimo piano malvagio di cui, volente o nolente, sarebbe stato reso partecipe. - ma no, non suonava alcun allarme. Poggiò una mano sulla paperella per impedire che cadesse, prendendo la lettera e rigirandola fra le mani. Infilò la chiave nella serratura, strappando la carta ed annunciando la sua presenza nell’appartamento. «harper? Sono -»
    - fottuto. La parola che stava cercando, era fottuto.

    «odio tutto questo. Lo odio» mormorò, ancora in posizione supina, testardo nel non aprire gli occhi. D’istinto, sentendosi strappare dallo spazio ed il tempo, aveva coperto a coppa l’anatroccolo, lasciandosi cadere di schiena.
    Deglutì febbrile per combattere la nausea del viaggio, serrando con più forza le palpebre.
    Ruby, da qualche parte: io l’avevo detto.
    Non ebbe neanche bisogno di elaborare cosa odiasse; implicito, che il soggetto fosse vivere.
    Aprì gli occhi solo per constatare che G.I. Joni fosse integra; quella si scrollò le piume con stizza, studiando il circondario con occhi scuri e vuoti. qUaCk.
    Ingoiò ancora la saliva, obbligandosi ad alzare anche lui lo sguardo.

    …..
    …….. No, vabbè.
    «twat?»
    No. Vabbè!
    Si alzò a sedere di scatto, afferrando il colletto della maglia e nascondendo il viso sotto il tessuto. Iniziò a ridere, perché perchè no, i palmi contro le palpebre abbassate e le spalle a tremare visibilmente.
    NO VABBE!
    !!!!!!
    «fuochino» Twat era pur sempre suo fratello.
    HA! HAHA! HA……….
    Riemerse dall’oscurità, sorridendo asciutto e dissociato al ragazzo che ormai doveva averlo visto, ancora seduto a terra e con una papera arrabbiata nel taschino. «mac» alzò una mano in segno di saluto verso HANS! HAHA… HANS! Sentendo un formicolio vago e fastidioso nei più oscuri recessi della sua memoria.
    Quello non era un deja vu. Quello era un incubo.
    «hans. E g.i. joni!» prese Joni sul palmo, alzandola verso il pirocineta. «a tottington.» sospirò, perché quella era proprio la sua vita. Finito di ridere, gli venne un po’ da piangere.
    Non lo fece. A malapena. Divenne invece serio, abbassando lo sguardo sul suolo e stringendo le labbra fra loro. «scusa. Non è divertente»
    Un po’ sì, in realtà.
    Un po’ si.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©


  8. .
    «sai cosa» No. Non lo sapeva Jamie Hamilton, occhi scuri a seguire i movimenti della ragazza come fosse stata una mosca a sbattere ripetutamente le ali contro i vetri della finestra, e di certo non lo sapeva Sara, perchè questa role non ha senso e queste interazioni non hanno senso e ti voglio proprio bene pandina mia. Umettò le labbra, un'espressione corrucciata - e legittimamente dubbiosa - mentre la sconosciuta cercava di trascinarlo ...da qualche parte. Evidentemente non aveva un gran senso (punto) della sopravvivenza, perchè quando mai qualcuno obbligava Jameson Black Barrel Hamilton a fare qualcosa? Non dovette neanche puntare i piedi per terra per resistere, limitandosi a bloccarsi al centro della stanza e ad osservarla, lievemente divertito, fallire nella propria impresa. «Non possiamo farlo davanti a tutti, è una cosa che potrebbe urtare la sensibilità altrui. Meglio un po' di privacy.» Le diede l'unica risposta che a quel punto meritava, perchè seguire i trip di una ragazzina in fattanza era divertente solo fino ad un certo punto - un punto che aveva già raggiunto con la mera esistenza di Callie Jackson e Melvin Diesel nella propria vita; aveva già pagato i suoi debiti. «no.» così, senza dover esplicitare a cosa quel no si riferisse; a tutto. No, non gli interessava urtare la sensibilità altrui; no, non l'avrebbe seguita in angoli nascosti del Wizburger, indipendentemente da quale segreto avrebbe fatto uscire dal proprio cappello; no. E basta. Si scrollò la fanciulla di dosso con meno gentilezza di prima, perchè Jamie Hamilton was that bitch, sorridendo educato e privo di calore. «senti, ren» battè le palpebre, capo reclinato sulla spalla dopo essersi subito un rant senza capo nè coda riguardante la libertà e la mancanza di mani. «hai tre opzioni: posso darti un passaggio a casa» alzò l'indice, guardandola attentamente ed assicurandosi che lo stesse ascoltando, perchè gli pareva una che si distraesse facilmente ed a lui non piaceva ripetere. «posso portarti al ministero come soggetto causante disturbo alla quiete pubblica» e con quiete pubblica, si intendeva la sua. Probabilmente non avrebbe neanche potuto trattenerla, ma non significava che fosse una minaccia vana: sicuramente qualche collega a cui era toccato il turno notturno, si annoiava abbastanza da trovare qualcosa per cui prolungare il fermo - o comunque, avrebbero avuto un paio d'ore di intrattenimento gratuito. «oppure.» fece spallucce, non specificando quale fosse la terza opzione. Era ramificata, quell'opzione lì, ma ogni differente alternativa aveva un punto in comune con le altre: a Ren non sarebbe piaciuta.
    Oppure le sarebbe piaciuta un po' troppo. In ogni caso, risolveva i problemi del cronocineta.
    «tutte e tre le possibilità portano con sè un happy wiz tutto tuo. questo è prenotato»
    my whole being calls
    for an act of violence,
    but i still use velvet gloves
    chronokinesis
    special born, 27
    hunter, 2119
    jamie hamilton
    0:04
    3:16
    don't sing the blues, bohnes



    chi lo sa. chi lo sa. scusa. flash post MA SONO FELICE DI AVERLO FATTO, HO SCRITTO GO LITTLE ROCKSTAR
  9. .
    ↳ prima utenza: (kind)le
    ↳ nuova utenza: in/die
    ↳ presentazione: no.
    ↳ role attive:
    AMALIE barry [09/03]
    JESS: gid [14/04]
    CONNOR: bonus crez [14/04]
    GWEN: 2043 [15/04]
    BEH: ty [15/04]
    PENN: piz [23/03]
    WILLOW: joey [05/03]
    CALLIE: dylan [14/03]
    HARPER: poor [12/03]
    DELÌTH: bells [15/04]
    POSH: nice [15/04]
    LIVY: gigio & swag [07/03]
    ↳ ultima scheda creata: Sullivan Hawkins [16/10]
  10. .
    We don't know where to find
    what once was in our bones
    where we're from, there's no sun
    our hometown's in the dark
    «ok ci siamo tutti? si ??? bene bene BENE!! INIZIAMO!!!» La vedeva chiaramente, la confusione dipinta sui volti dei ragazzi, ognuna di una sfumatura diversa: c'era chi emanava rassegnazione (mac e poor), chi terrore (turo), chi non ci aveva capito niente ma non gliene fregava poi molto (posh) e infine chi stava tirando fuori un coltello dal calzino e stava per lanciarl... «beckham eddai, un po' di contegno!» di risposta ottenne un grugnito incazzato, ma perlomeno la vide rimetter l'arma al proprio posto. «so di avervi ingannati... ma è una cosa importante, e non sapevo in che altro modo sarei riuscita a radunarvi tutti nello stesso posto» soprattutto willow e arturo. ma sospettava che anche convincer poor sarebbe stata dura, dicendogli la verità. «ormai siete qui e... non siete almeno un minimo curiosi? pochino pochino???» no???? «dai sedetevi ai vostri posti, è roba importante» e inzomma: la parola "importante" ad uscire dalla bocca della markley era... strana. Quando tutti presero posto, ecco che la ragazza azionò il proiettore ( «NON APRITE LE BUSTE FINCHÈ NON VE LO DICO IO MI RAKK») e.. via di slide:
    6Mv8nFm
    «shokkante, I know, ma è tutto vero»
    no4wdfH
    [inserire qui discorso standar pre-stampato che le avevano inculcato in accademia e che da bambina le facevano ripetere come un mantra prima di andar a dormire] le rivelazioni erano sempre magiche, e lo sguardo sui volti dei diretti interessati era sempre impagabile, solo che... la prima rivelazione era stata quella TM, quella che aveva atteso per tutta la vita e per la quale si era preparata benissimo, quando le tremava la voce dall'emozione e aveva rischiato di svenire lì sul posto. Poi però... come per ogni cosa, anche per quella aveva perso un po' di entusiasmo, e per quello quel giorno aveva optato per preparare le slide e render tutto più divertente ed entusiasmante. Soprattutto slide interattive come:
    PcXNALa
    e poi niente, altre varie slide con immagini bellixime - giuro volevo fare i manip ma... non ho tempo, scusate - e spiegazioni varie e standard come la distinzione tra custodi, messaggeri e vigilanti, e poi a fine di tutto «dOMANDE? NE AVETE???» sapeva che ne avrebbero avute!!!!! o forse erano troppo sconvolti per parlare, non poteva certo biasimarli! «per qualunque cosa, io sono qui! so che è una verità sconcertante, ci sono passata anche io...» in realtà non proprio, dato che lei era cresciuta sapendo bene di non appartener a quel tempo, ma in parte condividevano lo stesso destino. e soprattutto l'avevano condiviso nel 2043 «prima di aprire le buste, però... beckham, devo chiederti di darmi tutte le armi che hai addosso» nessuno sarebbe morto sotto la sua supervisione, soprattutto non durante una rivelazione (sarebbe stata una pagina super buia della sua carriera da custode, se fosse successo), e di conseguenza doveva assicurarsi che willow non avesse armi a disposizione con le quali sfogarsi.
    cioè poveraccia, gwen non poteva nemmeno immaginare che dolore comportasse scoprir di avere lo stesso sangue di costas motherfucka e mort rainey!!! però vabbè, AVEVA I GENITORI FAMOSI!!!!! E SCOPRIRE DI AVER GENITORI FAMOSI ERA SEMPRE BELLISSIMO!!!!!!! CHissà se anche lei aveva sempre sentito un legame spirituale con penn hilton, così come gwen l'aveva avvertito ogni volta che da bambina sul cioè trovava un poster di taylor swift (cosa? cosa)
    gwendolyn markley, 2021
    dani leroy gallagher, 2043


    una sola cosa: scusate.
  11. .

    «a me sembra uno capace di farsi bastare quello che ha, non mi pare di grandi pretese...» di quanto che le aveva detto Dylan, mentre lei ascoltava finalmente in silenzio dopo essersi tolta come un peso dal petto, quello le era rimasto più impresso.
    colpiva un po troppo vicino a casa, e poco importava che confermasse quasi testualmente quanto aveva appena asserito lei. perché per un istante, e joni se ne rese conto non per la prima volta, non stavano più parlando di Julian Bolton «come te» rispose, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, iridi grigio azzurre a cercare quelle dell'amica; non provava vergogna, la peetzah, o senso di colpa, ma c'erano momenti come quello — pregni di una vulnerabilità che odiava mostrare, in cui non poteva fare a meno di dispiacersi.
    per Dylan, sempre per Dylan.
    «dai abbastanza- no, dai tutto per entrambe» fu più forte di lei lo stringere le ginocchia al petto, ritrovandosi improvvisamente a fronteggiare troppe scomode verità tutte insieme; era un argomento, quello, che non avevano mai affrontato a viso aperto, per quanto Joni ci avesse pensato su anche più spesso di quanto desiderasse ammettere. ne aveva parlato persino con il suo guru, su Twitter, di quanto fosse difficile per lei soddisfare le aspettative degli altri nei suoi confronti, di come nella maggior parte dei casi non fosse disposta per prima a fare un passo avanti uscendo dalla sua confort zone. con la kane, almeno, poteva dire di averci provato: le concedeva — si concedeva — ben più di quanto facesse per chiunque altro.
    eppure in quel momento non sembrava affatto sufficiente «dev'essere difficile, volermi bene come fai tu. so di essere.. frustrante, a volte» voleva seriamente ricominciare tutto da capo, e per un ragazzo? per una stupida, irreale cotta adolescenziale che non aveva né capo né coda? si strinse nelle spalle, quasi rispondendo a se stessa senza darsi davvero una risposta, iridi chiare rivolte al soffitto «e comunque insomma, non mi importa davvero. non voglio farne una questione di stato, tanto per lui siamo solo amici ed è già troppo extreme così» era stata lesta a riportare in tavola l'argomento principale, con uno sbuffo d'aria melodrammatico che almeno poteva gestire come piaceva a lei; di sicuro il nervosismo e i mal di testa che le procurava Giuliano erano più semplici da affrontare del fatto di essere una pessima amica «okay okay, te lo giuro! te lo giuro su santo Jisung da latina»
    ora sì che si cominciava a ragionare.
    joni soppesó le parole dell'amica, conscia della gravità che si portavano dietro: una promessa fatta sull'anima beata di Jisung rappresentava qualcosa di talmente estremo da risultare persino blasfemo; si capiva che Dylan stava prendendo l'intera situazione con la giusta dose di serietà, e la tassorosso gliene era grata. poi da qui ad essere sicuri che non le sarebbe scappato qualche gridolino isterico nel malaugurato (e probabile) caso joni si fosse ritrovata a meno di tre metri da Julian, ce ne passava — ma non poteva pretendere proprio tutto.
    «scema (affectionate riuscì persino ad accennare un sorriso, la rossa, quando dyl se ne uscì dal nulla con una luce nello sguardo che joni - purtroppo - conosceva bene: era il luccichio che tutti i membri dello shipper club si portavano appresso, li rendeva riconoscibili quasi quanto un cartello appeso al collo. non avevano bisogno di altri segnali, sebbene la peetzah sapesse delle spillette e del merchandising coordinato, un po come i tizi nel film Fight Club: senza bisogno che nessuno dicesse niente, si capiva «intendevo che ho già provato a non frequentarlo per un po, durante le vacanze.. pensavo sarebbe bastato ignorarlo, e invece no» poi insomma, era tutto inutile se lui si presentava alla festa organizzato da Penn e Morley, senza preavviso, con dei regali personalizzati che joni segretamente aveva apprezzato anche troppo e che in quel momento aveva tanto desiderato tirargli dietro.
    e di chi era stata la colpa allora, eh?????????
    anzi, di chi sarebbe stata, perché siamo a novembre e non è ancora successo, cos'è il tempo sull'oblivion non lo so «ma quest'estate ero ancora confusa, sai.. ora che ho capito cosa sta succedendo posso gestirlo. ancora sei mesi e non dovrò più preoccuparmi» annuí, convinta solo fino ad un certo punto.
    forse farlo fuori non era poi un'idea così malvagia: é stata autodifesa, your honor, non sapevo come dirgli che mi piace e così l'ho ucciso. mi pare si chiami istinto di sopravvivenza — i vent'anni ad Azkaban assicurati, ma ne sarebbe valsa la pena.

    she hid under the covers.
    but in like a defiant and cool way
    16 | istj | aquarius
    hufflepuff | fury
    ✧ ✧ ✧ ✧ ✧ ✧ ✧
    allergic to idiots
    joni peetzah
    1.02
    3.51
    halsey, nightmare
  12. .
    zachary milkobitch
    Zac aveva adottato da poco un nuovo bambino. E lo adorava proprio troppo.
    Come se non fossero sufficienti gli occhioni grandi e scuri, le orecchie enormi rispetto alla testolina, il pelo soffice e il buon temperamento del Furnic a farglielo amare alla follia, ci si mettevano anche quelle bellissime tre codine che lui trovava stupendamente puff puff: quando aveva denunciato un uomo per custodia e vendita illecite di creature magiche, dopo aver fatto finta di essere interessato a una di queste, già sapeva che qualche abitante di quelle gabbie troppo piccole per loro sarebbe finito… be’, a casa sua!! Ovviamente, solo quelli che per la loro classificazione non sarebbero stati liberati in cattività o presi in custodia da allevatori seri e competenti – lui avrebbe seguito l’intera gestione della questione, e ormai era talmente conosciuto nel suo ambito che nessuno avrebbe avuto dubbi in proposito.
    Non fraintendiamo, il Milkobitch non era una specie di santo che faceva certe cose solo perché pensava fossero cosa buona e giusta: Zachary era il padrone della propria vita e, se faceva qualcosa, era perché gli piaceva, lo divertiva, lo faceva sentire soddisfatto e felice! Allo stesso modo, non era stato un obbligo prendere in braccio un piccolo Furnic, a malapena un cucciolo, per poi portarlo a casa propria. «DATE IL BENVENUTO A COOKIE!» Per legge del condizionamento, dopo la millesima volta in cui avevano sentito quella frase, gli altri animali di casa avevano compreso al volo. Alcuni si erano nascosti sotto i mobili, altri si erano avvicinati incuriositi, e Zachary aveva sussurrato al Furnic un «Ordinaria amministrazione, tranquillo.» La volpina aveva emesso un versetto – gli sarebbe piaciuto credere fosse una risposta, ma era solo il suo modo di fargli capire che gli piaceva stare in braccio. «Sei proprio un bravo cucciolo, vero??» Verissimo: senza che l’altro si lamentasse, gli aveva fatto un bel bagno, lo aveva lasciato socializzare con gli altri animali, e al ritorno da lavoro aveva trovato Cookie dormire beatamente con Socks, il riccio che amava le mini calzine che Zac creava apposta per lui.
    L’inventore aveva sgranato gli occhi, bloccato sulla soglia. «Questo… questo è…» skjckjjfjkjvjksjsk. «TROPPO CARINO!!!!!!!!» Ma aspettate tutti, DOVEVA FAR CONOSCERE COOKIE A BARBIE!! E GWEN, GWEN LO AVREBBE AMATO!!! KYLE E JD INVECE????? NEL DUBBIO LO AVREBBE PORTATO ANCHE DA LORO.
    Allora, si rese conto che prima avrebbe dovuto insegnare a Cookie a passeggiare.

    Le code del Furnic erano di un acceso arancione, mentre ondeggiavano per inseguire il legnetto che Zachary gli aveva lanciato. L’animale gli aveva fatto capire con un sacco di vocalizzi che quel gioco gli piaceva, e chi era lui per non assecondarlo?? Di nuovo: troppo carino. Sapeva che quelle creature magiche avevano un’indole amichevole, ma Cookie pareva esserlo un po’ di più! Era un chiacchierone come il suo papà-
    Ed evidentemente la stessa propensione per i guai. Quando Zac aveva lanciato per l’ennesima volta il bastoncino, era stato troppo distratto dall’animaletto per rendersi conto che… aveva sbagliato…… traiettoria. Ma solo leggermente! Sotto il suo sguardo sgranato, il legnetto finì sulla testa di un tipo seduto su una panchina, producendo un sonoro tonk.
    Okay, non leggermente. Un po’ tanto.
    E come se non fosse stato sufficiente, per raggiungere l’oggetto del suo desiderio Cookie era sfilato tra le gambe dell’uomo, facendogli cadere a terra parte delle patatine. Oh no. OH NO!!!! QUALE AFFRONTO?? Per Zachary il cibo era sacro, più di un possibile trauma cranico (per un bastoncino, esagerato.): si precipitò verso il malcapitato, prendendo Cookie che teneva il giochino incriminato tra i denti. «Colpa mia!!! Mi dispiace per le patatine, TE LE RICOMPRO IO!!!» Si chinò appena per lanciare un’occhiata alla faccia del malcapitato – giusto in tempo per accorgersi del suo stato da morto vivente. Annuì con espressione (stupida) convinta. «Uao amico, non hai per niente una bella cera.»
    Perché Zachary Milkobitch non era capace di starsene zitto.
    once: ray- of sunshine
    I have a happy personality with a heavy soul!
    ... sometimes, it gets weird.
    magizoologistinventor
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