I'm (not) so small and bitter I'm basically a human espresso.

ft. zac

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    m. hartley rory
    Hartley l'aveva capito ancor prima di aprire gli occhi che era fottuto. «Bastardo.» Un gemito silenzioso, il suo, condito da altri borbottii e imprecazioni di varia natura. Odiava fin troppe cose, il Rory, ma in cima alla lista c'erano: la sensazione di morte che solo una sbronza apocalittica poteva regalare; il ritrovarsi improvvisamente al comando della fottutissima nave senza essere avvisato; che qualcuno interrompesse le poche ore di sonno che ogni tanto riusciva a concedersi.
    In quel momento, tutte e tre le situazioni si stavano verificando contemporaneamente e Hartley non era nemmeno lontanamente di buon umore.
    Beh, direte voi, sai che novità.
    «Fanculo.» A ciò che pensavano gli altri, certo, ma anche a Maddox per essere sparito di punto in bianco ed aver lasciato dapprima l'aka alcolizzata al comando il tempo necessario per distruggere tutta la baracca, poi lui. Come cazzo gli era venuto in mente di avere una crisi proprio in quel momento -- o in qualunque momento, ecco. Per tutte le Harley Davidson, se lo detestava dal profondo!
    Grugnì ancora una volta, allargando il braccio per scacciare quella piattola di un Thunderscioc che non ne voleva sapere di lasciarlo in pace; alla fine, già incazzato nero, lanciò il cuscino contro la creatura e nascose la testa sotto il piumone. «Non sono il tuo badante, cosa vuo- HEY!» Maledetto T. Maledetto lui e le sue stupide scariche elettriche. «Giuro,» e lo sguardo chiaro era gelido e serio mentre minacciava l'istrice magica, «che un giorno il biondino tornerà in sé e non ti troverà più.»
    Ora. Hartley non era particolarmente contrario alle creature magiche (a differenza degli umani che, per natura, tendeva a detestare a priori) ma gli piacevano molto di più quando lo lasciavano per i fatti suoi; e T era veramente troppo giocherellone per i suoi gusti -- tanto che non erano mai andati d'accordo. Se l'animale si trovava ancora a New Hovel con loro, era solo perché le altre akas erano sempre intervenute in tempo per evitare che Hartley mettesse in pratica le sue minacce. Purtroppo, dato il suo carattere instabile e irascibile, non era mai possibile prevedere quando (e se) avrebbe davvero agito; bisognava per forza prevenire.
    Capita l'antifona -- e dopo avergli dato una seconda, e terza, scarica giusto per ribadire che nemmeno a lui stava molto simpatico, T trotterellò via, lasciando un Hartley ormai sveglio e di pessimo umore, sdraiato a pancia in su, su un materasso fin troppo scomodo. «Puzzo come una distilleria.» E, detto da lui che non rifiutava mai un bicchierino o l'intera bottiglia, era tutto un dire.

    Qualche ora più tardi, dopo una doccia che aveva lavato via la puzza e la sensazione di morte ma non il giramento di palle, Hartley prese posto su una panchina del parco di Hogsmeade per addentare il suo triplo wizburger e doppia porzione di patatine. Non aveva davvero fame, ma doveva in qualche modo recuperare le energie dopo la terribile nottataccia appena trascorsa -- di cui non ricordava alcunché, ma gli bastava il mal di testa martellante e lo stomaco sottosopra per fare due conti e capire che c'avevano dato giù pesante. Forse un menù del genere non era la soluzione più adatta, ma l'aveva ordinato più per sbeffeggiare Levi e il suo maniacale controllo di calorie e grassi che per vera fame, ma proprio non la tollerava! Lei e le sue stupide diete. «mHH, com'è buono» gemette al primo morso, consapevole che la bionda l'avrebbe volentieri strangolato se avesse potuto. «Davvero delizioso» Cercò di non pensare quel "anche se in realtà vorrei vomitare anche gli occhi" perché gli altri l'avrebbero sentito e non voleva dar loro la soddisfazione.
    A guardarlo, non doveva avere un bellissimo aspetto: pallido, i capelli scuri tirati all'indietro che scoprivano un volto dai lineamenti marcati e fin troppo duri, lo sguardo chiarissimo e gelido, l'incavo scavato e due belle borse scure sotto gli occhi. Non il ritratto della salute, ecco.
    Né dentro, né fuori.
    Magari, tutto sommato, avrebbe dovuto rimanersene nella sua casupola anonima e uguale a tutte le altre in quel del ghetto magico -- e non andarsene in giro in moto con quel freddo, né divorare calorie che il suo fisico non aveva intenzione di assimilare.
    Si portò due dita a premere sulle tempie, come se quel gesto potesse scacciare il mal di testa e far passare tutti i suoi problemi. E invece no, non servì ad un bel niente; la musica a tutto volume che proveniva dalla sua sinistra, non aiutava affatto la sua causa.
    Un gruppo di ragazzetti stava.. ballando? Avendo delle crisi epilettiche di massa? Avevano fumato qualcosa che come effetto collaterale prevedeva convulsioni? Chissà, ad Hartley di certo non interessava un fico secco della loro salute; avrebbe voluto urlare loro di smetterla, di abbassare quella cazzo di musica ma, allo stesso modo, non aveva la minima voglia di rivolgere loro la parola -- o a chiunque altro, perciò si limitò a fissarli con aria truce sperando che il messaggio passasse comunque. Non era bravo con le parole, preferiva di gran lunga i gesti... ma non poteva picchiare dei ragazzini.......vero?
    «No Hart, non puoi.»
    Alzò, mentalmente, un dito medio in direzione di Levi per zittirla, poi appallottolò la carta del panino e la lanciò in direzione della pattumiera, mancandola di molto. Che palle, ora doveva pure alzarsi per raccoglierla.
    Vabbè, magari dopo; in quel momento voleva solo morire su quella panchina in santa pace.
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    zachary milkobitch
    Zac aveva adottato da poco un nuovo bambino. E lo adorava proprio troppo.
    Come se non fossero sufficienti gli occhioni grandi e scuri, le orecchie enormi rispetto alla testolina, il pelo soffice e il buon temperamento del Furnic a farglielo amare alla follia, ci si mettevano anche quelle bellissime tre codine che lui trovava stupendamente puff puff: quando aveva denunciato un uomo per custodia e vendita illecite di creature magiche, dopo aver fatto finta di essere interessato a una di queste, già sapeva che qualche abitante di quelle gabbie troppo piccole per loro sarebbe finito… be’, a casa sua!! Ovviamente, solo quelli che per la loro classificazione non sarebbero stati liberati in cattività o presi in custodia da allevatori seri e competenti – lui avrebbe seguito l’intera gestione della questione, e ormai era talmente conosciuto nel suo ambito che nessuno avrebbe avuto dubbi in proposito.
    Non fraintendiamo, il Milkobitch non era una specie di santo che faceva certe cose solo perché pensava fossero cosa buona e giusta: Zachary era il padrone della propria vita e, se faceva qualcosa, era perché gli piaceva, lo divertiva, lo faceva sentire soddisfatto e felice! Allo stesso modo, non era stato un obbligo prendere in braccio un piccolo Furnic, a malapena un cucciolo, per poi portarlo a casa propria. «DATE IL BENVENUTO A COOKIE!» Per legge del condizionamento, dopo la millesima volta in cui avevano sentito quella frase, gli altri animali di casa avevano compreso al volo. Alcuni si erano nascosti sotto i mobili, altri si erano avvicinati incuriositi, e Zachary aveva sussurrato al Furnic un «Ordinaria amministrazione, tranquillo.» La volpina aveva emesso un versetto – gli sarebbe piaciuto credere fosse una risposta, ma era solo il suo modo di fargli capire che gli piaceva stare in braccio. «Sei proprio un bravo cucciolo, vero??» Verissimo: senza che l’altro si lamentasse, gli aveva fatto un bel bagno, lo aveva lasciato socializzare con gli altri animali, e al ritorno da lavoro aveva trovato Cookie dormire beatamente con Socks, il riccio che amava le mini calzine che Zac creava apposta per lui.
    L’inventore aveva sgranato gli occhi, bloccato sulla soglia. «Questo… questo è…» skjckjjfjkjvjksjsk. «TROPPO CARINO!!!!!!!!» Ma aspettate tutti, DOVEVA FAR CONOSCERE COOKIE A BARBIE!! E GWEN, GWEN LO AVREBBE AMATO!!! KYLE E JD INVECE????? NEL DUBBIO LO AVREBBE PORTATO ANCHE DA LORO.
    Allora, si rese conto che prima avrebbe dovuto insegnare a Cookie a passeggiare.

    Le code del Furnic erano di un acceso arancione, mentre ondeggiavano per inseguire il legnetto che Zachary gli aveva lanciato. L’animale gli aveva fatto capire con un sacco di vocalizzi che quel gioco gli piaceva, e chi era lui per non assecondarlo?? Di nuovo: troppo carino. Sapeva che quelle creature magiche avevano un’indole amichevole, ma Cookie pareva esserlo un po’ di più! Era un chiacchierone come il suo papà-
    Ed evidentemente la stessa propensione per i guai. Quando Zac aveva lanciato per l’ennesima volta il bastoncino, era stato troppo distratto dall’animaletto per rendersi conto che… aveva sbagliato…… traiettoria. Ma solo leggermente! Sotto il suo sguardo sgranato, il legnetto finì sulla testa di un tipo seduto su una panchina, producendo un sonoro tonk.
    Okay, non leggermente. Un po’ tanto.
    E come se non fosse stato sufficiente, per raggiungere l’oggetto del suo desiderio Cookie era sfilato tra le gambe dell’uomo, facendogli cadere a terra parte delle patatine. Oh no. OH NO!!!! QUALE AFFRONTO?? Per Zachary il cibo era sacro, più di un possibile trauma cranico (per un bastoncino, esagerato.): si precipitò verso il malcapitato, prendendo Cookie che teneva il giochino incriminato tra i denti. «Colpa mia!!! Mi dispiace per le patatine, TE LE RICOMPRO IO!!!» Si chinò appena per lanciare un’occhiata alla faccia del malcapitato – giusto in tempo per accorgersi del suo stato da morto vivente. Annuì con espressione (stupida) convinta. «Uao amico, non hai per niente una bella cera.»
    Perché Zachary Milkobitch non era capace di starsene zitto.
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    m. hartley rory
    «Beh, cosa hai deciso?! Non vai a raccoglierla??»
    Hartley si limitò a far roteare gli occhi color del ghiaccio verso un nuovo piano astrale (non senza pentirsi di quel gesto nel momento stesso in cui sentì il mal di testa ricordargli, prepotente, che era lui a comandare quella mattina e lo special poteva solo accompagnare) senza preoccuparsi davvero di muovere il culo e strisciare fino alla carta unta che aveva fatto cadere in terra.
    «No.» Secco, perentorio: non aveva assolutamente lo sbatti necessario per fingersi una persona educata e civile (quale, d'altronde, non era) perciò perché farlo. Le altre aka lo conoscevano abbastanza bene da sapere che insistere con lui era inutile, dunque decisero (saggiamente) di non ribattere e nella Scatola cadde il silenzio.
    E giustamente qualcuno scelse proprio quel momento per rompergli i coglioni. Hartley era a tanto così dal bruciare il mondo intero.
    Il bastoncino che lo aveva colpito in terra ruzzolò prima sulla spalla, poi sulla coscia ed infine arrestò la sua caduta ai piedi del Rory che non aveva mosso un muscolo: era rimasto impassibile e l'unica cosa che faceva intendere quanto vicino fosse a perdere le staffe era lo sguardo incupito e gelido che rivolse all'animaletto che notò ai suoi piedi quando abbassò gli occhi per seguire la discesa del legnetto. Un cosino con tre code di un arancione brillante – e l'arma del delitto stretta nel musetto entusiasta. Ma perché.
    Il gioco di sguardi tra animale e Furnic (.) durò svariati secondi, il tempo necessario al padrone della bestia di correre verso di loro (per sventare un possibile Furnicmicidio). A quel punto Hartley si costrinse, con estrema fatica, ad alzare lo sguardo verso il nuovo arrivato, sentendo l'emicrania aumentare esponenzialmente solo nel notare il sorriso radioso del ragazzo.
    «Ma che ha da sorridere così tanto,» pensò, vittima del suo innato grigiore emotivo, «ma è scemo?» Al ché, Levi lo rimbeccò ricordandogli di non essere maleducato con gli sconosciuti perché poi a rimetterci erano tutti quanti loro (ciao Oblinder, ciao Hyde).
    Come a dimostrare di non avere la minima intenzione di dare retta all'altra aka, Hartley si chinò in direzione della creatura senza rompere il contatto visivo con quella scimmia urlatrice del suo padrone (no, ma davvero, che razza di problemi aveva, tutto quell'ottimismo e positività non serviva.) e una volta convinto il Furnic a mollargli il legnetto con la tacita promessa di lanciarlo lontano per continuare il gioco, fece curvare un angolo della bocca verso l'altro rivolgendo un sorriso che di divertito non aveva assolutamente nulla in direzione del moro.
    E poi spezzò il bastoncino.
    «Ops. Colpa mia falso come una banconota da una falce, imitò le parole del ragazzo gettando ai propri piedi quel che rimaneva del gioco della creatura – le cui code, probabilmente, non avrebbero tardato ad assumere delle sfumature blu tristezza; come faceva a saperlo? Boh, doveva esserci un'aka con conoscenze di magizoologia da qualche parte nella Scatola, non che ad Hart fregasse davvero qualcosa.
    Si frenò dall'accettare la proposta dell'altro di ricomprargli le patatine, un po' perché dubitava seriamente che dopo il suo gesto infame avrebbe tenuto fede a quell'offerta; e un po' perché, appunto, non aveva davvero fame e per quanto Hartley potesse essere, anche lui era contrario agli sprechi di cibo.
    «Uao amico, non hai per niente una bella cera.»
    Ok, vaffanculo perfetto sconosciuto di cui non sappiamo nulla, cioè ti pare. «Ma ti sei visto allo specchio?» Non una vera domanda.
    Ma chi era quel tipo, oh. Già l'aveva snervato più del dovuto, un'altra parola (o un altro commento. O anche solo un altro respiro) e Hart l'avrebbe messo sotto con la moto. Ripetutamente.
    «Prima mi tiri un legno in testa, poi mi insulti.» Che aveva fatto di male per meritarsi tutto quello? Minchia, Maddox, in quel momento (come sempre.) Hart ti odiava profondamente per averlo mollato al comando. «Sai che me ne faccio delle tue scuse.» Se non altro, sperava che i suoi commenti educati avrebbero smorzato di qualche grado il sorriso del moro – Hartley non aveva portato gli occhiali da sole e si pentiva di tutto.
    Tranne di quanto detto.
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    zachary milkobitch
    Zac era un bastoncino fatto di zucchero, ricoperto di zucchero filante e poi ricoperto di zucchero a velo. Sul serio, era un amorino fatto e finito, un concentrato di diabete e colesterolo insieme – perché oltre a essere bellino era anche pesante, certo.
    Ma!!! Prima di essere un bastoncino di zucchero, era un!!! PAPA’!!! (Sì, era uno status ufficiale, i “suoi” animali erano suoi figli.) E come qualsiasi papà che si rispetti, non aveva una buona opinione di chi bullizzava i suoi figli: quel tizio aveva appena spezzato il cuoricino a Cookie che, confuso, aveva iniziato a ondeggiare le code e alternare lo sguardo dal Grinch al bastoncino ormai rotto. Il tutto era avvenuto mentre l’altro prestava attenzione a fissarlo, come in una provocazione. Zachary sentì l’irritazione e l’istinto protettivo smuovergli il petto. Come osava rompere il giocattolo di suo figlio. «Ops. Colpa mia MHMH, voleva giocare? Allora avrebbero giocato. Tirò su un lembo della giacca, scoprendo la bacchetta custodita in tasca al proprio fianco. «Lo hai voluto tu.» Avvicinò le dita alla bacchetta… pronto a sfoderare la sua arma di riserva, con tutta l’aria di chi avrebbe voluto ricorrere a uno Schiantesimo…!!!
    E invece la sua mano scivolò oltre, tirando fuori, TADA’!!!, un altro legnetto nuovo di zecca. Cosa credevate. «Nessuno può mettere Cookie in un angolo,» professò, mano sul cuore, constatando con soddisfazione che le code del Furnic erano tornati di un arancione purissimo. «Vai bello!» Lanciò il bastoncino, e poi lanciò un’occhiata con un sopracciglio inarcato allo sconosciuto. E non aveva mai smesso di sorridere eh! - girava la leggenda secondo cui 1) aveva una paresi facciale 2) non diventava serio neppure quando infuriato. La prima opzione era la più divertente: sicuro l’avevano pensato perché Zac aveva la mandibola un po’ storta. BURLONI. «Non l’hai presa bene? Guarda che te le ricompro le patatine, se vuoi!» D’altronde lo sapeva, le patatine erano la parte migliore della giornata, okay, MA: «Non è stato da badass prendersela con un piccolo Furnic. Buuu.» Pollice verso il basso, mentre Cookie tornava con il bastone e Zac glielo lanciava con altrettanto entusiasmo, manco dovesse essere lui a giocare. Sicuramente il tizio non aveva figli; francamente Zachary lo sperava. Proprio umanamente.
    E poi, giusto perché tanto era convinto che se fosse morto si sarebbe reincarnato in un bellissimo drago con la mandibola altrettanto storta, si sedette accanto all’altro. Se era irritato con lui perché aveva fatto una cafonata? OvViO. Ma trovava più stancante odiare che perdonare, e poi neppure lo conosceva e non poteva dire fosse solo una persona lunatica o davvero perfida, quiiiindi. Sbadigliò, gamba sull’altra e braccio sullo schienale della panca – zero senso dello spazio altrui... «Non era mica un insulto!!» Non per il dubbio giudizio del Milkobitch, almeno! «Sai quante volte io non ho una bella cera perché faccio nottata a guardare le sfilate di oche??» Annuì più volte, come se la sapesse lunga – ma su cosa poi. «E poi guarda come mi riprendo. Un fiorellino.» Si indicò il viso con l’indice, sorriso scintillante da rintronato. Magari l’altro era suscettibile sul suo aspetto!!! Avrebbe dovuto pensarci prima, mannaggina. «Anche tu sei un fiorellino, solo un po’ sciupato!» Siamo tutti fiorellini nella vita. Aaah, meglio, molto meglio, bravo Zac! ignaro di aver fatto peggio
    «Sai che me ne faccio delle tue scuse.»
    «So io cosa ti ci vuole.» Un letto? Che lui scomparisse? NO!! Un’iniezione di gioia!!!! Afferrò il bastone che gli porse dal suo adorabile Cookie, lasciandogli una carezza. Lo passò all’altro. «Se lo spezzi ne ho comunque un altro.» Kit base di un padre Fulvic. «Tiraglielo! VEDRAI CHE SODDISFAZIONE!» Era serio? Era serio.
    Ma non credeva esistesse un essere umano capace di ignorare i versetti felici di Cookie e i suoi occhioni meravigliosi. IMPOSSIBILE!!!
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    m. hartley rory
    «Nessuno può mettere Cookie in un angolo,»
    Se qualcuno avesse potuto mai tradurre in espressione il “punto oblivion”, sarebbe stata di certo molto simile a quella assunta in quel preciso istante da Hartley.
    Il moro sentì Levi sospirare, dentro la propria testa, per quella semi citazione; lui, dal canto suo, socchiuse le palpebre e si sforzò di non tirare una testata sul setto nasale dello sconosciuto. Era davvero, ma davvero!, una giornata difficile, non serviva che lui ci mettesse il carico da venti.
    «Non l’hai presa bene? Guarda che te le ricompro le patatine, se vuoi!» Incapace di trattenersi ancora, sbottò con un seccato e iracondo «non le voglio le stupide patatine!» Hartley non poteva affatto combattere con l’essere al comando della fottuta Scatola, il post sbronza e quell’essere troppo felice per poterlo considerare umano. Si massaggiò le tempie, ancora più stanco di poco prima.
    «Ti è mai passato per la mente che forse, ma dico forse, non volevo essere -» mimò con le dita, a gran fatica, «“badass”, ma solo stronzo?» Qualcuno doveva pur dirlo. Lo osservò per un attimo, fumante di rabbia, gli occhi ridotti a due fissure e la linea delle labbra stretta stretta. Se l’altro non ci arrivava da solo, a certe cose, era compito di Hart farle presenti. Non che fosse una persona particolarmente attenta ai bisogni altrui eh, al contrario: ma in quel caso si trattava della propria salute (anche mentale!) e valeva la pena spendere due parole (per niente dolci) con il rompipalle.
    Che, evidentemente, non parlava la sua lingua.
    (O forse era Hartley a non parlare la lingua degli umani, tutto grugniti, versi strani e parole troppo forti.)
    «Che vuoi.»
    Si irrigidì quando Raggio di Sole (non un complimento, Hart non è pandii.) si mise a sedere accanto a lui; la voglia di alzarsi e lasciarlo lì era tanta, tantissima, ma il mal di testa era più forte.
    Massaggiò nuovamente le tempie maledicendosi (e maledicendolo.) per tutto; alla terza volta, sarebbe scattata davvero la testata sulle gengive. Hart aveva picchiato sconosciuti per molto meno. «Non era mica un insulto!!» Era davvero un tipo strano e fastidioso. Entrambe le cose in quantità che Hart non poteva davvero processare e tollerare.
    «Sai quante volte io non ho una bella cera perché faccio nottata a guardare le sfilate di oche??» Una voce nella sua testa, appartenente ad un’aka che il Rory non aveva voglia di identificare, lo implorò di non commentare.
    A sua volta, pensò che «non ne valeva la pena.» Non per le sfilate di oche, comunque. Si ripetè a denti stretti di non commentare non commentare non commentare ma a quel «E poi guarda come mi riprendo. Un fiorellino.» non resistette più.
    A tutto c’era un limite, e Mandibola Storta l’aveva oltrepassato da un pezzo.
    «Ah sì? Non l’avrei mai detto.»
    Lo osservò intensamente solo per qualche altro istante, scuotendo poi la testa e lasciando perdere. Non ne valeva proprio la pena.
    «MA DAIII HART. Non lo vedi che insultare questo cucciolo d'uomo è come sparare sulla croce rossa????» E sai che gliene fregava a lui?!?! Assolutamente nulla. Zero. MENO DI ZERO.
    «So io cosa ti ci vuole.»
    «Finalmente. Addio sussurrato a denti stretti perché la vita insegnava che se ci speri troppo, non succede.
    E infatti.
    «Tiraglielo! VEDRAI CHE SODDISFAZIONE!»
    In quel momento, Hart non avrebbe trovato soddisfacente nemmeno tirare il bastoncino in testa al padrone, figurarai ad uno stupido Furnic.
    Lo buttò a terra.
    «No.»
    Ma che voleva? Dove aveva sbagliato Maddox nella vita per ricevere QUEL genere di punizione divina? E perché, PERCHÈ, doveva essere Hart a pagarne il prezzo?
    Odiava tutto e tutti, pure chi era già morto e chi non era ancora nato.
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    zachary milkobitch
    Era errato dire che Zachary non capiva le persone di malumore.
    Nemmeno lui ne era immune, con la differenza che aveva sviluppato strategie di coping tutte sue.
    E con un’altra differenza: aveva un approccio molto, molto, molto alla periodica, diretto per risollevare l’umore. Tipo non scollarsi da una persona nonostante – come in quel caso – Zac sapesse percepire quando non era gradito. Ma be’, non aveva granché da fare oltre a far sfogare il suo Cookie, cos’altro poteva fare oltre a passare il tempo rovinandolo a qualcun altro.
    Non voleva le patatine? Inarcò un sopracciglio. «Uhuh, le chiami stupide ma prima le stavi mangiando.» Cos’è, si vergognava a far vedere che le patatine gli piacevano?? (no, assolutamente no) Anche lui le amava! Le patatine erano per tutte le età. Cavolo, aveva perso il conto di quanto fosse andato al luna park soltanto per passare allo stand dei suoi vecchi amici e ricevere una porzione di patatine fritte gratuite – le migliori! Le più sublimi! Salate e croccanti al punto giusto! Che meraviglia. Aveva trovato cosa fare quella sera.
    L’uomo, non contento della PESSIMA! figura che aveva fatto col suo bambino, continuò autoproclamandosi stronzo. Zachary si girò verso di lui, fissandolo con un po’ di perplessità. «Sai che questa suona come un’altra frase-» Mimò le virgolette con le dita. «Badass, vero?» Fece due coccole un Cookie in cerca di attenzioni. «E poi non è cool essere stronzi. Solo se lo fai con chi se lo merita.» IL SUO BELLISSIMO FURNIC NON LO MERITAVA.
    Sentiva gli occhi dell’altro tentare disperatamente di perforarlo e porre fine alla sua esistenza, ma ahimè, non funzionava. Almeno fino a quando Zac avrebbe messo a punto i suoi occhialetti magici con la vista laser, ma questo era un progetto segreto, eh. Alzò e riabbassò le spalle. Il parco era troppo bello perché il tipo grumpy sedutogli accanto gli rovinasse l’umore. «Ah sì? Non l’avrei mai detto.» Il viso – sì, mandibola storta inclusa – di Zac si illuminò di una risatina mentre fingeva in maniera magistrale di averlo interpretato come un complimento. «Oh, so che non si direbbe che vado a dormire tardi! Ho la pelle giovane.» Tsk tsk, non tutti potevano vantare una genetica simile. «Grazie ma non sei il mio tipo.» Pollice in alto e stellina immaginaria a spuntare dal suo occhiolino.
    «Finalmente. Addio
    Zac sospirò. «Rude.» Ma per sua sfortuna non demordeva. Il bastoncino cadde a terra, e il Milkobitch pensò che Tizio dovesse essere un osso duro, il Furnic a saltargli in grembo pur guardando lo sconosciuto con qualche riserbo. «Com’è che ti chiami, comunque??» Zac erano come i demoni dei film che facevano patti con umani rubando loro il nome: identificati con Zachary e Zachary ti tormenterà.
    Neanche il tempo di finire la frase, che un tuono si dipanò per il cielo e una pioggerellina iniziò a ticchettargli sulle braccia. Wow!! «AMO LA PIOGGIA.» Che giornata stupenda! Strinse Cookie tra le braccia per proteggerlo dalla pioggia, gli occhi socchiusi per le gocce che iniziavano a scorrere prima di lanciare un’occhiata a Tizio. «Preferisci stare lì col broncio o…?» LUI CONOSCEVA UN OTTIMO RIFUGIO che, neanche a dirlo, faceva dell’ottimo cibo. Coincidenze? Io non credo. E okay, Zac era un mago, poteva usare la magia, ma perché se la pioggia gli piaceva? Tsk tsk.
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    Hartley non si reputava una brava persona, ma non aveva neppure (ancora) ucciso nessuno, quindi davvero – davvero. – non se la meritava una punizione divina come quella. «Uhuh, le chiami stupide ma prima le stavi mangiando.» Ugh, mangiare era un parolone, le stava a malapensa spizzicando. Non che dovesse giustificarsi, infondo. Era già tanto si fosse preso la briga di puntare lo sguardo gelido in quello caldo dell’altro — anche in quello, non avrebbero potuto essere più diversi.
    «Sai che questa suona come un’altra frase badass, vero? E poi non è cool essere stronzi. Solo se lo fai con chi se lo merita.» A quell’affermazione, si guardò intorno, di proposito, allungando il collo in una direzione e nell’altra. Poi riportò lo sguardo sul FastidioTM e sul suo Furnic, rimanendo a fissarlo con intenzione. «Non vedo persone che non se lo meritano.» Doveva essere proprio ottuso se non capiva; o troppo scemo se continuava a fingere di non capire. Quale che fosse l’opzione, Hartley era comunque molto infastidito dall’atteggiamento dello sconosciuto: ma perché non lo lasciava in pace?
    Nemmeno gli insulti sembravano funzionare; forse doveva passare alle maniere forti. OK, vero, stava ancora soffrendo per l’ultimo incontro illegale a cui aveva partecipato, ma uno o due pugni in canna ce li aveva sempre pronti. E non era così maturo da risparmiarsi dal picchiare anche gli Zac di quel mondo. «Grazie ma non sei il mio tipo.» Specialmente se dicevano stronzate simili. Parole che non avrebbero dovuto pungere così sul vivo — ma lo fecero. Ma chi credeva di essere. Distolse lo sguardo con un «tsk» oltraggiato e offeso. Ma tu guarda un po’! «Com’è che ti chiami, comunque??» Si concesse di squadrarlo un attimo, con aria truce, solo con la coda dell’occhio: poi tornò a fissare il parco di fronte a sé, ignorando la domanda, e la voce di Levi, che nella sua testa continuava a ripetere, come un disco rotto: dai diglielo diglielo diglielodiglielodiglielo.
    Ah, maledetta ninfomane; ci si metteva anche lei, adesso. Hart serrò istintivamente le labbra, sapendo che nello spazio mentale che condividevano solo uno dei due era abbastanza forte per prevalere — e non era di certo lui, in recupero dalla peggior sbronza della sua vita (cosa che la diceva molto lunga sulle sue condizioni). «Che importa, tanto non ci rivedremo mai più.» Una promessa e una minaccia, tutta insieme.
    Avrebbe volentieri continuato a dare spiegazioni, per fargli capire che non fosse una battuta, la sua, ma piccole goccioline pesanti iniziarono a cadere dal cielo, e di riflesso Hart alzò lo sguardo verso l’alto per osservare la pioggia. Ci mancava giusto questo, pensò, constatazione a cui Levi rispose con un «rende tutto più romantico, musone!» che Hartley, prontamente, ignorò.
    Una goccia si incastrò tra le sue ciglia, e Hartley le batté un paio di volte per sbarazzarsene.
    «AMO LA PIOGGIA.»
    «non avevo alcun dubbio»
    Il commento gli uscì ancor prima di rendersene conto, e rimase a fissare l’altro che aveva assunto, se possibile, un’aria ancora più radiosa; l’umore di Hart, al contrario, era sempre più nero. Lo osservò prendere il Furnic, alzarsi e poi voltarsi nella sua direzione. «Preferisci stare lì col broncio o…?» «Sì.» Non dovette nemmeno pensarci: ogni cosa, anche un meteorite dritto sulla testa, sarebbe stato meglio che andare con lui; il mal di testa ce l’aveva già, grazie tante, non serviva che peggiorasse le cose. «Ma tu vai pure, eh,» gli fece un gesto con la mano per scacciarlo, «non lasciare che sia io a fermarti. Vai, vai.» Non era davvero un invito, quanto più una disperata richiesta che lo assecondasse. «Vattene.» Cos’altro più doveva dirgli, per fargli recepire il messaggio?!
    fake identityfake personality
    In the valley of the dolls we sleep,
    living with identities that don't belong to me
    but oh, he ispissed of for real
     
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