Votes taken by cross/fire

  1. .
    ↳ prima utenza: zugzwang.
    ↳ nuova utenza: but, holy fuck -
    ↳ presentazione: dai...
    ↳ role attive:

    ALOYSIUS: wren [08.04]
    ELIJAH: maddox [21.03]
    GEMES: run [13.04]
    JEREMY: stiles [23.03]
    SCOTT: syria [13.04]
    MITCHELL: marcus [16.04]
    SUNDAY: chelsey (bonus) [11.04]
    SHOT: akelei [15.04]
    TWAT: mac [06.04]
    JEKYLL: hans [11.03]

    ↳ ultima scheda creata: Jekyll Orwell Crane-Winston
  2. .
    'Cause we've gone too far, no place to hide
    We set the world alight - Let the dominos fall
    when & where
    09.02.91, tralee
    what
    deputy head master
    who
    mitch
    Sistemò il berretto da baseball sulla testa, ignorando gli sguardi di maghi e streghe che passavano per Notturn Alley. Ovviamente, in quell’ambiente, Mitchell Winston stonava: per quanto avesse cercato di mimetizzarsi nell’habitat degradato di una delle vie più malfamate del quartiere, sapeva di saltare all’occhio come un’opale tra le pietre grezze. Sentiva gli occhi di tutti puntati addosso, come se stessero misurando la lunghezza di ciascun passo per studiarlo, capire quanto veloce potesse fuggire prima che le loro fameliche fauci potessero sbranarlo. Era altamente probabile che quella fosse l’impressione di chiunque passassi di lì per sbaglio, ma ciò non rendeva più sereno il suo soggiorno in quel posto.
    Dipingersi in volto l’espressione di uno che si era perso poteva essere un’arma a doppio taglio, ne era perfettamente consapevole: sarebbe parso come una preda facile, ma al contempo il suo, finto, spaesamento sarebbe stato convincente.
    Tuttavia, confidava di non doversi trovare nella situazione di dover simulare un sorriso nervoso nella penombra, cercando di divincolarsi da mani sporche di fuliggine e denti aguzzi.
    Si appoggiò con estrema riluttanza ad un muro, fingendo nonchalance nel recuperare il cellulare e scrivere poche parole a Marcus.
    Il motivo per cui il vicepreside si trovava in quel vicolo dimenticato da Dio, era per ricevere delle informazioni da un ministeriale. Non era un ribelle, una loro spia infiltrata nel Governo: era un pavor che diceva di voler divulgare notizie dall’interno, e di cui il trentunenne non si fidava minimamente. Poteva essere, che fosse tutto veritiero; non sarebbe stato né il primo né l’ultimo mangiamorte a non approvare i metodi di quella dittatura, e già altre volte era capitato che alcune soffiate fossero affidabili. Mitch, tuttavia, era un pessimista patologico: sentiva quella sarebbe stata una trappola, e non avrebbe mandato altri ragazzi in avanscoperta per farsi prendere, o uccidere.
    Lui aveva indubbiamente più esperienza, e più mezzi a disposizione per cavarsela nella peggiore delle ipotesi. Era un metamorfomagus, e si stava dirigendo al patibolo con l’aspetto di un altro; aveva un posto in cui piombare senza preavviso, e confidava che il sicario non gli avesse appena mandato l’indirizzo di qualche stupido gala in cui avrebbe fatto clamore la sua improvvisa Materializzazione; era, modestamente, un mago molto più capace di tante imberbi nuove reclute del Quartier Generale.
    Accese una sigaretta, individuando l’informatore ma senza muovere un muscolo per fargli capire fosse lui la persona che avrebbe dovuto incontrare. Non aveva specificato il proprio aspetto, l’unica cosa che aveva lasciato trapelare era il luogo dell’incontro: un piccolo vicolo nel quale Cole si stava già infilando, abbastanza in vista per essere comunque tra tanti altri passanti ma riservato quanto potesse bastare per non far ascoltare qualsiasi cosa avesse da dire.
    Quel che non si sarebbe aspettato, era un’evoluzione tanto rapida della situazione. Stava per muoversi, dopo aver atteso qualche minuto e che la strada si svuotasse e ripopolasse un paio di volte, ma qualcuno lo precedette. Fece scivolare una scia sottile di fumo dalle labbra, rimanendo a guardare due individui tanto fuori posto quanto lui entrare nella stessa stradina; sbuffò, constatando con i propri occhi l’attuazione della trappola. Doveva avere un angelo custode davvero in gamba, altrimenti quel lampo di luce verde avrebbe potuto colpire lui.
    Per più tempo di quanto avrebbe dovuto, rimase a rimuginare su quel pensiero, mentre nelle retine sembrava essere rimasto impresso il bagliore smeraldino che aveva illuminato la zona. Si avvicinò cauto, lasciando che i due ministeriali levassero le tende prima di controllare cosa fosse successo. Il cadavere di Cole, troppo giovane perché facesse quella fine, era riverso a terra tra mucchi di ciarpame e scatoloni vuoti; nelle iridi noccioli, v’era ancora riflessa la paura dei suoi ultimi istanti di vita.
    Avrebbe voluto portarlo via di lì, ma non ne ebbe il tempo. Si Smaterializzò nell’istante in cui percepì due presenze alle proprie spalle.

    «Marcus?» l’appartamento era troppo silenzioso per i suoi gusti, ma per quanto la paranoia ci tenesse ad avvolgerlo come un telo da salma decise di mantenere la calma. Si fidava dell’Howl, abbastanza da sapere che né l’avrebbe tradito in alcun modo, né si sarebbe fatto catturare e fregare il cellulare. Ciononostante, per essere un aperitivo, c’era qualcosa di… strano. «Marc- oh.» strinse le labbra tra loro, fissando un po’ troppo il corpo privo di vita sul quale stava per inciampare. Due cadaveri in una sola giornata, avrebbe potuto essere un record. «Ti aveva preparato male il margarita?» meglio capire di che umore fosse l’ex corvonero, prima di intavolare un discorso con lui.
    mitchell t.
    winston
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  3. .
    warriors
    papa roach
    dominoes
    tom walker
    hoping
    x ambassadors
    Sebbene avesse costantemente tanti, a volte troppi pensieri a vorticare nella testa, Mitchell Winston aveva sempre fatto in modo di dare a questi un ordine - una corsia da seguire nei loro giri di corsa, un numeretto per sopperire al caos nascente dando loro una priorità ben definita ed un turno da rispettare. In cuor suo, era certo che se avesse lasciato troppo spazio ai fili di quella matassa ch'era sempre stata la sua mente, la baraonda non si sarebbe limitata a rimbombare in ogni fibra del suo essere: avrebbe riecheggiato in ogni suo gesto, in ogni sua parola, in ogni suo rapporto, demolendo tutti i castelli di carta che aveva tanto faticato per tirare su. Magari in un'altra vita avrebbe potuto permetterselo, ogni tanto; un Trevor qualsiasi, forse, si sarebbe trovato a proprio agio nel radere al suolo tutti i costrutti che lo definivano come persona, per poi comprare un nuovo mazzo e ricominciare daccapo. Ogni volta che Mitch ci aveva provato - scappando, nascondendosi, fingendo - era tornato con la coda tra le gambe a raccattare le macerie per cercare di riparare il danno compiuto.
    Aveva bisogno di comprimere tutto in compartimenti stagni da aprire al momento più consono, senza incasinare troppo le cose, per poter funzionare correttamente - non in maniera perfetta, ma comunque al massimo delle proprie capacità.
    Ma in alcuni momenti, fatti di minuti interminabili e respiri troppo densi a scivolare cauti dalle narici alle labbra, la necessità di ignorare, sostanzialmente, se stesso si faceva impellente e doveva lasciare che i rubinetti gocciolassero senza che nessuno andasse a stringere bene la manovella.
    Come in quel momento.
    Sigmund Freud lo avrebbe definito come evitamento, il suo - perché a conti fatti, di un meccanismo di difesa si trattava. A discapito di quel palazzo mentale nel quale viveva tanto bene, ed a costo di andare ad aprirci delle crepe, il Winston era disposto a rifuggire l'oggetto ansiogeno, rintanandosi in altri tipi di pensiero: Bug che lo aspettava a casa di Idem; Nicky alle prese con il suo lavoro al ministero; il preside Chan che probabilmente per capire come si apriva il proprio ufficio stava rischiando di far crollare mezza Hogwarts; Will al Quartier Generale che si domandava perché le sigarette che aveva perso due settimane prima erano in un vaso con delle bustine di tè ed una bomba artigianale. Per un poco di tempo funzionò, ma era evidentemente incapace di distrarsi se la distrazione stessa non era il suo interesse principale. Gli bastò che l'oggetto ansiogeno che cercava di evitare, Marcus Christopher Howl, rispondesse alla stessa domanda che non avrebbe voluto porre, e dalla quale desiderava quell'esatta replica.
    «non ho alcuna intenzione di vestirmi, mitchell. ma tu potresti farmi il favore di spogliarti.» Non mosse un passo, iridi chiare a cercare il contatto visivo e mani affondate nelle tasche dei pantaloni. «o puoi andartene. non ho la forza né la voglia per parlare con te se rimani vestito.»
    Desiderò fosse più semplice. Non qualcosa in particolare - non acconsentire, non andarsene, non sbottonare la camicia e lasciarla cadere a terra. Vivere, forse; più che altro, farlo senza dover pensare a quello che sarebbe accaduto dopo in base ad una qualsiasi delle proprie scelte.
    «davvero, mitch. vattene ora o spogliati. voglio solo sapere di cosa sai quando non sei ubriaco. o io quasi morto.»
    Perché pensare di andarsene, quando quello che voleva era rimanere? Quando, quello che spesso desiderava quando chiudeva gli occhi, era tornare a quel Giugno infame e non allontanarlo spinto dalle proprie paranoie. Quando aveva desiderato quel momento, e lo aveva cercato, e lo aveva aspettato forse da più tempo di quanto entrambi potessero immaginare. E perché, invece, restare e spogliarsi, quando avrebbe significato perdere un controllo che lo definiva, e una posizione cementata dalla convinzione che quel momento potesse non significare nulla? Quando conosceva l'empatico, e sapeva che quello avrebbe potuto benissimo essere un semplice istante di debolezza.
    Sospirò appena, degnando di una mezza occhiata fugace l'ingresso del loft . Era estremamente raro restasse senza qualcosa da dire, ed il motivo era la sua incapacità di agire d'istinto: aveva bisogno di osservare la situazione, valutare i pro e i contro, scegliere la strada più consona.
    Ma con un Marcus nudo che lo giudicava a due metri di distanza, non era semplice farlo.
    Fu il tono di voce del maggiore, più caldo e semplice di quanto Mitchell lo avesse mai sentito, a fargli muovere quei maledetti passi; o forse l'idea che si era messo in testa sul fatto che l'Howl potesse avere bisogno di quello da parte sua, o l'avrebbe semplicemente fatto uscire di lì senza dargli l'opportunità di rimanere.
    Quando riuscì a sentire l'odore di pulito, il profumo del bagnoschiuma del biondo ad un soffio di fiato di distanza, il tonfo sordo e bradicardico nella gabbia toracica - solo in quel momento, gli balenò nella mente l'idea che forse non gli interessava davvero quel che sarebbe successo poi.
    Due secondi, il minuto successivo, la mattina seguente, dieci giorni o tre mesi dopo: avrebbe raccolto le macerie ancora una volta, se ce ne fosse stato il bisogno.
    «ti ho fatto uscire gratis di prigione,» bisbigliò, che tanto era vicino che un filo di voce poteva bastare. Si avvicinò ancora, e forse quello stesso fiato era l'unica cosa a separarlo da Marcus mentre con le dita andava a disegnare la linea delle scapole.
    E forse aveva soltanto atteso troppo tempo per quell'istante.
    E forse era stanco che gli si presentasse l'immagine di quell'ultima carezza che aveva potuto dargli prima che sparisse.
    E forse voleva soltanto un nuovo ricordo impresso nella memoria.
    E forse
    «potresti farmi il favore di aiutarmi a togliere i vestiti.»
    Stay for as long as you have time
    So the mess that we'll become
    Leaves something to talk about
    mitchell
    winston
    when: 02.03.2020
    where: prison
    sign: aquarius
    status: annoyed
  4. .
    nome pg: yağmur "rick" rickenbach
    casata: serpeverde
    ruolo: battitore

    CITAZIONE
    coach era pure segnato nella discussione ufficiale, cos'è questo razzismo contro i belli

    ho preso i nomi solo dal primo post della discussione dksiso
  5. .
    Citando un grande saggio: assolutamente no.
    Non vedo onestamente alcun motivo che potrebbe portare l'Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici del Ministero a pensare che sia una buona idea, o che sia giusto, includere gli special (da sempre discriminati) nel gioco dei maghi per eccellenza - motivo di orgoglio nazionale, tra l'altro.
    Per quanto gli special siano stati inclusi nel mondo del lavoro magico perché possono essere utili, ed anche se Abbadon ha dato loro maggior rilievo nella società, il Governo è ancora retto da quei Mangiamorte che disprezzano coloro che non sono maghi.
    Lo trovo... denaturalizzante, ecco.
  6. .
    Picchiettava piano, seguendo un ritmo cadenzato e regolare non così dissimile da quello del cuore contro la gabbia toracica, le dita affusolate sullo schienale di una poltrona della sala comune, gli occhi cerulei fissi sulle scale che portavano ai dormitori in quieta attesa che gli ultimi studenti raggiungessero il gruppo, svegliati in tarda mattinata dai propri caposcuola.
    Si erano divisi i compiti quella stessa notte, e in quell'esatto momento - carichi di stanchezza e confusione a gravare sulle borse sotto gli occhi, le tasche gonfie di molte domande e troppo poche risposte - sapeva che Richard si trovasse nella torre dei Grifondoro, che Guadalupe fosse scesa nei sotterranei dei Serpeverde e Phobos in quello dei Tassorosso, che Nathan avesse radunato gli abitanti di Different Lodge, e che Jaden con Erin si fossero divise tra la sala professori e l'infermeria.
    Dal canto suo, Mitchell Winston doveva delle spiegazioni ai Corvonero, al massimo delle proprie capacità.
    «buongiorno ragazzi,» mormorò, quando anche l'ultimo studente andò a riempire il proprio spazio; nonostante fossero tutti lì, la stanza sembrava fin troppo vuota.
    «ho chiesto ai vostri caposcuola e prefetti di farvi riunire tutti quanti qui, stamattina, per parlare di quanto successo nelle ultime dodici ore. immagino siate abbastanza confusi e che abbiate molte domande - lo capisco, e vi capisco: mentirei dicendovi di avere tutte le risposte necessarie -, e sono qui per aiutarvi a fare chiarezza quanto più possibile. innanzitutto, vorrei chiedervi: quanto ricordate della scorsa notte?» seguirono mugugni, sussurri intrecciati l'uno sopra all'altro. Alcuni, sentì, parlavano di allucinazione condivisa a causa della malattia; altri parlavano di uno strano sogno, che fino a quel momento pensavano di aver avuto in solitaria; altri ancora, di uno strappo nel tessuto spazio-tempo. La maggior parte avevano memorie più o meno vivide dell'accaduto, offuscati dall'assurdità con cui si erano svolti gli eventi; altri, mantenevano solo i ricordi di un pasto pesante la sera precedente.
    «per quanto ne sappiamo, tutte le vostre ipotesi potrebbero essere corrette, così come è normale che ricordiate bene o male qualcosa. è tutto successo realmente, ma su un piano della realtà diverso dal nostro. l'unica opzione da escludere, è l'allucinazione collettiva dovuta al virus: siamo sicuri al cento per cento che tutti coloro che hanno vissuto questa esperienza, siano sani. è possibile che sia proprio questa la discriminante che ci ha permesso di essere portati lì, in quell'epoca.
    il perché ciò sia successo, credo sia ben chiaro a tutti voi.»
    la cura: ve lo bisbigliate all'orecchio, qualcuno lo dice ad alta voce. Il vicepreside, semplicemente, si limita ad annuire.
    «come sia successo, è oggetto di dibattiti e speculazioni da tutta la notte, e temo che lo sarà per molto tempo ancora. sapete perfettamente quanto questo periodo dell'anno sia uno dei più soggetti alla magia, come i solstizi o le eclissi: i confini tra i piani della realtà diventano labili ed effimeri, aggirabili con la giusta stregoneria;» non di quel tipo che può essere insegnata ad Hogwarts, o da nessuna altra parte: doveva essere stata magia antica, oscura, ad aver reso possibile tutto quello. «abbiamo ragione di credere che questo sia stato uno dei fattori chiave, ma per il resto è ancora tutto da definire. per quanto ne sappiamo, niente o nessuno ha scelto chi dovesse o meno partecipare a quest'esperienza: si è trattato di casualità imprescindibili ed imprevedibili.
    passiamo a cosa sia successo.»
    e lì, veniva il bello. «è bene credere che siamo stati spettatori di eventi che non era in nostro potere modificare in alcun modo: tutto quello che avete vissuto» le ricerche, le scoperte, la malattia e la sua degenerazione; la tomba, il portale, gli oggetti, le piante, le spore, gli adepti «doveva necessariamente succedere, nel modo e nei tempi in cui è successo.» umettò le labbra, guardando le proprie dita ora strette sulla pelle dello schienale. «non è giusto dire che non aveste libero arbitrio, anzi: era il punto focale della nostra presenza lì. è grazie alle vostre scelte - ai vostri errori, ai vostri successi, alle vostre competenze - se siamo dove siamo ora. tuttavia, le variazioni rispetto a ciò che era già scritto dovevano essere ridotte al minimo; per intenderci, non era previsto che noi» e per noi, intendeva professori ed assistenti vari. «vi raggiungessimo. saremmo dovuti rimanere in quella grotta dove infine ci siamo ricongiunti.
    qui, entra in gioco la figura della donna che avete potuto conoscere poco prima che tutto finisse. ha sostenuto sin da subito di essere una ministeriale, capitata come noi lì per caso: se sia vero o meno è da scoprire, ma di questo se ne sta occupando chi di dovere. ciò che è certo, è che si tratta di qualcuno»
    con troppe informazioni e conoscenze arcane, potenzialmente pericoloso, decisamente da trovare «che ha svolto un ruolo chiave. oltre ad averci dato quei prismi capaci di evidenziare la realtà evidente dalla menzogna» pietre di natura alchemica, senza alcun dubbio, e con altrettanta sicurezza Mitchell era convinto fossero illegali, e nascondessero molto di più del potere che avevano mostrato loro. «e ad aver divulgato informazioni riguardo alle passaporte,» che alcuni nemmeno avevano trovato - eh, Nathan e Phobos. «ha reso possibile il nostro ritorno alla giusta epoca tramite un incantesimo, probabilmente contenuto in un tomo che alcuni di voi hanno trovato nel corso della notte. per ora, tutto ciò che ci serve sapere su di lei è che ci ha aiutato.»
    Batté una mano sulla poltrona. «arriviamo all'attimo in cui cessano i vostri ricordi. quando è stata pronunciata la formula»
    tre ipotesi:
    a bucchin e mammt
    mmmmocc a chitammuort
    mannagg tutt cos

    «siete stati, come vi preannunciavo, separati dai corpi degli abitanti di hogwarts del quindicesimo secolo. ora: alcuni di noi si sono svegliati subito» e lo sguardo del Winston si fermò su Joseph Moonarie e Kiel Kane, che tacitamente annuirono: oltre a loro e ad i professori, ricordava il Bolton ed il Nott, il Ketchum, l'Oh, i gemelli Motherfucka. «altri no, e sono stati portati da chi era in grado ai propri dormitori.» un lavoraccio. «ciò che è importante voi sappiate, è che non è stato un viaggio di ritorno privo di souvenir.» dalla tasca della giacca, estrasse qualche petalo di scintillans pulchritudo. «tutte le piante che siete riusciti a recuperare, sono tornate con noi. è tutta la notte che le professoresse García Ramos e Queen lavorano per riprodurle e studiano un modo per applicarle ad una cura efficace. hanno già prodotto una pozione, molto probabilmente la stanno già testando sui malati più gravi. prevedono non sarà un processo facile e immediato - sia quello di guarigione che quello di produzione di più sieri -, ma abbiamo qualcosa.» un tiepido, stanco sorriso sulle labbra.
    «questo è tutto ciò che posso dirvi, al momento. ma se avete domande, la mia porta e quella dei vostri docenti è sempre aperta.»



    E fa per andarsene, il vicepreside, per lasciarvi riposare con la consapevolezza che per i prossimi giorni le lezioni sarebbero state ridotte al minimo.
    «professore...» la voce di Willow Beckham lo fa fermare sull'uscio aperto, oltre il quale si perde lo sguardo della cacciatrice.
    «sì?»
    «è... è lei???» chiese, l'indice puntato fuori dalla porta.
    E se tutti, voltandosi e seguendo la traiettoria disegnata dalla ragazza, cercassero di vedere quel ch'ella ha visto, notereste solo una scia corvina sparire oltre il legno.
    Nient'altro, nemmeno oltre.
    Nessuno.
    «magari è solo un po' di stanchezza, comprensibile. buona giornata a tutti, ragazzi.»
    mitchell winston
    30 | deputy headmaster
    «no comment.»
    And when I hide behind a closed door I'm sorry that I just don't wanna know more


    la lezione è finita, e siamo tutti e tre molto felici abbiate partecipato skkfkekd speriamo vi siate divertiti ad odiare tutti e a tradire/essere traditi <3

    I tempi della cura che abbiamo accennato, potrebbero essere vari. In che senso? Nel senso che ci vorrà qualche giorno per portare a termine una pozione che funzioni, con le erbe trovate da voi e con altre kose da pozionisti, e qualche altro giorno perché abbia realmente effetto e i PG malati si riprendano - ma questo, dipende tutto dal PG. Ad esempio: Twat che con il proprio potere mette velocemente in circolo la cura, e guarisce subito; il potere di Hans brucia il siero e ci mette di più ad adattarsi, quindi per riprendersi ci mette di più; ai maghi magari ci vuole un tempo medio. Insomma, di base tra una settimana si inizia a tornare alla normalità.

    Come ho accennato nel post, non sono soltanto i PG che hanno partecipato a lezione: un po' tutti quelli che non erano contagiati, hanno potuto vivere questa fantastika esperienza allucinogena. Magari non tutti sono arrivati alla grotta: alcuni sono rimasti tra le mura del castello a vagare, altri giravano a caso, altri perlustravano altre zone - a vostra discrezione, insomma. Possono anche essere capitati nei corpi di studenti che dormivano, e non essersi accorti di nulla. Ovviamente l'incantesimo finale ha poi riportato tutti a casa.

    I PG del 1400 sono ovviamente ruolabili in Inception, sganciateci le perle .

    Se... Ci sono altre cose non chiare, fate un fischio! Saremo felici di confondervi ancora di più :)
  7. .
    Ultime notizie riguardo alla malattia in onore del compleanno di chuliah AUGURI ETEREA REGINA DELLA BUFALOTTA, GENERATA DALL'OBLIO, VOLATRICE DI SCALE speriamo il regalo ti piaccia, e non delle migliori.
    Il virus ha iniziato a mutare, a diventare più aggressivo. Molti non sembrano presentare alcun sintomo, tanti invece riescono a convivere con quelli più lievi; altri, purtroppo, non hanno la stessa fortuna del resto della popolazione hogwartsiana. Gli esperti non sanno dire quale sia il fattore che più incide sull'evoluzione del ceppo, affermano che sia casuale e ancora da definire, ma dagli studi sul territorio pare evidente che alcune mutazioni genetiche reagiscano diversamente rispetto ad altre.
    Tra coloro che sono stati inseriti nell'area protetta, molti sono rimasti stabili nelle proprie condizioni - altri si sono aggravati, nuovi sono arrivati; nessuno ha dato segni di miglioramento.
    Preoccupano particolarmente le condizioni dei già confinati Dominic Cavendish e Reagan Lynch, nonché quelle di Franklyn Daniels che come dice Pandi è passato dal "sto benissimo grazie" al "non sento niente" nel giro di un giorno: tutti e tre, così come Johannes Belby e Tvättbjörn Cömmstaj prima di loro, sono passati ad uno stato di incoscienza che fa significativamente temere per loro.
    Ad aggravarsi è anche l'assistente di Erbologia, Erin Chipmunks, ed il docente di Controllo dei Poteri, Nathaniel Henderson, che fino ad ora affermava di non avere avuto nessun problema.
    Si aggiungono, infine, al gruppo dei malati anche il guardiacaccia Andrew Ström e Oscar Soleis-Hendrickson.

    Confidiamo che il prossimo bollettino possa portare buone notizie a tutti.
  8. .
    Il virus continua a viaggiare tra le mura di Hogwarts, mietendo nuove vittime. Negli ultimi giorni, tramite voci di corridoio, venite a conoscenza del fatto che Reagan Lynch, nonostante sia stata portata da poco nell'area protetta, ha sviluppato già sintomi gravi della malattia; in condizioni lievemente migliori rispetto alla ragazza si trova Dominic Cavendish, che in quanto infermiere è probabile sia stato fin troppo soggetto ai droplets della malattia. Anche Arturo Hendrickson, Remo Linguini e Amalie Shapherd sono stati confinati, con una sintomatologia ancora media.
    Sì aggravano le condizioni di Jeremy Milkobitch, Dylan Kane, Daniel Shin, Erin Chipmunks, Mehan Tryhard e Imani Carter: mentre l'ultima è ormai grave, gli altri si trovano in bilico tra le sue condizioni e quelle dei nuovi arrivati.
    Quelli che preoccupano maggiormente sono Tvättbjörn Cömmstaj e Johannes Belby, considerati gravissimi e portati altrove, in prognosi riservata: di loro, avete poche notizie e mai buone.
  9. .
    I sintomi lievi, quasi inesistenti ed irrilevanti della malattia sembrano essersi diffusi per gran parte della popolazione di Hogwarts, ma non è ancora preoccupante. Preoccupano piuttosto le situazioni di chi era stato già messo in quarantena (Tvättbjörn Cömmstaj e Johannes Belby sembrano aver sviluppato sintomi più gravi, mentre Imani Carter non è ancora ai loro livelli - ma comunque da tenere sotto controllo) e di chi ci è appena entrato (Jeremy Milkobitch, Dylan Kane, Daniel Shin, Erin Chipmunks, Mehan Tryhard, con sintomi tra il lieve ed il medio).

    (!!)1 se desiderate che tra i PG in quarantena ci siano PNG di vostro gradimento, potete tranquillamente citarli!

    (!!)2 i sintomi potete trovarli qui di seguito con un commento a piè di pagina redatto personalmente da Remo Linguini

    • asintomatico: asintomatico.
    • lieve: ma che è sta tossetta der cazzo, te lo piji 'no sciroppetto?, incontinenza.
    • medio: starnutisci nel braccio testa di merda; vertigini, reflusso + i precedenti.
    • grave: aò zì levate dalle palle ma no'o vedi che stai più dellà che deqquà; perdite di senso random e ingiustificate (ma brevi) (della serie: si spense, si accese), vomito, confusione generale + i precedenti.
    • gravissimo: ooooooh rega porco schifo chiamate er centodiciotto è morto - ricovero in infermeria (il San Mungo non li vuole, abbiamo il focolaio circoscritto).
  10. .
    a tutti gli studenti
    (pergamena affissa a hogwarts & hogsmeade)
    Siamo spiacenti di comunicare che, a partire dal 11/10/2021, la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, gli alunni e lo staff tutto sono confinati all'interno del perimetro del Castello sotto stretta quarantena a causa di un virus magico non ancora identificato. La situazione è sotto controllo, ed i virologi del San Mungo stanno lavorando per facilitare la ripresa della normalità.
    Alla data odierna, non risultano casi esterni e l'epidemia è circoscritta all'ambiente scolastico.


    ringraziandovi per la collaborazione,

    M. Winston



    Al momento, risultano noti pochi casi positivi, e sono stati tutti confinati in una parte dell'infermeria unicamente dedicata a questo problema.
    Tra gli studenti con sintomi influenzali, compaiono i nomi di Johannes Belby, Tvättbjörn Cömmstaj e Imani Carter.
  11. .
    «Sai, Phobos...» schioccò la lingua contro il palato, sfiorando con la punta dell'unghia del mignolo sinistro il bicchiere di birra che gli era stato propinato: era già partito restio ad ordinare qualsiasi cosa, in quel locale, ma dopo aver percepito il sudiciume con cui era rivestito ogni centimetro di quel posto l'iniziale l'aveva portato dall'essere scoraggiato all'essere disgustato. Non poteva levitare ed evitare di poggiare i piedi su quello che era un'offesa definire pavimento, perciò si sarebbe limitato a soffrire la sera fino a che non avesse deciso di defilarsi per sempre dallo SpacoBot. «mh... come dire...» non capitava spesso che Mitchell Winston non avesse parole con cui esprimersi: di solito, gli succedeva in presenza di individui così sconcertanti da toglierti di prepotenza i vocaboli dalle labbra, schiacciandoli sotto la suola delle scarpe e riducendoli a pensieri e sospiri. C'era bisogno che qualcuno, sostanzialmente, lo violentasse nell'intelletto. Brutalmente.
    Sia Phobos Campbell che Eugene Jackson erano capaci di destabilizzarlo a tal punto, e quella sera aveva acconsentito - sotto false promesse - ad andare ad un qualsiasi cosa fosse in presenza di entrambi. Sentiva ogni neurone del proprio cervello cercare una corda ed uno sgabello.
    «non credo sia stata un'ottima idea venire qui, stasera.» e seguì con lo sguardo Rea Hamilton allontanarsi da quel posto di perdizione, agognando il momento in cui avrebbe seguito il suo esempio.
    Poi gli occhi celesti andarono a finire sulla figura di Mort Rainey, che le stava prendendo - meno di quanto gli avessero assicurato ne avrebbe prese, con suo immenso sollievo. «Non sono così sicuro che dovrei assistere ad un professore che porta uno studente ad una lotta clandestina...» era abbastanza certo che non avrebbe dovuto essere assolutamente lì.
    Per nessuna ragione al mondo.
    Ma forse doveva? Non c'era nessun adulto responsabile lì dentro.
    Con accortezza, cercando di non schiacciare... niente e nessuno, ecco... raggiunse poi il Jackson. «Dura ancora molto?» non voleva saperlo.
    mitchell winston
    30 | deputy headmaster
    «no comment.»
    And when I hide behind a closed door I'm sorry that I just don't wanna know more
  12. .
    warriors
    papa roach
    dominoes
    tom walker
    hoping
    x ambassadors
    «se lo dici tu» il ribelle sorrise, vago e mesto, senza però alzare lo sguardo. Non riteneva avesse particolarmente senso distoglierlo dalle dita che, metodiche e titubanti, andavano a riabbottonare una camicia che avrebbe preferito lasciare aperta – se non direttamente riposta sulla sedia, assieme a giacca e cravatta; fosse stato un po’ meno Mitchell Winston, ed un po’ più tutte quelle cose che quel nome gli aveva sempre precluso d’essere, non avrebbe nemmeno lasciato andare la presa sulla mano del Howl.
    Altrettanto insensato riteneva fosse rispondergli in alcun modo, se non dicendogli che qualora avesse sentito la necessità di qualcuno al proprio fianco cui fare affidamento, lui ci sarebbe stato. Non aveva nulla con cui ribattere, o perlomeno nulla che Marcus volesse davvero sentire o che già non sapesse; il ventinovenne era consapevole, ancor prima di aprir bocca, che quello sarebbe stato un discorso fine a se stesso. Non si trattava neanche di una guerra contro i mulini a vento (anche se quella contro la testardaggine patologica del galeotto di fronte a lui sarebbe sempre rimasta una battaglia persa in partenza, che solo a tratti ancora sentiva di voler combattere), quanto più di una certezza consolidata ancora prima di dare fiato ai propri pensieri. Voleva semplicemente che l’altro sapesse, che capisse, di non essere da solo, ma non si era mai aspettato che anche solo fingesse di aver recepito il suo messaggio – figurarsi se poteva essere partito sperando in un commento intelligente da parte sua: non aveva mai creduto nei miracoli, e non avrebbe di certo iniziato quella sera.
    In più, non era così masochista da voler entrare nella sua testa e cercare di comprendere cosa non andasse nel suo cervello. Mitchell credeva fortemente in quel che aveva detto; sapeva che Marcus avesse gli stessi strumenti e la stessa forza che aveva avuto lui per affrontare una situazione del genere, sebbene le circostanze fossero senza dubbio differenti – laddove lui aveva scelto di sacrificarsi, l’altro non aveva potuto decidere altrimenti. Tuttavia, ad un certo punto, quello che gli era concesso fare per il prossimo si esauriva, incontrando un limite che non gli era concesso valicare.
    Gli voleva bene – di sicuro più di quanto quella bestia non meritasse –, ma non per questo avrebbe passato più tempo del necessario a dannarsi sulla sua caparbietà.
    «in effetti di una cosa adesso avrei bisogno, mitch» con il capo ancora chino, e la mente che si domandava se avesse fatto bene ad esprimersi ed esporsi, registrò quelle parole in lieve ritardo; tuttavia, non poté sfuggirgli la giacca a cadere sul pavimento o la spinta di lato. «di una doccia. questa roba puzza di alcol lontano un miglio.» non potendo che concordare, sollevò allusivo entrambe le sopracciglia. «magari anche di una sala di decontaminazione.» così, per scrupolo: chissà quale schifo dimenticato dal Signore si era portato dietro, con quei panni. Non voleva pensarci, né avvicinarsi più del necessario al mucchio che s’andava a creare sul pavimento, se possibile.
    «probabilmente non te lo stai chiedendo… ma nel dubbio: questo non è un invito. ci metto cinque minuti, non rovistare tra le mie cose.» Mitchell corrugò le sopracciglia, osservando un seminudo Marcus Howl dirigersi verso il bagno. «non era mia intenzione,» rovistare tra i suoi averi, quanto intendere le sue parole fossero una proposta a seguirlo.
    L’avrebbe voluto. Non aveva motivo alcuno per negarlo, e farlo avrebbe significato soltanto mentire a se stesso – una cosa che aveva smesso di fare diversi anni addietro ormai –; lo avesse effettivamente invitato, non era certo che avrebbe saputo rifiutarlo. Sentiva ancora sulle labbra il sapore del sangue – suo, di Marcus, di quell’attimo rubato a macerie ed incantesimi che non aveva saputo accettare come un degno dono. Sentiva ancora il suo fiato a premere sulla pelle, i capelli biondi stretti tra le dita: con quale coraggio poteva pensare di non volerlo? Ma un conto era desiderare qualcosa del genere, un altro aspettarselo; Mitchell Winston aveva imparato a non aspettarsi niente da nessuno, ed era il tipo in grado di concedere rare eccezioni alle proprie regole.
    Perciò attese i cinque minuti richiesti, facendo vagare lo sguardo sulla stanza ma ritrovandosi regolarmente a puntare le iridi celesti sul cumulo di abiti di fortuna abbandonati a terra; avrebbe dovuto chiedergli se potesse farci qualcosa – farli sparire da quel piano dell’esistenza, gettarli fuori dalla finestra, dargli fuoco, lavarli –, ma non aveva pensato che la loro presenza potesse metterlo così a disagio.
    «e comunque, tutte le armi che vedi in questa casa le ho comprate legalmente» o che potesse farlo quello. Non l’alibi del fu corvonero per la detenzione spropositata di tutta quella roba in casa sua, quanto il trentunenne nudo se non per un asciugamano stretto in vita. Non era la stessa sofferenza che gli suscitavano quei panni, la cui mera esistenza trascendeva il livello di sopportazione dell’irlandese, ma era comunque un qualcosa che se fosse stato meno scomposto avrebbe fatto trapelare senza problemi. Invece, essendo particolarmente abituato ad avere a che fare con qualsiasi tipo di situazioni – incluso l’essere di fronte ad una persona per la quale provava un particolare interesse quando questa non aveva vestiti addosso –, rimase a guardarlo senza battere ciglio. «se la polizia babbana venisse in casa mia con un mandato, pistole e coltelli sarebbero l'ultima cosa di cui preoccuparmi.»
    «non lo metto in dubbio, ma» si voltò, spinto dalla spallata, per rivolgere comunque il busto verso l’empatico. «non credi siano comunque… tante?» si strinse nelle spalle, alzando poi le mani. «non giudico eh,» anche perché era stato il primo a trarre vantaggio di quell’armamentario particolarmente ben fornito. «però, insomma…» non continuò, bloccandosi appena in tempo prima di dirgli che avrebbero potuto prenderlo per un sociopatico, o per un assassino. Era un sicario, dopotutto: era come entrare a casa sua con tutti quei libri, e temi, e scartoffie burocratiche, e pensare che lavorasse in una scuola. «basta che tu sia tranquillo.»
    «mi arresterebbero per detenzione di materiale osceno, poco ma sicuro» piegò appena il capo, la fronte corrugata. Non era confuso, era solo curioso: il suo migliore amico era William, per cui sentir parlare di “materiale osceno” poteva turbarlo fino ad un certo punto. A meno che non si trattasse di pedo-pornografia, e dubitava glielo avrebbe detto in tal maniera, poteva concedere il beneficio del dubbio.
    «non roba porno, mitchell. parlo dei collages shipper di sharyn.» umettò le labbra, avvertendo la pressione fisica nell’averlo tanto vicino. «è anche peggio del porno,» rispose invece, la voce appena ruvida nel graffiare la gola. «da ergastolo.» e solo perché da un paio di decenni era stata abolita la pena di morte.
    «vuoi vedere?» «non lo so,» buon Dio, ma perché gli parlava del materiale impuro di sua sorella. «voglio?» domandò titubante, sinceramente in dubbio: temeva sinceramente quel che avrebbe potuto vedere. «accetto consigli.»
    Poi, distogliendo lo sguardo da quello chiaro di Marcus, fece scivolare gli occhi sul viso, e sul collo, e sulle spalle, e sul suo petto. «tu vuoi vestirti, o…» o cosa.
    «insomma» casa sua, spazi suoi: era liberissimo di andarsene in giro nudo, ma «ti ammali.»
    Le priorità di un Winston sono chiare: 74 centimetri di canottiera della salute.
    Stay for as long as you have time
    So the mess that we'll become
    Leaves something to talk about
    mitchell
    winston
    when: 02.03.2020
    where: prison
    sign: aquarius
    status: annoyed
  13. .
    It's the same old theme
    Since nineteen-sixteen
    In your head, in your head,
    they're still fighting
    mitchell winston
    Camminava a passo svelto, Mitchell Winston, e sebbene cercasse – perché doveva – di mantenere un portamento pacato ed impassibile, si poteva capire che qualcosa non andasse. Dallo stesso suono delle scarpe a rimbombare contro le pareti, o dal cipiglio più corrucciato del solito; magari, dal fatto che sembrasse non sentire alcuna voce lungo il proprio percorso, tutte troppo ovattate dal ronzare dei propri pensieri confusi e dal cuore a palpitare sulla punta della lingua.
    Svolta un angolo, e un altro ancora, senza rendersi conto di star allentando la cravatta appena annodata.
    Quando apre la porta, lo fa – straordinariamente – senza prendersi la briga di bussare, figurarsi quella di attendere una risposta.
    «dobbiamo parlare.»
    Phobos Campbell, legittimamente confuso, alza lo sguardo verso il vicepreside. «… che?» chiede, ma appena nota alle sue spalle la funerea ed eterea figura di Richard Quinn sembra farsi più serio. «oh...»
    «adesso.» lesina ancora dal chiedere il permesso, prima di entrare e chiudersi la porta alle spalle, con il professore di Storia della Magia al proprio seguito.

    ***


    Lo sguardo azzurro andò a posarsi sull’orologio al polso, mentre scaricava la tensione contro il terreno battendo la punta del piede. Non era nervoso, a dire il vero: era tante cose, in quel preciso istante, ma nervoso sarebbe stata un’espressione errata per definire lo stato attuale del vicepreside di Hogwarts. Ed a voler essere sinceri, nemmeno lui avrebbe saputo dare un nome a quel miscuglio d’emozioni. Si guardò intorno, stringendosi nel mantello: ancora niente. Comprensibile, era ancora troppo presto, ma avrebbe preferito non dover attendere così a lungo.
    Erano passati ormai diversi minuti dall’orario entro cui aveva previsto sarebbero arrivati tutti quanti, ma nel momento in cui vide anche l’ultimo della lista arrivare fece schioccare la lingua contro il palato.
    «bene, siete tutti.» lasciò scivolare gli occhi chiari suoi presenti. «seguitemi.» e senza dare il tempo a chicchessia di domandarsi, o domandargli, cosa stesse accadendo, si allontanò.

    ***


    «sedetevi, per favore» chiuse l’uscio dietro l’ultimo dell’appello, andando poi a sistemarsi, braccia incrociate e labbra distese in una linea piatta ma morbida, vicino alla cattedra dietro la quale era seduto il professor Quinn, rimanendo però in piedi. Lasciò calare le palpebre a coprire gli occhi, portando indice e pollice a massaggiare la radice del naso: ormai, Phobos Campbell percepiva il movimento del sostituto di Trasfigurazione ad un livello spirituale, destandosi dalle sue inopportune ed improvvisate pennichelle sui banchi degli studenti.
    «mi dispiace per chi ci tenesse in particolar modo,» si muove di poco. «ma l’escursione prevista per oggi nella città di tottington, nel norfolk, è stata annullata.»
    Onestamente, come spinto da un sesto senso, Mitchell Winston non si aspettava nessun verso di dissenso da parte dello studentato presente nell’aula di Corpo a Corpo – la più spaziosa, abbastanza opportuna a contenere tutti quegli studenti. «c’è stato un intoppo nell’organizzazione» parafrasando e riassumendo un non detto che, in realtà, conoscono tutti i presenti: un sogno, troppo vero per essere falso e troppo surreale per essere concreto; un sogno fatto di sensazioni e paure, più che di immagini e parole. Ricordi confusi dai quali tutti si sono svegliati di soprassalto, la cui memoria rimane acidula sulla punta della lingua ed alla quale, in realtà, nessuno riesce ad avvinghiarsi con abbastanza forza da estrapolarli.
    Ma tanto è bastato ai tre responsabili per quell’esperienza mancata per decidere che non fosse il caso di muoversi dal castello: in un mondo come il loro, condividere lo stesso piano onirico in maniera così intensa non è un buon segno.
    Qualcosa non andava in quella città, e se avessero dovuto scoprirlo in prima persona lo avrebbero fatto senza trascinare con sé, in un inferno simile, i propri studenti. Non gli interessava nemmeno che fosse stata richiesta da un ufficio del ministero, che “crediamo quella zona possa essere d’interesse storico per i ragazzi, vogliamo venga inserita nella loro formazione – ah, in più uno dei nostri collaboratori è scomparso in quei pressi tre mesi fa, casomai doveste riuscire a raccogliere informazioni al riguardo sarebbe gradito un resoconto al riguardo”: era un modo come un altro per dire che preferivano mandare al macello un branco di ragazzi, piuttosto che rischiare la vita di pavor esperti, ed a quel punto non ne aveva dubbi; preferiva venir richiamato dal preside o dal Ministro in persona, piuttosto.
    «potete tornare nei vostri dormitori e cambiarvi, immagino; va contro la mia etica, ma avevate le lezioni annullate per oggi ed è troppo tardi per chiedere agli altri professori di inserirvi in lezioni già programmate. avete la giornata libera, confido sappiate usarla in maniera saggia.»
    Lancia un ultimo sguardo all’orologio sulla parete alle proprie spalle.
    Erano le otto e quarantasei minuti del ventotto ottobre, e andava tutto bene.
    Nulla di quello che credeva, che tutti credevano fosse successo, era realmente accaduto: già quella mattina stessa era un ricordo nebuloso e vago; quella dopo ancora, sarebbe diventato un aneddoto di cui non ci si ricordava i particolari da raccontare ai propri amici.

    ***


    Quando l’ultimo degli studenti ebbe abbandonato l’aula, rimasero solo i professori e gli assistenti.
    Phobos misurava la stanza a grandi passi, lo Shine e lo Shin erano immobili, e fu il Quinn ad aprire bocca per toglierli da quel silenzio.
    «cosa ne pensi?»
    «che sia tutto accaduto realmente,» piegò lo sguardo verso Richard. «ma che non sia mai davvero accaduto. non credo abbia senso.»

    ***


    A Tottington, in un hotel abbandonato da eoni ormai, un uomo sedeva a terra ed un altro era legato ad una sedia. L’uno era visibilmente alterato, l’altro sinceramente… felice, divertito.
    «al contrario tuo,» iniziò il secondo. «loro non si meritavano questo.»
    «cosa hai fatto?»
    «nulla,» si stringe nelle spalle. «ho semplicemente… evitato tutto.»
    tbh @tired_laugh
    as life got worse, i just stopped caring
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    grazie a tutti ci avete regalato delle gioie immense vi si ama tantissimo e scusate se è stata tesa SPERIAMO VI SIATE DIVERTITI!!!

    #lelia out
  14. .
    warriors
    papa roach
    dominoes
    tom walker
    hoping
    x ambassadors
    «vaffanculo, mitchell.» giusto. Che sciocco.
    «buonasera a te, marcus.» come aveva potuto dimenticare le buone maniere, i frivoli convenevoli con cui era stato indottrinato per una vita intera? Un vero maleducato, Mitchell Trevor Winston. Sollevò entrambe le sopracciglia, picchiettando con la bacchetta contro il cilindro di tabacco affinché si accendesse; staccò la schiena dalla fredda parete esterna della centrale, muovendosi di un solo passo mentre una nuvola di fumo grigio gli copriva parzialmente la visuale. In tutto ciò, il sorrisetto beffardo con cui aveva accolto e punzecchiato l’Howl non appena questi era uscito dalla stazione mai aveva lasciato il volto del vicepreside, genuinamente divertito dal non poi così particolare modo dell’altro di salutarlo: aveva un modo particolare di dimostrare la propria gratitudine, Marcus, il quale prevedeva non farlo mai a parole né a gesti, portando chi aveva davanti a credere non lo facesse affatto. Forse era così; forse realmente avrebbe preferito marcire lì dentro per un pugno dato in una rissa, piuttosto che mostrarsi in quello stato – e lo avrebbe capito, davvero: fosse stato al posto suo, avrebbe chiesto seriamente la pena capitale –; di sicuro, a dire dal suo sguardo, chiunque altro sarebbe stato meglio del ventinovenne. Ma a quest’ultimo piaceva leggere le persone, amava dare interpretazioni che, comunque, quasi sempre rasentavano la realtà dei fatti: sapeva, che l’empatico era solo un idiota incapace di scendere a patti con i propri pensieri che non avessero a che fare con la praticità dei fatti. «perché per una volta non scendi al livello di noi persone comuni e insofferenti e ti limiti a darmi del cretino?» addirittura? Sollevò un sopracciglio, caustico e sardonico nel puntare le iridi blu elettriche sul profilo del biondo, studiandone l’aspetto minimamente – fosse mai che esagerasse anche su quello – trasandato e lo zigomo livido. «e da quando saresti un cretino?» onesto, quel tanto che bastasse. Rare erano le volte in cui Mitch non dubitava dell’intelligenza altrui, con suo grande rammarico, ma era abbastanza diplomatico da non dar voce alla maggior parte dei propri pensieri: tuttavia, per quanto c’era da ammettere che sotto molti punti di vista reputasse Marcus un ebete, mai lo avrebbe realmente definito un cretino. Senza contare che facendolo in quel frangente, avrebbe alimentato un vittimismo che, a suo parere, non aveva ragione d’esistere. Non era lì per compatirlo, era lì per aiutarlo.
    «lo sai, ho sempre pensato- ah, lascia perdere.» calmo e dissoluto, il Winston si limitò ad aggrottare la fronte confuso, il filtro della sigaretta di nuovo sulle labbra per impedirsi d’essere impertinente. L’indole curiosa del blu bronzo cozzava violentemente con la voglia di lasciare che l’altro parlasse – a prescindere, magari senza un filo logico che connettesse un pensiero all’altro, senz’ombra di dubbio a ruota libera –, ma quella del vicepreside premeva sul punzecchiare ancora un po’ di più l’altro: aveva imparato stando con i ragazzi, soprattutto i più problematici, che prima di potersi sfogare a parole molti avevano bisogno d’altro. Un pugno contro un mobile, un vecchio gingillo di porcellana rotto contro il pavimento del suo ufficio: violenza a giustificare la rabbia, volontaria ma mai abbastanza. Istinto di sopravvivenza, laddove non erano mai stati abituati ad altro se non a reagire con la forza contro ciò che non conoscevano. Comprensibile, più che giustificabile.
    Ma Marcus non era un ragazzino, e Mitchell non riusciva a comprendere di cosa avesse bisogno.
    «di cosa vuoi che ti parli, eh mitchell? di come ho spaccato la faccia a uno perche dava fastidio ad una ragazza? o di come ho effettivamente perso il controllo e non mi è nemmeno dispiaciuto? no anzi, aspetta. magari preferisci parlare del fatto che sono morto, poi resuscitato eppure mi sembra di non essere tornato in vita affatto?» non fece mai un fiato, limitandosi ad osservarlo con attenzione. Traeva soltanto lunghi tiri di nicotina e tabacco, cercando di mantenere sempre un espressione composta. Non voleva trasmettergli nulla, non voleva che si sentisse… attaccato – non più di quanto non si dovesse già sentire, data la domanda e la pacata passivo-aggressività della risposta. Soprattutto perché non era quello che voleva: attaccarlo, giudicarlo, provare in alcun modo pena, o anche soltanto sorridere triste a quello sfogo in modo che potesse capire fischi per fiaschi; nulla di tutto ciò. Avesse voluto essere una merda, non avrebbe avuto troppe difficoltà a farlo – era un dato di fatto che conoscevano entrambi.
    Ed a conti fatti, quel che chiedeva non faceva una piega: di cosa voleva che gli parlasse?
    Un Mitchell Winston più giovane – più idealista e sognatore, di certo illuso di un’utopia che non riguardava solo il loro mondo ma anche le persone che ci vivevano sopra –, avrebbe risposto. Non senza difficoltà, non senza una timidezza che non provava realmente e che, invero, era solo figlia di una candida innocenza. Gli avrebbe chiesto di parlargli delle sue giornate, a Marcus; quale era il suo fiore preferito, o quale fosse l’odore che sentiva preparando l’Amortentia durante la lezione di Pozioni. Quale fossero i suoi progetti per quando sarebbe uscito dal castello, e se avrebbe desiderato una vita diversa da quella – dalla sua, da quella magica. Qual era la sua materia preferita, e quella più odiata; come passava l’estate lontano da Hogwarts, se preferiva stare a scuola. Magari avrebbe azzardato un po’ di più, spingendosi su quel terreno arido ed inesplorato del cosa pensi di me, senza alcun secondo fine. Solo per conoscerlo un po’ di più, per poterlo capire un po’ meglio.
    Ma non era più il Mitchell che vedeva nell’Howl una figura di riferimento in mezzo alle casacche scure; non era solo quello, non voleva fare impressione su di lui pur sapendo di non averne mai avuto bisogno.
    Non poteva rispondergli che voleva gli parlasse di sé. Per quanto fosse vero, certo. Così come dirgli che sarebbe bastato gli spiegasse cosa facesse più male, che almeno un passo per volta lo avrebbero combattuto insieme. «un vero peccato che io non voglia parlare con te di nessuna di queste cose.» comunque, il problema non si poneva.
    «addirittura peggio di isaac.» fece schioccare la lingua sul palato, muovendo appena un passo nella sua direzione; un tocco di bacchetta, e la sigaretta si spense per poi volare nel cestino più vicino. «cavolo howl, questo è un colpo basso; non me lo aspettavo e per quanto lo risentisse, sorvolò momentaneamente su tutto il resto. Aveva sempre avuto la replica pronta, ed era perfettamente in grado di lasciarla intendere senza nemmeno aprir bocca; in quel momento, però, non se la sentiva. In generale, ma soprattutto di scatenare una fiumana di parole che non li avrebbe portati da nessuna parte: si trattava di ponderare parole e rischi, mettendo sulla bilancia ciò che voleva sentirsi dire lo Special, e ciò di cui aveva realmente bisogno – e cercando di trovare un equilibrio, con quel che veramente avrebbe voluto dire lui personalmente.
    Ed ogni cosa, nel mago, gli gridava di farlo – picchiarlo, tutto il resto; dal passo in avanti alla guardia abbassata, dallo sguardo di sfida alle più tenui sfumature d’azzurro nell’iride, che più che metterlo alla prova sembravano dirgli che era disposto ad incassare. Ma non accadde nulla, se non le occhiate lanciate per la strada nell’assicurarsi non ci fosse nessun altro nei paraggi; se non lo sbuffo appena divertito e la distanza messa dal biondo negata in una sola falcata, o il polso del minore a stringersi sulla spalla del galeotto. «certo.»
    Nemmeno ci pensò a dirgli che si sarebbero Smaterializzati; tanto, che differenza avrebbe fatto? Ormai conosceva abbastanza bene la casa dell’altro, c’era già casualmente capitato fin troppe volte – l’ultima, solo per fare incetta d’armi in vista di una cazzo di guerra che non c’era bisogno di rimembrargli. «scusa,» ma non era davvero dispiaciuto, mentre si toglieva la giacca blu notte e la poggiava sullo schienale della prima sedia a propria disposizione. «se volevi fare la tua camminata della gloria vestito…» un cenno del capo ad indicare i peculiari indumenti di cui aveva fatto la propria seconda pelle. «così, torniamo subito indietro.» quasi sperava gli dicesse di sì per mero gusto di sfida: sarebbe stato un fantastico spettacolo al quale avrebbe assistito da debita distanza, giusto per poterselo godere in tutto il suo disagiato splendore.
    «hai fatto bene a picchiarlo, sai.» si slegò la cravatta, piegandola con cura e riponendo anch’essa sulla stessa sedia – come se gli avesse dato il permesso, esattamente. «quel tipo, intendo: se qualcuno avesse importunato nicky probabilmente avrei reagito allo stesso modo.» ed era sincero, il Winston, nello sbottonarsi appena i bottoni. «ma la prossima volta pensa a tutte le tue armi, ed al fatto che potrebbero entrare qui dentro con un mandato.» sapeva tenesse più a quelle che alla sua stessa vita, magari avrebbe aiutato a tenerlo ancorato alla realtà.
    Chissà, magari lo aveva trattenuto abbastanza lì impalato da non fargli chiedere perché ora fosse lì davanti con la camicia aperta e senza un apparente motivo. Almeno per lui, ecco. Gli prese la mano nella propria senza mollare lo sguardo da quello più chiaro, e cauto la posò sul proprio petto, all’altezza del cuore – laddove un triangolo rivolto verso l’alto a stento copriva una cicatrice vecchia di quattro anni, ma ancora tremendamente fresca. «non posso dire di sapere cosa tu stia provando, marcus.» lente ed involontarie, le dita scivolavano sulle nocche del trentenne – quasi naturale, per quanto di naturale non ci fosse assolutamente nulla. «ma so cosa si prova. so che fa paura, e che fa male.» sapeva della Resistenza, l’Howl, e si fidava del suo silenzio più di quanto riuscisse ad ammettere, ma ciò non significava che gli avrebbe spiattellato i dettagli di come anche lui, in un laboratorio in disuso, era morto per un piano più grande. «e che continuerà a farlo ancora a lungo, e che nessuno, nessuno potrà mai aiutarti a superarlo.» chiuse gli occhi, privandosi della vista, ed indugiò un attimo prima di lasciare la presa sull’altro. «ma qualsiasi cosa sia, tu puoi combatterlo.» sorrise sincero, dischiudendo le palpebre ed abbassando lo sguardo sui propri vestiti, premurandosi di ricominciare a riporre i bottoni nelle asole. «e volevo soltanto tu sapessi che semmai ti troverai ad aver bisogno di una spalla, sai dove trovarmi.» tutto lì? «tutto qui.»
    Sì, insomma – “tutto lì”.
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    when: 02.03.2020
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    Gli occhi celesti di Mitchell Winston non avrebbero potuto trasparente stanchezza ed esasperazione di quanto non facessero in quel preciso istante, puntati nientepopodimeno che su Leslie Chow, il preside di Hogwarts. Si trattenne, premendo con forza su ogni istinto animale sopito nel proprio animo affinché nemmeno un briciolo venisse fuori – perché, pur essendo sempre stato un tipo pacato e cauto, anche il Vicepreside aveva dei punti di rottura –, anche soltanto dal massaggiarsi la radice del naso, conscio di quanto il linguaggio del corpo potesse trapelare tutte le più minime emozioni; mantenne il sorriso, una piega che in quel momento più falsa non poteva essere, congiungendo le dita davanti al proprio viso. «ha capito?» dal flusso di coscienza joyciano, ma in cinese, che fuoriuscì dalle labbra del direttore, dedusse che la risposta fosse un no. Conclusione prettamente personale e che, ad ogni modo e per quanto potesse provarci, non avrebbe mai avuto prove che potessero dimostrarla.
    Sospirò, cercando di tenere quell’aplomb che lo aveva da sempre caratterizzato, e domandandosi quanto da parte sua fosse da reputarsi una caduta di stile l’idea di chiedere l’aiuto diretto del Ministero per provvedere a quell’evidente problema diplomatico. Persino quando aveva prestato servizio per l’ente governativo aveva fatto in modo e maniera di non dover mai scendere troppo a patti con i propri superiori, limitando quel circolo di richieste ed aspettative al minimo indispensabile per il proprio lavoro: era un ribelle, lo era oramai da più di dieci anni, e la sola idea di doversi rivolgere a coloro che stavano combattendo per una mano tesa verso di sé lo metteva particolarmente a disagio. In veste di cittadino britannico, e soprattutto per il ruolo che ricopriva all’interno della società, quella sua repulsione avrebbe dovuto in primo luogo non esistere, e subito dopo essere particolarmente sospetta; se non fosse stato di dominio pubblico il fatto che il ventinovenne amasse dipendere solo ed unicamente da se stesso, e che ripudiasse qualsiasi tipo di ausilio nella maniera più generale possibile, allora avrebbe davvero potuto essere rimproverabile.
    Ma a mali estremi, estremi rimedi – ed avere un preside incomprensibile per la maggior parte del tempo, secondo Mitch rientrava tra i mali estremi. Non pretendeva un rimpiazzo, anche perché in fin dei conti non era così male come dirigente scolastico, ma almeno un traduttore? Un interprete che lo seguisse ventiquattro ore su ventiquattro o almeno gli facesse da assistente nei momenti di riunione, o di ricevimento che fossero? Un qualcosa. A quel punto glie ne andava bene uno qualsiasi, bastava che facesse smettere quei dialoghi fatti attraverso un Google Translate magico che capiva la metà delle cose dette dal Chow, e le traduceva anche peggio; almeno Ken, l’amico ninja di Will, ci si impegnava seriamente a farsi capire con quel coso.
    Che poi non stava chiedendo tanto, il suo vice, seduto in quell’ufficio da quella che ormai era un’ora. Sostanzialmente era lui che si preoccupava di gestire la maggior parte delle rogne burocratiche del Castello, e tutto ciò che doveva fare il Grande Capo era mettere una firma ogni tanto e dare così il suo consenso a circolari didattiche d’ordinaria amministrazione, quando non preoccuparsi di provvedimenti didattici vari.
    «firmi soltanto qui,» evitò di pregare il preside solo perché ancora aveva una dignità, ma la voglia di farlo per la disperazione era davvero tanta. Tre fogli. Soltanto tre dannate pagine di circolari che informavano gli studenti sia sulla situazione del mondo babbano, sia sulle varie direttive dello stesso: c’erano troppi studenti Nati Babbani e Mezzosangue tra quelle mura, molti dei quali vivevano fissi al Castello ed uscivano solo per le vacanze estive e quelle invernali; omettere informazioni così sensibili sarebbe stato ignobile, da parte sua.
    E sapeva che molti, soprattutto ai piani alti del Governo, avrebbero potuto non approvare la divulgazione di notizie sulla razza inferiore; avrebbe compreso se alcuni ispettori avessero fatto storie per quella minima iniziativa.
    Ma perché, perché, Leslie Chow ci metteva così tanto. Perc– «IO NO C’ENTRO» in che senso. «in che senso.» e cercò di spiegarglielo cosa intendesse, picchiettando contro il foglio le parole “coronavirus” e “wuhan”.
    A quel punto, il Winston gettò la spugna. «no che non c’entra, lei.» a saperlo che sarebbe bastato così poco a farlo calmare, l’avrebbe fatto molto prima. Chissà cosa aveva capito di tutto quel che c’era scritto – non voleva saperlo.
    E nemmeno l’avrebbe scoperto in seguito, dato che il pezzo di carta che aveva in tasca iniziò ad illuminarsi. Un particolare oggetto incantato con cui si teneva in contatto rapido con Idem che, fuori da lì, si prendeva cura di Bug quando era a lavoro; un cartoncino da usare solo in caso di emergenza.
    «mi scusi, devo scappare.» preso da un pizzico d’ansia, nemmeno fece caso al nuovo sproloquio asiatico ed incomprensibile quando fuggì dall’ufficio per dirigersi nel proprio e gettarsi nel camino.

    Certo non si sarebbe mai potuto aspettare quello. Aveva pensato il peggio; aveva sinceramente temuto che suo figlio stesse male, che gli fosse preso qualcosa – escludendo a priori che potesse essergli successo, qualcosa: affidandolo alla Withpotatoes, sapeva di averlo messo in una conca d’oro. Soprattutto, era tarda sera: Bug era sicuramente a letto, e dubitava fosse andato di nuovo a correre contro gli spigoli dei comodini ad occhi chiusi.
    «mitchell trevor winston, corretto? dovrebbe firmarmi queste liberatorie.» lì si raggiungevano davvero livelli ai quali non pensava sarebbe mai arrivato. Con altre persone (Will) (Niamh) magari sì, ma non con Marcus Howl. Lo guardò – per meglio dire: lo giudicò – di sfuggita, seduto dall’altra parte della stazione di polizia dietro le sbarre. Quella, quella era una caduta di classe. Schioccò la lingua sul palato, piegandosi per autografare quanto di dovuto per sborsare un mese di stipendio e mettere in libertà vigilata un cretino. «posso portarlo via di qui, ora?» «certo, prego, gli indumenti di suo cugino sono lì in fondo.» socchiuse gli occhi, si umettò la lingua. «non…» siamo cugini: solo il pensarlo gli faceva venire i brividi. L’aveva baciato, aveva avuto pensieri impuri su di lui – non poteva considerarlo suo parente. «perfetto, grazie mille e perdoni il disturbo»
    Attese fuori dalla stazione che il pirla si cambiasse, una sigaretta stretta tra i denti e le spalle poggiate contro la parete dell’edificio. «aggressione e lesioni gravi, e un bel corso di gestione della rabbia, mh?»
    Deficiente.
    Come ti è saltato in mente di aggredire chicchessia.
    Avresti potuto uccidere qualcuno e farti scoprire.
    Lo sai che tutto questo andrà sulla tua fedina penale, che sei compromesso in ogni caso?

    «come stai?» morbida la voce, e morbido l’angolo delle labbra appena piegato in un sorriso mesto. Avrebbe potute dirgliene di tutti i colori, e se le circostanze fossero state diverse l’avrebbe fatto tranquillamente: non aveva peli sulla lingua, Mitchell Winston, e non si faceva problemi ad usare le parole come vetro tagliente qualora ce ne fosse stato il bisogno. Ma non era quello il caso; conosceva fin troppo bene Marcus, ormai.
    Non era da lui – ma poteva capirlo fin troppo bene, con quel taglio al petto a bruciare sempre come se fosse la prima volta. «puoi parlarmene, se vuoi.»
    Stay for as long as you have time
    So the mess that we'll become
    Leaves something to talk about
    mitchell
    winston
    when: 02.03.2020
    where: prison
    sign: aquarius
    status: annoyed
58 replies since 28/1/2015
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