wage war on gravity

ft. jekyll

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    203
    Spolliciometro
    +446

    Status
    Offline
    Un giorno avrebbe smesso di mandare giù pillole colorate o fumarsi canne comprate da tizi shady in vicoli ancora più loschi di Dark Street.
    Un giorno avrebbe proprio smesso di comprare sostante allucinogene e, non dimentichiamocelo, illegali -- e avrebbe smesso anche di introdurle di nascosto ad Hogwarts.
    Un giorno il buonsenso avrebbe bussato e preteso di essere ascoltato – o le conseguenze delle sue scelte avrebbero finalmente fatto capolino per riscuotere quanto combinato fino a quel momento; whichever came first, arrivati a quel punto.
    Ma!
    Non era quello il giorno.
    Per nessuna di quelle cose.

    Eppure, nell'istante subito prima di aprire gli occhi, un po' aveva atteso l'arrivo dell'ultima opzione – ma in cambio aveva riceveuto solo quella sensazione di vuoto all'altezza dello stomaco che lo pervadeva ad ogni risveglio, quel malumore che faceva iniziare splendidamente le sue giornate: la consapevolezza che no, no!, invece doveva affrontare la solita routine di sempre e trascinarsi giù dal letto/divano/qualsiasi superficie avesse occupato durante il sonno e percorrere i lunghi corridoi di Hogwarts fingendo (nemmeno troppo bene) che gli importasse qualcosa di ciò che professori, assistenti e compagni avevano da insegnare o dire. Se continuava a resistere e a graziare il corpo studentesco della sua presenza era solo perché Bri, la maggior parte delle volte, lo buttava giù a forza, con folate di vento, o lo inzuppava con temporali circoscritti alla sua persona, costringendolo a muovere quel culo e fare qualcosa.
    Non vedeva l'ora di diplomarsi e andare a vivere in uno squallido alloggio tutto suo e non avere più amici fastidiosi tra i piedi. Che okay, poteva essere molto maleducato come pensiero, da parte sua, ma era la verità: c'era un motivo se Hans Belby non si faceva amici, ed era perché non sapeva mantenere vivi i rapporti. Lo sforzo, nella stragrande maggioranza dei casi, era tutto a senso unico da parte degli altri; lui, per essere socievole, doveva scegliere le droghe giuste e, nemmeno a dirlo, erano quelle che meno preferiva. Ma Bri era caparbia, Bri era fastidiosa.
    E Bri era l'ultima bimba sperduta rimasta nell'alloggio di Different Lodge insieme a lui.
    Un po' come la filastrocca, anche loro stavano sparendo uno ad uno – and then, there were none.
    Ma fintanto che loro c'erano, a differenza di qualcuno, Hans aveva ben poche possibilità di sfuggire alla meteorologa.
    Non che non ci avesse provato, vi pare? Le aveva provate davvero tutte: i cortili, la foresta, le cucine, i corridoi poco frequentati... se none era la O'Keeffe a trovarlo, erano i professori o i Prefetti, o quel dannato custode. Insomma: uno non poteva decidere di eclissarsi un attimo che qualcuno doveva sempre rompergli i coglioni.
    Eppure! Hogwarts, tutto sommato, era una scuola molto grande: aveva un sacco di luoghi ancora da esplorare e dove nascondersi e lui, ad occhio e croce, ancora tre o quattro mesi da sorbirsi prima del diploma. Aveva ancora tempo e modo per trovare il nascondiglio perfetto.

    Quindi sì: il momento che precede a tutti gli effetti il risveglio, fu come tanti altri. Una delusione.
    Rimase immobile così come si era addormentato, il suo sonno raramente disturbato da movimenti convulsi o improvvisi, tanto che non disturbava mai l'ordine disordinato delle lenzuola, le rare volte che dormiva davvero nel suo letto; poi attese quell'infinito secondo che porta alla lucidità e -- sospirò. Dopo un battito pigro di ciglia, si ritrovò a fissare una parete scura e poco familiare, e iniziò a contarne le crepe, a percorrere con lo sguardo le venature scure che forse erano muffa, o resti di pozioni, o resti di studenti: era difficile dirlo dalla sua posizione, era già tanto che ne riconoscesse i contorni.
    Un'aula”, suggerì la sua mente ancora annebbiata dal sonno e dai residui di qualsiasi cosa avesse mandato giù per concedersi un po' di meritato shut down; dormire non era difficile, la parte difficile era chiudere gli occhi e non lasciare che i pensieri vagassero liberi su sentieri complicati, e che lo trascinassero nel baratro: per quello Hans ricorreva alle sue migliori amiche, per assicurarsi di essere abbastanza leggero da non doversi preoccupare di tutto il resto.
    Quando anche le crepe persero il loro relativo interesse, nel giro di pochi secondi, Hans si mosse controvoglia e rivolse lo sguardo al soffitto, i palmi aperti contro il pavimento freddo nella tentativo di abbassare un po' la propria temperatura corporea e orecchie tese, a godersi il silenzio.
    Il fatto che non ricordasse con precisione di essersi chiuso in quell'aula, o come ci fosse arrivato, non lo turbava più di tanto: era finito in posti molto più strani. Ciò che invece iniziava ad infastidire lo special erano i sintomi tipici dell'astinenza, sempre più frequenti, anche dopo poche ore di sonno; dipendeva tutto da quanta assuefazione generassero le pillole e, soprattutto, quanto in fretta il suo organismo decideva di bruciare quello che aveva in circolo. Con la stanchezza poteva anche conviverci – e l'irritabilità non era di certo un suo problema; ma nausea? Vomito? Ugh. Hans li odiava. Allungò una mano tremante verso le proprie tasche, il gesto meccanico di chi sa esattamente cosa trovare e dove trovarlo, ma i polpastrelli sfiorarono solo la pelle umida e sudaticcia. Strange forte.
    Incuriosito, si ritrovò suo malgrado ad alzare la testa e piegare il mento verso il petto, e si accorse che, in un momento non meglio specificato del giorno? Notte? Ma che cazzo di ora era? Vabbeh, che importa: si era tolto la divisa, la camicia, tutto, ed era rimasto in mutande -- e calzini, perché la gente che dorme senza calzini fa paura (cit. una donna molto saggia)
    Okay, quella era una novità: forse aveva bruciato involontariamente i propri panni... no, una veloce ispezione dell'aula bastò a fargli notare un mucchietto di abiti abbandonati qualche metro più in là. Con un lamento da parte di ogni. singolo. muscolo. del proprio corpo, Hans trovò la forza di alzarsi da terra e gattonare fino alla divisa, afferrandola poi con una mano e -- momento.
    Da quando le sue braccia erano così lunghe.
    Si mise a sedere, culo sui talloni e mani portate, lentamente, di fronte al proprio viso per essere studiate: c'era qualcosa di strano, quelle non erano le -
    Fu in piedi ancora prima di rendersene conto, agitando gli arti come se volesse scuotere via l'estraneità di quelle dita; due passi dopo rischiava di cadere di nuovo a terra. Prima di tutto: che cazzo era quella prospettiva strana, da quando vedeva le aule da quell'altezza? O, magari, qualcuno aveva ristretto l'aula?!
    Ma soprattutto: quei trenta centimetri di piede non erano i suoi.
    Pizzicò istintivamente la faccia con quelle mani sconosciute, e provò: dolore. Quindi era sveglio.
    ..
    Era sveglio?
    Un sogno del genere non sarebbe stato strano... ma sì. Stava ancora dormendo; un sogno, era solo – sì voltò di scatto, sentendo la porta dell'aula aprirsi.
    Non era solo.
    I’m left in the dark
    pondering my mistakes,
    but in the light,
    I swear, I will deny it all.
    18 | vega
    pyrokinesis
    taller than usual
    confused af
    tired
    johannes 'hans' belby
    2.44
    5.19
    liar, the arcadian wild



    prompt avvento:
    CITAZIONE
    Ti risvegli in una casa che non conosci un'aula random, senza vestiti. Non hai memoria di come sei finit* lì, nè riconosci il luogo in alcun modo. Trovi uno specchio in cui guardarti e first reaction shock: non sei tu. Quello non è il tuo corpo.
     
    .
  2.     +5    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Born
    Posts
    134
    Spolliciometro
    +198

    Status
    Offline
    arms crossed with the attitude, lips pouted
    «ce l’ho già un lavoro»
    «come fai a chiamare quello lavoro…»
    In quella torrida mattinata d’agosto, Jekyll Crane Winston non aveva le forze necessarie a (vivere) sollevare il capo dalla sua tazza di Cheerios per volgere a Nice un sopracciglio inarcato e lo sguardo più offeso che potesse mettere su. Avrebbe voluto, ed avrebbe dovuto, ma aveva dormito troppo poco – e troppo male – per concentrarsi su altro, persino sulla Hillcox che parlava male della sua carriera da rapper. Versò due dita di whisky nel mix di latte e cereali, spingendo quest’ultimi più a fondo: la colazione dei campioni, un metodo efficacissimo per fare pace con il troppo alcol della sera (e della notte, e delle prime luci dell’alba) precedente e per iniziare al massimo la giornata; aveva bisogno di carburante, il pirocineta, per essere così… così.
    «mi stai ignorando?»
    «mi sono appena svegliato»
    «ma è mezzogiorno…»
    «non giudicarmi, sono rientrato in mattinata.»
    Attese qualche minuto, godendosi il silenzio interrotto unicamente dal proprio masticare anellini di miele croccanti, per poi ritenere insopportabile tutta quella quiete che s’era andata a creare. Non era in grado, il Daniels, di esistere senza avere un costante rumore a ronzare nelle orecchie impedendogli di pensare troppo; aveva i suoi metodi per tenere la mente occupata, ma si rendeva conto di non poter passare ventiquattro ore al giorno sotto i fumi dell’alcol o le lenzuola di qualcuno. «e poi, cosa vuoi che faccia?» si strinse nelle spalle, ancora senza cercare gli occhi chiari dell’amica – che, lo sapeva, per interessarsi così spassionatamente alla sua vita lavorativa doveva o avere un proprio fine, o tenerci davvero tanto. Cosa che non avrebbe mai ammesso, e che forse nemmeno era così vero: sosteneva di capire le persone, Jek, ma raramente sapeva davvero cosa dicesse loro la testa; l’unico che poteva dire di conoscere davvero, era suo fratello. «insomma…» guardami: sono un buono a nulla, no? «il mio punto forte è la musica -» «ma non sta andando bene.» «non sei d’aiuto -, e rompere le palle a Hyde.» sottinteso, ancora, ma che non aveva bisogno di dire alla ragazza: non sono bravo in altro. Aiutava Ethan con i draghi, sì, ma quella era una passione: non avrebbe mai pensato di chiedere soldi all’Huxley per parlare con i rettili quando capitava di lì.
    Al San Mungo avrebbe fatto solo danni, così in qualsiasi livello del Ministero. Aprire un’attività sarebbe stato anche peggio, avrebbe fatto fallire non solo quella ma probabilmente l’intera economia del mondo magico inglese – come, non ne aveva idea; sapeva solo di esserne in grado. Era un portento. «se conosci un lavoro in cui potrei applicare queste mie qualità, dimmelo.»
    «…»
    «…»
    «…»
    «…»
    «…»
    «oh mio dio, ho un’idea.»
    «oh no.»

    Oh sì.
    O almeno, idealmente.
    Perché se si era deciso, mesi prima, a fare un colloquio come addetto alla security, era nell’ottica di passare il tempo con sua sorella e sua cugina perlopiù nel secondo livello del Ministero, a spiare Jack e ad assillarlo con la sua presenza non solo a casa, ma anche in ufficio.
    E a controllare stesse bene, che non si esponesse troppo, che non rischiasse nulla.
    Non aveva idea del fatto che avrebbe dovuto fare la spola tra gli uffici governativi, l’ospedale magico ed Hogwarts.
    Non erano quelli gli accordi.
    Erano esattamente quelli, gli accordi.
    «eddai, mabe.»
    Zittì la voce della sorella nella sua testa – che era sempre stata un po’ la voce della propria, inesistente, coscienza, insieme a quella di River –, scansando un paio di studenti del primo anno lungo il corridoio del terzo piano del castello.
    Ma nonostante non fossero quelli gli accordi, checché ne dicesse la voce di sua sorella, aveva imparato in fretta e furia a adattarsi a quell’imprevisto. Insomma, stare nella scuola magica aveva i suoi vantaggi: aveva già trovato a chi rompere le palle tra gli adulti, con chi fare comunella, gli studenti preferiti con cui andare a farsi le canne di nascosto (ma anche professori, docenti, altri colleghi di security, gente che passava lì per caso… vabbè dai, chiunque…).
    Soprattutto, volete mettere l’opportunità di fare stalking alla sua famiglia? Probabilmente Maeve già si stava pentendo di averlo messo al mondo, non avendolo nemmeno ancora programmato («non sei stato programmato, papà dice sempre che sei uscito per errore» cit. qualsiasi figlio dei Crane-Winston, ad un certo punto della propria esistenza), dopo tutte le volte che aveva fatto irruzione nella sua aula per portargli qualche studente che aveva rotto le palle in giro per la scuola, o per controllare che nessuno stesse facendo danni lì dentro. Amalie ok, ormai si era abituata alla sua invadenza anche in quella vita, immaginava non si accorgesse nemmeno della sua presenza quasi costante nella stanza degli psicomaghi. Flow e River – o Oscar e Arturo, come preferivano – prima o poi sarebbero scappati da quella scuola senza diploma, per fuggire dai suoi pedinamenti.
    Era tutto bellissimo.
    Peccato che dovesse anche lavorare, una vera rottura di coglioni.
    «ehi, coglioncelli» se mamma Maeve lo avesse sentito, gli avrebbe dato uno scappellotto tra capo e collo: quasi poteva sentire la sua voce (minchia, ma quante voci sentiva) (tante) (magari prima o poi si sarebbe fatto controllare) (nella prossima vita) dirgli di scusarsi con quegli studenti.
    Prese per la collottola uno dei due ragazzi, quello che aveva trovato in una posizione di supremazia, sollevandolo con fin troppa facilità per appenderlo al muro – ma con delicatezza: vabbè che vabbè, ma mica voleva correre il rischio di fargli male –, e con un cenno del capo invitò l’altro – col naso evidentemente rotto e sanguinante – ad andarsene via da lì. «corri in infermeria, prima vai e meno farà male rimetterlo a posto» suggerì, quando notò un’iniziale reticenza del ragazzo a muoversi. Da una prima occhiata alle divise dei due, era facile intuire che quello col sangue sulla camicia voleva assicurarsi l’altro venisse punito nell’immediato. Peccato che Jekyll non volesse.
    Mise giù lo studente solo quando fu sicuro che il Grifondoro fosse uscito dal corridoio del piano infestato, sistemandogli con delle poderose pacche le pieghe che gli aveva procurato sui ricami violacei. «non ho iniziato io…» «ma hai finito tu, no?» gli prese la faccia tra le dita, e avvicinandosi col viso prese a studiarlo smuovendolo tutto. «e non hai neanche un boh… un graffio, un livido… che tristezza, martin» perché sì, il pirocineta conosceva il coglioncello in questione: era un ragazzo un po’ esuberante ma non un attaccabrighe, fumantino ma tutto sommato un bravo ragazzo. «possiamo parlarne un’altra volta di quello che è successo, mh?, ma la prossima che ti becco sopra un mago ti porto in sala torture» sollevò un sopracciglio, smorzando subito le parole a fiorire sulle labbra dischiuse. «oh, lo sai che non voglio, ma meglio che ti ci porti io che non la queen. a meno che tu non abbia kink strani, non ti giudico – anzi» alzò le mani. «ci sta di brutto, zio. ora sparisci e vai dalla winston a spiegarle quello che è successo.»
    Attese di vedere il fumo sotto i piedi del ragazzo, prima di buttare fuori l’aria e rilassarsi. Non gli piaceva fare la persona seria, non ci credeva nessuno: poteva farlo per una volta al giorno e basta. Con gli studenti poteva ancora un po’ funzionare, non lo conoscevano, ma prima o poi avrebbe perso di credibilità anche con loro. Fortuna che o si diplomavano, o morivano; c’era un continuo riciclo lì dentro.
    Troppo bello.
    Mio dio aiuto è orribile.
    «ah, credo di meritarmi una pausa» chissà quando aveva iniziato a parlare da solo, assecondando le voci nella sua testa. Si sentiva un po’ il personaggio di un anime che deve commentare qualsiasi cosa stia facendo ad alta voce. Nemmeno si guardò attorno, assicurandosi non ci fosse più nessuno, prima di recuperare dal taschino della giacca una sigaretta poco legale ed intrufolarsi in un’aula aperta: chi poteva mai esserci a zonzo alle undici del mattino per il piano infestato?
    Nessuno.
    «julian???»
    Julian Bolton non era nessuno.
    «bello, ti sei perso?» domande lecite. Spinello tra i denti, impunito a pendere dalle labbra carnose del ventottenne, fece vagare lo sguardo chiaro e confuso per tutta l’aula, prima di concentrarsi sul portiere dei rosso-oro. Indicò prima lui, poi il mucchio di abiti, poi di nuovo lui, infine si grattò la radice del naso. «e sei… nudo… ok…» e, laddove una persona normale avrebbe lasciato la stanza e concesso al giovane spazio per ricomporsi, il Crane-Winston, chiuse la porta alle sue spalle. «aspetta… aspetta!» aveva capito tutto. «è un appuntamento segreto con joni, non è vero?» perché certo, sapeva tutto di tutte le ship di Hogwarts: fategli causa. «eh???»
    Non aveva capito un cazzo.
    rise against
    satellite
    You can't feel the heat
    until you hold your hand over the flame
    You have to cross the line
    just to remember where it lays
    You won't know your worth until you take a hit
    franklyn d.gifs cr.playlistaesthetic
     
    .
  3.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    203
    Spolliciometro
    +446

    Status
    Offline
    Non gli capitava spesso di stupirsi per qualcosa, d'altronde non reagiva quasi mai alle cose, belle o brutte che fossero, lasciando che tutto gli scivolasse addosso senza il minimo interesse – ma in quel caso era molto più che lecito, da parte sua, domandarsi con un filo di voce «che cazzo succede» rigirando ancora una volta le mani sconosciute davanti agli occhi che non sembravano voler riconoscere, non consciamente comunque, quel cambiamento improvviso.
    Chissà se una parte di lui, quella irrazionale, credeva (o sperava?) di trovare una risposta fulminea semplicemente ponendo quella domanda ad alta voce; non gli avrebbe fatto di certo schifo trovare almeno un flashback delle ore precedenti che avesse senso e che non fosse annebbiato, un singolo momento che fosse in grado di fornirgli il punto da cui partire per sgarbugliare quella matassa incasinata che erano i suoi ricordi. Era bravo a risolvere i puzzle, quando voleva, peccato che in quel momento, come spesso succedeva, non aveva davvero la testa o la voglia per farlo: avrebbe atteso, dunque, come un miracolo, l'illuminazione improvvisa – e se questa non fosse arrivata, pazienza: avrebbe atteso, in silenzio, che tutto passasse da solo, qualsiasi cosa fosse successa.
    Perché, infondo, non funzionava così per tutti i problemi? Non si risolvevano da soli semplicemente ignorandoli? Ah no? Ma pensa.
    Portò una mano a massaggiare le tempie, fin troppo stanco per uno che, a conti fatti, si era appena svegliato; ma dormire raramente per lui significava riposare. Era più uno spegnersi, un lasciarsi cullare dall'oblio del niente per qualche ora e fine; non gli dispiaceva, tutto sommato, ma avrebbe davvero, davvero, fatto di tutto per un po' di ristoro vero e proprio. Il suo corpo – la sua mente. – ne aveva bisogno.
    Le mani scivolarono all'indietro, accarezzando capelli troppo corti per essere suoi (well, no shit, Hans, ma dai.) e, istintivamente, ne tirò le punte in un moto di stizza; nello stesso momento la porta si aprì e – «julian???»
    Uh?
    Indietreggiò, osservando il nuovo arrivato con un'espressione confusa dovuta solo in parte alla raffica di domande che gli stava rivolgendo. Ci mise più del necessario a riconoscere il membro della security ministeriale – di se riuscì a collegare un nome a quel viso e allo sguardo verde fu solo perché troppe volte, durante il suo ultimo tirocinio, l'aveva sentito ripetere da Ethan. E dai draghi. E perché, in qualche modo, gli era rimasto impresso. Tutti erano sempre convinti che Hans non riuscisse a ricordare le cose, quando in realtà non era assolutamente vero; lui ricordava benissimo quello che la sua mente decideva di registare – il problema nasceva a monte, e stava nel fatto che raramente Hans prestava abbastanza attenzione da immagazinare volti, o frasi, o nozioni nella propria testa.
    Quelli come lui, però, di solito facevano un eccezione e suo malgrado ricordava.
    Rimase a studiare il nuovo arrivato, dunque, ma non fiatò, non subito comunque, irrigendosi suo malgrado quando il Daniels chiuse la porta alle sue spalle. Hans non era un grande fan degli adulti, colpa di un padre mai gentile nei suoi confronti, e che aveva spesso riversato sul figlio tutta la frustrazione di una vita bruciata (letteralmente) troppo in fretta e della quale non aveva saputo raccogliere i resti – una vita che l'aveva reso ostile e violento, almeno fino a che Hans non aveva imparato a difendersi; non aveva più paura adesso, anche perché avrebbe comportato il provare delle emozioni, emozioni di varia natura che il pirocineta non credeva più di avere in se stesso, ma non gli piaceva comunque trovarsi in ambienti chiusi con persone più grandi di lui e che a malapena consoceva. Perché sì, a conti fatti, lo special davanti a lui era uno sconosciuto e pochi mesi passati a badare ai draghi di Ethan, non li avevano di certo resi amici.
    Fece scivare lo sguardo verso il mucchio di abiti, poggiando il peso poco familiare di quel nuovo corpo contro il banco alle sue spalle: tutti quei centimetri e quei muscoli in più lo avevano gia stancanto.
    Non si mosse, rimanendo ben distante dall'altro, e soprattutto all'erta: poteva anche combattere contro un'astinenza sempre più incasinata e in palla, ma aveva ancora abbastanza raziocinio da riuscire a rimanere vigile di fronte a quelle situazioni che la sua mente reputava pericolose, per tutta una serie di motivi; che il Daniels fosse un membro della security pronto forse a denunciare il fatto di averlo trovato in un'aula abbandonata mezzo nudo, era però l'ultimo della lista.
    Infondo: non era Hans quello con uno spinello stretto nelle labbra.
    E sì, era abbastanza allenato da saperli riconoscere anche a distanza – per non dire che fosse disperato al punto da sentire tutto il corpo desiderare con ardore di potersi avvicinare al maggiore per strappargli la canna dalle labbra sorridenti e farla sua. Strinse invece la presa sul mobile contro cui era poggiato, fino a fare diventare bianche le nocche, per costringersi a non cedere all'impulso. Iniziò a sentirsi a disagio sotto lo sguardo insistente della guardia sebbene il tremore che lo scuoteva non aveva nulla a che fare col fatto di essere quasi totalmente nudo; gli occhi scuri scivolarono sul mucchio di abiti ma non si mosse, reputandoli troppo vicini all'altro per valerne la pena; se non fosse che proprio nelle tasche dei pantaloni aveva la soluzione ad almeno uno dei suoi problemi.
    Sì, era così accecato dal bisogno di un'altra dose da pensare di rischiare persino di farne uso lì, davanti a lui – al Daniels poteva sempre dire che fossero pasticche per l'emicrania. Gli avrebbe creduto, no? Dopotutto era convinto di avere di fronte Julian Bolton, a quanto pare, uno di cui la gente di solito si fidava.
    Aspetta.
    Si toccò la faccia, sudaticcia e accaldata, e socchiuse gli occhi. Come era finito ad avere le sembianze di Julian Bolton? Ancora una volta si ritrovò a desiderare di ricordare qualcosa – qualsiasi cosa facesse luce sulla notte precedente. O mattina. O pomeriggio, o qualsiasi altra fascia oraria della giornata appena trascorsa, insomma. Sospirò, frenando la tentazione di scivolare lentamente verso terra – e ivi rimanere. Ma per una volta nella vita non si trovava ad osservare qualcuno dal basso e quello lo faceva sentire meno impotente, non voleva perdere il momentaneo vantaggio, non importava quanto sfinito si sentisse.
    «Non-» quando fece per parlare, scoprì che la voce era rauca e la gola secca come se non bevesse da giorni; e poi, parlare gli costava fatica – as usual, insomma.
    Ma, alla fine, cosa avrebbe potuto dire?
    "Non sono Julian, sono Hans e la scorsa notte ero troppo fatto per capire cosa stesse succedendo e ho combinato qualcosa ma ora non ricordo niente e non so come sono finito con l'aspetto di questo Watusso qui e che c'entra Joni, no, fa niente, non mi interessa dico davvero, non voglio saperlo, puoi andartene ora grazie tante".
    Meh. Era un casino.
    Perciò si limitò alla seconda cosa che gli venne in mente, e ciò: «ma il Ministero lo sa che fumi erba sul posto lavoro?» chiesto in maniera atona, senza nessun vero interesse a colorare una voce che non gli apparteneva; nello sguardo la stessa sfumatura di niente tipica del Belby ma che, ne era certo, avrebbe stonato sul viso solare del portiere Grifondoro. Poteva pure essere qualcun altro in apparenza, ma non poteva cambiare chi era dentro – un fottuto casino, ecco cosa.
    Lanciando un'ultima occhiata al Daniels, si passò le braccia intorno al torace muscoloso, presa ferrea sui gomiti e strinse forte, con l'intento di fermare i brividi che, ogni tanto, lo facevano tremare involontariamente; poteva sentire chiaramente il ritmo cardiaco accelerato a riverberare fino in gola, e il respiro farsi sempre più affannato. Valutò l'ipotesi di afferrare i suoi indumenti e tentare la fuga – tanto era in un corpo non suo, chi se ne frega delle conseguenze – ma non aveva abbastanza stabilità per muovere un solo passo, figurarsi correre.
    Perciò rimase a fissare Franklyn Daniels, sguardo vacuo e disinteressato, nella speranza che, nello stesso modo improvviso con cui era piombato nell'aula, l'altro pirocineta ne sarebbe anche uscito – per la gioia (metaforica, ça va sans dire) di Hans.
    I’m left in the dark
    pondering my mistakes,
    but in the light,
    I swear, I will deny it all.
    18 | vega
    pyrokinesis
    taller than usual
    confused af
    tired
    johannes 'hans' belby
    2.44
    5.19
    liar, the arcadian wild
     
    .
2 replies since 5/3/2022, 18:08   169 views
  Share  
.
Top