Posts written by - as fuck

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    CITAZIONE
    «ma quanto cazzo hai scritto?»

    è in fondo, sentitevi liberi di ctrl+f e seguire il mio suggerimento






    «"dovresti mangiare qualcosa"»
    Corrugò le sopracciglia, rimbalzando l'acqua da una parte all'altra della guancia. Sollevò lo sguardo dal piatto per posarlo su un angolo della stanza, trattenendo il fiato in attesa della mossa successiva come il cronometro in una partita di scacchi. Tic-tac. Tic-tac. Tic -
    «dovresti mangiare qualcosa»
    Oh, fanculo. Tenne il liquido in bocca ancora un istante, esitando appena, scoccando poi un'occhiata seccata al bordo ricamato della tovaglia. Deglutì tutto insieme, la gola a stringersi credendo di affogare; e dire che avrebbe dovuto saperlo, che non si moriva così.
    Troppo facile.
    «questa era prevedibile» annunciò, asciugando la bocca con il dorso della mano, alzando occhi castani verso un punto imprecisato, ma ben definito, del salotto.
    «"deal."»
    «deal.»
    Percepì il sorriso senza vederlo, perché era così che funzionava con Zero; immaginava fosse l'effetto collaterale di convivere con lo stesso fantasma da quasi dieci anni.
    «pà, puoi dire qualcos'altro?»
    «"no"»
    «no»
    Uno avrebbe potuto ipotizzare che a renderlo così... instabile (non il termine che avrebbe usato lui, bensì quello che aveva letto sulla sua cartella clinica: preferiva stravagante ed eccentrico, avendo voce in capitolo; imprevedibile e carismatico, nelle giornate particolarmente ottimiste) fossero state le sperimentazioni di cui era cavia dalla nascita,
    (ed avrebbe avuto ragione)
    ma Deal avrebbe liquidato la questione indicando teatrale quel preciso momento. Una piccola finestra di come le sue giornate si svolgessero da più di metà della sua tragica, assurda, vita - quella consumata tutta, fino al midollo ed il segno dei denti sulle ossa.
    Poteva sopportare le cicatrici, e le macchie di pelle più chiara a fondersi con la propria. Scambiare un dito o una mano con quella di qualcun altro; prestare la propria voce a chi non l'aveva più, lasciare il proprio posto mentre si perdeva in un Purgatorio o due, passeggiando insieme ai persi ed i dimenticati. Barattava volentieri sogni per ricordi, ritagliandosi uno sgabuzzino mentale per memorie d'altri. Annuiva, concedendo che gli affidassero segreti ingoiando chiavi di centinaia di lucchetti. Perdeva sangue come un rubinetto negletto. Ogni notte sfiorava l'aldilà con polpastrelli delicati e morbidi, concedendo alla scienza ed alla magia ogni battito cardiaco ed ogni pausa, corpo e mente teli bianche e collaborative su cui vergare disegni e parole, e non aveva ancora incontrato il proprio punto di rottura.
    A onor del vero, non credeva di possederlo. La gomma da masticare necessitava di cinque anni per decomporsi, dopotutto - e lui di gomma era fatto tutto, a rimbalzare da un piano all'altro e cadere sempre nello stesso punto; farsi pressare, e tornare alla sua forma originaria.
    All'eco, però, tracciava una fottuta linea.
    Affilò lo sguardo nella vaga direzione di Zero, puntellando la lingua contro l'interno della guancia. Meditabondo, riflessivo; il fatto che Deal fosse un pensatore, non l'aveva mai fermato dal fare scelte di merda, tanto da rendere difficile inquadrarlo come tale e prenderlo sul serio. Parte del suo fascino, immaginava: occhiaie violacee, lo stesso pallore spettrale di un latte macchiato, sigaretta dietro l'orecchio, sguardo assente ad accompagnare un sorriso pigro ma brillante, e capacità decisionale di un condannato a cui fosse stato domandato un ultimo desiderio direttamente sul patibolo. Affrettato, e senza senso.
    «non fai ridere» Sillabe trascinate tra i denti a stridere come la forchetta sulla ceramica con cui spostò la verdura verso il bordo. Sguardo ancora forzatamente basso, perché forse un po' divertente lo trovava davvero, ma sapeva non fosse né il luogo, né il momento.
    «solo perché hai un pessimo senso dell'umorismo» Osservò la figura traslucida al margine del suo campo visivo. Ancora incapace, dopo tutti quegli anni, di prendere una forma riconoscibile. I fantasmi erano l'impronta di quel che erano stati, il ricordo che di se avevano lasciato al mondo: quando perdevano ciò che li aveva connessi in primis al piano concreto, diventavano spettri. Sensazioni. Inciampi nella realtà. Ombre di quel che non erano stati - in poche parole, un problema.
    Poi c'era Zero.
    Una svista astrale che aveva causato un errore nel sistema, permettendo ad un bambino di rubare il filo reciso dalle Moire per annodarlo al proprio. Stringere. L’aveva trovato, e se l’era tenuto.
    La prima volta che Deal Bigh era morto, aveva sei anni.
    Un incidente. Ogni tragedia che si rispettasse ne possedeva almeno una, e non c'era momento migliore dell'inizio di un racconto per piazzare un evento traumatico destinato a cambiare il corso della storia. Certo, non c'era stato giorno in cui Deal fosse stato normale, partendo dal contesto socio-culturale della sua nascita: era il 2031, il cuore del Nuovo Rinascimento, periodo di sognatori e illuministi. A quindici anni dalla guerra di cui nessuno sembrava ricordare i dettagli, si era aperta un'epoca di scoperte scientifiche e magiche che aveva portato a teorie folli, ed esperimenti ancora peggiori. Buffo che gli uomini credessero al concetto di anima solo quando messa in palio per qualcosa di più grande, uh? Firmare per cederla al miglior offerente era stata una pratica comune, e certo non un problema per l'allora ventiquattrenne Mood Bigh. Aveva un disegno, e delle teorie; più idee di quante una vita sola fosse disposta a contenerne, ed allora si era creato più tempo, esasperando la capacità di manipolarlo con sistemi, e grafici. Scorciatoie dalla dubbia morale. Era nato per quello, Deal Bigh: un sogno venuto alla luce dalla parte sbagliata del mondo onirico. Un progetto in beta dai riccioli scuri ed il sorriso al neon di un impostore. Di fatto, una catastrofe di ridotte dimensioni, e portata biblica.
    (Più romantico del dire fosse un esperimento, numerato e dalla pratica ancora aperta. )
    Non era stato creato per essere straordinario, ma era un lavoro che qualcuno doveva pur fare, e Deal si era stretto umilmente nelle spalle, porgendo il cappello ed offrendosi volontario per la causa. Straordinariamente stupido, avrebbe detto qualcuno: anche, forse. Punti di vista. Dall'inizio dei tempi, ogni genio era stato incompreso, e Deal non chiedeva che lo capissero: sapeva di avere senso a giorni alterni, e solo ad occhi socchiusi. Non importava a nessuno, perché la piccola percentuale di popolazione che poteva permettersi di giudicarlo, lo adorava così. Il suo unico difetto, sempre che difetto potesse definirsi, era minimo. Quisquilie. Sorvolabile, davvero. Ci si faceva appena (molto) caso, al fatto che Deal non avesse assolutamente, per nulla, alcun contatto con la realtà, incapace di riconoscere i morti dai vivi, il suo da altri, ed il passato dal presente: un effetto collaterale del non avere una costante temporale, spezzato da salti avanti e indietro e in mezzo; di non essere mai stato solo, con dita spettrali a stringerlo e sussurri ad accompagnare ogni momento di veglia e non. Un insieme di storie in cui era stato protagonista pur non avendole mai vissute. Assentarsi per notti, e giorni, e notti. Rientrare nel proprio corpo solo per trovare cicatrici nuove e già rosate. Che dire? Non era un problema, per lui; trovava confortante, esistere solo in istanti. Era come vivere in un album di fotografie, sfogliato solo quando ne si aveva voglia.
    Aveva sempre amato l'aria aperta. Da bambino, passava tutto il giorno ai giardinetti a giocare sull'altalena con i suoi coetanei, o a rincorrersi nei boschi vicino a casa. Rideva fino a perdere la voce; correva fino a piegarsi senza fiato. Era un fenomeno in tutti gli sport, dove viaggiava imbattuto sulla strada del trionfo. Importava, ai fini della storia, che chiunque, affacciandosi dalla finestra, avrebbe visto un bambino spingere altalene vuote, e gesticolare animatamente al nulla? Lanciarsi una palla, ancora ed ancora? Sì, perché giustificava
    (tutto quanto)
    come fosse finito impiastricciato di sangue fra i rami di una quercia, a respirare rantoli umidi e tutti a metà. Aveva promesso sarebbe tornato subito, ed aveva seguito i suoi amici, tutti morti da un pezzo ed un po' di più, senza considerare che loro avessero capacità che lui, nel suo corpo mortale, non possedeva: così era caduto, sbattendo contro ogni ramo ed ogni roccia.
    Era rimasto a guardare la luce del sole a filtrare dagli alberi, finché quella stessa luce non aveva fischiato.
    «cristo santo. che botta»
    Aveva battuto le ciglia, la vista appannata. Incapace di muoversi abbastanza per pulirsi gli occhi dal liquido scarlatto, figurarsi alzarsi e tornare a casa, ma non sentiva male. Non sentiva niente.
    «ehi. ehi. aspetta, ok? mh. vado - mh. aspetta e basta?»
    L'afflusso di adrenalina bastò a fargli scuotere il capo con urgenza, la mano sollevata di pochi centimetri con il palmo aperto al cielo. Un guizzo liquido nello sguardo cioccolato che avrebbe potuto apparire come paura, se fosse stato in grado di provarne. Forse la era, almeno un po', sull'orlo di infrangere l'unica regola che gli fosse mai stata imposta: poteva fare quello che voleva, bastava non morisse. Aveva sei anni, ed i battiti contati. Papà non ne sarebbe stato felice. E non voleva rimanere solo: non era mai stato bravo ad avere solo se stesso.
    «vuoi che - ma. mi senti?»
    Provò ad annuire, inutilmente. Sentì la presenza avvicinarsi, studiarlo; il freddo della sua morte a insinuarsi nella propria, misurata, vita. Più soffio, che tocco. Fu questione di attimi, di scelte, di attese e mormorii, di click nel grande ingranaggio dell'universo, e di un cuore a fermarsi per istanti infiniti prima di riprendere la sua corsa - di una richiesta, ed una promessa. Un patto: poteva prendere in prestito il fantasma, se lo portava fuori da lì. Usarlo a tempo limitato, come il periodo di prova da trenta giorni delle offerte premium.
    Peccato che gli scambi iniqui fossero sempre stati la sua specialità. C'erano cose peggiori di un patto con il diavolo - ad esempio, farne uno con lui. Che ne sapeva, il defunto; perfino Deal era troppo giovane per riconoscerlo.
    Così il bambino si fece piccolo, facendo posto dentro di sé all'ingombrante presenza dello spirito, e si sentì subito meglio: le ossa rotte saldate, le ferite chiuse. Abbastanza da trascinare entrambi fuori dai boschi - chi c'era rimasto bloccato, e chi non avrebbe dovuto poterne uscire - e collassare sullo zerbino di casa.
    La prima seconda opportunità di Deal Bigh, e la seconda prima opportunità del non-completamente-morto.
    A conseguente interrogatorio, pressante e incuriosito, del bambino, aveva ammesso di non ricordare il proprio nome - l'aveva chiamato Zero, come il cane di The Nightmare Before Christmas ed il drago emo di TJ Klune, perché chiamarlo Dory, visti i problemi di memoria, era sembrato un po' troppo ironico alla player, ptsd and all aveva sempre voluto un animale da compagnia- o perché fosse rimasto confinato nei boschi - inventavano una storia nuova ogni tre mesi, finendo quasi per crederci - o quale forma avesse avuto. Umana, considerando possedesse ancora la magia della Guarigione, ma non abbastanza da acquisire concretezza agli occhi del medium. Un bambino? Un vecchio? Un uomo nel fiore dei suoi anni? Un’adolescente impigrito dalle comodità del nuovo millennio? ABBADON?
    Aveva deciso per entrambi dovesse essere il suo angelo custode, e l'aveva tessuto nella propria orbita cucendolo con lo stesso ago e filo che suo padre aveva usato con lui: facendosi amare, la moneta più meschina di tutte. Non era difficile lo facessero, quando erano già morti; con i vivi, la questione risultava più complessa. La sua incapacità di rapportarsi con i sacchi d’ossa, era stato uno dei motivi per cui non aveva frequentato Hogwarts, insieme al fatto che il programma del castello fosse troppo banale per i suoi studi forzatamente avanzati. A otto anni, poteva già affrontare discussioni sistemiche sulla filosofia e la storia, la magia e la politica; gli adulti lo trovavano scomodo, ed i bambini, in sua presenza, non potevano fare a meno di sentirsi a disagio. Non faceva parte di quel mondo, Deal – ma che se ne faceva, quando ne aveva altri migliaia per sé.
    E poi sognava l’universo, il Bigh. Non aveva archiviato il sogno di diventare astronauta, malgrado il cuore collassasse ogni notte necessitando di un’altra scossa – un altro salto, un altro segreto. Dipendente da tutto ciò che l’aveva reso mostruoso, se non un mostro.
    Sentendosi punto dallo sguardo attento di suo padre, alzò infine gli occhi di fronte a sé, permettendo alle labbra di curvarsi in un sorriso sincero e languido.
    «vi adoro entrambi» scandì, caso mai fosse esistito un mondo in cui avessero potuto pensare il contrario. Non c’erano mai stati alti e bassi, o momenti di dubbio, per Deal: sapeva di amarli sempre, al loro male e nel loro peggio. Zero era stato tante cose, per lui: un amico, un confidente, una coscienza, un compagno di (dis)avventure, un fratello, un baby sitter, una pessima influenza, un -
    («sei nella mia testa?» bisbigliato, per timore d’infrangere l’equilibrio instabile di quel momento rubato all’alcool.
    Una pausa lunga. Suonò come una supplica, il «qualche volta» di Zero.
    Un’altra parentesi fatta solo di respiri, ed un singhiozzo stretto fra i denti. Di norma non provava paura, Deal Bigh, ma la provò in quell’unica domanda. L’orlo del baratro su cui danzava da tutta la vita.
    Esitò. Chiuse gli occhi. «sei -»
    «non chiedermelo»)
    - genitore, e nei suoi momenti più bassi, un nonno, e lo zio inopportuno che non veniva mai invitato alle feste perché noioso e tutti lo odiavano. Una convivenza forzata, certo, ma non una a cui fosse disposto a rinunciare: era certo fosse l'unica cosa a tenerlo ancorato al mondo terreno, impedendogli di perdersi. Il posto dove tornare sempre, senza filtri o spiegazioni. Erano cresciuti insieme; aveva passato più tempo con il fantasma, che con chiunque altro.
    Suo padre? L'aveva usato, e continuava a farlo. L'aveva creato per studiarlo, e manipolarlo. L'aveva tagliato, e spezzato, e rimontato con la cura che solo amare qualcosa portava con sé. L'aveva addestrato, e quasi ucciso; l'aveva cresciuto, e marchiato con metallo e fuoco. Gli aveva letto storie per farlo addormentare, favole e poemi epici in lingue sconosciute; aveva mantenuto ogni promessa, perfino le peggiori, e l'aveva fatto ballare sulla punta dei propri piedi, sollevandolo fino a fargli toccare il soffitto con un dito. Non era mai stato gratuitamente crudele, con lui, e Deal l'aveva amato sempre, senza riserve. La vita (vita?) in provetta a cui era stato costretto, era l'unica che conoscesse - l'unica che volesse. E sapeva, con la certezza infallibile di un calcolo matematico, di essere ricambiato con la stessa intensità. Non l'aveva mai dubitato, Deal. Ne aveva la conferma ogni giorno, quando -
    («sei -»
    «non chiedermelo»

    me?
    Cercava di non pensarci, Deal. Ignorava la questione riempiendosi la testa d'altre domande, soffocando la ragione con problemi facilmente risolvibili ed alcool. Droghe. Poesie. Gonfiava la bocca di sorrisi, perché non voleva sapere se Zero fosse una sua invenzione. Un troppo cresciuto amico immaginario. La parte ancora integra di una psiche sgretolata. Il bisogno più umano di tutti di sentirsi parte di qualcosa.
    Non l'aveva chiesto, quindi.
    E sapeva che non fosse l'unico a domandarselo. Che suo padre, seguendo le sue orme, fosse giunto alla stessa conclusione; glielo lasciasse credere, perché sapeva ne avesse bisogno. Lui, che gli aveva insegnato ad essere tangibile e cercare sempre un motivo, una ragione, un senso, gli permetteva di non metterlo in discussione, se lo rendeva felice; se lo faceva sentire intero.)
    - lo guardava, perché Mood Bigh era un bugiardo, ma lo era mai stato con lui. Negli standard comuni, sarebbe stato definito un amore tossico, certo - malato e narcisista, manipolatore, con tendenze psicopatiche ed una conseguente sindrome di Stoccolma della vittima. Magari (magari?) era anche vero. Non lo rendeva meno reale, comunque. O meno offensivo, per entrambi.
    «per quanto tutto questo sia di intrattenimento - poco, se te lo stessi domandando - dovresti davvero mangiare» Ah, il vecchio tono genitoriale ed accondiscendente che faceva scattare l'istintiva molla di qualunque adolescente di fare il contrario, per principio. Si accartocciò tutto, Deal, perché per quanto magnifico ed unico fosse, aveva pur sempre diciassette anni, ed a nessun diciassettenne piaceva sentirsi dire cosa fare - soprattutto, quando era per il proprio bene.
    «cosa sei, mia madre?» borbottò a suo padre, sguardo abbassato sulla verdura nel piatto. Non gli piaceva mangiare, fategli causa. Viveva in uno stato perenne di debolezza - e grazie tante, fra torture e mantenere vivo qualunque fantasma nel giro di cinquanta metri, nonché l'uso assolutamente superfluo di Jack. Jack era il suo Infero preferito, e la divisa da maggiordomo gli stava a pennello, quindi non considerava uno spreco delle proprie risorse: ripagava in salute mentale - fasciato in felpe perfino nelle stagioni più calde. Tirava avanti (per inerzia) con bevande energetiche, patatine in busta, sostanze stupefacenti, e qualche flebo forzata. Budini! E budini, la sua pietanza preferita in assoluto: masticare richiedeva un impegno che Deal Bigh non era disposto ad offrire per qualcosa di così banale come il benessere fisico. Manco fosse stato un insegnante di yoga, o un gymbro come Lele.
    Non gli rispose anche, malgrado sarebbe stato vero: padre, madre, carceriere e banca. Tutta la famiglia che avesse, e l'unica che volesse. Leggenda narrava che un tempo avesse avuto dei fratelli, ma erano cose che Deal sapeva solo per sentito dire. Era un po' come sperare segretamente di avere zii ricchi in america che gli lasciassero l'eredità. Suo padre accennó appena un sorriso, indicandolo vago con la forchetta. «donna deliziosa» Sapeva fosse vero, perché non gli avrebbe mai mentito; sapeva anche fosse un commento preoccupante, considerando fosse rinchiusa in un ospedale psichiatrico da sedici anni. Sospettava il perché, ma preferiva tenersi le sue teorie, rispetto alla verità - perlomeno sulle cose importanti. Se glielo avesse chiesto, glielo avrebbe raccontato. Era un genere di libertà opprimente, sapere di avere sempre e solo risposte sincere; dava un senso tutto diverso ai silenzi, o alle domande appese sulla punta della lingua.
    Ogni anno, per il suo compleanno, aveva in regalo un desiderio. Quand'era piccolo, appendendo le stelle sulle pareti della sua stanza - «sembra decorata da un cieco.» aveva commentato Zero, non senza una punta di ammirazione: rifletteva il suo proprietario, caotica ed intensa, se le lava lamp, la lapide contro il muro, le cucce dei cani dove si appallottolava da bambino, e le costellazioni fosforescenti, ne potevano essere un esempio - suo padre gli aveva insegnato a non esprimerne sulle stelle cadenti: erano solo macerie, scintille; trucchi di prestigio di qualcosa già morto. Allora quando, aveva chiesto, perché voleva qualcosa di raro e prezioso quanto il fenomeno atmosferico; non era da Bigh credere nei desideri, ma Mood glielo aveva concesso comunque. Uno, speciale, all'anno.
    Per i suoi tredici anni, Deal gli aveva chiesto una bugia. Una sola. L'aveva guardato da sotto fitte ciglia scure, drizzando le spalle per apparire più stabile, e concreto. Meno a rischio sismico.
    Smetteresti? Per me. Smetteresti?
    Gli aveva chiesto di sceglierlo, ciondolando sul posto con braccia troppo lunghe e sottili a portare i segni di tutto quanto, prova e conseguenza di quel che aveva fatto.
    L'esitazione gli era bastata per sapere che anche quell'anno, papà avrebbe esaudito il suo desiderio. Gli aveva stretto le guance magre fra i palmi, guardandolo con qualcosa di vivo, e in movimento. Una muta richiesta a comprendere l'incomprensibile, l'unica cosa al mondo che non fosse spiegata nei libri, e che non potesse insegnargli.
    L'ingiustizia. Il mondo non era un posto corretto. In un'altra vita, Deal non Bigh avrebbe potuto avere tutto; in quella aveva avanzi, e se ne riempiva come un banchetto.
    Sei la persona più incredibile che conosca, gli aveva detto, ed aveva cercato i suoi occhi; aveva posato le labbra sulla sua fronte, imprimendo un ironico bacio da Giuda, soffiando su ferite sempre aperte. Certo che lo farei. E sapete che c'era? Che Deal l'aveva amato uguale, perché non gli avevano insegnato a fare altro. Non esisteva una seconda opzione. Allora aveva sorriso, decidendo che potesse accettare il secondo posto, visto che con la Scoperta non c'era competizione: tanto l'oro era pacchiano, e l'argento gli stava meglio.
    In altre parole, showbiz.
    Era già il preferito di Zero («lo sei?»), poteva farselo bastare.
    «sai che quando svieni, sparisce anche lui» Seguì la traiettoria dell'indice, aspirando affascinato l'aria fra i denti nel posare lo sguardo sulla chiazza luminosa di Zero. Come faceva a sapere fosse lì? Essere genitori offriva davvero dei super poteri bonus. Il fatto che il blob luminescente sembrasse annuire, lo faceva alquanto alterare: capitava davvero, davvero di rado, che fossero d'accordo su qualcosa. Zero odiava suo padre, anche se non aveva mai elaborato il perché
    ( Difficile guardare Deal, e dirgli che la sua vita fosse tutta una cazzo di farsa, e fosse tutta una follia, e non lo vedi Deal? Non sei tu il mostro, come potresti essere tu)
    il che lo metteva di base all'angolo opposto rispetto a quanto dicesse l'altro. Andava da sé che così fossero spiegate molte delle scelte stupide di Deal, visto che tendeva a seguire i consigli di un morto piuttosto che i saggi moniti del padre. Se concordavano su qualcosa, era inevitabile.
    Sospirò comunque, drammatico, nell'affondare i denti negli spinaci. Una manipolazione molto blanda, quella lì - ma sempre funzionale, perché per quanto fosse disposto a sacrificare se stesso, non avrebbe sacrificato Zero.
    Era la cosa più umana che avesse. Perso lui, cosa gli rimaneva?
    «non sei più il mio migliore amico» biascicò, fra una forchettata e l'altra, con un pollice inverso al fantasma. Lo sbuffo lo sentì più concreto di tutto il resto.
    «migliore? ma se sono l'unico.»
    Tempo di trovarne altri.

    «ma quanto cazzo hai scritto?»
    Le dimensioni – spazio temporali, ma sapete cosa? Anche fisiche, e morali - non erano nulla per Deal, figurarsi qualche quarta parete in calcestruzzo. Alzò il viso al cielo, le mani in tasca mentre continuava a pedalare per strade che non conosceva, di una città del tutto estranea. «eh,» eh «sai cosa succede quando vengo lasciato senza supervisione» un intero account pinterest nuovo, due playlist senza copertina, ed un figlio triste con un passato travagliato e tendenze psicotiche, nonché un intero arco opposto alla redenzione per la progenie della generazione precedente. Accelerò l’andatura, allargando le braccia per mantenere l’equilibrio mentre sfrecciava per le vie desolate di Londra. Non c’era neanche un’anima, e se a dirlo era un medium, la questione si faceva di un certo spessore. Per carità, sarebbe riuscito comunque a fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare, spontaneo nel creare situazioni e renderle problematiche, ma senza un pubblico perdeva parte del proprio fascino. Afferrò la collana con appeso l’orologio – l’unico che segnasse il suo corretto scorrere del tempo, diverso dagli altri – guardando ed ignorando quante poche ore avesse ancora a disposizione. Quando poteva, passava tutto il proprio tempo all’esterno, sotto sole, pioggia o stelle. Ahimè, aveva un coprifuoco che era costretto a rispettare come se la sua vita ne dipendesse, considerando che, effettivamente, la sua vita ne dipendesse.
    Superò un paio di persone. Tre. Cinque.
    Allungò pigro un braccio per assicurarsi che fossero vere, non fantasmi né allucinazioni, e quando ne travolse uno spingendolo a terra, aspirò sorpreso l’aria fra i denti.
    «colpa mia, pensavo fossi morto» gridò, senza fermarsi a prestare soccorso né guardarlo, osservando incuriosito quella che si risolse essere una fila.
    Sembravano delle formiche.
    Reclinò il capo sulla spalla, senza mai rallentare. Era musica?
    «non -»
    Troppo tardi, ma apprezzava il tentativo. Sapeva che esistessero metodi più efficaci per frenare – tolto il più ovvio e scontato, mh, fottutamente frenare, aveva studiato sia meccanica che fisica, entrambi utili nelle situazioni di emergenza – ma era un creativo, ed un’artista. Se qualcuno si fosse chiesto perché mai qualcuno in bicicletta, nella scarsamente abitata periferia di Londra, portasse un casco - ed uno integrale, perché una fedele rappresentazione di quello di Neil Armstrong; si, aveva il casco da astronauta. - ne avrebbe avuto la risposta: era ancora in accelerazione, quando si buttò a terra, rotolando per diversi metri sul cemento, e lasciando la bici a schiantarsi da qualche parte di fronte a lui. Tanto mica era sua.
    Abbassò lo sguardo sui vestiti strappati e impolverati, il sangue a macchiare il tessuto all’altezza di gomiti e ginocchia. «cazzi tuoi» «chi ti ha chiesto niente» Passò le dita sulle spalle, togliendo distratto qualche filo d’erba. Si tolse il casco, lanciandolo all’indietro senza guardare – non aveva bisogno di farlo, per sapere che Sally, l’infero che l’aveva seguito correndo per tutta Londra, l’avrebbe preso al volo. Voleva crederlo un atto di fede, malgrado sapesse di essere lui a controllarne i movimenti.
    Un principio di vertigini. Scompigliò i ricci stringendosi nelle spalle, guardando curioso il cancello della villa. Non lo sfiorò l’idea che potesse non essere invitato, e non fosse presenza gradita: nella peggiore delle ipotesi, l’avrebbero allontanato, ed avrebbe trovato un altro modo per entrare. Di principio, non perché gli importasse. Si chinò su un cespuglio all’entrata, strappando un paio di rose direttamente dal ramo. Se gli graffiarono il palmo, Deal sembrò non farci caso. Prevedibile che fosse stato educato ad inserirsi nella società, ed altrettanto immaginabile che il Bigh, quelle regole, le avesse personalizzate ai suoi modi, tipo presentarsi ad una festa qualsiasi sfasciato e spiegazzato, ma con un regalo per il padrone di casa. Trovava alquanto scorretto che il genere umano regalasse fiori solo ai morti.
    «ma cos’è»
    «una festa»
    «IL MIO PRATO!!! IL MIO?!?! PRATO!!!!!» Seguì con lo sguardo un tizio, basso e spesso, che inseguiva ragazzini passando loro attraverso, agitando nervoso delle cesoie traslucide.
    «nostro?»
    «nostro»
    E chissà quanti altri morti, erano mescolati ai vivi. Deal era: affascinato.
    «ohi, cazzoni, non dimenticate il cocktail di benvenuto»
    Cocktail di benvenuto
    , mimò, a nessuno in particolare, arricciando il naso in un sorriso nel guardare dove avrebbe dovuto prendere suddetto cocktail. Ma cos’era quella poverata. Non poteva che esserne euforico. Attese ancora qualche secondo, mentre i ragazzini – avvoltoi, in ogni mondo e vita: sara ptsd del panettone aperto a Natale al cnos, e sparito in un battito di ciglia fra le mani affilate dei gen z – si fiondavano sulla tavolata, prima di avvicinarsi a biondino uno, e biondino due. Li guardò senza dire nulla per un paio d’istanti, divertito da nulla in particolare, facendo rimbalzare occhi scuri dall’uno all’altro.
    «devi dire qualcosa.»
    «lo so»
    «sembri un maniaco»
    «sto pensando» Schioccò la lingua sul palato, sorridendo pigro ad entrambi come se non avesse appena avuto una conversazione da solo, ad alta voce. Si piegò in un inchino, offrendo una rosa con l’impronta del suo sangue a ciascuno dei due, come fosse la cosa più normale del mondo.
    «a buon rendere.»
    Dita alla fronte in congedo, con tanto di liquido scarlatto a scivolare lungo il braccio, ed una riverenza da parte di Sally ad ambedue. Si allontanò, fermandosi in un’altra pausa riflessiva di fronte al, mh, punch, prima di distrarsi ad osservare le finestre buie della villa. «andiamo a recuperare qualcosa di potabile?» Parlava al fantasma, ma se un essere vivente avesse voluto unirsi al furto di super alcolici dalla casa, meglio.
    I'm a warning sign
    Run, run, run, run, run, run
    Run for your life, I lose control of my mind,
    something they don't teach ya
    And I become a creature
    when09.06.2048
    london, ukwhere
    boarddeal?
    creature
    yonaka
    whobigh dealbabylegacy: moodhouseof memories
    mediumexp 000017 y.o.


    ovviamente vi faccio un sunto, im not a monster (...)
    - deal non ha mai frequentato hogwarts, quindi probabilmente nessuno lo conosce - a meno che non abbiate famiglie fike che lavoravano nei lab ai tempi d'oro degli Eletti, allora magari ci siamo visti alle cene di famiglia. manco viveva a londra, quindi. mah.
    - è un medium. ha un amico immaginario che forse è un fantasma e forse no. non è a posto. un po' tanto delulu, ma con buone intenzioni. fatevelo bastare come riassunto del suo carattere.

    - arriva alla festa in bici, accompagnato da un infero di nome sally che gli corre dietro (info importante)
    - fa cadere qualcuno passando. sentitevi liberi di essere molestati.
    - si lancia dalla bici per scendere, quindi si distrugge un po', perchè showbiz.
    - insanguinato e stropicciato, regala dei fiori - che ha staccato all'entrata - a tupac e baby jujoni
    - propone di andare a rubare l'alcool buono dentro casa. così. a cazzo duro
    - fine . secondo me la mia personale fanfiction dovrebbe valermi per almeno QUATTRO post per il censimento, ma ok, OK, vado a scrivere chi mi manca. gods
  2. .





    William Barrow era il paladino delle cause perse. Amava definirsi un sognatore pragmatico, di quelli che nelle storie impossibili ci mettevano testa e mano fino a renderle reali. Prendevano i disegni di un mondo ideale ed utopico, e lo modellavano con la creta fino a dargli forma e profondità. L’aveva fatto con la Resistenza, dando ordine al caos di una Gran Bretagna in subbuglio, quand’era poco più di un ragazzino, ed aveva continuato a farlo anche quando nessun altro ci aveva creduto. Quando al mondo non rimaneva un cazzo d’altro per cui combattere, William c’era, a grattare il pavimento soffiando la polvere in faccia a tutti i figli di puttana che avevano cercato di seppellircelo sotto. Tornava sempre, aggrappato a rocce di fortuna, perché ci credeva. Perfino in un mondo nel quale la sua mera esistenza offendeva nemici e potenziali amici, William Yolo Barrow ci credeva, abbastanza da essersi reso il punto fisso di un universo in continua evoluzione.
    Come ribelle.
    Come padre.
    Come l’uomo che all’altare scambiava convenevoli con gli invitati al suo matrimonio.
    Akelei Beaumont era stato il sogno più impossibile di tutti.
    Rincorso per anni senza interesse concreto, perché il bello dei sogni era che rimanessero tali. Il William adolescente che batteva languido pigre ciglia bionde prendendo le dita sottili di Akelei per posarle sul proprio collo, e ivi premere le impronte delle unghie laccate di rosso, la voleva solo astrattamente. Un desiderio carnale, placato in sospiri caldi e labbra e denti. Proibito. Una sfida ed una questione di principio, perché chi mai avrebbe detto che un qualunque William potesse sedurre una Beaumont? Avrebbe mentito, Will; negli anni, avrebbe detto che fosse stato amore a prima vista, ed avrebbe ricordato, sincero, di quando a quattordici anni aveva giurato che l’avrebbe sposata, ma non era stato amore a prima vista. La storia di Akelei Beaumont e William Barrow, per quanto Will ai posteri l’avrebbe dipinta come tale, non era una favola. Era una storia nuda, cruda, e violenta, fatta di bugie e letti sfatti e parole incastrate fra i denti, di anni senza vedersi e profumo sulle lenzuola; di non ricordarsi a vicenda, solo per tornarsi alla mente tutto insieme. Di due carriere diametralmente opposte, ma entrambe soffocate nel sangue. Di morti; di colpe.
    La verità era che non erano stati niente per tutta una vita, Will e Ake.
    Conoscenti di famiglie ricche e capricciose. Amanti rivoltosi ed annoiati. Adulti schiavi del desiderio. Poi era successo e basta: che Will allungasse una mano chiedendo ad Ake di rimanere; che la Beaumont indugiasse dove sapeva avrebbe transitato il Barrow per incontri fortuiti che al Fato avevano sempre lasciato poco. Ricordava una notte in cui il temporale all’esterno del suo appartamento aveva fatto vibrare i vetri della finestra illuminando la stanza a giorno, ed Akelei aveva stretto occhi e pugni; ricordava di averle preso la mano nella propria, forzandola ad aprirla, per intrecciare le dita alle sue, e ricordava di averla stretta contro il proprio petto, soffiando caldo un bacio sulla guancia, nascondendo entrambi sotto il lenzuolo. Non c’era stato nulla di sessuale, per una volta, ed in quel gesto, Will aveva inevitabilmente lasciato l’impronta del suo divenire inamovibile e concreto; aveva preso i fili d’oro della chioma di Akelei portandoli in un mondo tragicamente e drasticamente umano, quando li aveva respirati a pieni polmoni.
    Era successo e basta, che diventasse reale. Sempre impossibile, ma reale.
    Ed aveva continuato a succedere, perché una volta persa la presa sul terreno, non aveva più avuto alcun senso resistere. Aveva continuato a cadere, perché cadere per Akelei Beaumont era la cosa più naturale e spontanea del mondo – l’unica che sentiva gli appartenesse completamente, di cui fosse stato l’unico artefice perfino nel suo peggio. Non era stata una scelta quella d’inciampare, ma lo era stata rimanere per tutta la caduta. Anche quando faceva male. Di più, perfino. Non aveva potuto impacchettarle il suo essere William, perché quello era destinato alla Ribellione, ma aveva potuto infiocchettare il cuore annerito ed ammaccato che non aveva lasciato a nessun altro, perché se non a lei, a chi. Non poteva promettere tutto il suo futuro, William - anche se avrebbe voluto - e non poteva assicurarle che non l’avrebbe mai fatta soffrire - Dio, se avrebbe voluto - ma quello? Quello dipendeva solo da lui. Quell’amore selvatico, tenuto all’ombra per un’intera esistenza in favore di tutto il resto, perché nel Barrow c’erano prima la testa e poi l’anima. Poco avvezzo agli altri, e sicuramente mai stretto da altre mani, ma leale; feroce e crudele e solo suo.
    Non sapeva quando fosse successo, ma era successo. Giorni, mesi, anni, era successo. Erano cresciuti, cambiati; si erano persi e ritrovati.
    Non l’aveva mai amata per errore.
    Se n’era innamorato accorgendosene ogni giorno. Ogni fottuto giorno, William Barrow aveva saputo di amarla un po’ di più, e non aveva smesso anche sapendo a cosa sarebbe andato incontro. Non l’amava con l’abbandono ed il trasporto giovanile. Non l’amava con la devozione di una religione, cieco alle sue imperfezioni. La amava perché non avrebbe avuto senso non farlo. La amava perché lo rendeva felice, e completo, e reale, strappandolo al piano ideale in cui era un ribelle, ed un Barrow, ma così di rado una persona da rischiare di dimenticarlo. La amava perché , cazzo. Perchè . Perchè se tutti quelli che avevano usato quell’amore per condannarlo avessero davvero conosciuto la sua Akelei Beaumont, nessuno avrebbe potuto fare altro se non amarla. Amarla e basta, senza tormentarsi su cosa facesse per lavoro, da che parte stesse della sempre verde guerra che sconquassava le nazioni. In un mondo ideale, non avrebbe dovuto rendere conto a nessuno di come amasse Akelei.
    Quello non era un mondo ideale.
    Quando William aveva annunciato ai membri della Resistenza che si sarebbe sposato, li aveva anche informati che se la questione fosse stata un problema, il mondo era grande e loro erano liberi di scegliersene un altro lato. Non c’era stato margine di discussione pacifica, perché non erano cazzi loro con chi volesse passare il resto della sua fottuta vita. Sì, si scopava il nemico; sì, ci aveva anche messo al mondo dei figli; sì, intendeva farne altri; sì, voleva tenersela per tutto il tempo che gli fosse stato concesso – che immaginava essere breve: nessun William Barrow poteva arrivare ad invecchiare, neanche uno con una famiglia. - e , cazzo, la amava, e non doveva giustificarsene con nessuno. Non interferiva direttamente con loro. Era un rischio di Will: se fosse stato compromesso, avrebbe agito di conseguenza. Se avesse dovuto scegliere fra i Ribelli ed Akelei, sapeva cosa avrebbe scelto.
    Ma chi mai avrebbe potuto domandargli di farlo. Perchè avrebbe dovuto.
    Chi, guardando l’espressione gioiosa e onesta di William all’altare, avrebbe potuto pensare di obbligarlo a scegliere. Era felice. Per anni aveva pensato di non poterselo permettere, ed invece era felice, cazzo. Più di quanto avrebbe dovuto permettersi, tutto considerando. Incapace di togliersi dalle labbra il sorriso, e dagli occhi un amore di cui non si era mai vergognato, perché non pensava esistesse al mondo qualcosa di meno sbagliato dell’amare Akelei Elair Delacroix-Beaumont.
    Puoi fare affidamento su di me, spero che tu lo sappia.
    Per quanto? E se fosse fino a che morte non ci separi?
    Sì. Certo che sì.

    Quando tutto andava male, ed accadeva spesso, quel preciso momento gli impediva di perdersi. Pochi minuti rubati ad una festa per bambini, con indosso il costume di Elsa di Frozen, in sottofondo le risate degli infanti ed una musica che per mesi avrebbe popolato i suoi incubi.
    Lo sguardo sincero e morbido di lei.
    Le mani strette fra loro.
    L’orma (per intero no, quello l’aveva già donato da un pezzo.) del cuore sulla lingua.
    Il filo del vestito sull’anulare di Akelei. Una domanda che sapeva di promessa.
    Di voto.
    Quel mondo, William Yolo Barrow, l’avrebbe cambiato anche per lei. Non gliene fotteva un cazzo che Akelei combattesse dall’altra parte, e rappresentasse tutto ciò che in quella società non andava. Non funzionava così: non si amava solo chi lo meritava, e non si combatteva solo per chi sapeva apprezzarlo. Aveva odiato desiderarla quand’era stato più giovane, e stupido, ma mai, mai aveva rimpianto essersi innamorato di lei. Gli aveva fatto apprezzare vivere, lui che per venticinque anni si era limitato a sopravvivere (e neanche sempre); gli aveva donato tutti i colori di cui si era privato.
    Una famiglia. Avevano una cazzo di famiglia.
    Scomposta, disfunzionale. Era successa e basta, con quel guazzabuglio di bambini e non più adolescenti a cozzare fra loro e trovarsi sempre, completando un quadro altrimenti difettoso.
    Li guardò.
    Erano tutti lì, ciascuno a portare qualcosa di suo ed Akelei – l’espressione, la forma delle labbra, il colore degli occhi. Erano lì, a testimoniare che quel che erano lo erano già stati, perché Will ed Akelei si erano già persi e trovati una volta. Scelti ed amati.
    Non era una favola, ma la sembrava. William Yolo Barrow era del tutto intenzionato a prendersi il suo lieto fine con le unghie e con i denti, se necessario.
    Spostò lo sguardo sul resto della famiglia. Niamh, che perfino in quel momento, se il labiale non lo stava tradendo, gli chiedeva quale droga avesse somministrato ad Akelei per convincerla a sposarlo; Eugene, gli occhi gonfi di lacrime che sapeva lo sarebbero stati anche senza gli ormoni della gravidanza a pesare sulla sua emotività; Mitchell, che c’era stato sin dall’inizio, e Nelia, che di dubbi su di loro non ne aveva mai avuti. Scambiò un cenno con ciascuno di loro, rimbalzando inevitabilmente il sorriso sul volto dei suoi bambini un po’ cresciuti.
    Sarebbe sempre atterrato su di loro, lo sguardo ceruleo del Barrow.
    Li amava, sapete. Perfino gli acquisiti recenti. E quel tipo d’amore, al contrario di quello che provava per la madre, non era razionale - lo sapeva. Non riusciva a sentirsene in colpa, pur essendo una creatura generalmente logica. Non aveva senso che li amasse, ma non aveva bisogno che lo avesse. Le prime note di organo gli fecero saltare il battito in gola.
    Non era nervoso. Perchè avrebbe dovuto? Non c’era nulla di cui fosse più certo al mondo che di volere quella vita, con la donna che sapeva avrebbe percorso la navata di lì a poco. Era emozionato, ed abbastanza certo che entro fine cerimonia avrebbe dovuto chiedere al* Jackson dei fazzoletti per le proprie lacrime, ma non agitato.
    Vide Akelei, e si sentì ancorato. Un punto fermo. Il giorno dopo il mondo avrebbe potuto finire, ma lui avrebbe avuto quel momento: l’istante in cui aveva visto Akelei Elair Delacroix-Beaumont fare il primo passo verso il loro per sempre.
    Reale. Era tutto fottutamente reale.
    Un passo, ed il pensiero tornò al Barrow che la osservava fra i corridoi di Hogwarts.
    Due passi, ed erano alle infinite cene di famiglia dell’elite inglese.
    Tre passi, ed era Will a domandarle perchè lo stessero facendo.
    Quattro, ed erano in Francia al loro primo vero appuntamento.
    Cinque, e Akelei bisbigliava di amarlo come un segreto ed una confessione.
    Sei, e Barrow si presentava come Lynch Beaumont-Barrow.
    Sette, le foto con Lynch e Ronan e Meara e Eli Jr ed Elizabeth e Renèe.
    Otto, ed un infermiere aveva fasciato la mano del neo papà, graffiata a sangue dalla neo mamma, perché potesse prendere in braccio i due neonati.
    Nove, ed era ogni mattina con la testa di Akelei sul proprio petto.
    Dieci, e la Beaumont lo guardava dal tavolo della cucina mentre falliva nel preparare pancake.
    Undici, per quanto?
    Dodici, un giorno? Un mese?
    Tredici, e se fosse per sempre?
    Quattordici, ed era lì. Alla base dei gradini.
    William aveva occhi solo per lei. Il viso dai tratti delicati, le labbra decise, i curiosi occhi acquamarina a minacciarlo silenti di non fare stronzate, William. e ma quindi è vero che ti amo, e sì, sì cazzo, era proprio vero, e le sorrise perché non avrebbe fatto stronzate, e stava succedendo davvero. Akelei aveva sempre avuto una bellezza disarmante, ma non si era mai sentito interamente devastato quanto in quel momento. Non era l’abito a fare la differenza, perché per guardarlo avrebbe dovuto distogliere lo sguardo dal volto di Akelei e non voleva; di certo non il trucco, anche se la rendeva eterea ed inaccessibile. Era la gioia. Akelei era felice, e William continuava a pensare sono stato io; è di noi che è felice, e non poteva che meravigliarsene. La guardava come fosse la cosa più bella che avesse mai visto, perché la era.
    «beaumont» soffocò a mezza voce, incapace di farcire quel saluto dell’usuale ironia. Si obbligò a deglutire. A respirare. Offrì la mano perché potessero stringerla fra loro, aggrappandosi a lei come un naufrago in mare aperto. Si sentì abbastanza se stesso da mormorare «hai fatto perdere un sacco di soldi ad un sacco di persone» perché avevano scommesso che non si sarebbe presentata, ed invece potevano tutti succhiargli l’uccello (platonicamente, s’intendeva: non poteva più permettersi certe libertà, l’adulterio era un peccato!), e si tacque subito dopo, persistendo nel sorridere.
    Devastato. Distrutto.
    William Barrow sarebbe morto da uomo felice, perché anche se non avesse avuto nient’altro, aveva avuto quello.
    Il momento delle promesse. Le dita di Will tremarono, nel cercare quelle di Akelei. Strinse i polpastrelli sulla solidità dorata dell’anello, sospirando di sollievo quando scivolò sull’anulare della donna. Non si tornava indietro da quello. Con la mano libera, frugò nella tasca della propria giacca.
    Avevano già avuto quel momento.
    Il giorno prima, con pochi intimi a testimoniare la vulnerabilità di quel sentimento.

    Una prova, avevano detto ai figli trascinati fuori dal letto di ritorno da addii al nubilato e celibato più o meno distruttivi. William l’aveva guardata, accarezzando l’anulare dove sarebbe andata a posarsi la fede, e non aveva mai distolto lo sguardo dai suoi occhi, mentre le diceva
    “Non ti ho amata dal primo istante. E neanche dal secondo.
    Eri un capriccio. Un vizio. Eravamo bambini, e non era il nostro momento. Dovevamo crescere per capirci, e trovarci. E tenerci, prima come un segreto e poi con il timore di perderci di nuovo.
    E magari ci perderemo, un giorno. Ma voglio poter dire che ci abbiamo provato, Ake. Non riesco ad immaginare un solo maledetto istante della mia vita in cui tu non ci sia, e non voglio farlo.
    Sei stata il mio passato, sei il mio presente, e mi renderesti l’uomo più felice del mondo se rimanessi il mio futuro. Lo voglio con te. Questa famiglia, la voglio con te. Questa vita, Akelei Beaumont, la voglio con te. Voglio svegliarmi avendoti al mio fianco, ed addormentarmi con il tuo respiro a scandire la notte. Voglio continuare a sceglierti. Voglio indicarti il primo capello bianco e premere il pollice sulle rughe vicino alle labbra, sapendo che quei sorrisi sono stati anche miei.
    Voglio continuare a crescere con te. Invecchiare con te.
    Non ho mai amato nessuno quanto amo te.
    Non abbiamo avuto quel primo istante.
    Con questo anello, mi impegno ad essere l’ultimo”


    Prese il foglio dalla tasca.
    Un post it. Stropicciato, per giunta. Battè le palpebre per scacciare le lacrime, e riuscire a leggere l’inchiostro sbavato sulla carta. Il sorriso a curvare le labbra, era solo per Akelei.
    Lei sapeva. Del resto del mondo, non gliene poteva fottere un cazzo di meno.
    Lo girò perché potesse leggerlo, prima lei e poi gli invitati delle prime file, senza mai distogliere lo sguardo dalla donna.
    Un respiro. Due.
    Il cuore in ogni dove.
    «”ti amo”», lesse comunque.
    Prima di baciare sua moglie.
    I wanna be, wanna be where you are
    I wanna feel, wanna feel twenty-one
    Going straight to my head like you used to
    Wouldn't change anything
    that we've been through
    when3 september 2023
    avignon, provencewhere
    board'till death do us part
    straight
    to my head
    you me at six
    whowilliam barrowrolegroomoutfitdress
    inforebel's bossinfo30 y.o.infohappiest man alive!!!$$$&&


    sconclusionato ma entusiasta come me. did i cry? a little. nobody's business.
    se speravate di avere indicazioni da me su come si procederà da qui in poi, avete sbagliato persona.
  3. .
    «la monogamia ti fa male» [ sara in background che si concentra fortissimo su ogni lettera presente sulla tastiera ] Battè rapido le palpebre, spostando lo sguardo ceruleo dalle proprie dita alla sorella. In un qualsiasi altro contesto, si sarebbe trovato d’accordo, ma la monogamia con Akelei fuckin Beaumont? Facilmente sopportabile. Inarcò un sopracciglio, sbuffando piano un verso di gola. «gelosa perché a te non piglia nessuno?» sollevò il labbro superiore per mostrare i denti in un ghigno, scrollando una spalla e mostrando con orgoglio l’indice su cui svettava l’anello di promesso alla capo cacciatrice. Aveva tanti rimpianti, William Barrow, e tante vergogne, ma la sua futura moglie non sarebbe mai rientrata in nessuna delle due categorie – o anzi, lo faceva così tanto da auto escludersi diventando genere a parte. «o è colpa dei miei nipotini preferiti. hai mai pensato di far scivolare un po’ di sonnifero nel latte? Chiedo» Sinceramente? Spesso. Gli piaceva essere padre durante la giornata, malgrado richiedesse più attenzioni di quanto fosse abituato a dare, ma di notte…? Un incubo. Una blasfemia. Spesso il Barrow si era dilettato a pensare a quanto la loro vita sarebbe stata più facile se avessero intinto il ciuccio nella cocaina, ma si era sempre trattenuto: non era contrario alle droghe, ma avrebbe almeno aspettato che fossero abbastanza grandi da sceglierla da sé. Un po’ come il battesimo – anzi, forse esattamente come il battesimo: ogni famiglia poteva scegliersi il proprio rito, e se i cristiani volevano un po’ d’acqua sulla fronte, i Barrow potevano tenersi una sniffata di polvere bianca con cui entrare ufficialmente nel mondo degli adulti. «Certo che sì, vuoi mica contare su Isaac per queste cose?» Sempre un tasto dolente, per il Barrow maggiore. Arricciò appena il naso, spostando gli occhi sul pavimento. Dopo anni, ancora non aveva idea di cosa fosse esattamente successo ad Isaac Lovecraft. Sapeva non li avesse traditi, e tanto gli bastava per andare avanti con la sua vita, ma non sapeva cosa gli fosse capitato di preciso, e quello restava uno dei numerosi tarli a tenerlo sveglio di notte. Com’era successo al Lovecraft, poteva succedere a ciascuno di loro. Era stato il Ministero? Un organo esterno? Un libero professionista? Domande che non poteva certo porre al diretto interessato, e che immaginava sarebbero rimaste senza risposta. Non capitava spesso che un ribelle perdesse la via, ma abbastanza di frequente perché non diventasse una questione primaria, sì. Umetto le labbra, poggiando la testa contro lo stipite della porta. «non conto su isaac per molte cose» sillabò, tirando le labbra in un sorriso che si finse divertito senza esserlo davvero. «Lo sapevi che una vodka da quattro galeoni è diversa da una da dodici? Pensavo sapessero di benzina e basta» Osservò Niamh da sotto ciglia bionde, allargando il distratto sorriso sulle labbra. Conversazioni più semplici rispetto a quelle che avrebbero dovuto affrontare; poteva farcela. Umettò le labbra, indicando il loro piano bar con un cenno del capo. «teoricamente, sì. In pratica dipende tutto dal perchè stai bevendo» commentò, distratto ed assente. William Yolo Barrow era cresciuto nella bambagia, e sapeva perfettamente quale fosse la differenza fra alcolici di marca e sotto; semplicemente, non gli era mai importata. Difficile che l’ex Corvonero bevesse per il piacere di farlo, ed altamente più probabile lo facesse per dimenticare, seppur brevemente, tutto il resto. Il mondo era un posto grande e terrificante, quando avevi appena compiuto trent’anni ed eri il leader del nucleo inglese della Resistenza. Responsabilità, pesi sulle spalle. Persone con cui aveva combattuto fianco a fianco da guardare in faccia, nella maledetta faccia, e dir loro non potessero rimanere Ribelli perché troppo pericoloso. Instabile. «Te lo faccio solo se mi prendi le bottiglie» [sara che non sta neanche di cosa stiano parlando] Will infilò una mano in tasca recuperando la bacchetta ivi riposta [oddio. C’è un bambino che urla fortissimo. Tipo film horror, vabbè] per reclamare con un silente accio quanto richiesto dalla sorella, sorridendole nel posarle sul tavolo. Prese posto su una delle numerose – oh, così numerose – sedie vuote del QG, poggiando il mento sul palmo della mano. «ti piace?» creare drink; lavorare in un bar. Non ricordava di averglielo mai chiesto, ed ogni momento era buono quanto qualsiasi altro. [sempre bambini che urlano, mia madre che mi parla; non ho idea di cosa mi stia dicendo] «cosa ne pensi dei bordelli? opinioni, pro, contro? non sto assolutamente facendo un'indagine di mercato per eventi futuri» Doveva avere un’idea… precisa? Specifica…? In merito a ...cosa. Corrugò le sopracciglia, osservandola mentre si dedicava alle preparazioni. «temo di aver bisogno di più contesto, sorellina. Non sono contrario, se è quello che mi stai chiedendo» quando mai. «e credo che possa soddisfare diverse… fantasie. Anche se nulla è entusiasmante come cercare prostitute sulla strada. È come giocare ai pokèmon, ma con la vagina» William Barrow, fonte di saggezza dal lontano 1993. Come avreste fatto senza di lui come leader della Ribellione! «immagino sia più comodo sapere dove trovarle. Vuoi investire in un bordello?» Aspirò l’aria fra i denti, ignorando il suo monito ad usare un posacenere. «vuoi regalarmene uno per il matrimonio non si sapeva mai.
    william yolo barrow
    Some don't care
    about the ones they hurt
    Some just wanna see
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    29 y.o.
    rebel's leader
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  4. .
    Il futuro era sconosciuto, ed il presente incerto.
    Forse il mondo era già collassato su se stesso. Forse l’avrebbe fatto di lì a poco, in un battito di ciglia; forse stava avvenendo in quell’esatto momento, con un William Yolo Barrow intento a versare del whisky nella tazza che i comuni mortali usavano per la colazione. Abbastanza ampia da poterci affogare dentro, come il secchio di una DA che non aveva vissuto, ma dai racconti di Euge era come l’avesse fatto. Non era metodico in tante cose, ma lo era nello svitare il tappo delle bottiglie contenenti alcool: preciso, secco. Spinse con il pollice tenendola dal collo, una sigaretta a bruciare fra le labbra dischiuse. Senza ghiaccio, perché occupava troppo spazio che avrebbe potuto destinare ad ingredienti migliori. Infilò l’indice della mano libera fra il petto e la camicia, tirando fino a che il bottone non uscì di sua spontanea volontà dall’asola.
    Non c’era nessuno quel giorno al Quartier Generale.
    Linee sempre più sottili, fra i ribelli.
    Un problema per un momento più consono e sicuro, quando le carte fossero state scoperte ed il gioco fosse concluso e iniziato di nuovo.
    Sentì una risata, e ne seguì il suono fra le vuote pareti dell’edificio. L’eco di un fantasma a riecheggiare da un lato all’altro del corridoio, guidando Will verso la cucina come un viandante accompagnato da fuochi fatui. Familiare. Non da tutta una vita, ma familiare comunque, a risuonare nelle ossa di tutto il sangue che non condividevano, e di cui non avevano bisogno.
    Niamh Lynch Barrow era sua sorella, e non importava quanto non la fosse. Si erano trovati e scontrati, ed il maggiore l’aveva presa sotto la propria ala scegliendola fra sconosciuti e decretandola famiglia. Ne aveva bisogno, di quei legami lì. Nati per caso e per voglia, considerando che i Barrow precedenti l’avevano odiato e disprezzato tutti. Ed aveva bisogno di lei, sempre. In quel momento, forse, perfino un po’ di più, perché c’erano giorni in cui l’essere a Capo della Resistenza pesava sulle spalle di Will come un fottuto macigno, schiacciandolo di consapevolezze che tendeva ad evitare di riconoscere - tipo quanto fosse fottuto, da parte sua, continuare a legare la propria vita a quella di chi stava dall’altra parte della barricata, sperando un giorno di distruggerla e poter creare un ponte. Come se quell’ipotetico ponte potesse essere costruito d’altro se non sangue ed ossa, loro e suo.
    Appoggiò una spalla all’entrata, caviglie incrociate a reggere il peso del corpo.
    Non trovava affatto strano trovare la ragazza impegnata a bere e parlare da sola, anzi, ma non poteva fare a meno di stupirsi del trovarla punto: gli era mancata. Cristo, certo che gli era mancata. «allora lavorare al platinum ti è servito a qualcosa» esordì, avvicinando la tazza alle labbra, sorseggiando il suo whiskey liscio senza battere ciglio. Un classico dei Barrow imparare a fare cocktail, così da fomentare l’alcolismo insito in ognuno di loro.
    Ma proprio tutti tutti, eh. Anche il suo pronipote tendeva ad alzare il gomito, e lui era un bravo ragazzo; tutto dire.
    «non dovrei mischiare, ma se ne fai uno anche per me, non dirò di no» le sorrise da sopra la ceramica, aprendo il palmo per buttare la cenere bollente nella mano. Di nuovo, non fece una piega.
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    william yolo barrow
    Che scambio di battute peculiare. William fu in parte tentato di tenerla all’entrata ancora un po’, lasciandola sulle spine con curiosi occhi blu ad osservarla indagatori, ma quella era una strategia che usava con i suoi alunni, non con i suoi figli. Non voleva davvero far sentire a disagio Ellis, neanche per un po’ di (in)sano divertimento. Conoscere la Drinkwater prima di scoprire fosse sua figlia, aveva reso quella reunion … diversa. Sersha, Barrow e Sandy erano stati suoi studenti, ma quasi nulla più; Mads l’aveva conosciuta dopo la rivelazione. Ellis? Erano anche andati a scuola insieme, per l’amor di Dio. La ricordava minuscola, ed un po’ già fatta perfino appena approdata ad Hogwarts.
    Prese la canna di Ellis, spegnendola delicatamente sul posacenere esterno. Viveva con dei bambini, tendeva a non fumare spinelli all’interno della dimora – poi perché farlo, quando avevano un giardino ed un gazebo apposta per la fattanza. Eh! «per dopo» le disse, infilandola in tasca con un occhiolino. Ne avrebbero avuto bisogno.
    Lui, di sicuro.
    «posso entrare per una birra?»
    Si spostò, facendole cenno di accomodarsi. «anche due» accennò un sorriso, chiudendo la porta alle spalle della ex Corvonero. Non si soffermò nuovamente a guardare le foto appese nel corridoio, e non si girò per guardare se invece la ragazza stesse adocchiando le pellicole della famiglia che avrebbe potuto avere. Cosa avrebbe potuto dirle? Doveva chiederle scusa? Sapeva di avere dei figli da anni, ed ancora non aveva la più pallida idea di come approcciarsi all’argomento. Aveva scelto di non farlo, perlomeno non nel modo profondo e riflessivo che avrebbe richiesto. La anticipò in cucina, aprendo il frigo per prendere un pacco da sei – William non era schizzinoso, e per principio tendeva a comprare birra sottomarca, così da mantenere indenne il proprio fascino da pezzente e vagabondo – e poggiarlo sul tavolo.
    Il caffè a dopo, a quanto pareva. Rivolse solo un’ultima occhiata nostalgica alla macchinetta, prima di prendere posto dalla parte opposta di Ellis, e porgere ad entrambi una lattina. Senza bicchiere, perché quella era roba fancy e non era così che si comportavano i Barrow nel loro habitat naturale. «e quindi,» iniziò, mischiando un sospiro ed un sorriso, le sopracciglia a scattare verso l’alto.
    E quindi.
    «sei qui per…?» come vecchia conoscenza? Per riallacciare i rapporti? Chiedergli dove fosse Ashley? Insultarlo? Ucciderlo? Sì, la vita di Will era così variegata, che capitava spesso tutte le opzioni fossero corrette.
    i'm about to say fuck it
    & leave this realm

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    I might be the villain in somebody else's story, but that's fine
    Citando un vecchio saggio, ah shit here we go again. Gli mancavano i tempi in cui la Resistenza non era fatta di zone grigie e nemici arcaici. In cui l’obiettivo comune era sovvertire il sistema, dare ai cittadini la libertà di ricordare ciò di cui erano stati privati, e costruire una società uguale per tutti in cui sopravviverci non fosse una botta di culo.
    Prima che i loro colleghi decidessero di giocare a fare Dio nei Laboratori.
    Prima che i Presidi iniziassero la loro partita a Risiko usandoli come pedine sacrificabili.
    Prima dei viaggi nel tempo. E nelle dimensioni.
    Prima di Abbadon.
    A William Barrow sembrava che ognuna di quelle circostanze, anziché spingerli a fare maggiormente fronte comune, li avesse divisi e spezzati, creando più crateri che ponti. I rapporti con i nuclei ribelli esteri, si erano fatti più guardinghi e meno fiduciosi. All’interno della stessa resistenza inglese c’erano malumori e disaccordi, e non del genere di cui si potesse parlare davanti ad una birra, mandarsi a farsi fottere vicendevolmente, e andare avanti su una strada comune. No. Un tempo era stato così. Ricordava i dibattiti con Keanu, erano troppo diversi per essere sempre d’accordo, le parole crudeli ed i pugni sbattuti sul tavolo dall’uno o dall’altro; ricordava anche che gli avrebbe affidato la propria vita in qualunque momento, e l’aveva fatto, perché sapeva gli avrebbe sempre coperto le spalle – e lui a Keanu.
    Qualcosa doveva essere successo, per aver tolto quello dall’equazione. Una parte fondamentale. Il Barrow faceva scivolare pigri occhi azzurri sulla stanza, e si domandava quanti di loro avrebbero preferito vederlo morto, che seduto fra loro. Lui, per i ribelli, aveva ed avrebbe sempre sacrificato tutto, indipendentemente da quanto essi trovassero discutibili le sue scelte e la sua mera esistenza. Tra l’aver perso la memoria e l’essere stato catapultato nel futuro, si era dimostrato inaffidabile. Non per volontà sua, ma cambiava forse i fatti? Ancora dopo anni non era certo di come colmare quella lacuna, di come rendere la Resistenza quello che era stata: unita, e non solo sotto una bandiera comune. Forse quello che stava accadendo, era esattamente quello di cui avevano bisogno.
    Un apocalisse.
    Sorrise, vacuo e distratto.
    Pur già a conoscenza di quanto detto, riascoltò comunque quanto scoperto in quei mesi, ingenuamente sperando che avesse più senso della volta precedente. La cosa più terribile di tutte era che, a ben pensarci, un senso c’era eccome: Will, semplicemente, non voleva crederci. Spostò l’attenzione su Moka alla menzione del Bennett, ma non disse nulla. Tutti lì dentro avevano sacrificato tanto, ed erano consci avrebbero dovuto dire addio a tanto altro - e di fatti, il giovane non si scompose, irrigidendosi appena. Il poker del mercoledì serviva anche a quello. Nessuno si era stupito quando il Barrow aveva proposto quella serata – era un personaggio peculiare e goliardico, facile da inquadrare - mensile, ed in pochi avevano schioccato la lingua sul palato con disappunto. Poteva sembrare l’ennesima perdita di tempo di quello che un tempo era stato qualcuno, ed ormai si era venduto al nemico, ma chi c’era da più tempo sapeva che raramente Will faceva qualcosa senza un reale scopo. Avevano bisogno di quei momenti. Non avevano tempo di piangere i loro morti, ma almeno potevano continuare a ricordarsi che ci fosse ancora qualcuno di vivo per il quale combattere. Che ne valesse la pena. Che un dito – due, cinque, dieci – di whiskey in compagnia, ed una – due, cinque, venti – lacrima a scivolare silente sulla guancia ignorata ma non negletta, non avrebbe curato tutto ma avrebbe creato quel senso di unione che sempre più pareva mancare. Conosci i tuoi nemici, dicevano, dando per scontato di sapere già tutto sui propri amici.
    «Lamovsky che si fa un viaggetto fuori porta per scambiare due chiacchiere con una della milizia?» Curvò un angolo delle labbra verso l’alto, condividendo l’assurdità della situazione. «lamovsky era il braccio destro di vasilov, cosa ci dice che non stia cercando di finire quello che avevano iniziato? non escludo che lui e abbadon abbiano trovato un accordo che benefici entrambi» Ecco, appunto.
    Dragomir Vasilov, nessuna pace all’anima sua, era stato … difficile da inquadrare. Sapeva odiasse i babbani, e tutto ciò che non fosse puramente magico, ma mai avrebbe immaginato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe fatto riemergere dalle profondità del cazzo d’inferno, un Abbadon. Uno stratega. Un fottuto genio del male, perfino negli errori più eclatanti. Brillante, avrebbe suggerito, se non gli avesse fatto guadagnare occhiate guardinghe. Lamovsky? Ivan non era nessuno. Aveva raccolto tutto quello che Vasilov aveva seminato, concedendo dove gli fosse stato chiesto di concedere – la tregua con la Francia, ad esempio – ed era rimasto a godersi il potere sul proprio trono. Non aveva le mire conquistatrici del Drago. Era un’opportunista, un plebeo che si fosse visto consegnare la corona dall’oggi al domani.
    Voleva essere ottimista, Will, e credere che quell’incontro fosse la nascita di un colpo di stato interno. Qualcuno ai piani alti che fosse improvvisamente interessato alla carica di Oshiro, se non addirittura una follia pazzerella del buon Ivan, risvegliatosi dal suo sonnellino di bellezza. Avrebbe anche avuto una sua logica, se non fosse stato per il fatto che la donna sembrasse sempre trovarsi dove cazzo non doveva – viaggi onirici di diverso tipo, per intenderci. Sapeva un po’ troppo su un po’ tante cose.
    Quindi.
    Incrociò le braccia sul petto, rilassando le spalle contro lo schienale della sedia ed offrendo un’occhiata fiera a Cherry. «ditto. come accennava la nostra collega:» per chi si fosse perso gli ultimi episodi di pretty little liars. «nel 2020 vasilov ha in qualche modo… rotto un sigillo storico che teneva intrappolato tale abbadon nelle profondità del lago nero. Voleva controllarlo, e sottometterlo al suo volere. Seth ci ha dimostrato di essere in grado di fare… grandi magie» tipo riportare in vita i morti senza alcun sacrificio necessario: pochi anni prima, per far tornare a battere il cuore dei caduti, avevano dovuto legare anime e sangue. «e poi è sparito. Motivo per cui il Ministero non ha attivamente cambiato nulla» Passivamente sì, come avevano riportato le spie. «o almeno, così sembrava. Ma sabine? mh.» Le coincidenze non piacevano a nessuno, ed ancor meno i battiti di ciglia distratti di chi lavorava al Ministero, ed al quale veniva chiesto quando, esattamente, fosse giunta lì. «quello che crediamo» lui e molti dei ribelli che avevano vissuto il QG nell’ultimo periodo; quell’aggiornamento di trama, era solo per i player i più sfuggenti, o quelli maggiormente impegnati sul campo. «è che sia l’infiltrata di abbadon, se non lui stesso. Magari una parte della sua magia diventata qualcosa» a quel punto, non lo stupiva più un cazzo di niente, ed offrì deboli spallucce ai compagni. «di conseguenza, non sembra che quell’incontro sia un’alleanza britannica – slava» anche se l’avrebbe preferito. Alzò gli occhi al cielo, cercando una risposta sul soffitto del Quartier Generale. «potrebbe, non mi sento di escluderlo. ma...» lasciò cadere la frase, un cenno allusivo alla bionda ed a quanto aveva detto, perché era alquanto scontato quale fosse l’alternativa a frullare nella mente dell’ex Corvonero – una di cui avevano discusso, fra capi e soldati indistintamente. Una sussurrata, fra risate rauche e occhi strizzati.
    Che lavorassero insieme. E che fosse una pedina anche Lamovsky- l’ennesima – perché l’uomo, da solo, non era in grado di fare nulla. Che qualcuno stesse usando il suo potere e la sua influenza per qualcosa, promettendo non sapeva che, ed erano quelle incognite a rendere tutto nebuloso e, nella sostanza, un cazzo di niente. Solo teorie. Solo le più logiche e le più pericolose. Vedere come la Oshiro si fosse dimostrata più tollerante nei confronti degli special, suggeriva che anche Kimiko ci avesse provato – a tentativi ed errori.
    Più i secondi dei primi, a giudicare dal malumore generale di piani alti e bassi.
    Si volse poi verso Tristan. Ptolemy poteva anche essere il loro one man army, l’ombra di cui avevano bisogno, ma Tristan era la spia che meritavano: davvero nessuno si accorgeva di lui, perfino Will doveva concentrarsi per ricordarsi fosse nella stanza, e tutti lo sottovalutavano da non pesare assolutamente alcuna parola quando lui era nei dintorni. E sembrava… così, no, superficiale, ma seppur a suo modo, ricordava sempre tutto. Gli sorrise, un «e sei stato molto bravo» sussurrato e necessario, perché ai loro colleghi non sembrava piaciuto molto il fatto che l’Horner avesse trovato divertente la distruzione della Lanterna. Will trovava quel suo essere così spontaneo, lo rendesse ancora più efficiente. Schioccò le dita per attirare le attenzioni di Wren. Non era stato suo segretario molto a lungo – per nulla in effetti, pareva quasi – ma non ufficialmente ancora lo restava, ed era certo che da qualche parte nella montagna di post it che il geocineta conservava perché avrebbero potuto servire, ci fosse anche quello adatto a rispondere alle domande della spia.
    « […] un codice lunghissimo che ho segnato su un fogliettino e che ho consegnato alla responsabile. Tranquilli, dovrei averne una copia!
    […] hanno nominato Shaftesbury. A voi dice niente?
    […] il 7 agosto
    […] articoli di giornale relativi a città fantasma
    […] I siti che avete menzionato prima, hanno dietro storie e racconti particolari? Sono famosi per qualcosa di specifico?
    […] Credo una ragazzina abbia trovato un’agenda e abbia nominato un certo Domnall Guinne, esperto di magia rituale e un altro ragazzo parlava di un certo Casimir Lamoine»

    Avevano trovato il post it misterioso? Certo, sotto diversi fogliettini colorati riportanti gli ordini da fare su JustEat e le password di Will, e cercò con lo sguardo le risposte alle domande dell’altro. In effetti, forse non tutti avevano avuto tempo di recuperare quello che sapevano. «sì, erano tutti parte delle indagini di Helianta, mh vediamo… le coordinate appartenevano ad un sito di recente interesse a causa di avvenimenti particolari – una zona morta, hanno riferito le fonti – shaftesbury è stata distrutta ed è diventata una città fantasma, il libro su Guinne e i suoi studi suggeriscono che Heli stesse cercando dei pattern fra gli avvenimenti, correggetemi se sbaglio» magari anche un modo per evitarli e prevederli. «Lamoine? Studi sulla genetica» cercò lo sguardo dei Guaritori e Medimaghi presenti, più informati di lui in materia. Erano giunti alla conclusione che «per cercare di capire… cosa sia abbadon» scandì, perché ancora nessuno di loro aveva una risposta a quella domanda. Puntò un dito contro Tristan, rimbalzandolo poi fra lui e le spie. «sono tutte teorie, ce ne ha parlato qualcuno un po’ di tempo fa» sentitevi liberi di essere quel qualcuno. «non hanno nulla in comune, i siti degli avvenimenti, ma sembra ci sia sotto una storia riguardanti… linee d’energia e coincidenze di esse. Comunque non abbastanza specifico da capire in base a cosa, o come» o perché, ovviamente. Tamburellò il mignolo sul tavolo, sospirando piano. «l’opinione che va per la maggiore, è che siano tutte prese di corrente» non era certo di chi avesse dato quel suggerimento per primo – Zac, forse, o Kyle; JD? - ma aveva in qualche modo una sua… logica. «per ricaricare qualcosa» o peggio. «qualcuno» mormorò.
    «Ma se noi abbiamo riconosciuto la Lafayette con Helianta, non penso che il Ministero questo dettaglio sia sfuggito» Amore santo. Gli diede una pacchetta sulla spalla, sorridendo bonario. «eh amo, speriamo non abbiano i nostri stessi paparazzi» a suggerire che speranzosamente, fossero gli unici in possesso di quelle foto.
    Era un altro però il dente in bilico di Will. Quello su cui premeva continuamente con la lingua, il suo dubbio più grande.
    Lamovsky era stato avvisato con Sabine.
    Lafayette sui siti distrutti.
    Sospirò, massaggiandosi le palpebre abbassate. C’era ancora un protagonista a mancare in quella storia, uno che si vantava di essere custode dell’equilibrio, che aveva colto ogni occasione per non farsi i cazzi propri, e che invece, in quel contesto specifico, ancora non aveva fatto nessuna mossa. Era preoccupante.
    «chissà quel figlio di puttana di Lancaster»
    Abbassò maggiormente il tono di voce: «comunque auguri niamh» qualcuno doveva dirlo.

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.


    TAKE ONE FOR THE TEAM!
    prendendo spunto da cherry e moka, fa un recap di quanto accaduto negli episodi precedenti, suggerendo un rapporto intimo fra lamovsky e sabine - non di quel tipo, forse, ma chissà
    poi risponde al buon tristan, sentitevi liberi di essere le fonti citate da will (!!!), citando i Fattacci e le linee energetiche
    e poi chiede dove sia lancaster.
  7. .
    nickname: #epicwin
    role attive:
    1. FAKE
    2. KAZ
    3. MOOD
    4. MAC
    PE accumulati sulla carta fidelity: 20
    scheda livelli:
    Maeve
    Erin
    Rea
    Idem
    Jane
    Jamie
    Fake
    Melvin

    William
    Lydia
    Fray
    Jericho
    Poor
    Kaz
    Troy
    Bennett

    Stiles
    Arabells
    Heidrun
    CJ
    Mood

    Hyde
    Barbie
    Yale
    Mac


    aggiornato

    !!

    Edited by ‚soft boy - 1/2/2023, 16:38
  8. .
    william yolo barrow
    «vado a cercare nostra figlia»
    «quale?»
    Ashley non aveva preso bene il suo tentativo di sdrammatizzare – probabilmente conscia che non fosse affatto un tentativo di sdrammatizzare, e davvero non sapesse quale dei figli fosse disperso. - e se n’era andata senza neanche rispondere. L’avrebbe considerata alquanto rude, se solo non l’avesse conosciuta abbastanza da sapere che passare per un saluto senza alzare le mani fosse quanto più di civile potesse ottenere dalla Stewart. Ricordava come fosse stato qualche giorno prima - proprio uguale uguale! - quando aveva scoperto avessero due figlie, e che una delle due vivesse con Anjelika Queen. Come passava il tempo quando ci si divertiva.
    Comunque. Una delle gemelle era stata rubata da Damian, il che significava che fosse giunto il momento di aggiornare il drive. In che senso quale drive? Questo:

    FIGLI DI WILLIAM YOLO BARROW NATI IN QUESTA LINEA TEMPORALE

    Antares: 27.05.2014 . Per qualche motivo, vive con Anje. Vai a capire le donne.
    (EDIT DATA ODIERNA: rapita damian? Unclear, ci pensa ash)
    Elizabeth: 27.05.2014. Un weekend al mese con me.E baby sitting.
    (EDIT DATA ODIERNA: si è stabilita in pianta stabile perché la madre è fuggita? Chissà. Chiedere ad Ake se possiamo tenerla)
    Eli JR: (chiedere compleanno ad ake, non ricordo. E anche l’anno). Vive con noi ed è mio figlio ormai ciao spermatozoo neanche sappiamo che faccia tu abbia avuto.
    (EDIT DATA ODIERNA: will chiediamolo sto compleanno xò)
    Ronan e Lynch: (un giorno d’agosto del 2020) LI SO! IO C’ERO!
    Meara: WIP! post matrimonio! arriviamo baby!

    FIGLI DI WILLIAM YOLO BARROW DAL 2043

    Barrow, Sandy, e Sersha: criminali. I loro compleanni sono salvati sul calendario. Non vogliono gli auguri e glieli faccio lo stesso.
    Mads: i pretend i do not see perché lei non sa e io non chiedo. Bellissima. Ha evidentemente preso tutto da me. Non so il giorno, ma viene dal 1894, quindi un po’ come Gesù ogni giorno è il suo giorno, no?
    Ellis: io lo so, lei lo sa, e nessuno dice niente perché showbiz. Lo accetto.
    ???: l’altra gemella non è mai tornata? Amen – cit

    Chi avrebbe mai pensato che la sua vita sarebbe giunta a quello.
    Con una sigaretta ancora appesa a fior di labbra, salvò le modifiche sul documento – che condivideva con Kieran, la sua segretaria per quel genere di documentazione – e premette il pulsante d’accensione della macchinetta del caffè. Quel pomeriggio non aveva lezione, ma non l’aveva sfiorato neanche per un secondo, un solo istante, l’idea di andare a recuperare la ciurma dall’Helius per alleviare l’ingente carico di bambini di Charles e Arturo: li pagava per soffrire quello. Non che Will non amasse passare del tempo con i suoi bimbi, anzi, ma ogni tanto una pausa serviva, soprattutto quando la consapevolezza di avere dei figli di NOVE ANNI lo colpiva improvviso come un fulmine a ciel sereno. Lo sapeva, ovviamente, non come sara ma non significava che fosse facile abituarsi: perfino vedendoli crescere, non poteva che ricordarli ancora come gli infanti che gli avevano stretto il mignolo nel palmo ed a cui aveva giurato un futuro migliore.
    Pochi anni, ed i più grandi sarebbero andati ad Hogwarts. Ancora non era cambiato un cazzo.
    Accese la sigaretta, prendendo una cialda fra indice e pollice per assicurarsi che nessuno dei teppisti in casa l’avesse bucata di nuovo, e quando fu certo dell’integrità della compressa, la inserì nell’apposita fessura.
    E attese. Che era un po’ il riassunto della sua vita negli ultimi tempi.
    E venne interrotto, che anche quello pareva un sunto efficace della sua esistenza.
    Piegò il capo sulla spalla, valutando le sue possibilità. Poteva fingere di non essere in casa? Sì. L’avrebbe fatto?
    Espirò, massaggiando le palpebre abbassate. Se avesse di nuovo perso una consegna di amazowl di Ake, l’avrebbe privato del sesso per tre giorni. Si alzò, perché per la figa l’amore si facevano sempre dei sacrifici. Ammiccò alle foto appese per il corridoio verso l’entrata, cornici a cui Akelei aveva cercato di mettere veto, e su cui Will aveva vinto - perchè sapeva stesse solo fingendo di non volerle lì; le lasciava mantenere la reputazione che credeva ancora di possedere. - perché era felice della sua vita. Non aveva altre spiegazioni per l’espressione leggera con cui girò il pomello della porta.
    Andava tutto a puttane.
    Nel mondo succedevano cose davvero mistiche.
    La resistenza faceva un passo avanti e tre indietro.
    Ma erano vivi, ci stavano provando, e aveva una famiglia - «ellis?» Non aveva nessun pacco. La guardò. Assottigliò le palpebre. Chissà… chissà cosa doveva fare. Come doveva comportarsi. Era già il momento di indossare i pantaloni da papà? Nel dubbio, si schiarì la voce ed indicò la canna stretta fra i denti della Drinkwater. «ti sembra il modo di presentarsi a casa di qualcuno?» aprì il palmo nella sua direzione, come un qualsiasi docente che confiscasse la merenda ai propri affamati alunni durante la lezione. «almeno offri.» priorità! L’AVEVA SICURAMENTE CRESCIUTA MEGLIO DI COSì!
    i'm about to say fuck it
    & leave this realm

    29 y.o.daddy not sugarrebel's leader
  9. .
    L’aveva lasciato sfogare, senza mostrare alcuna espressione. Stava pensando, Will – pensando se quella rabbia, per quanto giustificata, potesse davvero aiutarlo o farlo solo uccidere. Un genere di differenza che il mondo credeva non vedesse, troppo improntato a cercare soldati da far morire al fronte, ma che il Barrow pesava sempre sulla bilancia. Quella dell’Hastings, era una rabbia giovane ed inesperta, un grumo di emozioni fattosi amaro nel corso degli anni e vomitato lì, in quel momento, con quel sono incazzato. E con il conclusivo, soffiato e condiscendente, «Non è così che dovrebbero andare le cose. Il mondo. Non è giusto.» Picchiettò pollice ed indice sul bordo della tazza, bisbigliando un sottile «no, non lo è.» riflessivo e pacato, gli occhi posati sulla superficie ambrata – ma non nel modo in cui l’avrebbe preferita William – della bevanda stretta fra le mani. Abbozzò un sorriso al pallido tentativo del geocineta di mettere una pezza sullo sfogo, perché con quel viso pulito e quegli occhi da cerbiatto, qualcun altro gli avrebbe anche creduto. Non William, ma qualcuno che non conosceva quel tipo di rancore, quello che nasceva dall’ingiustizia e dall’incapacità di fare qualcosa? Per quella persona, sarebbe stato facile farsi scivolare addosso le parole arrabbiate del ragazzo. «la mia futura moglie, in effetti» alzò la tazza in un brindisi, perché era sempre un buon momento per ricordare all’universo che avesse messo un anello al dito di Akelei Beaumont – anche quello, in cui i loro mondi cozzavano inevitabilmente e drasticamente. «io? eh» aspirò l’aria fra i denti, alzando gli occhi ed un sorriso al moro dietro il bancone. «mai stato un grande ammiratore dell’etichetta» roteò la ceramica fra i palmi, arcuando entrambe le sopracciglia. «un sovversivo, potremmo dire» alzò le spalle. «sempre usato la forchetta da insalata per le bistecche» Fece una pausa. Non intenzionale, nessun tipo di costruita suspense, solo atta a dargli il tempo di tirarsi indietro, se avesse voluto.
    Quella non era una conversazione sulle etichette.
    «e va bene uguale. Tante persone usano la forchetta sbagliata, e non piegano il tovagliolo nel modo voluto convenzionale dalla società. Qualcuno deve pur farlo, no?»
    I do this with conviction
    I write truths and never fiction
    My disease is what you fed
    I can't stop with my ambition
    Like a missile on a mission
    28, rebel leader
    f. ravenclaw
    prof kool
    william yolo barrow
    1:10
    3:10
    stronger, the score

    basta mia mamma è stata via tutto il giorno e continua a parlarmi e non me ne frega niente. ha pure acceso la tv. te lo becchi così il post . ciao
  10. .
    mi ero dimenticata di non avere photoshop . ho inviato hazel e will, YALE ARRIVERà!

    OMG! Ho trovato la figurina di claudia!
    link role: w/ lydia


    (è ancora da aggiungere all'album ma è reminder per me che la avrò .)
    OMG! Ho trovato la figurina di bengali!
    link role: w/ ben
  11. .
    «Se è in cerca di qualche gossip riguardo quanto avvenuto questo pomeriggio, io non so nulla.» Annusò il contenuto della tazza, arcuando un sopracciglio verso il ragazzo. Omertà e lealtà erano facce della stessa medaglia, pensava il Barrow; punti di vista. A seconda di come lo si guardava, l’uno poteva diventare l’altro, come i colori iridescenti alla luce del sole. Gossip, lo chiamava lui, l’omicidio di un uomo che cercava di fare la cosa giusta. Sapeva, sentiva, non ci fosse malizia nella voce dell’Hastings, solo – del tutto legittima, tra l’altro - cautela, ma non potè impedire al sorriso di farsi più sbilenco ed amaro, una fessura che pur senza sangue sapeva di cicatrice.
    Chissà cosa si provava a vivere in quel mondo e non farsi domande, o farsene e non cercare comunque la risposta. A sopravvivere passivamente ai decreti di altri, sentendo la propria libertà una bolla sottile a stringere e costringere a più sacrifici, sempre sorrisi a denti stretti di fronte al Paul di turno trascinato via in manette. Quegli addii ingiustificati. William Yolo Barrow non era un uomo di pace, perché non credeva negli uomini di pace: li trovava superflui, per loro; non era ancora il tempo giusto, per quel tipo d’uomo lì. William era guerra, non troppo diversa da quella ch’era passata all’Aconitea rivoluzionando il quieto pomeriggio di Wren e clienti, perché si doveva passare attraverso quella per raggiungere un altro equilibrio. Chi diceva che la violenza non vincesse con la violenza, aveva vissuto nel mondo fatato troppo a lungo.
    Il Regime andava estirpato. Non era bello da dire, da pensare, da masticare fra i denti quando ti rendevi conto chi ne facesse parte, ma non doveva essere bello. Non ancora. Will sognava un mondo in cui i giornali potessero scrivere quello che volessero, in cui la cultura non era messa sotto chiave per timore diventasse troppa, in cui le sale delle torture esistevano solo nelle camere di chi lo trovasse piacevole. In cui il sangue non facesse differenza fra vivere o morire. Non gli sembrava neanche di chiedere troppo, eppure lo chiamavano un rivoluzionario.
    Un traditore.
    Per quelli che avrebbero dovuto essere fottutissimi diritti.
    «magari volevo solo assicurarmi stessi bene» si strinse nelle spalle, azzardandosi a sorseggiare il tè ancora troppo caldo per i suoi gusti. Forse avrebbe dovuto limitarsi al solo rum, liscio, come piaceva a lui, invece di fare il falso britannico con del , ma gli sembrava poco rispettoso andare a bere alcolici in una tea room. Un po’ troppo tendente all’alcolismo, per intendervi. «sei arrabbiato? meglio» Passò la lingua sul labbro inferiore, corrugando le sopracciglia all’acqua calda appena ingurgitata. Le sue papille gustative erano logorate da tabacco e alcolici, quindi ti prego a nome suo di perdonarlo per non saper apprezzare qualcosa di sano; tutto quello che faceva bene alla salute, non faceva per lui. «non mi fraintendere: non arrabbiarsi fa sopravvivere» Una pausa. La prudenza era a doppio senso, in una conversazione così complessa e delicata. Una parola sbagliata, e l’altro avrebbe potuto sbatterlo fuori e denunciarlo per simpatizzare con il nemico.
    Allora sì che sarebbe stato fottuto. «ma ha senso sopravvivere, se nel mentre non vivi affatto? La rabbia ti tiene in vita, ragazzo» Con non curanza, come avesse appena commentato il meteo, bevve un sorso di tè.
    I do this with conviction
    I write truths and never fiction
    My disease is what you fed
    I can't stop with my ambition
    Like a missile on a mission
    28, rebel leader
    f. ravenclaw
    prof kool
    william yolo barrow
    1:10
    3:10
    stronger, the score
  12. .
    OMG! Ho trovato la figurina di akelei beaumont!
    link role: con will



    OMG! Ho trovato la figurina di dylan kane!
    link role: con kaz
  13. .
    sheet
    here
    we go
    again
    william


    barrow

    Vide l’espressione di Akelei ammorbidirsi, gli angoli farsi curve ed il serio sguardo verde sciogliersi in liquido smeraldo, e non potè fare a meno di sorridere con quel misto di reverenza e compiacimento che un fenomeno simile meritava – perché era l’unico, insieme ai loro bambini di ogni età, ad ottenere quella Beaumont. Ci pensavate mai? Will sì, spesso, e non era mai abbastanza certo di quanta percentuale avesse avuto la fortuna, e quanta il merito. Non aveva problemi di autostima, ma quella era Akelei Fuckin Beaumont, e come un adolescente qualsiasi alla sua prima cotta, sentì il cuore sfarfallare nel petto quand’ella – delicata, e dolce – gli prese la mano per posarvi un bacio.
    Un gesto ordinario. Intimo. Vulnerabile, e Will ne fece tesoro come la circostanza meritava, tenendo le dita della bionda fra le proprie ed avvicinandola un po’ di più. Non sapeva se sarebbe mai stato in grado di stancarsi, o abituarsi, a quello, o se (permettendo che ci arrivasse; nient’affatto scontato) a sessant’anni ancora si sarebbe stupito della donna al suo fianco.
    Perchè certo, che ci sarebbe stata. Aveva dubbi su tante cose, William, ma non su di lei, e non su di loro. Non gliene fotteva un cazzo che Ake avrebbe potuto trovare di meglio, qualcuno che combattesse le sue stesse battaglie e scegliesse sempre la sua parte; qualcuno che non rischiasse la sua vita inspirando, e che non espirasse rivolta e tradimento; qualcuno che poteva promettere, e credere, di esserci sempre.
    Era un egoista bastardo, e se la sarebbe tenuta finché il tempo gliel’avrebbe concesso.
    La cosa più - più assurda? Era che sapeva per lei fosse lo stesso. E se non l’avesse saputo, l’avrebbe imparato in quell’esatto momento, con la sua risata a vibrare sulla pelle scaldando un cuore ch’era certo di aver scambiato una decade prima in cambio di una causa.
    Quello, era il bello. Scoprire qualcosa di nuovo ogni giorno.
    E sapeva che per evitare di gonfiare un ego già di suo spropositato, non avrebbe dovuto guardarla con quello stupore e quella meraviglia, eppure come poteva evitarlo: era un bugiardo bravo, ma non così bravo. «scusa. la prossima volta che ti vuoi truccare da principessa dimmelo» Capite? Akelei FUCKIN Beaumont, il capo reparto dei Cacciatori, gli aveva appena detto che l’avrebbe truccato come una FUCKIN PRINCIPESSA, e se una frase così stupida, fuori luogo, e perfetta, bastò a fargli saltare un paio di battiti, rimarrà un segreto fra noi. «sono: offeso. Ho fatto una wing perfetta» chiuse gli occhi per mostrarle la linea sbilenca dell’eyeliner, perché come cazzo si mette quest’affare Mitchell porca troia ma hai visto i tutorial chi cazzo sa fare una roba disumana del genere mioddddio fottuti sociopatici, incapace di strapparsi dalle labbra il sorriso allegro e rilassato.
    Era felice.
    Lo strillare dei bambini in sottofondo, conscio che fra quei vandali ci fossero anche i suoi, lo rendeva felice. La donna al proprio fianco, indipendente da quanto i loro stili di vita fossero diversi, lo rendeva felice. Il presente, lo rendeva felice. «Puoi fare affidamento su di me, spero che tu lo sappia» Tenne gli occhi chiusi ancora un istante, uno solo, il tempo di celare quanto quella frase gli avesse spezzato il cuore, prima di riaprirli e sorriderle come se quanto detto da Ake fosse stato realmente possibile. Quasi rise, di gusto ed isterico quanto la francese poco prima, ma la tenne lì, quella risata, premuta fra lingua e palato come una medicina.
    Voleva che fosse vero. Dio solo sapeva quanto voleva potesse essere vero.
    «per quanto?» domandò in un soffio di voce, ma privo di quel rimorso. Di quel dubbio. Era un tono leggero e provocante, quello del Barrow, una sfida bisbigliata in un sorriso ed un paio di sopracciglia arcuate. «un giorno?» si allontanò, tendendo il braccio fra loro, ondeggiando lievemente sul posto a ritmo della musica terribile con cui Sandy aveva deciso di (maledirli) graziarli. «un paio di mesi?» La tirò verso di sé, facendo scivolare le dita sui fianchi. «qualche anno?» accarezzò con le labbra il collo di Akelei, sentendo il cuore pulsare in gola e sulla lingua.
    Non l’aveva progettato. Non ci aveva pensato mesi, come credeva avrebbe fatto, e non aveva un grande gesto pacchiano con cui dimostrare le sue intenzioni, ma era Will, ed era Akelei: tutto nella loro relazione era semplicemente successo.
    Era il momento giusto, perché era quello più naturale. Perchè la amava. Perchè la vita era una cazzo di presa in giro, ma non avrebbe lasciato che lo fottesse gratis.
    «e se fosse...» portò la mano di Akelei al petto, lasciando fosse qualcosa solamente loro, invisibile al resto degli invitati. «fino a che morte non ci separi?» solo un bisbiglio nel sorriso di Will, che avvolse uno dei frufru del vestito attorno all’anulare di Akelei.
    Non poteva promettere molto, ma almeno quello sì.
    «la butto lì»
    Perchè era un tipo profondamente romantico.
    I fell in love with a girl I met in Hell
    ashes
    stellar
    ashes

    è stato: inaspettato

    quasi un anno scusami. sono un mostro
  14. .
    :morgan:
  15. .
    ABILITATA CIAO INDIE (E CIAO CLAUDIA GRANDE PANDINA)
497 replies since 29/1/2012
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