the shadows and monsters

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    «meh» si era fermata a un passo dall'ingresso del sottopassaggio, mappa in mano e sguardo confuso. Aveva quindi sollevato il foglio controluce, rigirandoselo fra le mani con scarsa convinzione prima di arrendersi e passarlo a Bennett. Confidava nel fatto che lo spirito Corvonero della Meisner facesse di lei la più intelligente della compagnia, ergo, l'unica in grado di guidarle tra le strade dell'Inferius senza rischiare una morte precoce. In effetti, dal primo istante in cui avevano messo piede nell'Inferius, Bengali aveva avuto la netta sensazione che ogni cosa stese urlando "voi non dovreste essere qui". Il cielo grigio londinese certo non aiutava a rendere meno inquietanti gli edifici fatiscenti, le strade deserte e gli strani rumori a intervallare di tanto in tanto il surreale silenzio che permeava il quartiere. Quel posto metteva i brividi, e Bengali aveva seriamente iniziato a dubitare delle proprie capacità di seguire una mappa in maniera decente ma, da buona ex-serpeverde, si era rifiutata di ammettere la propria incapacità senza neppure provarci. Adesso un po' si pentiva di non aver avvisato prima Ben del fatto che forse, forse, avesse sbagliato direzione, ma ormai era tardi per recriminare.
    Avanzò di un passo, sporgendosi per dare un'occhiata al vicolo buio senza però azzardarsi a imboccarlo del tutto. Persino a lei pareva un tantino troppo audace spingersi nei meandri dell'Inferius senza essere certe di star seguendo la pista corretta. Avrebbe di gran lunga preferito usare un incantesimo navigatore o, alle brutte, Google Maps, ma il manifesto della convention chiedeva espressamente di utilizzare una comune mappa non-magica per "immergersi meglio nell'esperienza".
    Beh certo, finire ammazzate sembrava un ottimo modo per prepararsi a una convention sui serial killer partendo con lo spirito giusto, ma Bengali avrebbe preferito arrivare sana e salva al luogo designato.
    «ti devo dire» commentò, guardandosi attorno con l'indice a tamburellare sul mento «sai che in effetti avrebbe senso se la convention fosse proprio qui?» più ci pensava, e più la cosa le pareva acquisire un significato logico. All'inizio si era chiesta: perché mai qualcuno dovrebbe voler organizzare un evento nel posto più macabro di tutta Diagon Alley? Probabilmente la prima ragione era legata alla mancanza di fondi governativi ma, in effetti – perché no? Se s'ignoravano i borseggiatori e i venditori di organi abusivi, l'Inferius era proprio il posto più adatto per quel genere di convention.
    «dai, yolo» s'infilo dentro al sottopassaggio, abbastanza certa che Ben l'avrebbe seguita. D'altronde, tutte e due avevano sempre avuto un certo magnetismo per i guai e, non per niente, Ben era letteralmente metà del suo nome. Riusciva a pensare a ben poche altre persone che l'avrebbero seguita in quella follia piuttosto che preferire un pomeriggio normale, ed era felice di poter passare del tempo con lei. L'estate era sempre stata tragica per Bengali, e non conosceva distrazioni migliori dalle pareti spoglie della sua stanza a New Hovel.
    Non avanzarono che di qualche metro prima di trovarsi dinanzi a uno spesso telo nero. Su di esso, una scritta bianca recitava "make Inferius great again". «io lavorerei un attimo di più sull'accoglienza, ma l'idea è carina??» commentò, prima di scostare il telo e scoprire le scale che conducevano all'esterno del sottopassaggio. Strizzando le palpebre per riabituarsi alla luce, raggiunse finalmente la cima della scalinata, trovandosi dinanzi a un edificio molto più grande - e molto più affollato - del previsto. A giudicare dalla stranezza della gente in fila per l'ingresso, erano decisamente nel posto giusto. Anche i quadri e le fotografie appesi all'esterno raffiguranti famose scene del crimine le parvero un indizio abbastanza affidabile. Ma, cosa più importante: «sSPILLE!!!».
    Aveva affettato Bennett per un polso e l'aveva trascinata verso il cestino posto affianco all'entrata, colmo di pin tematiche a disposizione gratuita. Ne sollevò una con la faccia di Ted Bundy e un cartello con su scritto "eat me out like a cannibal" e la pizzò davanti alla faccia di Bennett con più entusiasmo del dovuto «sto malissimo» e ne afferrò un'altra, stavolta con Jeffrey Dahmer e un martello sotto al mento. Sapeva di non poter passare lì le successive due ore (o forse sì?), ma alla fine «dai top, ho trovato la mia» si appuntò alla camicia una pin raffigurante un cestino per le vivande e uno strano blob dall'aria inquietante, e la mostrò a Ben con orgoglio, certa che anche lei avrebbe colto la cit. Non era certa del perché una spilla di Basket Case si trovasse lì, ma aveva appena deciso che sarebbe diventato l'accessorio della sua vita, perciò andava più che bene così.
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    Bennett aspirò soddisfatta l’aria rarefatta, e corrotta, dell’Inferius, come si trovassero in alta montagna piuttosto che in un quartiere maledetto. Espirò con un sorriso brillante, volgendo occhi scuri su una Gali impegnata a cercare di leggere la mappa. Alla Meisner non importava particolarmente che potessero essersi perse: sapeva che certe cose le sentivi dentro, e che quella convention l’avrebbe chiamata a sé come il canto di una sirena. Inoltre, le erano sempre piaciute le avventure, non avere un piano da seguire ma lasciare che il percorso si costruisse da sé. Prese comunque la mappa dalle mani della special, perché la Tipton non sembrava dello stesso ottimistico avviso. «ti devo dire. sai che in effetti avrebbe senso se la convention fosse proprio qui?» Perchè, quello era un dubbio della pirocineta? Ben la guardò dubbiosa, un mezzo ghigno a curvarle le labbra.
    Era proprio la sorella di Paris. Lei poteva anche essere una nerd, e lui un corvonero, ma in certe cose semplicemente non ci arrivavano. «a volte parli come ficus» se l’avesse percepito come un insulto, avrebbe fatto bene, perché lo era. Cento per cento. Non significava che non ci fosse anche affetto, nel tono morbido della Meisner, o nel modo in cui diede un buffetto alla punta del naso della mora. Certo che la convention si trovava proprio lì. Non lo sentiva nelle ossa? Non percepiva il potenziale nell’aria, una vibrazione d’elettricità statica a farle venire la pelle d’oca? «certo che è qui. Dove altro terresti una convention sui serial killer» babbani, per giunta; non lo specificò, perché non le piaceva mai ricordare quanto il mondo, specialmente quello inglese, li ritenesse un mondo a parte e di serie B. «da amortentia? Unghie e killer dello zodiaco?» un sarcasmo spesso e cinico, quello con cui sbuffò una ciocca di capelli scuri lontani dalla fronte e roteò gli occhi all’uggioso cielo sopra di loro. La leggenda narrava che l’inferius avesse un piccolo ecosistema tutto suo, che talvolta le stagioni fossero inverse, ed il maltempo solo localizzato. Avrebbe voluto fosse vero, invece no, era semplicemente l’ennesima giornata di merda offerta dal panorama britannico.
    In momenti come quelli le dispiaceva non essere tornata ai cieli tersi di Salisburgo.
    Poi si ricordava che là non avesse amici. Perchè era così, sapete? Ben non era brava a fare amicizia, troppo tagliente ed eccentrica per non lasciare costanti cicatrici sulla pelle degli altri. Con i suoi Ben era stato facile come respirare, trovare un posto dove essere ed esistere. Si era sentita a casa subito, un tassello di dieci che andasse finalmente al suo posto. Accettata e compresa. Era capitato che la andassero a trovare e rimanessero qualche notte, ma… non era lo stesso.
    E a Salisburgo, non c’era sua sorella.
    La sorella recentemente vedova che andava avanti nella sua vita e continuava a muoversi come se non avesse perso parte della propria brillantezza, ed i gesti non apparissero meccanici e vacui. Se i genitori avevano lasciato che la sorella minore vivesse con lei per l’estate, non era stato (solo.) perché i capricci della Meisner più piccola erano diventati insostenibili. Tutti erano preoccupati per Nelia, soprattutto dopo i… risvolti politici del caso. Dovevano essere un fronte unitario, dimostrare che non avessero segreti.
    Ben sapeva ce ne fossero, anche se fingeva il contrario.
    Ed aveva paura di perderla. Era un mondo troppo grande per chi, come Bennett, aveva appena imparato a conoscerlo, e sapeva che esistessero infinite insenature nella quale Nelia avrebbe potuto inciampare: il fatto che potesse tornare sempre in piedi e sulla strada giusta, non significava che volesse farlo sempre. Forse non poteva aiutarla, ma magari poteva essere il motivo per cui sarebbe sempre tornata a galla ed avrebbe sempre portato con sé l’accenno di un lumino. Era troppo testarda per abbandonare Bennett Desmon Silke a se stessa, e le voleva troppo bene per lasciarla al buio.
    «dai, yolo» Con un sorriso smagliante, Ben seguì Gali all’interno del sottopasso, la punta delle dita a sfiorare i graffiti sui muri. Un disegno in particolare attirò la sua attenzione – rovinato dal tempo, e da altri colori, e dalle unghie di qualcuno che ha cercato con rabbia di grattarlo via o deformarlo – il cui tag leggeva Green. «vorrei imparare anche io a fare graffiti» bisbigliò, più a se stessa che a Gali, lasciando che il dito scivolasse sulle linee colorate.
    Si bloccarono di fronte al telo. Bennett – la posata, caustica, Bennett – ridacchiò euforica nel leggere lo slogan. «io lavorerei un attimo di più sull'accoglienza, ma l'idea è carina??» BENGALI NON CAPISCI NIENTE. «è tamarro e agghiacciante e lo adoro» un tono sognante, quello della Meisner, mentre proseguiva agganciando la mano della ragazza.
    Bennett Meisner aspettava quella convention da mesi. Rintracciare il luogo dove si sarebbe svolta, aveva occupato gran parte del suo tempo libero, ed uno studio ancora più approfondito della storia dei più famosi serial killer conosciuti. Avevano dovuto seguire indizi, piste, rispondere ad indovinelli - la sua cup of tea. Uscirono all’aperto, e quello che si trovarono davanti fu… beh, non quello che Bennett si era aspettata. Rimase interdetta e delusa nel rendersi conto che fosse un edificio come cento altri, forse perfino reso sicuro (ugh) in vista dell’afflusso di gente previsto. Corrugò le sopracciglia, arricciando con disappunto il labbro superiore. «chissà se in realtà è una setta. spero sia una setta» non si sarebbe unita, voleva solo vederne una da vicino! Capirla! Non chiedeva poi molto, l’austriaca. «SPILLE» «SPILLE?» Seguì lo sguardo, e quel piccolo tornado di Gali, fino al cestino indicato, e come un sogno apparvero decine e decine di spillette metalliche. Metalliche, capito? Non quelle tonde e brutte che facevano tanto anni novanta, quelle belle che brillavano. Quand’era particolarmente euforica, come in quel caso specifico, superava l’estasi delle risate e dei sorrisi, per diventare… impassibile, gelida e distaccata, con uno sguardo scuro che avrebbe fatto invidia al demone del peggior girone infernale.
    Ma era felice. Davvero. Forse, perfino un po’ troppo.
    «dobbiamo prenderne una a tutti.» asserì, sollevando i vacui occhi neri sull’individuo che le distribuiva, la bocca di lui aperta ad incitare il solo una a testa che leggeva anche nel cartelletto vicino al cestino. Lo sfidava a dirglielo IN FACCIA. Ti pugnalo. Stai zitto.
    Bengali prese Basket Case. Ottima scelta.
    Per sé stessa, ovviamente, prese (click) Pogo il clown («oh mio dio… bi queen….. » ci pensò qualche secondo. «gay* icon» aveva ucciso e violentato 33 persone. Bennett lo odiava. Ne era comunque affascinata. Era difficile da spiegare, lo trovava… un essere umano complesso ed interessante. Non significava che supportasse il suo operato.) e ora iniziava la ricerca per gli altri mongolini. Sapevano che quel giorno ci fosse la convention. Qualcuno aveva declinato, altri avevano detto che avrebbero cercato di raggiungerle, e qualcuno aveva avuto il coraggio, l’audacia! di leggere i messaggi e non rispondere. Per loro, avrebbe preso quelle più brutte.
    «oddio ci sono anche quelle delle serie» sventolò Villanelle (click) di fronte a Gali. «per mona.» asserì, con la stessa solennità del principe Peter quando guidò la sua armata per Narnia (incolpava la sorella maggiore per le conoscenze da millenial). «aileen wuornos? Damn. Delilah sia» chiese l’approvazione a Gali, prima di intascare la spilla (click). «il cacciatore della notte. peso. Dici che paris se lo merita?» non ne era certa (click). «sagawa per ficus.» su quello, invece, non aveva dubbi (click). Ficus voleva o non voleva fare il cuoco? «tu hai trovato qualcosa? Ci mancano balt, dara, e » sollevò una spilla, improvvisamente ispirata. Non per il ben mancante, stava solo valutando se cambiare la propria spilla e quella di mona in quella che teneva fra le dita (click). Che tentazione. Scosse il capo, sospirando e rimettendola al suo post. «il goblin» che non aveva un nome proprio. ♥
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    Trovarsi a una convention sui serial killer e avere l'ansia di finire ammazzata era la metafora più adatta a descrivere Bengali. L'eterna contraddizione tra ciò che avrebbe voluto fare, e la paura di farlo davvero. Era così da sempre, da quando a un anno si ostinava a camminare vicina alle pareti sebbene fosse perfettamente in grado di stare in equilibrio sulle proprie gambe, solo per il terrore di cadere e non avere niente abbastanza vicino per sorreggersi. Crescendo poi, quell'aspetto della sua personalità non aveva accennato a migliorare. A dimostrarlo, tutte le volte in cui Delilah aveva praticamente dovuto trascinarla fuori dal letto per convincerla a restare sveglia oltre l'opprimente coprifuoco dell'orfanotrofio in cui erano cresciute. Non è che Gali avesse voglia di dormire alle sette di sera, solo che aveva troppa paura delle conseguenze di quella trasgressione. E così ad ogni piccolo atto di ribellione, ogni gesto che la Tipton moriva dalla voglia di fare ma che, per qualche ragione, non riusciva mai a fare davvero senza una spinta. Per tanto tempo quella spinta era stata Delilah. Poi era arrivato Paris, e con lui Bennett, Mona, Ficus, Balt, Dara - persino ictus. A volte le pareva che senza di loro non sarebbe riuscita a fare neppure un maledetto passo e, quando ci pensava, le veniva addosso una paura tremenda di perderli. Non era mai stata brava a tenere le persone, per lo più erano gli altri a tenere lei. Il punto era continuare a fare in modo di valerne sempre la pena, il che non era sempre facile. Aveva un carattere tremendo, non era in grado di prendere posizione in maniera univoca, e di tanto in tanto dava fuoco alle cose per sbaglio. In definitiva, un disastro.
    Ecco perché non poté fare a meno di sorridere dinanzi a quello che avrebbe dovuto essere un insulto («a volte parli come ficus»), ma che alla fine non era altro che un modo per enfatizzare il fatto che tutti loro facessero parte di qualcosa. Una squadra che, per quanto sgangherata, non avrebbe mai lasciato qualcuno di loro indietro.
    Neanche ficus? Neanche ficus.
    «e non hai visto mio fratello» perché in una gara a chi fosse più scemo, il posto lei l'avrebbe sempre ceduto a Paris. Gli voleva bene anche per questo.
    «certo che è qui. Dove altro terresti una convention sui serial killer, da amortentia? Unghie e killer dello zodiaco?» posò lo sguardo su una delle cornacchie appollaiate sul ciglio della strada, intenta a beccare qualcosa di molto morto. Cavolo se erano inquietanti le cornacchie di Torino. «guarda che anche amortentia ha il suo potenziale» distolse lo sguardo dall'uccello del demonio, tornando a concentrarsi sulla Meisner. «non lo sai che prima del restauro c'è stata una specie di sparatoria?? Era tipo un addio al nubilato, una cosa del genere, e boom» piegò le dita a formare una pistola davanti, poi sparò un colpo immaginario contro un punto imprecisato davanti a sé «tutti morti, zero testimoni» concluse con un sorriso entusiasta. Quel genere di cose la appassionavano tremendamente, e aveva passato giorni su twitter a leggere tutte le teorie del complotto sul possibile colpevole. «ed è stato tipo qualche anno fa, cioè!! l'assassino potrebbe essere ancora fra noi» e una parte di sé avrebbe disperatamente voluto un autografo. L'altra - quella più assennata - sarebbe certamente corsa nel più lontano continente possibile. Insomma, un assassino era una cosa seria.
    A quel punto era sufficientemente inquietata e fomentata per attraversare il sottopassaggio buio assieme a Ben. Era così che funzionava Gali: un po' di incoraggiamento, uno dei ben a tenerle (fisicamente o psicologicamente) la mano, e via la paura.
    «vorrei imparare anche io a fare graffiti» a quel punto avrebbe dovuto rivelarle che i disegni scarabocchiati ai margini dei suoi libri fossero solo la punta dell'iceberg di una passione per il disegno che l'accompagnava da sempre. Avrebbe quindi dovuto aggiungere che aveva un'idea abbastanza precisa di come si facessero i graffiti, pur non avendolo mai realmente sperimentato. Peccato si vergognasse troppo per ammetterlo. «possiamo provarci una volta» si limitò a mormorare, buttandola lì come una cosa di poco valore.
    Attraversò quindi il telo assieme alla Meisner, finalmente lasciandosi alle spalle il vicolo buio.
    «chissà se in realtà è una setta. spero sia una setta» «se è così voglio quanto meno la canzone di eyes wide shut» era palesemente quella la sua idea di setta: gente incappucciata, canzoni macabre, Nicole Kidman posseduta dal diavolo. Fichissimo, e soprattutto super fan della Kidman, sua crush celebrity da tempi immemori. Avrebbe dovuto interpretare la cosa come un hint sulla sua sessualità? Ovviamente no, era ancora troppo giovane e innocente per quello.
    «dobbiamo prenderne una a tutti.» Gali annuì con aria solenne, infilando a sua volta le mani nel cesto delle spille con il medesimo entusiasmo di una bimba a cui avessero appena detto di poter scegliere qualunque giocattolo del toys center. UN SOGNO.
    «il cacciatore della notte. peso. Dici che paris se lo merita?» «non è ciò che si merita, ma è quello di cui ha bisogno» le rivolse un sorriso complice, senza trovare nulla da obiettare alle scelte della Meisner. Se gli altri avessero accettato di indossarle - e l'avrebbero fatto, o lei e Bennett li avrebbero molestati fino allo sfinimento - sarebbero finalmente stati una vera squad. Voglio dire, non che fino a quel momento non lo fossero, ma le spille matching!! Erano proprio su un altro livello. «richard ramirez per balt» (click) erano pure spagnoli uguali (in realtà ramirez era texano, ma dai più o meno è lo stesso) «jeffrey per dara!!» (click) erano inquietanti uguale «ma dai guarda richard chase, non ti ricorda qualcuno??» (click) entrambi belli a modo loro ♥.
    Posò lo sguardo sulle due spille di coppia che Bennet aveva appena lasciato scivolare di nuovo nel cesto. Per quanto poco perspicace, persino per Bengali era ovvio a chi Ben avesse pensato di regalarla. «secondo me è carina» commentò, rigirandosi ancora fra le dita l'ultima spilla «e anche se il più delle volte siamo tutti un po', sai...» traumatizzati come se avessero appena beccato i propri genitori a darci dentro? kinda «non significa che non approviamo la ship, ecco» come si poteva non approvare la monet!! «anzi, big fan» posò un bacio sull'indice e il medio della sinistra e li sollevò al cielo insegno di rispetto.
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    Aveva diverse aspettative per quella giornata: litigare con qualcuno dei presenti, essere seguita da un aspirante serial killer, dover sfidare uno dei partecipanti al tiro con il coltellino e ricevere una medaglia ad honorem con sopra il suo nome, rubare quanti più gadget possibile – oltre alle spille, puntava alla tote bags: gay rights! -, bere qualche triste cocktail analcolico dal colore rosso rubino chiamato A positivo, mangiare dolcetti cruenti a forma di teste od ossa, e fare centinaia di foto da mandare agli altri ben per farli rosicare di non essere andati con loro.
    Non si era aspettata quello. Mai nella vita, in effetti, Bennett avrebbe creduto di dover affrontare quella conversazione. Nello specifico: «e anche se il più delle volte siamo tutti un po', sai..non significa che non approviamo la ship, ecco» Che – cosa. Ben corrugò lievemente le sopracciglia, stringendo le labbra per sopprimere un sorriso sul nascere. Stella. Preziosa. Pura. Posò la mano libera sulla bocca sentendo il ghigno solleticarle il palmo, e chiuse gli occhi per non mostrare alla Tipton quanto trovasse assurda e divertente quella considerazione. Poteva non sembrare, ma Ben non era volontariamente intenzionata a ferire i sentimenti dei suoi amici. Capitava per errore, perché alla stupidità reagiva sempre in maniera impulsiva; perché, in generale, non pensava mai molto prima di parlare, lasciando che la non filtrata onestà che la caratterizzava fungesse sia come pregio che come difetto. Lasciato passare qualche attimo di silenzio, inspirò profondamente, prendendo la mano di Gali e portandola sul proprio cuore. «non mi interessava» senza cattiveria, solo pragmatismo. Non aveva bisogno dell’approvazione dei suoi amici, o che loro si sentissero a suo agio nel legame fra lei e Mona – erano davvero l’ultimo dei suoi pensieri, uno che non l’aveva neanche mai sfiorata. Sapeva non fossero entusiasti delle effusioni pubbliche delle Monet, ma aveva sempre dato per scontato fosse perché loro erano soli e tristi. L’idea che potessero non approvare? La infastidiva, ma non avrebbe cambiato le cose. «il motivo per cui giudico ogni vostra decisione sentimentale, è perché non avete un istinto di sopravvivenza abbastanza sviluppato.» continuò a spiegare, tenendo la mano di Bengali e trascinandola all’interno del capannone. Era un tono scientifico, quello di Ben. Ed era tutto vero: Goblin sembrava arrivato da un altro secolo (haha….), Balt era troppo viziato per guardare al di là del suo naso, Ficus era Ficus, Paris voleva morire, Delilah era psicopatica, Dara era sempre sul piede di guerra, Goal ancora non aveva capito che qualcuno potesse essere interessato a lei (canon ora. Ciao ali), e Gali era troppo libro centrica per sollevare lo sguardo sul mondo. Quindi, ovviamente, Ben doveva drizzare le antenne anche per loro. Ma Mona? Per quanto chiunque avesse da ridire qualcosa sulla cheerleader, tutti sapevano che non le avrebbe mai fatto del male. A loro sì – spesso. E intenzionalmente – ma non a lei. Era un ottimo partito. «non è per quello» e non avrebbe saputo dire esattamente per cosa avesse infine rinunciato alla spilla. Di certo non per una questione di preferenze fra i suoi amici, sapevano non fosse propriamente quello il caso. Si fermò al centro del corridoio, studiando dove procedere e riflettendo – una cosa davvero rara per la Meisner. - su come proseguire nel discorso. «lei lo sa. Io lo so. Cos’è una spilla» fece spallucce. Cosa sapevano? Sapevano di essere anime gemelle. Sapevano che la loro relazione fosse qualcosa più di semplice amicizia, ma sapevano anche di essere a lungo termine. Erano giovani. Alla fine si sarebbero trovate, sempre. «capisci?» forse no, ma aveva importanza? Lanciò un’occhiata sbilenca alla pirocineta. «non parliamo mai di queste cose. Hai un tipo di persona ideale?» Ragazzo, ragazza, entrambi: nel dubbio, fino ad allora, Ben aveva tenuto tutti alla larga. Non si sapeva mai. Poi, un’enorme figura al crocevia attirò la sua attenzione. Era godric un senza faccia? Uau. Era proprio alto. Si avvicinò, trascinando con sé la Tipton, osservandolo dal molto – molto. - basso con sincero fascino ed ammirazione. «mangi le persone?» una domanda del tutto lecita.
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