Posts written by t.h.u.g.

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    boo-hoo
    @cryabout_it
    @JustStatingFacts io dico mercato nero ed asta segreta. tu? #totoscommesse
    hh.mm - gg/mm/aaaa - powered by twizard
  2. .
    jane gabriel darko
    22.02.2003
    london
    Jane Darko aveva sviluppato un certo senso per il drammatico, e non era successo in maniera graduale e misurata. L’influenza di Fitz, ed il sangue Jackson a scorrerle nelle vene, non l’avevano plagiata lentamente ma inesorabilmente come sarebbe stato naturale fosse. Era accaduto tutto insieme, perché non era una persona dalle mezze misure, e quando cambiava lo faceva radicalmente. In parte, era stata una scelta dovuta alla necessità di essere stravagante in un mondo troppo abituato allo straordinario, gli affari erano pur sempre affari, ma una grande porzione, doveva ammettere, derivava da quanto fosse divertente creare opere d’arte in carne ed ossa. Falsi d’autore. Dipingere vite ed animarle con un soffio.
    Jane per alcuni. Gabe per altri. Fergie, solo per Euge. Per chi non aveva avuto il piacere di fare la sua conoscenza in alcuna di quelle forme, era semplicemente Darko, l’erede di una guerra (persa) vinta, a viziare il mondo con giochi d’azzardo e tentazioni bisbigliate all’orecchio degli avventori del Cheshire: promesse vuote di altro denaro; droga ed alcool; beni materiali, ed immateriali; sesso e gloria. Potere, per chi ancora credeva di poterlo avere; ingenui, considerando non fosse più cosa per tutti. Un piccolo antro di depravazione e dissoluzione come il casinò, una facciata che di suo suggeriva il resto delle attività fatte al buio e sul retro, non aveva posto per Jane, o per Gabe. Fergie ci si sarebbe trovato alla grande, ma non in quelle vesti. No: il Cheshire, era il regno di Darko. Un mito, ed una leggenda; come tutti i miti e le leggende, aveva poco a che fare con la realtà e tutto da com’era stata raccontata.
    Si diceva fosse terrificante.
    (Jane)
    Perversa ed immorale.
    (Jane!)
    Una persona sadica, e malvagia.
    (Jane!!)
    Priva di compassione. Un cuore solido come sabbia vittima di un tuono.
    Che... ok. Su quello non poteva contestare quanto forse avrebbe dovuto, ma non credeva fosse un difetto fatale. Credeva anzi che peccare d’empatia fosse una delle sue doti migliori, e che la compassione fosse merce di scambio di chi vedesse il mondo spartito fra vittorie e perdite, e fosse cieco sulle migliaia di possibilità nel mezzo.
    Dicevano che fosse crudele. Lo trovava esilarante. Glielo lasciava credere, alimentando le dicerie sul suo conto come locandine pubblicitarie appese in bacheca pubblica. I bambini rimanevano fulminati quando ne incrociavano lo sguardo - magari - gli uomini cadevano in ginocchio supplicando pietà - era successo, ma non perché lei avesse fatto qualcosa di specifico: alla gente piaceva essere drammatica più di quanto non piacesse a lei - le donne rimanevano sedotte dal suo sguardo gelido e dimenticavano chi fossero - lusinghiero; sperava continuassero su quella linea - con uno schiocco di dita poteva far esplodere città - era successo solo una volta, anche se approfittava della somiglianza con Moka per fingere fossero state due; che permalosi - Lucifero. Una delle sue personali favole preferite. Dopo la guerra, il genere umano si era riscoperto religioso, ed aveva scelto le proprie chiese al contrario. Chi non era terrorizzato da Darko, lo venerava come un Dio.
    Chissà se anche gli altri lo trovavano buffo quanto lei. Se ne ridevano, come lei; se lo usavano, come lei. Non aveva contattato nessuno dei suoi sei amici demoniaci in quei mesi, perché non li conosceva e non gliene fotteva un cazzo, ma magari poteva mandargli un modulo google per un sondaggio veloce su come stessero affrontando le conseguenze della loro rinascita. Magari potevano organizzare una reunion proprio lì, al Cheshire, ed organizzare una serata infernale. Riusciva già a vedere i flayer di wizagram.
    Sorrise, scuotendo il capo per liquidare l’occhiata interrogativa di Sorta al suo improvviso sbuffo di ilarità. Erano successe molte cose da quando aveva tirato le cuoia ed era diventata la puttana di Abbadon, ma non la ”Mort Rainey era” in cui mansplainava i piani di dominazione del mondo. Aveva ancora della decenza, da qualche parte. Continuò a leggere i report della giornata, soffiando l’aria fra i denti quando la situazione diventava assurda e meravigliosa. Dire che avesse orecchie ovunque, sarebbe stato un eufemismo (e quello, signori e signore ed altro, era l’inizio del criminal empire di Jane Darko, Boss per i suoi figli; y’all welcome). Non c’era più nulla che sfuggisse alla sua attenzione, fra il suo essere naturalmente attenta ai dettagli ed un’osservatrice, e possedere un casinò frequentato da persone di ogni classe sociale incapaci di tenersi la lingua in bocca. I suoi dipendenti segnavano tutto quel che sentivano su foglietti che consegnavano a fine giornata insieme alla timbratura d’uscita. Jane non gli aveva mai detto le servissero per la sua decennale opera sull’antropologia sociale; chissà se credevano li usasse per scopi nefasti ed oscuri. Sperava di sì.
    «hai letto la posta del giorno?» Qualcuno che aveva conosciuto Darko prima, c’era ancora in quel del Cheshire. Qualcuno che la chiamasse Jane, o Gabe; che sapesse fosse tutto fittizio, e mantenesse comunque il segreto di pulcinella. Inchino a tende abbassate e sipario chiuso. Leali; c’erano giorni, particolarmente ottimisti, in cui voleva credere fossero perfino amici. Si sporse oltre il proprio scranno per passare le informazioni alla Motherfucka, un angolo delle labbra sollevato verso l’alto. «dicono che jason maddox abbia incendiato l’avis. E che l’abbiano beccato commettere atti osceni in luogo pubblico» Non le sembrava affatto assurdo, anzi. «quello sul Lynx non penso sia vero. Non ho mai sentito fosse pratico di contrabbando. Tu sai qualcosa?» perché quello, serviva sempre. Per quanto riguardava Jade e lo spaccio, credeva fosse passato Euge a lasciare informazioni inutili ai suoi nuovi dipendenti; non era divertente neanche la metà di quanto credeva fosse (sì invece; maledetto). «le tresche di romolo linguini non mi interessano» con la Middleton, poi. Almeno con Camilla sarebbe stato più intrigante. «il ragazzino esiliato dai sotterranei di pozioni…? Chissà perché ne stavano parlando» Doveva chiedere info dall’interno, perché Hogwarts rimaneva il suo bacino preferito per i casi umani della sua opera. Gli adolescenti erano una fonte infinita di evoluzione e non della specie. «frederik faustus presunto serial killer» tamburellò distratta l’indice sul labbro inferiore. Credeva di nuovo fosse opera di Euge. «teniamolo. Facciamolo girare» Non sapeva neanche chi fosse, ma – quasi – ogni desiderio di suo fratello era una solida realtà per Jane.
    Scusa, torniamo un attimo indietro. Un trono…?
    Ah, già.
    Vedete, era uno di quei giorni per il Cheshire. Quello in cui i debitori del locale – e, oh, erano dannatamente tanti – si prostravano al cospetto di Darko per decretare come avrebbero saldato il loro conto. Era un regnante magnanimo, nell’offrire loro la possibilità di inginocchiarsi, e scendere a compromessi per le ingenti somme di denaro che le dovevano.
    Diabolica.
    Jane? No, oh no. Non era cattiva, Jane, né gratuitamente crudele o sadica. Lasciava solo che tutto scorresse come altri avevano deciso facesse; che gli input individuali diventassero tradizioni; che fossero loro, a scrivere la sua storia. Aveva delle regole che non voleva fossero infrante, certo, ed un compasso morale un po’ sbilanciato, ma non era –
    Non era un mostro.
    Ne era abbastanza certa.
    Quello era un passatempo, per lei. Ascoltare come avessero speso tutto il loro stipendio alle carte, ed i singhiozzi disperati di chi con quei soldi avrebbe dovuto pagare l’affitto. Le lacrime, poi, le tollerava meno della rabbia. Malvagia? No, era giusto. Altri non avrebbero offerto quella possibilità, limitandosi a richiedere un pagamento in denaro o sangue. Jane, al contrario, offriva sempre seconde, terze, e quarte possibilità, ascoltando le loro storie fin quando non la rendevano triste di essere parte del cosmo, ed accettando in pagamento lavoro non retribuito ed orecchie al Ministero. Non era lei a torturarli. Perchè avrebbe dovuto, poi, quando facevano un lavoro eccellente anche senza il suo aiuto.
    Qualcuno bussò alla porta. Jane livellò gli occhi azzurri su Sorta, abbozzando un quarto di sorriso. La stanza era stata creata appositamente per suscitare in chiunque entrasse un senso di inferiorità, perché la psicologia era meravigliosa e l’elettrocineta adorava vedere come l’occhio esterno reagisse all’ambiente; le luci erano soffuse, lasciando angoli d’ombra anche dove lati non ce n’erano. Le tende cremisi che decoravano le pareti, suggerivano nascondigli e mai rifugi.
    E Jane. Gabe. Fergie. Darko. Quello che volete. Stava sul suo trono sopraelevato, il gomito sul bracciolo ed il mento poggiato distrattamente sul palmo, con indosso i vestiti di Gabriel. Una camicia larga a renderle le spalle ancor più minute; pantaloni stretti con una spessa cintura in vita. La stessa aria minacciosa di un cane sotto la pioggia battente.
    Fece cenno ai dipendenti all’entrata di far entrare la prima persona, usando la mano libera per portare un sigaro alle labbra. Non le piaceva particolarmente il sapore; le piaceva dare fastidio, e l’estetica ad insinuare uomini d’affari. Effetto Mendel, forse. L’uomo entrò stropicciando un cappello fra le mani, guardando ovunque eccetto che nella sua direzione. Puzzava di terrore come un animale reso selvatico per errore, abituato alle mura domestiche. Indossava quello che credeva essere il suo abito migliore. Un prurito al cuore le fece stringere le dita sul mento, perché l’hai voluto te, questo e almeno ti importa ancora, che era già qualcosa.
    Voleva chiedergli perché avesse così paura di lei.
    Non l’avrebbe fatto. Rovinava la scenografia.
    Con un sospiro, sfogliò il taccuino che teneva sempre - sempre - a portata di mano, cercando l’elenco dei debitori di quel giorno. Corrugò le sopracciglia con una smorfia divertita. «jean. bob» lesse, prima di abbassare gli occhi sull’uomo. «nome d’arte, immagino» permise all’elettricità di scorrere libera sulla punta delle dita, nel picchiettarle contro il trono. Non perse il sorriso, quando l’uomo sussultò.
    Ah, la magia della propaganda. Spiegava tante cose, vero?
    «non le dico a quanto ammonta il suo debito, perché non mi piace spettegolare» e davvero, non le importava. Il Cheshire aveva abbastanza fama, ormai, che Jane non doveva più preoccuparsi delle entrate – solo delle uscite, e di chi non lo faceva. «ma le chiedo.» Lo guardò. Voleva toglierlo dalla miseria, e dirgli che poteva andarsene – non voleva i suoi soldi, e non ne aveva bisogno. Voleva sapere come fosse finito ad indebitarsi così tanto; quale fosse la sua scusa.
    L’ennesima storia triste di sogni disperati. La speranza aveva smesso di farsi puttana, per passare all’elmo del soldato. Quando né a Dio né al Diavolo importava più, qualcuno doveva farsi carico della responsabilità di stringere patti. «cosa offre?»
    ivorbone
    electro type
    abby's bitchbosslucy's bestyshe/her

    Don't know how long my neck can keep on holding up my head
    I think I'm developing a God complex
    Think I kinda love when they call me a villainess
    Secretly I love it when they're calling for my head
  3. .
    ancora 3 poi la smetto giuro .


    HTML
    <i class="fas fa-angle-right" aria-hidden="true"></i> [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62893705]a world covered in cables was never wired to last[/URL] ft. jane [nov. '23 - atrium]
  4. .

    when
    nov. 2023
    where
    atrium
    who
    abby's bitch

    ludens
    Spostò la bacchetta di plastica del caffè da un lato all’altro dei denti, Jane Darko. Seduta su una delle panche dell’Atrium del Ministero, si dilettava nel suo passatempo preferito, che null’altro poteva essere se non osservare il genere umano: il libro di antropologia sociale sul quale lavorava da anni, aveva tutta l’aria di poter diventare una saga, infinita come la storia con il drago peloso e parlante. A scanso di equivoci, non era impressionata. Era affascinata, intrigata; conquistata, anche se non sedotta. Ma impressionata? Nulla faceva spalancare gli occhi di Jane, bocca dischiusa in sorpresa.
    (Neanche morire.)
    Aveva visto il peggio delle persone, l’elettrocineta. Raramente il meglio; tendeva ad essere meno interessante, quindi le andava bene così. Poggiò il mento sul ginocchio contro il petto, rotolando assente gli occhi azzurri da un individuo all’altro cercando dettagli su cui costruire le proprie deduzioni: un occhio nero sul quale inventare la rissa del secolo, ed i vestiti strappati su cui sentire le note di un video musicale anni ‘90 ; la voce asciutta di chi si era già arreso, e quella squillante di chi non sapeva accettare un no. Sollevò appena lo sguardo su uno dei Ministeriali fermato dal solito vecchio che si era smarrito e non sapeva dove dovesse andare per denunciare un furto, perché di questi tempi, non è più chiaro a chi debba rivolgermi! DOV’è IL GOVERNO TRASPARENTE!, e non potè fare a meno di sorridere nel notare l’espressione stanca dell’uomo in giacca e cravatta. Quel sospiro, lo sentì quasi sulla pelle.
    Jane, ma tu perché sei lì?
    Noia. Ricerca d’ispirazione. Era un’artista, ed il mondo la sua musa. Per quanto il Cheshire le desse materiale di ogni genere, talvolta bisognava uscire da un ambiente familiare per trovare la storia del secolo. Non progettava di scrivere articoli – non più – e non aveva in mente un preciso capitolo della propria antropologia da ampliare – non ancora – il che rendeva tutto un’opportunità. Avere degli obiettivi poteva essere utile per qualcuno, ma per Jane, le tele bianche erano sempre state la parte migliore di un’opera.
    Non le veniva difficile passare inosservata, perfino con il recente storico che l’aveva vista distruggere Kyoto: i giornali riportavano il volto di Gabe, non il suo. Chi non la conosceva personalmente, non faceva la connessione con l’incidente, anche se Jane non aveva fatto nulla per nasconderlo – anzi, trovava fosse un’ottima pubblicità, ed i clienti del Cheshire la conoscevano come quella persona indipendentemente da quale faccia avesse. Essere il cattivo non era male; poterlo essere solo ogni tanto, era anche meglio.
    No, Jane non aveva remore di coscienza in merito a quanto accaduto.
    No, di Abbadon, non gliene strafotteva un cazzo. Ci aveva provato, quando avrebbe potuto fare la differenza; si era arruolata in una guerra assurda per una questione di principio. Ci era morta, e manco da martire. La sua inutile parte, l’aveva fatta. Lo spettacolo era andato avanti: tanto valeva darsi al soliloquio, e scegliere di far parte di quella società solamente quando le andava.
    Serrò i denti attorno al bastoncino, il bicchiere di caffè scadente ormai vuoto e dimenticato nel palmo. Chiuse gli occhi cercando di seguire i discorsi, e si annoiò in fretta, riaprendoli su un mondo sempre uguale. Era assurdo. C’era stata una guerra che aveva devastato e demolito il mondo così come lo conoscevano; i babbani sopravvissuti erano stati ridotti in schiavitù, ed i Laboratori erano a pagamento; milioni di persone erano morte.
    A quella gente, non importava.
    Ciascuno ad avere i propri, superficiali, problemi – dove chiedere i sostegni al reddito, a chi rivolgersi per una truffa su artefatti magici – trascinando la loro vita fra morti e macerie pensando che perlomeno, perlomeno, non fosse toccato a loro. Gli interessava la questione degli special? Dei Ribelli? Jane credeva sinceramente che la risposta fosse no: quelli erano problemi che riguardavano più la politica che il cittadino medio. Il normo, prendeva quel che passava il convento, lamentandosene davanti ad una birra e senza alzare un dito per cambiare le cose. Gli andava bene, quel che veniva scelto per loro.
    Tutte le persone sedute a quelle panche erano lì per qualcosa. Qualcuno era accompagnato dai Cacciatori, le manette strette ai polsi. Qualcuno attendeva che i Legionari si liberassero dai loro impegni per essere scortati al piano superiore, a fare solo Dio sapeva qualcosa. Alcuni, dall’espressione cauta e pallida, sembravano doversi affacciare ad interrogatori con gli Antepavor.
    Inspirò. Si disse che magari, per rendere la situazione piccante, avrebbe potuto salire al piano della sicurezza, ed inventare una storia sul quale farli indagare. Trovava sarebbe stata comunque una perdita di tempo minore rispetto alle storie altrui, che per quanto reali, erano superflue come la loro esistenza su quel piano.
    Sorrise, Jane. Battè le ciglia corvine, reclinando il capo all’indietro e lanciando infine un’occhiata di sottecchi alla persona che aveva preso posto poco distante da lei – ma non sulla sua panchina, aveva notato; poteva anche passare inosservata, ma qualcosa nel subconscio di quegli sconosciuti doveva comunque averla etichettata come diversa, perché nessuno aveva occupato quella panchina per ore. - offrendo un mite cenno con il capo.
    «prima volta?»
    jane
    darko
    And I don't feel secure no more
    Unless I'm being followed
    And the only way to hide myself
    Is to give 'em one hell of a show
    gif: kitherondale.tumblr.com
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it


    ancora???? sì. ORDUNQUE.
    Jane è al Ministero a (fare: niente) osservare la fauna locale. Seduta sulle panche dell'atrium, perchè ho deciso che abbiamo delle panchine (...)
    e approccia qualcuno che è lì in attesa (o chissà, forse si sta facendo una cultura come lei) di ... qualcosa. Letteralmente qualunque cosa. Nel post ho scritto esempi casuali, ve li offro anche qua come spunti di riflessione - gente arrestata, perchè no; nuovi specialini che aspettano i legionari; qualcuno che deve andare a deporre al wizengamot, o a farsi interrogare dagli antepavor; mah, potete anche essere studenti in cerca di tirocinio, o lavoratori del ministero che si fingono clienti perchè sono stanchi ed in pausa e odiano i colleghi (.), qualcuno che deve andare a fare un colloquio - ma sentitevi liberi di improvvisare, il mondo è vostro!!!
  5. .
    Jane Darko
    l'intruso misterioso
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    Tell me, what makes you different?
    Minchia, che botta di vita. Mossa a compassione, Jane aveva fatto cambio posto con il disperato Lapo Linguini, concedendo il posto al fianco di Check in favore della MILF. Visto che la parità di genere non esisteva e Jane era una privilegiata, la sua esperienza al 4B fu ben diversa da quella dell'italiano. Importante notare come fece subito amicizia con il cagnetto dei vicini, Heart eyes and all. Coccole e tentativi di fuga. Vabbè.
    Poi inevitabilmente accadde. La morte la raggiunse alla stessa velocità dell'intercity 104 in grado di recuperare 75 minuti di ritardo, facendola collassare sul posto nelle posizioni meno ergonomiche di tutte. Toccò il fondo quando si svegliò seduta, perfino quasi civilmente, con il cappuccio calato in testa e stretto fino a che a che dal buco ne uscisse solo la bocca - un rubinetto dal quale colava ritmicamente bava come al suo amico cagnetto bianco. - una visione degna di qualunque film dell'orrore. Tanto che la milf, mossa a compassione ed impaurita, si spostò di fronte offrendole il posto libero contro il finestrino. Non bastò a frenare la creatività con cui Jane Darko poteva riposare le membra stanche, ma almeno le permise di, effettivamente, dormire.
    Non avrebbe saputo dire per quanto neanche con il senno di poi. Quaranta minuti, un'ora, cinque settimane.
    A svegliarla furono i gemiti.
    Inaspettati come il carretto del caffè, indesiderati come l'aria condizionata (ma davvero lapo non sentiva un cazzo?? assurdo, Jane ibernata come ll Cairo post Justin). Confusa, Jane si scrollò cercando la fonte di quel suono ripetuto e poco appropriato, trovando come capro espiatorio il vecchio del cane.
    così. unprompted. dormiva ed emetteva versi casuali, alcuni più imbarazzanti di altri. Dato che la moglie non faceva una piega, Jane dedusse fosse normale amministrazione per loro. Battè le palpebre confusa, ancora e sempre, quando Check e Lapo si materializzarono al suo fianco.
    «siamo a bologna» come se spiegasse tutto.
    ....Lo faceva? Blink, blink. Si mise a sedere, poggiando parzialmente la schiena su Lapo, pronta a tornare a dormire come il buon Check Vibe di fronte a lei.
    «-3 e mezza??» o comunque quattro e mezza?? Ancora non l'aveva capito.
    «lapino ma davvero non hai sonno?» - Jane, già pronta ad abbandonare i suoi amici di viaggio per tornare nello spazio onirico.

    electro
    20 y.o.
    5c
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    Jane Darko
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    «non rientro nelle categorie protette, purtroppo» Era proprio qualcosa che avrebbe detto qualcuno che rientrava nelle categorie protette, e Jane guardò Check Vibe con quella languida consapevolezza negli occhi blu. Le ciglia di Check bagnate, lo zaino stretto al petto come una coperta di Linus, ed una pelle grigia e tesa che avrebbe fatto invidia al padre di Ictus (okkydylynch) «mi fido» derogatory, con un sorriso appena accennato sulle labbra. Distolse lo sguardo dal suo vicino per posarlo su un punto imprecisato del tavolino grigio di fronte a sé quando 6D e 6C iniziarono a diventare inopportuni come Lele con il pompage. A parte che continuavano a farle piedino, e si trattenne dal dire che non fosse interessata ad unirsi al menage a trois, ma poi anche meno amoreggiamenti. bacini sul naso? Muah muah muah? Era già strano normalmente, figurarsi quando ogni bacio e ogni frase d'amore biascicata con solo metà bocca ed in [linguaggio del sud perché al nord non lo parliamo]. «niente stanza? siamo informatissimi sulle casse eh. treno, nave, sempre mezzo di trasporto» cercò di incastrare la gamba contro il tavolino, ma non funzionò, w solo dio e i radunanti sapevano quanto fidget fosse qualcuno che non riusciva a incastrare la gamba cercando di sfasciarsi i legamenti. Optò per la mansplain era. Appoggiò la testa al sedile, posando lo sguardo sulla madonna del 7B: cappuccio, cuscino, e probabilmente già morto. Ecco il primo caduto del 104 express.
    Eh vabbè.
    «ma non possiamo buttarci? chiedo. sono già stanco e siamo all’inizio» Mood, ma in effetti, guardando l'ora poteva dire «-7 ore» che detta così non era bella, ma almeno sincera. Guardò di sottecchi Check, come se avesse saputo che nel suo cuore non potesse tollerare altre sette ore con lei, quasi glielo avesse già detto una settimana prima. «ma scusa. i vecchi con il cane? guarda che prima ci stavano dando ragione, e lui è stato anche l'unico cristo che mi ha aiutato con la valigia. sono gli adolescenti il problema» indicò la tizia confusa del 4C. «ma il controllore ha detto che scende a Bologna quindi va bene così» Il problema era, come sempre, il sistema.
    «e vi dirò di più» ah sì? «ho un po' fame. facciamo già merenda?»

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    Jane Darko
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    Jane Darko abbassò lo sguardo sulle mani, impegnate a tenere tre bottiglie, una giacca di jeans, una felpa, facendolo poi scivolare sull'enorme zaino nero ed il trolley ai propri piedi. Impassibile, se non per la nota vagamente dispregiativa, alzò gli occhi blu sul Signore dei Treni alla porta della carrozza 3. Non bastava che il treno fosse in ritardo di un'ora, e che fossero le due di notte: era anche necessario bloccarli all'entrata per controllare loro il biglietto. E avrebbe anche dovuto zoomare lei sul QR code. Abby l'aveva resuscitata senza dotarla di una mano bonus, e Jane lo trovava piuttosto seccante. Avrebbe avuto sue notizie.
    Battè le palpebre, faticando a scollare le ciglia fra loro, un'occhiata di sottecchi ai due tizi vicino a lei. Li aveva già visti, avevano la familiarità di peni d'ombra e discorsi sui lubrificanti, ma non avrebbe saputo dire dove. Tinder? Sperava di morire prima anche Jane.
    E quindi salirono sul treno.
    Vecchi.
    Adolescenti.
    Ed i loro posti occupati da altri.
    Persone che parlavano. Controllori che non controllavano. Jane Gabriel Darko che pensava ai gattini morti per non ridere in faccia allo sbiascicatore seriale che occupava il posto che avrebbe dovuto avere Lapo Linguini, perché non era rispettoso - però 104 davvero. L'elettrocinetq ai domandò se fossero finiti mascotte di un viaggio dell'anfas.
    Si distrasse accarezzando il cagnetto, mentre Check litigava per le valigie e Lapo fingeva di essere morto. Seguì il flusso, perché erano le due e non dormiva da cinque anni, sedendosi con tutti i suoi averi incastrati in ogni pertugio.
    Guardò il 6D e il 6C.
    Poi Check, per dirgli:
    «ma tu sei con loro?» perché gli sembrava una domanda importante. E dato che sentiva Lapo vibrare nell'etere, «evita il contatto visivo con la figlia, gli adolescenti sniffano la paura come droga da pandi» lui avrebbe capito.
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  8. .
    CODICE
    <tr><td>Bennett Meisner</td><td>150</td></tr>
    <tr><td>Mood Bigh</td><td>165</td></tr>
    <tr><td>Kaito Kageyama</td><td>168</td></tr>
    <tr><td>Mis Jacksson</td><td>172</td></tr>
    <tr><td>Poor Withpotatoes</td><td>181</td></tr>
    <tr><td>Joe King</td><td>182</td></tr>
    <tr><td>Kaz Oh</td><td>192</td></tr>
  9. .
    finalmente il casinò. daje daje
    a quo vadis!
    CODICE
    <span style="font-size:10px;color:#9a8873"><b>&#10141; CHESHIRE:</b></span> [URL=?t=57872444]Jane Gabriel Darko[/URL]
  10. .
    ➡ nome negozio: Cheshire
    ➡ genere: (libreria/caffetteria/gelateria ecc) casinò
    ➡ descrizione:
    CODICE
    Di certo il <b>Cheshire</b> non è stato pensato per passare inosservato, malgrado la sua posizione non sia centrale o favorita dai turisti,  sia da un punto di vista etico che meramente architettonico. Un lavoro di squadra che ha richiesto <i>volontari</i> di ogni genere, maghi e special, esperti e <i>tirocinanti</i>, e che alla fine ha portato alla costruzione di qualcosa di... indubbiamente diverso. Le pareti esterne, tinteggiate di bianco, sembrano fungere da faro nelle notti più buie, attirando i disperati vagabondi di Quo Vadis come falene alla fiamma. Superata la scalinata - in marmo, ovvio - ci si affaccia su un tappeto rosso che conduce all'entrata, e un antro <i>completamente</i> oscuro. La tenda scura impedisce di spiarne l'interno. L'unico modo per scoprire il Cheshire, è entrandovi, sempre che il draghetto di guardia ve lo conceda, e dopo di lui i bodyguard del locale. Entrati al casinò, potrete scambiare il vostro denaro per fiches sul lato sinistro dell'ambiente, oppure spendere i vostri <i>risparmi</i> in cocktail <i>più o meno</i> fancy sul fondo del primo piano. Alla destra, invece, ci sono i tavoli verdi dove potrete giocare alla roulette, o a blackjack. Contro il muro, ci sono perfino alcune macchinette. La stanza è elegante senza risultare pacchiana, ma al contempo ha dettagli <i>improbabili</i> che non smettono di stupire i clienti, perfino quelli abituali. Cose assolutamente <i>random</i>, spesso acquisti dei locali vicini che cozzano di molto con il resto del Cheshire - fossero i sextoys comprati al Linguinis, o statue dal SUB - ma su cui non ci si pone davvero delle domande, perchè nel complesso sembra avere tutto senso. Al piano inferiore c'è anche il retro del locale, dove si svolge tutto un altro genere di affari  - contrabbando, riciclaggio di denaro, droghe - ma solo i <i>veri intenditori</i>, o chi del mestiere, sanno della sua esistenza. Il piano superiore è riservato ai <i>VIPZ</i>, ed offre un servizio personalizzato a tutti i clienti, con un cameriere ad personam che riempie sempre il bicchiere di champagne, ed i tornei di poker migliori.

    ➡ proprietario e commessi: Jane Darko (proprietaria) + (candidature aperte, ci serve tutto eh) (vi confermo chi c'è quando lo scopro)
    ➡ dove si trova? Quo Vadis
  11. .
    gabe darko
    Does the devil get scared if she dies in her dreams,
    while the earth burns?
    She cries cause she's nothing like you, is she like you?
    What do you want from a devil like me, am I like you?
    Raramente Gabe aveva voluto più di quanto avesse. Era un ragazzo semplice che tendeva a bastare e bastarsi, e che le pretese le lasciava a chi avesse soldi per permettersele e pochi impegni. Era un osservatore, un curioso che viveva in un sistema tutto personale e distaccato dal mondo reale e concreto in cui si muovevano gli altri: i loro problemi tendevano a non coincidere con i suoi, di problemi. C’era chi si dannava domandandosi come sarebbe arrivato a fine mese, ed un Gabe nell’angolo della stanza a sollevare gli occhi blu al cielo riflettendo se fosse o meno in grado di pensare a colori. Priorità sballate, sorrisi storti e leggeri.
    Non desiderava ardentemente degli amici. Ancor più lontana l’idea di una relazione. Le interazioni con il resto del genere umano, erano sempre migliori sulla carta che vissute fra i polpastrelli.
    Ma guardava Eugene Jackson e voleva poter ricordare. Voleva avere un quarto di memoria del Fergie che seguiva i dettami di Delilah come un profeta il suo Dio, finendo costantemente vittima dell’uno o dell’altro dei maggiori – con l’uno, e con l’altro. - ricordare l’odore dell’olio a impiastricciare le mani del padre, e come la madre avesse smesso di dirgli di non disegnare sui muri limitandosi a sospirare e chiedere almeno, almeno, di evitare parolacce. Voleva essere in grado di sostenere lo sguardo del professore con coscienza di causa, permettergli di prendere parte del proprio fardello e dividerlo equamente a metà perché così si faceva in famiglia, ma Gabe non poteva lasciarglielo. Non poteva e basta.
    A dire il vero, non l’avrebbe fatto neanche Fergie. Potevano anche averlo cancellato e riscritto, ma le caratteristiche principali le aveva ereditate uguali alla prima stesura: occhi azzurri come il mare in cartolina, ed una gran testa di cazzo. Voleva solo lo… sapesse, così che non arrivasse dal nulla.
    «quando arriverà quel momento, bubi—non dovrai nemmeno cercarmi. sarò già li»
    E quello. Proprio quello, anche se non l’aveva chiesto e non aveva intenzione di farlo. Fu ovviamente il primo a distogliere lo sguardo, posarlo distratto su una crepa particolarmente affilata dello scalino di cemento. Labbra spinte tutte da un lato, un dito incastrato fra il piede e la scarpa. Da qualche parte, una coscienza che neanche era più certo di possedere, pensava non fosse corretto da parte sua volere che non lo lasciasse solo; dall’altra, era pur sempre un Jackson e gli sembrava il minimo sindacale, qualcosa che neanche meritasse di essere discusso.
    Li chiuse, quegli occhi lì. Per poco ma lo fece, accartocciandosi inconsciamente su se stesso quando il maggiore posò leggero le dita fra i capelli scuri. Non si era mai sentito così… giovane quanto in quel momento, Gabe. Concedeva a Narah di prendersi cura di lui perché sapeva Nah ne avesse bisogno, non perché ne avesse bisogno il Darko. Era diverso.
    Non gli piaceva particolarmente. Si permise comunque quell’istante di morbidezza, perché talvolta doveva capitare anche a lui, ed immaginava di esserselo anche fottutamente meritato.
    «tutto quello che vuoi»
    Annuì, forzando sul fondo della gola la saliva che sentiva incastrata a metà. Quando aprì gli occhi li sollevò sul cielo grigio dell’alba, affidando al profilo della luna uno specifico tipo di rabbia che non sapeva portare con sé troppo a lungo. Si asciugava in fretta, come una chiazza d’acqua al sole. «fa veramente schifo, porca miseria» Appiattì la guancia sul ginocchio, sorridendo della risata ruvida dell’altro. «l’ho presa da spaco» con mani veloci e la tattica distrazione made in Jackson che rendeva ogni crimine un’opera d’arte. Più facile decidere che stessero parlando dell’alcool, piuttosto che di tutto il resto.
    Quello che aveva da dire, l’aveva fatto.
    «bro? tutto quello che vuoi»
    Così annuì ancora. Umettò le labbra e volse il viso dalla parte opposta, lasciando sui jeans una linea smezzata ed umida. Faceva male qualcosa, a Gabe – non voleva indagare su cosa fosse.
    «bella» e quello era quanto avesse da dire in merito, signori e signore. Drizzò la schiena con un sospiro pesante, alzando le braccia per sciogliere i muscoli contratti. Porse il pugno ad Euge, perché c’era forse un altro modo al mondo per suggellare una promessa? Il mignolino, forse, ma il Darko era più da nocche contro nocche, dita a sfarfallare nell’aria, ed il più vago dei sorrisi a curvare gli angoli delle labbra.
    «e quindi avete vinto. venduti» schioccò la lingua sul palato, prendendo la bottiglia dalle mani dell’altro e dandogli una leggera spallata. Avrebbe dovuto importargli di più, dargli più peso, ed affrontare la conversazione con la serietà che meritava, ma aveva già espiato le proprie colpe morendo. Pensava di poter fare un po’ quello che cazzo gli pareva, pensa te. Rimase in silenzio riflessivo un paio d’istanti, ingoiando la brodaglia che si era portato sin lì senza neanche leggere l’etichetta. Meglio così, probabilmente – non voleva sapere cosa contenesse. «ora che sono la puttanella di abby, il cheshire diventerà un locale elitario» le priorità erano chiare, e l’inizio del proprio impero era in cima alla lista. Aprì il palmo, chiedendo silente una sigaretta al suo bro. «vuoi un biglietto vip? Giusto perché sei te. Offerta a scadenza, poi ti tocca la waitlist come per i biglietti del tour della swift» faceva anche rima.
    Battè le ciglia. Altro silenzio. Occhi blu ad osservare un unico filo d’erba solitario fra i crateri della strada di fronte a loro. «se abbadon mi ha riportato in vita, significa che ora è mio padre?» d-d-daddy?
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    y.o.
    electro
    kinesis
    jackson core
  12. .
    CITAZIONE
    non so spiegarlo ma mac e mort (Mac canta)

    COSì VERO E REALE.


    Allora. Per vostro immenso dispiacere, interrompo la rubrica "perchè ascoltare i nothing but thieves" per iniziarne un'altra: avete presente il trend di tiktok "vi convinco a leggere un libro con solo una frase"? No? Beh, allora forse su instagram deve ancora arrivare (.). benvenuti ufficialmente alla mia versione: vi convinco ad ascoltare una canzone con una frase.
    Oggi abbiamo i the neighbourhood vrs perchè sono in quel mood.
    Prenderò tutte le mie canzoni preferite (che trovate nella mia plyalist su spotify :cuoricini:) e basta perchè non sono così filantropa.
    No more gatekeeping.
    Saranno frasi particolarmente significative? Forse. O forse sono solo pinnabili. O forse mi piacciono nel brano per la loro musicalità. Forse sono solo iconiche e basta. Y'all mind your business.

    1. AFRAID
    You're too mean, I don't like you
    Fuck you, anyway


    2. LEAVING TONIGHT
    And I, I figured it all to be love
    But this isn't lovely


    3. WIRES
    You knew the game and played it
    It kills to know that you have been defeated


    4. BABY CAME HOME
    She left me alone and without
    Skin I could study about


    5. FEMALE ROBBERY
    I'm sure they figured it out, early on
    That I would never run
    That they could shoot but that's no fun


    6. LET IT GO
    Remember what the people said
    When it's said and done
    Let it go


    7. $TING
    When we had our first kiss, it was your favorite thing
    And you weren't lying when you said it would sting


    8. W.D.Y.W.F.M.
    Maybe you're right, maybe this is all that I can be
    But what if it's you, and it wasn't me?


    9. FLAWLESS
    The only flaw, you are flawless
    But I just can't wait for love to destroy us


    10. LURK
    You wish I was yours and I hope that you're mine

    11. 1 OF THOSE WEAKS
    Can't get over the fact, people living a lie
    Just to stay entertained, what a waste of a life


    12. #ICANTEVEN
    Shame on me, you fooled me twice

    13. PREY
    If you don't ask, I won't tell
    Just know that, just know that
    It all hurts, it all hurts just the same


    14. CRY BABY
    I know I'll fall in love with you, baby
    And that's not what I wanna do


    15. THE BEACH
    If I told you that I loved you
    Tell me, what would you say?
    If I told you that I hated you
    Would you go away?


    16. DADDY ISSUES
    I'm not entirely here
    Half of me has disappeared


    17. GREETINGS FROM CALIFOURNIA
    Hopefully God is still down to forgive us
    Nobody's breathing, who let the evil in?


    18. SINGLE
    I don't ever mind sharing oxygen
    I just wanna get lost in your lungs


    19. ALLEYWAYS
    I was scared as fuck and out of touch, and I was still testing my luck, oh

    20. RIP 2 MY YOUTH
    Close my eyes and then cross my arms
    Put me in the dirt, let me dream with the stars


    21. STAYING UP
    How can I sleep if I don't have dreams?
    I just have nightmares


    22. EVERYBODY'S WATCHING ME (UH OH)
    Soon enough it eats me, all I’ve done defeats me
    It looks like you were right again


    23. A LITTLE DEATH
    Touch me, yeah
    I want you to touch me there
    Make me feel like I am breathing
    Feel like I am human


    24. SWEATER WEATHER (eh lo so, ma CONCLUDO IN BELLEZZA CHE DEVO DIRVI) bella in tutte le salse. slowed. sped up. sempre.
    'Cause it's too cold for you here
    And now, so let me hold
    Both your hands in the holes of my sweater
  13. .
    gabe darko
    Does the devil get scared if she dies in her dreams,
    while the earth burns?
    She cries cause she's nothing like you, is she like you?
    What do you want from a devil like me, am I like you?
    [ Roma. Jane Gabriel Darko un paio di giorni prima dell’arresto.
    Quello cardiaco, s’intendeva.
    “Le dispiaceva? Mah. Forse, se ci pensava con attenzione, poteva riconoscere che sì, una parte di lei era dispiaciuta da quella situazione, ma l'elettrocineta era una realista, e quelle persone erano già morte. Ripristinare l'equilibrio così come avrebbe dovuto essere da principio, le sembrava quasi un atto caritatevole: a nessuno piaceva essere usato come burattino.
    Se avesse saputo che quello fosse il destino dei Tornati di Giugno, avrebbe dato un bacino sulla fronte di Barrow Skylinski e segnato il punto dove mirare con la pistola.”

    Tic tac, uh.]

    Ah, che merda.
    Il Darko aveva spinto sui gomiti per girarsi supino, schiena sul cumulo di macerie e cadaveri, ed occhi al cielo in tempesta. Labbra socchiuse, un sospiro sulla lingua. «odio avere ragione» esalò, infilando una mano sotto la divisa per cercare la fotocamera ivi incastrata prima che Lamovsky passasse a miglior vita nel peggior modo possibile mai visto da occhio umano. Perchè pensate se, aveva suggerito l’elettrocineta, ora esplode; ed era successo esattamente quello.
    Certe cose erano più divertenti nella sua testa, ma Gabriel sorrise comunque. Reclinò il capo abbastanza da guardare la bocca ancora insanguinata di un soldato senza nome ed ormai senza età. «non è vero, comunque» confessò in un mormorio, tenace nell’aggrapparsi alla fetida curva della bocca. Poteva permetterselo, finché non si guardava attorno. Osservando le nubi scure, poteva ancora pensare che il mondo l’avessero salvato, e quella fosse la conclusione movimentata della loro vittoria. Non gli era importato né di vincere né di perdere, ma non significava che avesse realmente contemplato una delle due opzioni. Jane si era unita perché le andava. Gabe ne pagava il prezzo perché era finita.
    Semplice e lineare. Tastò le tasche interne cercando qualcosa, ed aggrottò le sopracciglia.
    «qualcuno ha una sigaretta?» gracchiò, alzando il collo per guardarsi finalmente intorno. Sentendo qualcuno muoversi ed imprecare, aveva dedotto che qualche anima in vita dovesse esserci, a meno che il dilatamento spazio temporale non l’avesse dotato di un nuovo potere da medium (sperava di no, altrimenti chi cazzo l’avrebbe sentita Fitz. Non le piaceva condividere.) ma c’erano tanti tipi di morte, al mondo.
    «no? nessuno?» Osservò i maghi intenti a puntare le bacchette contro i feriti. Persone a trascinare via compagni dal macello su cui Gabe ancora sedeva come un principe sul proprio trono. Un regno di morte e terrore ancora impresso nella mascella e negli occhi vuoti aperti sul mondo, ma pur sempre un dominio da governare.
    Vide sangue e lacrime e bocche spalancate in silenzi muti.
    Al primo disturbo sulla frequenza, estrasse un walkie talkie dalla pira funebre ancora spenta sotto di lui, inviando piccole scariche nel tentativo di stabilizzare il segnale. Noia. Rimando dell’inevitabile. D’altronde, nulla di quella radura poteva toccarlo, perché avrebbe significato togliere una carta dalla base e far crollare il castello. Jane Gabriel Darko era meglio di così: analitico ed improvvisatore, uno studioso del mondo che per leggerlo stava sempre uno scalino più in alto. Se si fosse lasciato contagiare dalla fragilità della natura umana, non sarebbe più stato obiettivo.
    Non prese nota, però, di quel dolore. Non lo catturò in fotogrammi eterni. Avrebbe permesso fosse dimenticato, se ne fossero stati in grado. Non era già qualcosa? Si tenne le mani impegnate con la radiolina, pur di fingere di fare qualcosa mentre il mondo collassava su se stesso. Ingannando se stesso che di motivi per essere lì ne avesse, e ne valesse la pena.
    Alla voce di William Lancaster, puntellando la lingua sull’arcata superiore dei denti, mormorò un «ok» asciutto, perché non vedeva il motivo di quella comunicazione se non per lavarsene mani e coscienza. Come un medico che andasse dalla famiglia di un uomo recentemente morto sotto i ferri, e dicesse ”abbiamo fatto tutto quello che potevamo” come se l’alternativa fosse mai stata plausibile; come se sottolinearlo lo riportasse indietro. Sospirò, allora. Lasciò cadere l’arnese fra le proprie gambe, chiuse gli occhi. Si estraniò da tutto il resto anche quando la terra tornò a tremare, e saltò dal proprio seggio solo quando la terra iniziò ad ingoiare i corpi uno dopo l’altro.
    Rimase sul ciglio dell’abisso a guardarlo, il Darko. Non avrebbe dovuto, e lo fece lo stesso. Si chiese cosa ci fosse sul fondo, e se fosse abbastanza coraggioso da scoprirlo. Quando sollevò lo sguardo, curiosità a mescolarsi ad uno strano e tiepido senso di sopravvivenza, vide Barrow Skylinski ed Eugene Jackson. Pensa. Sorrise ad entrambi, lento e meticoloso; prese marginalmente nota delle divise, opposte alle proprie; sopracciglia arcuate nell’indugiare sul fratello.
    Portò due dita alla fronte in cenno di saluto, scrollandole verso di lui. Qual buon vento.
    Parlò Sabine per lui: scelte. Di quello si trattava, in fondo. I motivi, erano di poco conto nel grande schema delle cose. Distolse lo sguardo dal Jackson solamente per posare le iridi blu su Heather Morrison, ed ancora sul suo benefattore. Sembrava esserci qualcuno in casa, perchè c’erano qualcuno in casa? Li osservò ancora, palpebre sottili e ciglia corvine a solleticare la guancia, prima di cercare la risposta al proprio interrogativo sul volto di Amaranth e May, o quello di Willa. Nessuna delle tre colse il suo quesito, troppo impegnate a sopravvivere per le filosofiche domande del fu babbano. Non gli rimase che sospirare, abbandonare le mani in grembo, ed attendere di sapere come sarebbe morto.
    Paziente. Agitarsi non avrebbe cambiato un cazzo, e Gabe funzionava a risparmio energetico.
    L’ultima volta che aveva visto Abbadon, era stato attraverso uno schermo. Vederlo dal vivo dopo che aveva dichiarato guerra all’intero mondo, era… anti climatico, perfino con le dita strette alla gola del suo nuovo giocattolo. Sentiva il suo potere? Certo, immaginava tutti potessero percepirlo, ma avrebbe davvero dovuto lavorare sulla propria presentazione. Così poco d’effetto, che Gabe non battè ciglio neanche quando la bambola venne rotta e lanciata ai suoi piedi. Poteva ruotare solo gli occhi, e fu quello che fece per Rebekah. Ne ricambiò l’occhiata vacua chiedendosi se per lei ne fosse valsa la pena, e cosa di specifico non avessero perso, visto che dubitava sarebbero sopravvissuti abbastanza da scoprirlo da soli.
    Se avesse potuto parlare, le avrebbe detto “mood” e basta, comunque; i morti non rispondevano alle sue domande, tanto valeva un briciolo di complicità.
    «dovrei proprio uccidervi»
    Gabe non sorrise, ma il suo sguardo lo fece per lui.
    «loro lo vorrebbero. oh, se lo vorrebbero. E stanno arrivando, sapete?»
    Avrebbe voluto crederlo folle. Avrebbe voluto una spiegazione clinica a quel ghigno, Gabe, a quelle voci, ma poteva credere così facilmente alle sue parole, che forse era lui ad aver bisogno di una perizia. Corrugò le sopracciglia, anche se di poco. Si stava ancora interrogando sulla natura non umana dell’uomo, quando i fiori sbocciarono sotto la pelle dei maghi strappando e strappando. Carne, sangue, e tutto quel che trovavano nel mezzo.
    Battè le palpebre, ed il suo primo pensiero fu se potessero coglierli, quando avessero finito. Farsi una coroncina, magari. Se potesse rubarne uno da infilarsi dietro l’orecchio per darsi quell’aria un po’ cottagecore che gli mancava, perché era sempre stato un uomo di città. Cresciuto in cattività, ma comunque urbanizzato. Li guardò piangere e svuotarsi e non sorrise, ma non li capì comunque. Alieni; estranei. La fine del loro mondo.
    Li trovò ridicoli. Gli dispiacque, ma li trovò ridicoli, perché del loro mondo non interessava a nessuno. Perchè era stato rapido, e non avevano perso anni ed anni e tutta una vita. Perchè almeno la scelta di arrivare fin lì l’avevano avuta, non come chi veniva strappato dalle strade o dai propri letti. Come se fossero improvvisamente diversi, e terribili; qualcosa con cui non potevano convivere. Sembravano disperati, come se quella non fosse una seconda possibilità ma un fardello. Era davvero così, ai loro occhi? Essere come loro era così terribile? Avrebbero preferito morire?
    Avevano perso la propria identità? Pensa, come migliaia di persone prima di loro, ma non li aveva visti perderci lacrime e sonno. Spostò le iridi blu su Moka ed Emilian, Gabe. Su Ptolemy, Sinclair e Justin. Su Wren. Si domandò se la pensassero come lui, o se fossero più preoccupati a domandarsi perché fossero stati tenuti da parte. Gabriel un’idea la aveva.
    «voi mi appartenete»
    Quella sbagliata. Non completamente, ma quella sbagliata, ed accadde tutto così lentamente che ebbe l’intero tempo dell’universo per unire i puntini e comporre la giusta sinfonia. Comunque troppo tardi, ma l’unica blanda soddisfazione a cui potè aggrapparsi quando il fumo entrò nelle narici e la bocca e gli occhi e -
    si sentiva spesso un estraneo nel proprio corpo. di troppo. sentiva di frequente la pelle spingere e tirare, ma non aveva mai fatto male. Non così.
    Provò a domandare chi cazzo fosse, perché le presentazioni gli sembravano importanti. Avevano bruciato almeno cinque o sei tappe di una relazione.
    Provò a sorridere. A ridere.
    E quando non ci riuscì si inferocì, e non poterci fare nulla comunque.
    Ordinò al proprio corpo di non inginocchiarsi. Lucifero un cazzo, proprio. Ma ce l’aveva della dignità?
    Si sentì soffocare e allontanare.
    Si sentì qualcosa Gabe, Jane, il cazzo che volete, finché
    non
    sentì
    e basta
    per un po’ non quantificabile.
    e quando sentì fu
    (no) fiamme (no) e scintille (no) e mani premute sulla terra a spingere e spingere e spingere (no) e le urla (no) ed i tonfi sordi e asciutti (no) e l’odore di marcio e bruciato e (no)ed i tetti a crollare (no) ed il cuore a bruciare nel petto e sgonfiarsi sgonfiarsi sgonfiarsi di tutto (no) e così pieno e così tutto e così gonfio e così distruttivo ed implacabile (no) il rosso il cremisi il blu il giallo (no)
    e gridò e strinse i denti perché vaffanculo cazzo, vaffanculo
    -
    Battè le ciglia e si alzò a sedere. Fece scivolare le dita sulla gola, strizzando appena. Si sentiva rauco e ruvido; i polpastrelli ancora a pulsare di elettricità statica che scaricò sul terreno. Aprì e chiuse il pugno, giusto per assicurarsi di poterlo fare.
    Guardò la faglia richiudersi. Guardò le nuche di chi lo circondava, senza capirli davvero.
    In dieci minuti, Gabriel era stato posseduto, era morto, ed aveva -
    lo aveva fatto davvero? Studiò ancora i propri palmi, perplesso. E decise che
    «ma quindi questa cazzo di sigaretta non ce l’ha nessuno?»
    se la meritasse.
    Si disse addirittura che gli occhi bruciassero per la fotocamera ormai sciolta contro il petto.

    «anche tu qui. Che mondo piccolo» un saluto distratto. Atipico. Prima di sollevare gli occhi blu su Eugene Jackson, finì di ordinare meticolosamente gli oggetti al proprio fianco nella posizione prestabilita, quindi spostò la bottiglia d’alcool un po’ più al centro e raddrizzò la rivoltella. Alzò un sorriso sul docente di arti oscure, invitandolo a sedersi sul suo stesso gradino. L’unico elemento superstite di quella che un tempo, così narrava la leggenda, era stata casa loro.
    Non poteva mentirgli e dire che da qualche parte ci fossero dei sopravvissuti, e non l’avrebbe fatto.
    Della casa che avevano condiviso non era rimasta che un’impronta.
    Ci era tornato comunque. Per principio.
    In quelle poche ore, Gabe aveva preso coscienza di alcune cose, e fatto di conseguenza delle scelte.
    Aveva letto ed accartocciato il bollino su Kyoto, non sentendo nulla; l’aveva raddrizzato e lisciato fra i palmi, dicendosi che potesse tenerlo ed appenderlo all’entrata del Cheshire, se ancora fosse stato in piedi. Aveva ricambiato tutte le occhiate, il Darko, e mostrato i denti in sorrisi ferali; aveva lasciato che il mondo magico al suo rientro si dividesse come il fottuto mar Rosso.
    Lo temevano e lo odiavano.
    Così Jane Gabriel Darko aveva scelto di lasciarglielo fare. Permesso e concesso con un bacio soffiato fra due dita ed il medio a sollevarsi sfrigolando di elettricità pura.
    Lo giudicavano un mostro ed uno scherzo della natura.
    Così Jane Gabriel Darko aveva scelto di esserlo, facendo vagare il proprio potere fino a pochi millimetri della loro pelle. Lasciando che le loro lacrime si asciugassero sulle guance, e non aveva neanche fatto nulla.
    Forse un centinaio di morti avrebbe rovinato gli affari, ma quasi due milioni? Lo trattavano con il riguardo delle leggende ed i miti, ed il terrore dell’ignoto: avrebbero fatto la fila, per spendere soldi e farsi notare.
    Così Jane Gabriel Darko aveva scelto di farsi adorare e venerare.
    Non era del loro giudizio che gli importava. Gonfiava il petto e offriva l’immagine di se che preferivano, perché a lui davvero non fregava un cazzo.
    E non si sentiva in colpa, perché non era stata colpa sua. Tutti quei morti? Si era unito alla guerra per salvarli, non aveva mica chiesto lui di fottutamente morire e rinascere posseduto, cristo dio. Erano state le sue mani ed il suo potere, ma non la sua coscienza.
    Avrebbe comunque popolato i suoi incubi, ma quella era una storia che poco aveva a che fare con il biasimo, e tutto con l’esserne stato spettatore.
    Ed aveva scelto di non tornare a casa.
    Perchè di Narah e Fitz gli importava. Perchè non voleva sentirle.
    Perchè non era di loro che aveva bisogno. Ritrovare se stesso, quello sì. Convincersi che da qualche parte il muscolo cardiaco ancora battesse e fosse suo.
    Suo e fottutamente solo suo.
    Quello, era il problema di Jane Gabriel Darko.
    Ed ecco perché era lì. L’alcool era per festeggiare o piangere; la rivoltella per decidere quanto di sé fosse rimasto e quante scelte avesse ancora a sua disposizione. Magari le aveva già esaurite.
    «sai qual è la cosa peggiore?»
    Essere morto? Posseduto da Lucifero? Aver raso al suolo l’intera cazzo di Kyoto?
    «che non so più per quanto» per quanto cosa. «sarò io. E allora pensavo» ruotò gli occhi blu sulla rivoltella. Indugiò. Indugiò. Prese invece la bottiglia e ne svitò il tappo. «pensavo» deglutì. «che magari posso scendere a compromessi» la voce atona non tradiva alcuna emozione. «e diventare il cattivo prima che me lo facciano diventare senza -» inspirò, e quella volta fu più tremulo. «- di me.» perché era quella la cosa peggiore.
    Non era più padrone di sé.
    Avrebbe potuto capitare in qualunque momento.
    «penso che potrei farlo. Radere al suolo un’altra città. Sterminare milioni di persone» non lo pensava davvero; voleva crederci, però. Almeno per un po’. Si concesse di sognare di poter essere un mostro, fintanto che potesse scegliere lui di esserlo.
    Incrociò gli occhi di Eugene Jackson e smise di crederci subito. Non era una brava persona, Gabe, ma non era neanche quello. «se me lo chiede gentilmente» provò un sorriso.
    Breve. Premette la mano sul labbro inferiore per non farlo tremare.
    «li ho uccisi quelli come me. A Roma. Bang bang, sai. Pensavo di fargli un favore» Inspirò dalle narici e guardò le proprie mani. «sono venuto qui perché speravo di trovarci te» confessò. Sopracciglia corrugate, e scosse appena il capo. Chiuse gli occhi ed abbassò la voce ad un ammissione di colpe ed un segreto. «non voglio morire.» non di nuovo. Era vero, sapete?
    Si schiarì la voce e ci riprovò. «non voglio morire come loro. voglio morire come me» Una pausa. «non ora, penso. E magari non domani. Ma un giorno» quando avesse perso il proprio corpo una volta di troppo.
    Alla fine aveva solo vent’anni, Gabe. Poteva già sopportare il genocidio ed il suicidio, ma un Eugene Jackson che avesse già perso così tanto, sembrava un po’ troppo perfino per lui. Così la voce tremò appena. Le palpebre le chiuse. Il permesso lo chiese sentendo la gola incastrarsi sul palato. Era di nuovo il bambino che non ricordava d'essere stato, a tirare la maglia del maggiore per domandare se potesse andare ad Hogwarts con lui.
    «posso?»
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  14. .
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    aggiornato

    Edited by ‚soft boy - 29/5/2023, 14:12
  15. .
    gabejanedarko
    Doveva succedere prima o poi.
    L’aveva previsto e messo in conto, ma aveva sperato, ingenuamente, di poter rimandare quel momento il più tardi possibile. Era così crudele da parte sua il desidero di procrastinare la morte cerebrale di Barrow Skylinski? Se non di anni, almeno il tempo di capire quali fossero, con esattezza, le sue risorse, e dove prendesse la materia prima rivenduta al Cheshire. Invece no: Barry aveva ufficialmente perso il senno dietro le droghe chimiche con cui era solito – credeva avesse smesso, ma forse la mancanza di Amalie iniziava a farsi sentire – fottersi il cervello. Gabe chiuse le mani a coppa attorno al viso, dove sospirò greve.
    Non c’era più rispetto.
    Almeno aveva aspettato a firmare le carte da benefattore, e socio in affari, prima di sciogliersi dentro una tazza di metanfetamina. Non credeva avesse eredi diretti, o parenti prossimi denunciati in un testamento. Nella migliore delle ipotesi, la Gringott avrebbe messo all’asta le azioni dell’ex Corvonero, ed ad un presso ribassato, Darko avrebbe potuto acquistare l’intero locale.
    ...Mh. Sapete cosa. Forse quella dipartita, tanto male non era. Di spacciatori se ne trovavano dietro ogni angolo. Puntellò la lingua contro il palato, alzando gli occhi blu verso la ragazza che l’aveva informato dello stato confusionario, e perso, dello Skylinski smarrito. Gli aveva dato un (1) compito un quarto d’ora prima; non avendo egli fatto ritorno, aveva mandato una delle cameriere ad accertarsi avesse capito quale fosse il compito in questione (non pensava al biondo come uno sprovveduto ed un cretino; c’era da dire che Jane Gabriel Darko non fosse perfetta, e sbagliare fosse possibile anche per lei), e quello era il report ricevuto in merito.
    Ecco cosa succedeva a fidarsi di qualcun altro. Se tendeva a farlo il meno possibile, un motivo c’era.
    Il Cheshire era aperto da poco, ma dal numero di clienti, non l’avrebbe detto nessuno. Non credeva fosse un luogo speciale, anche se tendeva a venderlo come tale, ma sapeva fosse il posto necessario nell’ecosistema della loro cittadina magica per mantenere l’equilibrio. Stava facendo un servizio alla comunità; il Ministero doveva saperlo, perché i controlli in merito erano stati limitati. Non assenti, offriva sempre un caffè-o-qualcosa-di-più-forte ai Cacciatori che infilavano il naso nell’atrio, era ben educato e magnanimo, ma decisamente minori rispetto ad altri posti. La Lanterna Dorata aveva davvero rovinato gli affari a molti Special.
    Ma comunque una storia interessante: apprezzava tutto quel che aiutava a costruire il carattere, Jane. Gabe. Chi volete, sempre di lei si trattava. Lui. Loro. Non aveva preferenze in merito ai pronomi usati – o non usati.
    «vado» lanciò un’ultima occhiata all’uomo legato alla sedia. Barry aveva trovato le corde superflue; anche Gabe, a dire il vero. Ma l’aveva legato comunque, perché utile e dilettevole non dovevano per forza andare sempre a braccetto. Talvolta ci si poteva divertire senza uno scopo se non quello scientifico. Indicò alla cameriera di uscire, puntò indice e medio ai propri occhi e poi all’ometto grassoccio relegato ad un angolo del suo ufficio.
    Al Cheshire girava di tutto. Davvero, davvero, di tutto, ma vaffanculo se avesse iniziato a girare qualcosa senza che lui lo sapesse. Non esisteva. Su quello, doveva avere totale controllo, perché una mancanza di qualità nei servizi offerti, avrebbe messo una cattiva luce su tutta l’attività. Non l’avrebbe ucciso per così poco, eh, vi pare?
    Non lei, perlomeno. Ecco dove entrava in gioco Barry.
    Si chiuse la porta alle spalle, doppia mandata, e fece ricadere la chiave dietro il corpetto.
    Come Jane non si sentiva a suo agio in abiti femminili, ma come Gabe sì. Si dava il cambio in tutto, nel passare dall’una all’altro, eccetto la sua meravigliosa, brillante, personalità. Uscito in sala, non potè – né volle – trattenere un sorriso nel rendersi conto di quanti casi umani fossero lì a spendere soldi, e perderne, perché peccavano di altri hobby. Quando non era impegnato in faccende burocratiche, amava rimanere in sala in disparte, o mescolarsi ai clienti non abituali, per studiarli più da vicino.
    Tutti capitoli per il suo infinito libro sull’antropologia sociale.
    Quel giorno, purtroppo, aveva da fare, ed il suo da fare girava a pochi metri da lei con il sorriso più ebete del mondo a curvargli le labbra.
    Ebbe. Ebbe. Un rapido, intenso, e dolente senso di già visto. Il suo sesto senso, che un po’ come quello del film tendeva ad avere a che fare con i morti, vibrò, avvisandola che qualcosa non andasse, e non le sarebbe piaciuto. Come poteva immaginare che uno dei suoi incubi stesse per avverarsi?
    Un altro vippino. Non ricordava un cazzo di Tottington, ma il rimorso dell’esistere nello stesso spazio-tempo del Ketchum, non l’aveva mai dimenticato.
    Che ne sapeva, Gabe.
    «barrow» sopracciglia corrugate, sguardo pregno di disappunto. Cosa diamine stava facendo? Sapeva che non fosse sempre troppo centrato, ma così? E l’aveva visto in momenti davvero poco lusinghieri. «barrow» sorrise, richiamando ancora l’attenzione del ragazzo, mostrando appena i denti. «si può sapere» gli cinse la vita con un braccio, spostandolo lontano dagli avventori, e strinse un po’ più forte, giusto per sottolineare che non fosse felice del suo comportamento. Tanto i lividi gli piacevano, no? E se voleva prenderlo a pugni, ci provasse: era pur sempre un Jackson. «che minchia stai facendo?» il sorriso non tentennò neanche un po’, ma non c’era solo curiosità nel tono di Jane. No, in caso ve lo steste chiedendo, il resto non era preoccupazione.
    Se Barry doveva perdere il senno, però, preferiva lo facesse lontano da occhi indiscreti. Sapeva che avrebbe desiderato anche lui così, fosse stato un po’ più presente.

    Standing there,
    killing time
    Can't commit to anything
    but a crime

    20 y.o.elecrokinesisbitch in charge
199 replies since 24/11/2018
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