still the mean girls

PREQ 10 | ft. euge

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    Come sempre in quei casi, Spaco le tolse le parole di bocca. Run, fra le mani un boccale di birra che aveva visto più bocche che detersivi, roteò gli occhi verso lo schermo fuori dal locale. Non era uscita - anche perchè staccarsi dallo sgabello implicava una forza di volontà che la Crane, ancora sobria, non possedeva - limitandosi a poggiare la schiena al bancone ed adocchiare la folla riunita sulla strada. Gli occhi di tutti incollati su una faccia che conosceva, Run, ma non davvero.
    «superbowl magico» bisbigliò all'orecchio del Jackson, impavida nel poggiare le labbra sul vetro ed ingollare la brodaglia pallida che sapeva di tutto eccetto che di birra. Aveva una ricetta speciale, Spaco: metteva insieme tutti i fondi delle bottiglie rimaste in esposizione, e costruiva così la sua bionda al malto che tutto aveva, compresa la salmonella, eccetto il malto. Lo adorava così tanto. Una certezza in tempi oscuri, le bestemmie del buon Spaco. Un conforto, i suoi continui insulti - «crane, sei talmente povera che sei tu a rubare agli zingari» - e le minacce creative - «run, ti farò guardare miley cyrus 24/» - con cui dimostrava il suo amore.
    Perchè era indubbio, la adorasse.
    Ricambiato.
    «era un po' che non si vedeva in giro. mi sa di televendita» sorrise, occhi verdi e sottili ad osservare l'uomo parlare, e parlare e parlare, perchè chi possedeva un pene non sembrava intenzionato a voler fare altro della propria vita. Derogatory? Sempre.
    «si coprono le spalle a vicenda. e si ricordano fra loro quanto siano speciali ed unici. Quindi: siete speciali ed unici, amici miei» sposata. Keep it up abby, you're doing amazing. «unico e speciale» ripetè adorante, la birra premuta contro il cuore e la mano libera a strizzare la nuca di Euge. Lo scosse rischiando di rovesciare i drink di entrambi, sorridendo felice. Felice, capito. Perchè amava lo Spacobot e amava Eugene Jackson, e quella era la Run che si meritava di essere.
    Di nuovo, sempre, lì. Di nuovo, sempre, con la stessa compagnia.
    «avete concesso a delle formiche di occupare tutto il posto che ci spetta? siamo più evoluti. siamo più forti. costretti a nasconderci come – come - come scherzi della natura?» Mh... «non più.» MH.... «non da oggi.» MH? Smise di sorridere, la confusione a farsi strada nello sguardo foglia a rimbalzare dallo schermo, al Jackson, a Spaco.
    «non siamo noi quelli contro natura. Non siamo noi ad aver distrutto interi ecosistemi per poterci spostare più velocemente: sono la razza più debole. Abietta.
    Abbiamo avuto pietà per secoli: non la meritano più.
    Oggi, amici, demoliamo lo statuto di segretezza. E ci riprendiamo il mondo»

    Si disse che fosse molto eticamente sbagliato essere turned on da una minaccia all'universo così come lo conoscevano, detta da un pazzo dagli occhi allucinati, quindi chiuse gli occhi ed inspirò profondamente.
    «sta scherzando» un bisbiglio, il guizzo di un angolo delle labbra.
    «dai. DaidaiDAI. CHI è CON ME?» Drizzò la schiena ad ogni Ministro.
    Scattò in piedi quando vide Kimiko Oshiro.
    «porca troia, euge» il cuore a sfarfallare veloce nel petto, l'adrenalina nelle vene. «porca troia. è serio» Stavano per - per fare cosa, esattamente. Dichiarare guerra ai babbani? Marciare su Roma?
    Non avrebbe dovuto, ma sorrise. Sorrise perchè ne aveva bisogno, cristo dio. Di spegnere i pensieri, seguire la massa, affondare lame e denti in qualunque cosa le capitasse a tiro. Sorrise perchè andiamo, a chi non piaceva un po' di conquista del mondo.
    Ma a quale prezzo, Run?
    Pensò al mondo doveva aveva vissuto metà della propria vita. Ai vicini di casa che le avevano sorriso, gli anziani che le aveva detto fosse proprio una brava ragazza, i colleghi dei ristoranti dove aveva lavorato per mesi ad offrirle di dividere un milkshake.
    E pensò al capanno.
    Era un ghigno feroce, quello della Crane, che sapeva di torti mai perdonati e vendette ancora da riscattare. «MINCHIA SE LO FACCIO»
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    «è più una vocazione»
    ok, ho copiato la cosa sbagliata ormai rimane così, ciao cory.
    Eugene Jackson diede una rapida occhiata al tizio che gli stava seduto di fronte, iridi grigio azzurre fisse in quelle decisamente più liquide e distanti dell'altro; avrebbe potuto rifiutare la sfida, lasciar perdere: dopotutto non era nemmeno pomeriggio inoltrato.
    ma se c'era una cosa che il professore non riusciva a fare era girare le spalle ad un 'scommetto che—'. quante cazzate aveva fatto euge out of spite solo per vincere una scommessa? per dimostrare a qualcuno che la parola limite nel suo vocabolario non esisteva? tante.
    più probabilmente troppe.
    «vocalone un cazzo, manda sciù» e vabbè. passò i polpastrelli sul bordo del bicchiere (bottiglie di rum con la salmonella? ah, amatours) senza distogliere lo sguardo dal volto rubizzo dell'altro. sentiva run scambiare amorevolmente opinioni con Spaco al bancone, e quello era l'unico motivo per cui non aveva ancora messo fine a quella farsa.
    no, non è vero.
    voleva arrivare fino in fondo e schiacciare quel figlio di puttana.
    inarcò un sopracciglio, l'ex Serpeverde «ogni tuo desiderio è un ordine» aveva un bel sorriso, Eugene Jackson, e lo usava sempre quando ne aveva l'occasione; perché era rassicurante, ed era morbido, ed era convincente. non che all'ubriacone dall'altra parte del tavolo interessasse — ma si fece convincere comunque. di potercela fare, perché in fondo quel ragazzone seduto di fronte a lui era solo un gradasso con la parlantina sciolta e prima o poi sarebbe crollato.
    presero ciascuno il proprio bicchiere tra le dita.
    il liquido all'interno puzzava tanto quanto bruciava: come benzina, come morte imminente.
    con il senno di poi euge avrebbe trovato quella situazione quanto meno kafkiana — lui e run, allo Spacobot, prima della fine del mondo? poteva essere solo un sogno, o un fottuto incubo.
    fece un cenno al suo avversario.
    quello rispose con un doppio occhiolino.
    weird.
    il movimento del braccio fu più o meno contemporaneo, scoordinato, ma i bicchieri arrivarono entrambi alle labbra dei rispettivi proprietari senza perdere una goccia; cos'era quello, il quarto shottino? ci fosse stato dell'alcol vero, dentro, euge avrebbe potuto ingollarne anche dieci prima che si facesse l'ora della merenda, ma la benzina di Spaco andava dosata. e se non ci si era abituati, come il trentaduenne si era abituato ormai da tempo, si finiva per— «jackson, stupido coglione, smettila di ammazzarmi i clienti» ora.
    the disrespect.
    solo perché l'ubriacone non sapeva riconoscere i suoi limiti ed era appena piombato sul tavolo con la bava alla bocca non significava per forza che fosse colpa sua «è la tua brodaglia di centesima scelta che li secca, Spachino, non io» batté il bicchiere vuoto sul legno, facendo sobbalzare la testa del tizio svenuto (o in coma. chi lo sa), prima di sollevare entrambe le braccia «GUARDA HEIDRUN, HO VINTO!» si meritava anche lui una birra annacquata con dentro ingredienti innominabili? si, certo.
    per questo la raggiunse al bancone.
    prese posto accanto a lei, come faceva da sette anni, senza mai mancare un'occasione. con il senno di poi, eh.
    se avesse potuto, Eugene Jackson avrebbe bloccato il tempo in quel preciso istante; aveva avuto giorni, anni, in cui la smania di muoversi e fare e colpire qualcosa era così forte da sembrare un martello pneumatico ficcato in testa. giorni in cui, frenetico e ferale, incapace di stare fermo, coglieva ogni stupida occasione per offrirsi volontario. ma aveva messo la testa a posto.
    si era fatto una famiglia.
    insegnava (male) ai ragazzini.
    faceva edit di video porno soft.
    eppure.
    «era un po' che non si vedeva in giro. mi sa di televendita» guardò fuori, il jackson, dove la gente si era radunata attorno ad uno schermo, mormorii agitati a penetrare attraverso pareti e finestre.
    eppure.
    run lo prese per la collottola, e euge si lasciò scuotere, le dita strette un po più forte intorno al bicchiere «porca troia, euge. porca troia. è serio» le labbra del professore si aprirono — sapeva di voler dire qualcosa, di dover dire qualcosa. le richiuse. c'era un cazzo di psicopatico su un palco che si atteggiava come dio sceso in terra; e c'era heidrun crane, al suo fianco, come fottutamente sempre. «run» avrebbe voluto che la benza di Spaco fosse stata ancora in grado di fargli qualche effetto, euge.
    avrebbe voluto essere meno lucido, meno preoccupato, meno, improvvisamente, smanioso. «cosa cazzo stai facendo.» non c'era accusa nel tono di voce del professore, nemmeno (uno di secondo) l'ombra. pensò alla propria famiglia, Eugene, a quelle persone semplici che di magia non capivano un cazzo eppure lo avevano amato comunque.
    poi incrociò lo sguardo della crane — aveva avuto quegli occhi davanti per una parte infinita della sua vita, euge. legati, a doppio filo, come il destino aveva voluto fin dall'inizio. pensò a quando l'avevano rapita.
    a come si era sentito; la rapidità con cui aveva rinunciato a tutto, rischiato qualunque cosa, per trovarla. a come aveva fallito, alla fine.
    e pensò a Delilah.
    a Jeremy.
    e pensò a jade.
    a suo figlio.
    quel figlio che lo guardava adorante e a volte faceva muovere gli oggetti con il pensiero. un bambino il cui futuro sembrava già segnato.
    «dimmi perché» convincimi, come sara @ rob.
    anche se lo era già, Eugene Jackson — lo sarebbe stato sempre: salti tu, salto io kinda thing.


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    heidrun crane
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    «run»
    E Sara si sentì subito attaccata, già provata da giorni di convivenza difficili con Roberta, perché nulla poteva mai essere quello che maledettamente era con lei: i pappagalli non restavano uccelli, la tensione sessuale doveva essere farcita di [hhh] sentimenti, e ci mancava solo Eugene Jackson serio nel bingo personale di un’anima che davvero, tutto quel bullismo, non se lo meritava. Non potevano parlarne tranquillamente durante una partita a freccette…? No…? Non poteva almeno prima sfidarla a una gara di shottini, anche consapevole che avrebbe miseramente perso…?
    No. Era così che voleva giocarsela, con quella bocca dischiusa e mutata, gli occhi azzurri a cercare risposte a domande che intanto non aveva bisogno di fare – ma che fece comunque, perché era pur sempre un Euge, e qualcosa da dire doveva averlo.
    Erano sempre stati sulla stessa lunghezza d’onda, sara e rob. Eugene Jackson ed Heidrun Crane. Sempre con il sorriso sulle labbra, una battuta stupida a scivolare dalla lingua, sguardi languidi a promettere che valesse la pena sopportare le loro stronzate. Si erano capiti subito, lo stesso ghigno a riflettersi dall’uno all’altro, i palmi stretti in un cinque, o a sancire una scommessa, o all’ennesimo pugno di ferro con cui l’avrebbe slealmente stracciato - o anche solo per tenersi per mano, perché era indubbio che Run amasse Euge. Non nel senso che intendeva Arianna insistendo a pensare che Jade si fosse messa in mezzo, ma restava comunque una forma d’amore sincera, costruita negli anni, cementata in maniera più o meno platonica, ma sempre altro era. Ne era certa la mimetica, sentendo lo stesso battito nel petto, e sapeva ne fosse conscio anche il docente di Arti Oscure, perché nessuno dei due era stato progettato per nascondersi. Genuini.
    E fu genuino anche il modo in cui il sorriso si spense, molto lentamente, sulle labbra di Heidrun. La luce di una torcia ad affievolirsi per batteria scarica. Le palpebre ad abbassarsi su un paio d’occhi verdi coscienti di tante cose, chinati colpevoli sul proprio boccale. «cosa cazzo stai facendo.» Brindando al sociopatico che voleva conquistare il mondo? Il guizzo delle labbra della mora suggerì che fosse destinata a rispondere in quel modo; il fatto che non lo disse, che avesse scelto di non farlo.
    Un brutto segno quando Heidrun Ryder Crane, Milkobitch a tempo perso, teneva qualcosa per sé. Uno terribile quando persisteva anche nel capo chino, perché significava che quelle cose lì, ad Euge, non volesse dirle, consapevole che almeno la metà gli avrebbero spezzato il cuore – lo stesso che condividevano, e che galoppava selvaggio nella carotide di entrambi.
    Stava mettendo a rischio anche la sua vita. Con leggerezza, perfino. Una responsabilità che Heidrun, avesse potuto tornare indietro, anche non potendo evitare di morire, non avrebbe voluto. Amava Eugene Jackson, e Dio solo sapeva quanto infaustamente amasse Gemes Hamilton, ma quella vita ad un terzo era difficile, per lei. Sapere che ogni secondo della sua vita mettesse in pericolo due persone a cui teneva, non le faceva bene.
    Dover chiedere il permesso per esistere, non le faceva un cazzo di bene. Non era fatta per essere tenuta in gabbia; ci avevano provato, ed era scappata ogni volta.
    Sapeva che non fosse quello che Eugene le stesse chiedendo, ma non potè fare a meno di vedercelo comunque, perché anche se non avesse voluto che la mimetica domandasse permesso, ne avrebbe stra cazzo avuto ogni diritto. Lo sapeva Run. Lo sapeva Gemes. Lo sapeva Eugene.
    E lo sapevano Jaden Beech ed Uran.
    Inspirò, cercando di scollarsi di dosso quella rabbia ingiustificata e mirata a tutti e nessuno. Umettò le labbra, poggiando delicatamente il bicchiere sul bancone appiccicoso dello Spacobot.
    «dimmi perché»
    A chiunque altro, avrebbe detto perchè posso.
    A qualcun altro, avrebbe ammesso perchè voglio.
    Ma Euge? Se l’aveva chiesto, era perché si aspettasse una risposta onesta, perfino pensata. Non erano in molti a sapere che dietro lo sguardo ferino ed il sorriso leggero, ci fosse una mente sottile e funzionale. Non logica, mai logica, ma quanto meno razionale e ragionata. Ancor meno persone gliene chiedevano prova, fidandosi che non avrebbe detto una stronzata.
    «jackson,» prese ancora tempo cercando sul palato il retrogusto di candeggina della birra di Spaco. Alzò gli occhi al soffitto, incurante delle bestemmie del proprietario e del frastuono nel locale; si concesse un paio di secondi per raccogliere il coraggio di cui si era armata tutta una vita, usandolo una volta ancora come scudo e spada, prima di spostare lo sguardo sul volto dell’altro. Scosse il capo, una volta sola. Si strinse nelle spalle, brevemente. «perchè me lo merito» fu la prima risposta, del tutto onesta, che volle offrire. Tentò un sorriso di scuse, perché avrebbe potuto essere migliore di così ma non lo era. Non era solo questione di fare di virtù necessità: il caos, le era sempre piaciuto un po’ troppo e basta.
    Erano stati anni difficili, di una vita difficile. Aveva accumulato, ed accumulato e accumulato, ma Cristo santo, prima o poi doveva pur esserle concesso di esplodere. Porse il palmo; fra lei e Dio se fosse un’offerta di pace, o una richiesta d’aiuto. «ma non riguarda solo me. O te. O spaco» Inarcò un sopracciglio, sfoggiando l’ombra di un sorriso sardonico.
    “Papà dice che sono un mostro. Come te”.
    Doveva proprio chiederglielo, perché? Costringerla a pensare a George, l’ingegnere aerospaziale, e Dave, il benzinaio, e Michelina, l’allevatrice di creature magiche? Per forza, cazzo? Corrugò le sopracciglia e smise di sorridere, strizzando le labbra fra loro.
    Sapeva non fossero tutti così. Certo che lo sapeva. Aveva vissuto, nel mondo babbano – ci era anche andata a scuola, e scambiato saliva e prime volte con quaterback e cheerleader.
    Ma.
    Ma. Certe cose ti segnavano e basta, e da lì era tutto in discesa.
    «non importa che abbia ragione o meno. Se dichiara guerra ai babbani, siamo fottuti. Significa che sapranno tutti della nostra esistenza, che ci piaccia o no» strinse la mano su quella di Euge, e lo fece forte. Meglio la mano, della testa di qualcuno sul bancone di Spaco. Morse l’interno del labbro inferiore, cercando – e fallendo – di controllare il battito frenetico del cuore, la furia a mescolarsi a qualcosa di amaro, molto più amaro, alla base della gola. «e ci odieranno, euge. Ci cacceranno come dei fottuti animali» perché quello sarebbero stati, per loro.
    Una richiesta sottile, che avrebbe voluto non fare. Che sperava di non dover fare, ma la fece comunque. Strizzò i denti, deglutendo bile acida. «non chiedermi di rimanere» perché non l’avrebbe fatto, neanche per lui. Mi dispiace.
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    «perchè me lo merito»
    una persona normale avrebbe preteso di più.
    nella stessa, medesima situazione, quelle quattro parole masticate a fatica non sarebbero dovute bastare — ma Eugene Jackson guardò Heidrun Crane negli occhi: come l'aveva guardata per la prima volta, e una seconda, e una centesima; in missione, nel proprio letto, in quel cazzo di capanno; distesa su un prato, in una foto, sulla soglia di casa, su quello stesso sgabello.
    la guardò e non pretese niente di più.
    avrebbe voluto dirglielo, sollevare una mano e premere il palmo sulla bocca della ragazza, ma all'ultimo decise non fosse il caso. aveva pure il diritto di tirare fuori quello che si teneva dentro, Run. non era forse lui la persona giusta con cui farlo?
    euge credeva di si.
    ne era sempre stato convinto.
    «non importa che abbia ragione o meno. Se dichiara guerra ai babbani, siamo fottuti. Significa che sapranno tutti della nostra esistenza, che ci piaccia o no» avrebbe voluto tornare indietro, euge, a quei tempi in cui ancora ragazzino l'unico suo pensiero era stato di vendetta — ne riconosceva il sapore, un rimasuglio sulla punta della lingua; amaro, finché non si riusciva ad inghiottire. e l'aveva fatto, il Jackson, una mano a cercare quella di akelei beaumont trovandola grondante di sangue.
    si lasciò sfuggire un sospiro, iridi grigio azzurre a passare in rassegna un locale improvvisamente svuotato; persino spaco, persino lui, li aveva abbandonati per controllare che all'esterno non ci fossero disordini — troppo tardi, vecchio bastardo.
    «sai—» testa reclinata e un accenno di sorriso sulle labbra, euge tornò a voltarsi verso la mimetica; le prese il volto con entrambe le mani, avvicinando la fronte alla sua finché quelle due teste di cazzo che avevano non cozzarono tra loro con un sonoro (ma intimo, familiare) boink «mi avevi già convinto a perchè» vero. sottone. come tutti i pg di rob, una condanna.
    le diede nuovo spazio, lasciando andare la presa per concentrarsi sul bicchiere rimasto a metà: emanava un tale tanto di benzina che ad usarlo come molotov avrebbe fatto esplodere l'intero spacobot «non te l'avrei mai chiesto» non era quel tipo di persona, il Jackson.
    apprezzava chi si prendeva le responsabilità delle proprie scelte, come stava facendo lui in quel momento.
    cristo
    «dici che jade ci manderà a cagare? » solo te euge, solo te. il sorriso si allargò ancora di più, a quel pensiero, perché in cuor suo il professore era certo che la Beech avrebbe capito (ma ti mena comunque se torni, accettalo), e con il bordo del bicchiere già appoggiato contro il labbro inferiore piegò il capo per osservare run da sotto le ciglia «potrei avere dei favorì da chiedere al buon Abby, sai? ha riportato in vita un sacco di gente, secondo me qualche altro miracolo può concedermelo» bevve un sorso, poi sollevò il pollice «intanto i comacolla canon. endgame. e che cazzo. cioè sono dieci anni che cerco di accasare Nate, ho anche io i miei diritti» e intanto la gente fuori urlava, si menava, andava nel panico.
    amatours
    sollevò l'indice «poi senti.. a lezione sono successe cose. sai che ti ho raccontato della nave.. dai, hai capito» per forza. non aveva guardato fino in fondo perché era un SIGNORE, ma non serviva arrivare alla parte porno soft per scippare moodino e il suo [uccello] capitano «magari Abby può fare in modo che le cose funzionino. age gap permettendo, non tutti sono come nate» eh. con sua sorella poi. anche se fingiamo di non saperlo. bestia.
    sollevò il dito medio.
    bevve di nuovo.
    qualcuno venne sbattuto (probabilmente da spaco) contro la vetrina.
    «e poi voglio capire se posso rimanere incinto»
    mh.
    «cosi risparmio la sofferenza a jade» priorità, scusate.
    le sorrise, con maggior convinzione, appoggiando la spalla contro la sua, la mano libera ad intrecciare le dita attorno a quelle più sottili di lei. probabilmente era giusto che finissero così, come avevano cominciato: dicendo cazzate insieme.



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    Oh Eugene Jackson, sappy motherfucker.
    «mi avevi già convinto a perchè»
    Come lo adorava. Un modo che andava al di là di qualunque mistico legame Lancaster gli avesse imposto legando le loro vite. Aveva più difetti che pregi, e Run li amava forse più dei secondi. Approfittò della vicinanza per dargliela davvero una testata, leggera e beffarda, arricciando il naso e sbuffando esageratamente seccata. «sei una merda. Avevo tutto il discorso pronto» Sorrise, perché non era una merda ed assolutamente, al cento per cento, non aveva alcun discorso con cui convincerlo, né voleva averlo.
    Che poi.
    Corrugò le sopracciglia, testa reclinata sulla spalla. Battè le palpebre un paio di volte, labbra carnose curvate verso il basso, occhi verdi fissi sulle proprie ginocchia. «ma convincerti di cosa?» tra l’altro. Da quando aveva lasciato la divisa da Pavor per diventare insegnante – e sì, certo, era diventato padre, ma di quelli ne conosceva tanti e possedevano ancora tutti l’indole kamikaze; bastava vedere il suo – aveva smesso di divertirsi a giocare alla guerra. Run… non è un... divertimento…? Sì, ok, moving on, a ciascuno i propri meccanismi di difesa, fatevi i cazzi vostri eccetera eccetera. «dici che jade ci manderà a cagare? » Spostò lo sguardo sul Jackson, osservandolo curiosa. A entrambi…? «oddio. Vieni anche tu?» title of their sextape ai tempi d’oro REB, caso mai vi interessasse saperlo, anche con lo stesso tono stupito.
    Beh. Aveva poco senso dirgli di non farlo, quando lei in ogni caso avrebbe messo in pericolo entrambi. Sarebbe stato anche ipocrita da parte sua provare a celare l’entusiasmo negli occhi chiari, perché mama raised a bitch, non una bugiarda, ed era sinceramente sollevata e felice che le tenesse compagnia; si sarebbero divertiti un sacco! «a te di sicuro. A me no, perché sono più bella» un dato di fatto, mi spiace era così, e lo sapevano entrambi. «e poi è parte dei vostri preliminari, quindi.» fece spallucce, tornando a sorseggiare la brodaglia tipica del locale. Ad ognuno il proprio, non sarebbe mai stata lei a giudicare. «potrei avere dei favorì da chiedere al buon Abby, sai? ha riportato in vita un sacco di gente, secondo me qualche altro miracolo può concedermelo» Il buon Abby.
    Ah. La boccaccia di Eugene Jackson li avrebbe uccisi prima dei passatempi della Crane. Raccolse un ginocchio sullo sgabello, incartocciandosi poi tutta nel poggiarci sopra il mento. «mh, intrigante. Dimmi di più» Era davvero incuriosita: aveva conosciuto tante persone nella sua vita, Run, ma nessuno aveva l’assoluta capacità di stupirla del moro (derogatory). Era così… speciale (derogatory x2). Già detto che lo adorasse? «intanto i comacolla canon. endgame. e che cazzo. cioè sono dieci anni che cerco di accasare Nate, ho anche io i miei diritti» Sorrise, Heidrun. Mostrando tutti i denti, riducendo gli occhi ad una fessura, piegando la testa all’indietro per offrire quella muta risata al soffitto. «priorità. Ma chiederlo a abby non è come barare? Non hai neanche ancora provato le tattiche basic del chiuderli in una stanza insieme senza possibilità di figa fuga» e mai typo storico Oblivion avrebbe potuto essere più appropriato, vista la concorrenza. «cioè, ci sono altre opzioni.» perché certo, avrebbe potuto dire che fosse un po’ extra chiedere aiuto shipper al demone resuscitato dagli abissi del Lago Nero, ma perchè avrebbe dovuto: all in, baby. Se Euge voleva domandargli i comacolla endgame, Run sarebbe stato al suo fianco con un powerpoint sul perché avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di farlo davvero. A chi fotteva che non avesse senso (a Gemes. Che sarebbe morto con loro. Non un problema di Run o Euge, però). «poi?» «poi senti.. a lezione sono successe cose. sai che ti ho raccontato della nave.. dai, hai capito» Difficile dimenticarlo. Non vedeva il Jackson così scosso da qualcosa, da – beh, non troppo tempo prima in effetti, ma non era certa che il fenomeno Oblinder contasse, perché nell’equazione era presente Nathaniel. I due pesi due misure erano decisamente una thing nel cuore del Jackson.
    Non come lei e Murphy. Principiante.
    «magari Abby può fare in modo che le cose funzionino. age gap permettendo, non tutti sono come nate» Annuì distrattamente, perché aveva senso, in qualche modo.
    Mistico. Ma qualche modo. Aveva riportato in vita una dozzina di persone, ed era rimasto secoli in una prigione subacquea: insomma, se qualcuno poteva farlo, era lui. «sì, beh – non mi fiderei troppo. Dipende quanto ci tieni all’incolumità dei tuoi studenti» ma che diceva: poco, probabilmente. Era pronta a rischiarsi la giocata con una creatura di Abby TM proveniente dagli inferi. «giusto. Ok. Avanti. e?»
    Rumori di vetri infranti. Urla di vario genere. Run tolse un pelucco dalle calze.
    «e poi voglio capire se posso rimanere incinto»
    Eugene….
    «cosi risparmio la sofferenza a jade»
    Jackson…!
    (Run sapeva che il suo rant fosse un modo gentile per dirle che la questione fosse passata, e lo apprezzava, ben felice di cambiare argomento.)
    «se avessi un pene. Giuro. In questo momento avrei un erezione» portò la mano di Euge alle labbra, schioccandoli un bacio sonoro e sospirando piano. «come lo avessi, davvero» HEART BONER! Ricambiò il sorriso, perché lo amava davvero, e «però che schifo» perché lo amava davvero.
    Cioè. Allora. Già le gravidanze erano brutte in generale, ma almeno le donne partivano con una buona base (erano belle. Tutte. Fine) quindi neanche quello poteva rovinarle. Gli uomini? Yikes. «non puoi chiedere direttamente un bambino già fatto? ew. Poi scusa - scusa. da dove … oddio» oddio. «oddio» oddio!! «FATEVI SCAMBIARE DI GENERE!!!» dai, quello era assolutamente fattibile! Sospirò sognante, la guancia premuta contro la gamba. «non vedo l’ora di chiamare jade “daddy”» priorità. Non che non lo facesse già, ma così sarebbe stato Più Vero TM.
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    eugene jackson
    that's a crazy idea.
    insane.
    it doesn't make sense.
    "you'll do it?"
    "of course" i replied.

    «oddio. Vieni anche tu?»
    avrebbe potuto anche risentirsi, per quel tono sorpreso. come se non fosse scritto nelle stelle del firmamento che era destinato a starle appresso — fino a che morte non li separi.
    ma poteva anche concederle il seme del dubbio, considerato il contesto: era cambiata, la vita di eugene; non lui, lui mai, sebbene avesse fatto uno sforzo per smorzare quello che in passato non aveva nemmeno lontanamente pensato di dover smorzare. la propria irruenza, l'agire distinto, il lasciarsi trascinare in avanti dalle emozioni.
    tutte, nel dubbio.
    «ogni volta che ne ho l'occasione, heidrun» e di occasioni ne aveva avute e ne aveva ancora tante, Eugene Jackson. ma non siamo qui a parlare della sua APPAGANTE E MERAVIGLIOSA vita sessuale. anche se il discorso successivo risultava in qualche modo interlacciato: no, non perché pensava di provarci con Abby per ottenere i suoi favori.
    unless?
    «se avessi un pene. Giuro. In questo momento avrei un erezione» il sorriso del professore si ampliò, mettendo in mostra incisivi e canini, iridi cerulee a cercare istintivamente la figura puzzolente di Spaco per urlargli un 'ALLA FACCIA TUA', senza trovarlo. chissà cosa cazzo era andato a fare: spaccare bottiglie in testa alla gente, probably. good for him, pensò, avvertendo chiaro nello stomaco l'antico desiderio di prenderne in mano una e ficcarci dentro lo straccio unto che il gestore del locale usava per pulire il bancone (sempre lo stesso, mai lavato) — troppo tempo che non lanciava una molotov, in effetti.
    «la apprezzo come fosse un'erezione vera» davvero, been there done that. euge bisexual cowboy icon eccetera eccetera. scosse la testa con convinzione, però, quando run accennò all'idea di farsi pullare da Abby un bambino già fatto: per qualche motivo non poteva accettarlo. forse perché in cuor suo voleva davvero partorire con dolore, Eugene, chi lo sa. non rob. è un momento difficile.
    «ma sai che—» aveva sempre sognato di avere le tette, in effetti.
    giusto per capire la sensazione, no?
    e la vagina??? UN SOGNO. forse. magari lo avrebbe scoperto alla fine della quest, ammesso di uscirne vivo. a differenza di altri pg di rob che non nominiamo perché porta male, euge qualcosa che lo spingesse a sopravvivere ce l'aveva: jade, uran, run (di gemes ci importa? no ciao gemes insegna ai bodiotti la Santa messa), i casta, i comacolla. cazzo, persino i suoi studenti.
    forse gli stava poco a cuore la loro incolumità — ma era mai morto davvero qualcuno alle sue lezioni? TRAUMI A VITA? (si) no; forse ogni tanto mostrava di avere delle priorità che male si sposavano con l'istruzione e la formazione delle loro giovani menti (anche se i video porno soft erano tutta cultura).
    però li amava.
    quelle bestiole.
    alcune piu di altre, perché erano feral gremlins come lui da ragazzino e gli facevano venire nostalgia dei vecchi tempi.
    «credo sia il caso di recuperare spaco» disse, sollevando il braccio per indicare alla crane l'uomo davanti alla vetrina. stava effettivamente spacando botilia e ammazando familia, con la forza e l'audacia di un ventenne carico di ormoni e adrenalina «a meno che tu non voglia andare a dargli una mano mentre io mi faccio insultare da jade» ci pensò su un istante, tirando fuori il telefono dalla tasca della giacca «potrebbe diventare una sex call molto in fretta» magari dopo aver salutato anche suo figlio, chissà!

    avevo anche pensato al dialogo. senza la altre sessuale.
    .
    ma non me la sento.
    non sono pronta.
    non è il momento giusto.
    JADE TI AMO SE SOPRAVVIVO NON MOLLARMI

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    heidrun crane
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    «credo sia il caso di recuperare spaco» Il sorriso di Heidrun era sempre un bel vedere, ma non significava che fosse in ogni occasione piacevole - e in quel momento, non lo era. L'effetto che le faceva la promessa di violenza gratuita, un vibrare delle corde cardiache che esprimeva tutto il suo essere istinto ed azione; primitiva e irrazionale. Tutto lì, racchiuso nei ridenti occhi verdi ad assorbire ogni istante della rissa poco fuori dal bar. Respiri profondi il cui suono si addiceva a contesti diversi - ma neanche troppo, se la riguardava - ma che in quel momento, perfino con una Rob a portata di mano, non avevano nulla di sessuale: un appagamento diverso, inspiegabile per chi non aveva vissuto la propria esistenza sul piede di guerra.
    E, ah, freme. Il foreshadowing del tuo post, neanche puoi immaginarlo - ma ci torneremo, non ti preoccupare. Ci torniamo sempre.
    «a meno che tu non voglia andare a dargli una mano mentre io mi faccio insultare da jade»
    Lo sguardo della Crane si adombrò per un solo istante. Uno solo, in cui nella sua bolla s'insinuarono pensieri concreti, con nomi e cognomi. In cui, da cecchino qual era, spostava lo sguardo dalla lente per rendersi conto che esistesse tutto un mondo fuori dall'obiettivo, un universo fatto di persone che per forza di cause maggiori sarebbero state toccate dal fuoco.
    Amico e nemico.
    Amici e nemici.
    Amanti e famiglia e. Talvolta, anche tutti insieme.
    «goditela» una sola parola che avrebbe dovuto suonare più sporca, promessa di baci e sudore, ed invece aveva tutta la ruvidezza del resto. Quello che rimaneva fuori, fatto di sorrisi ed abitudini e promesse; fatti di ciao ed arrivederci e ultime prime volte.
    Doveva fare anche lei delle chiamate.
    Le avrebbe fatte?
    Magari un messaggio sarebbe bastato.
    L'avrebbe mandato?
    Pensava ai suoi fratelli, ed a come li avrebbe costretti a rimanere a casa. Pensava che dove fosse Murphy, davvero, non volesse saperlo.
    Kieran. Sin. Suo padre.
    Voleva proprio picchiare qualcuno. Si alzò in piedi, sporgendosi per schioccare un bacio sulla guancia del Jackson. «vai tra, ci penso io qui. salutamela» ammiccò, buttando giù tutto d'un fiato quello che era rimasto del liquido infiammabile di Spaco.
    Al fianco dell'uomo. Un sospiro seccato, prima di rubargli la bottiglia e spaccarla lei stessa sulla nuca di qualcuno.
    Mostrò i denti in un sorriso, beccandosi gli usuali insulti, e andava bene così: era in tempo, per una volta.

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