your overdramatic tricks are louder than this decor

@cheshire, ft. sorta

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    jane gabriel darko
    22.02.2003
    london
    Jane Darko aveva sviluppato un certo senso per il drammatico, e non era successo in maniera graduale e misurata. L’influenza di Fitz, ed il sangue Jackson a scorrerle nelle vene, non l’avevano plagiata lentamente ma inesorabilmente come sarebbe stato naturale fosse. Era accaduto tutto insieme, perché non era una persona dalle mezze misure, e quando cambiava lo faceva radicalmente. In parte, era stata una scelta dovuta alla necessità di essere stravagante in un mondo troppo abituato allo straordinario, gli affari erano pur sempre affari, ma una grande porzione, doveva ammettere, derivava da quanto fosse divertente creare opere d’arte in carne ed ossa. Falsi d’autore. Dipingere vite ed animarle con un soffio.
    Jane per alcuni. Gabe per altri. Fergie, solo per Euge. Per chi non aveva avuto il piacere di fare la sua conoscenza in alcuna di quelle forme, era semplicemente Darko, l’erede di una guerra (persa) vinta, a viziare il mondo con giochi d’azzardo e tentazioni bisbigliate all’orecchio degli avventori del Cheshire: promesse vuote di altro denaro; droga ed alcool; beni materiali, ed immateriali; sesso e gloria. Potere, per chi ancora credeva di poterlo avere; ingenui, considerando non fosse più cosa per tutti. Un piccolo antro di depravazione e dissoluzione come il casinò, una facciata che di suo suggeriva il resto delle attività fatte al buio e sul retro, non aveva posto per Jane, o per Gabe. Fergie ci si sarebbe trovato alla grande, ma non in quelle vesti. No: il Cheshire, era il regno di Darko. Un mito, ed una leggenda; come tutti i miti e le leggende, aveva poco a che fare con la realtà e tutto da com’era stata raccontata.
    Si diceva fosse terrificante.
    (Jane)
    Perversa ed immorale.
    (Jane!)
    Una persona sadica, e malvagia.
    (Jane!!)
    Priva di compassione. Un cuore solido come sabbia vittima di un tuono.
    Che... ok. Su quello non poteva contestare quanto forse avrebbe dovuto, ma non credeva fosse un difetto fatale. Credeva anzi che peccare d’empatia fosse una delle sue doti migliori, e che la compassione fosse merce di scambio di chi vedesse il mondo spartito fra vittorie e perdite, e fosse cieco sulle migliaia di possibilità nel mezzo.
    Dicevano che fosse crudele. Lo trovava esilarante. Glielo lasciava credere, alimentando le dicerie sul suo conto come locandine pubblicitarie appese in bacheca pubblica. I bambini rimanevano fulminati quando ne incrociavano lo sguardo - magari - gli uomini cadevano in ginocchio supplicando pietà - era successo, ma non perché lei avesse fatto qualcosa di specifico: alla gente piaceva essere drammatica più di quanto non piacesse a lei - le donne rimanevano sedotte dal suo sguardo gelido e dimenticavano chi fossero - lusinghiero; sperava continuassero su quella linea - con uno schiocco di dita poteva far esplodere città - era successo solo una volta, anche se approfittava della somiglianza con Moka per fingere fossero state due; che permalosi - Lucifero. Una delle sue personali favole preferite. Dopo la guerra, il genere umano si era riscoperto religioso, ed aveva scelto le proprie chiese al contrario. Chi non era terrorizzato da Darko, lo venerava come un Dio.
    Chissà se anche gli altri lo trovavano buffo quanto lei. Se ne ridevano, come lei; se lo usavano, come lei. Non aveva contattato nessuno dei suoi sei amici demoniaci in quei mesi, perché non li conosceva e non gliene fotteva un cazzo, ma magari poteva mandargli un modulo google per un sondaggio veloce su come stessero affrontando le conseguenze della loro rinascita. Magari potevano organizzare una reunion proprio lì, al Cheshire, ed organizzare una serata infernale. Riusciva già a vedere i flayer di wizagram.
    Sorrise, scuotendo il capo per liquidare l’occhiata interrogativa di Sorta al suo improvviso sbuffo di ilarità. Erano successe molte cose da quando aveva tirato le cuoia ed era diventata la puttana di Abbadon, ma non la ”Mort Rainey era” in cui mansplainava i piani di dominazione del mondo. Aveva ancora della decenza, da qualche parte. Continuò a leggere i report della giornata, soffiando l’aria fra i denti quando la situazione diventava assurda e meravigliosa. Dire che avesse orecchie ovunque, sarebbe stato un eufemismo (e quello, signori e signore ed altro, era l’inizio del criminal empire di Jane Darko, Boss per i suoi figli; y’all welcome). Non c’era più nulla che sfuggisse alla sua attenzione, fra il suo essere naturalmente attenta ai dettagli ed un’osservatrice, e possedere un casinò frequentato da persone di ogni classe sociale incapaci di tenersi la lingua in bocca. I suoi dipendenti segnavano tutto quel che sentivano su foglietti che consegnavano a fine giornata insieme alla timbratura d’uscita. Jane non gli aveva mai detto le servissero per la sua decennale opera sull’antropologia sociale; chissà se credevano li usasse per scopi nefasti ed oscuri. Sperava di sì.
    «hai letto la posta del giorno?» Qualcuno che aveva conosciuto Darko prima, c’era ancora in quel del Cheshire. Qualcuno che la chiamasse Jane, o Gabe; che sapesse fosse tutto fittizio, e mantenesse comunque il segreto di pulcinella. Inchino a tende abbassate e sipario chiuso. Leali; c’erano giorni, particolarmente ottimisti, in cui voleva credere fossero perfino amici. Si sporse oltre il proprio scranno per passare le informazioni alla Motherfucka, un angolo delle labbra sollevato verso l’alto. «dicono che jason maddox abbia incendiato l’avis. E che l’abbiano beccato commettere atti osceni in luogo pubblico» Non le sembrava affatto assurdo, anzi. «quello sul Lynx non penso sia vero. Non ho mai sentito fosse pratico di contrabbando. Tu sai qualcosa?» perché quello, serviva sempre. Per quanto riguardava Jade e lo spaccio, credeva fosse passato Euge a lasciare informazioni inutili ai suoi nuovi dipendenti; non era divertente neanche la metà di quanto credeva fosse (sì invece; maledetto). «le tresche di romolo linguini non mi interessano» con la Middleton, poi. Almeno con Camilla sarebbe stato più intrigante. «il ragazzino esiliato dai sotterranei di pozioni…? Chissà perché ne stavano parlando» Doveva chiedere info dall’interno, perché Hogwarts rimaneva il suo bacino preferito per i casi umani della sua opera. Gli adolescenti erano una fonte infinita di evoluzione e non della specie. «frederik faustus presunto serial killer» tamburellò distratta l’indice sul labbro inferiore. Credeva di nuovo fosse opera di Euge. «teniamolo. Facciamolo girare» Non sapeva neanche chi fosse, ma – quasi – ogni desiderio di suo fratello era una solida realtà per Jane.
    Scusa, torniamo un attimo indietro. Un trono…?
    Ah, già.
    Vedete, era uno di quei giorni per il Cheshire. Quello in cui i debitori del locale – e, oh, erano dannatamente tanti – si prostravano al cospetto di Darko per decretare come avrebbero saldato il loro conto. Era un regnante magnanimo, nell’offrire loro la possibilità di inginocchiarsi, e scendere a compromessi per le ingenti somme di denaro che le dovevano.
    Diabolica.
    Jane? No, oh no. Non era cattiva, Jane, né gratuitamente crudele o sadica. Lasciava solo che tutto scorresse come altri avevano deciso facesse; che gli input individuali diventassero tradizioni; che fossero loro, a scrivere la sua storia. Aveva delle regole che non voleva fossero infrante, certo, ed un compasso morale un po’ sbilanciato, ma non era –
    Non era un mostro.
    Ne era abbastanza certa.
    Quello era un passatempo, per lei. Ascoltare come avessero speso tutto il loro stipendio alle carte, ed i singhiozzi disperati di chi con quei soldi avrebbe dovuto pagare l’affitto. Le lacrime, poi, le tollerava meno della rabbia. Malvagia? No, era giusto. Altri non avrebbero offerto quella possibilità, limitandosi a richiedere un pagamento in denaro o sangue. Jane, al contrario, offriva sempre seconde, terze, e quarte possibilità, ascoltando le loro storie fin quando non la rendevano triste di essere parte del cosmo, ed accettando in pagamento lavoro non retribuito ed orecchie al Ministero. Non era lei a torturarli. Perchè avrebbe dovuto, poi, quando facevano un lavoro eccellente anche senza il suo aiuto.
    Qualcuno bussò alla porta. Jane livellò gli occhi azzurri su Sorta, abbozzando un quarto di sorriso. La stanza era stata creata appositamente per suscitare in chiunque entrasse un senso di inferiorità, perché la psicologia era meravigliosa e l’elettrocineta adorava vedere come l’occhio esterno reagisse all’ambiente; le luci erano soffuse, lasciando angoli d’ombra anche dove lati non ce n’erano. Le tende cremisi che decoravano le pareti, suggerivano nascondigli e mai rifugi.
    E Jane. Gabe. Fergie. Darko. Quello che volete. Stava sul suo trono sopraelevato, il gomito sul bracciolo ed il mento poggiato distrattamente sul palmo, con indosso i vestiti di Gabriel. Una camicia larga a renderle le spalle ancor più minute; pantaloni stretti con una spessa cintura in vita. La stessa aria minacciosa di un cane sotto la pioggia battente.
    Fece cenno ai dipendenti all’entrata di far entrare la prima persona, usando la mano libera per portare un sigaro alle labbra. Non le piaceva particolarmente il sapore; le piaceva dare fastidio, e l’estetica ad insinuare uomini d’affari. Effetto Mendel, forse. L’uomo entrò stropicciando un cappello fra le mani, guardando ovunque eccetto che nella sua direzione. Puzzava di terrore come un animale reso selvatico per errore, abituato alle mura domestiche. Indossava quello che credeva essere il suo abito migliore. Un prurito al cuore le fece stringere le dita sul mento, perché l’hai voluto te, questo e almeno ti importa ancora, che era già qualcosa.
    Voleva chiedergli perché avesse così paura di lei.
    Non l’avrebbe fatto. Rovinava la scenografia.
    Con un sospiro, sfogliò il taccuino che teneva sempre - sempre - a portata di mano, cercando l’elenco dei debitori di quel giorno. Corrugò le sopracciglia con una smorfia divertita. «jean. bob» lesse, prima di abbassare gli occhi sull’uomo. «nome d’arte, immagino» permise all’elettricità di scorrere libera sulla punta delle dita, nel picchiettarle contro il trono. Non perse il sorriso, quando l’uomo sussultò.
    Ah, la magia della propaganda. Spiegava tante cose, vero?
    «non le dico a quanto ammonta il suo debito, perché non mi piace spettegolare» e davvero, non le importava. Il Cheshire aveva abbastanza fama, ormai, che Jane non doveva più preoccuparsi delle entrate – solo delle uscite, e di chi non lo faceva. «ma le chiedo.» Lo guardò. Voleva toglierlo dalla miseria, e dirgli che poteva andarsene – non voleva i suoi soldi, e non ne aveva bisogno. Voleva sapere come fosse finito ad indebitarsi così tanto; quale fosse la sua scusa.
    L’ennesima storia triste di sogni disperati. La speranza aveva smesso di farsi puttana, per passare all’elmo del soldato. Quando né a Dio né al Diavolo importava più, qualcuno doveva farsi carico della responsabilità di stringere patti. «cosa offre?»
    ivorbone
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    Don't know how long my neck can keep on holding up my head
    I think I'm developing a God complex
    Think I kinda love when they call me a villainess
    Secretly I love it when they're calling for my head
     
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