Posts written by ghost hotline

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    Idem era abituata a vedere ogni tipo di persona vagare per quel corridoio. Chi era stato mandato dai propri superiori, fosse per una perizia in seguito ad un incidente o per protocollo post bellico, chi costretto dalle famiglie, chi caldamente spinto dagli amici. Avevano tutti lo stesso sguardo addosso, il medesimo che il ragazzo le rivolse quando attirò la sua attenzione: mancanza di fiducia. Idem la trovava del tutto legittima, considerando che non la conoscevano; non prendeva sul personale l’essere sulla difensiva, quando tutto al mondo sembrava progettato per attaccare. Sembrava molto giovane. Sembrava molto indurito ai bordi, come carta macchiata di caffè lasciata ad asciugare; friabile e delicata, nella sua rigidità. «forse sei tu che hai bisogno dei miei soldi» Il sorriso sulle labbra della Withpotatoes tremò appena agli angoli, minacciando di sciogliersi in una risata. Tenne il divertimento stretto fra i denti, lasciandolo danzare negli occhi azzurri a cercare quelli scuri dell’altro. Non stava ridendo di lui, né a lui, ma trovò quell’uscita comunque fuori dalle righe ed a suo modo esilarante. Tenero. «forse» concesse allegra, muovendosi cauta in direzione dell’ufficio davanti al quale si fermò. Passò i polpastrelli su invisibili pieghe della gonna, intrecciando poi le dita di fronte a sé. Non c’era traccia di accondiscendenza nell’espressione della medium, solo paziente attesa. Se pensava di provocarla con il tono polemico ed aggressivo, evidentemente o era figlio unico, o il minore della famiglia. «ma il mio stipendio è pagato dal san mungo, che tu decida di entrare o meno» Replicò in tono tranquillo e gentile, privo di accusa ed al contempo senza lasciare margine perché il ragazzo potesse persistere nella propria controversia a senso unico. Sapeva, più per esperienza personale che per professione, che la soluzione migliore nell’incontrare personalità oppositive, fosse farle proseguire senza erigere muri, finché l’accelerazione dell’impulso non scemava in naturale frenata. Dare tempo al tempo, si diceva. «ethan lynx, sono qui per una seduta. non c'è nemmeno bisogno di ricordare il mio nome. è probabile che questa sarà la prima e ultima» Lo invitò ad entrare, sorridendo gentile anche del suo non sei tu, sono io su cui immaginava avrebbero avuto modo di lavorare – insieme, o individualmente. Malgrado il pronunciato broncio, Idem ebbe l’impressione che Ethan Lynx, a quella sua prima ed ultima seduta, fosse più smarrito che arrabbiato. Il nome fece suonare una campanella ben precisa nella memoria della ribelle, una a cui non permise di trillare troppo a lungo. Già sentito, mormorato in stanze ovattate da cui non avrebbe dovuto uscire alcuna parola. Nomi destinati ad essere lasciati dove venivano ascoltati la prima volta, costretti a spazi angusti ed irrequieti. «idem withpotatoes» offrì la mano nel farlo avanzare, senza alcun obbligo perché lui la stringesse. Gli indicò la sedia di fronte alla scrivania, ignorando il lettino poco distante, perché il primo incontro meritava un approccio più diretto ed intimo, dove l’altro potesse sfuggire più difficilmente al suo sguardo. Si accomodò al proprio posto, spingendo verso di lui una ciotola di vimini con dolcetti di ogni forma e dimensione. «caramella?» Era un ufficio impersonale, quello degli psicomaghi. Con il loro lavoro, non potevano permettersi di essere troppo umani, lasciando segni del proprio storico sulle pareti: non c’erano foto, non c’erano modellini. Potevano solo prendere ciò che lo spazio offriva, e renderlo un po’ più confortevole, senza però violare le libertà altrui – l’ufficio veniva equamente diviso con altri colleghi. I vasi delle piantine posti vicino alla finestra erano decorati a mano, variopinti e caldi; le tende erano bianche e leggere, i mobili eleganti ed asettici. La libreria conteneva volumi scientifici e medici, senza i titoli che Idem avrebbe amato avere. L’unico posto dove avessero libertà di manovra, era il cassetto della scrivania, dove ogni psicomago stipava una piccola parte di sé: i dolcetti, erano stati un qualcosa su cui si erano mostrati tutti d’accordo.
    «il percorso lo scegli tu, ed unicamente tu. Se pensi che una sola sessione sia abbastanza» lo osservò con mezzo sorriso morbido e liquido, senza specificare che quell’abbastanza avesse mille ed una sfumatura. «lo sarà. Il fatto che tu sia venuto qui, significa già qualcosa» Non prese pergamena su cui prendere appunti, allacciando piuttosto le dita fra loro, e lasciandovi cadere il mento. Lo guardò e basta, studiandolo gentile per una manciata di secondi, permettendogli di rompere il ghiaccio per primo.
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    Il «voglio dirtelo. Tutto quanto» di Noah, non aiutò ad allentare la tensione delle spalle di Idem. Si trattenne dal guardarsi attorno solo perché non voleva tornasse sui propri passi decidendo non fosse il momento opportuno, ma non riusciva a pensare ad alcun motivo che potesse necessitare quell’urgenza. Cercò rapidamente nei propri ricordi se negli ultimi minuti avesse fatto qualcosa di sconsiderato, ma le era parsa – con attenuanti del caso, tipo essersi infiltrati in un’associazione privata con l’intento di distruggerla. – una giornata del tutto normale.
    Per loro, perlomeno.
    «Non perchè ho bisogno di aiuto, ma perchè devi saperlo se-...» Attese, ma il Parrish non concluse mai quel se, lasciando che i dubbi della Withpotatoes si accumulassero gli uni sugli altri come mattonelle di lego. Rispose al suo nervosismo cercando di placare il proprio battito, controllare il respiro, ed offrire un’espressione neutra e non giudicante, gli occhi azzurri a cercare - e trovare sempre - i suoi. Dopo anni di convivenza, era la prima volta che Idem lo guardava senza avere alcuna idea di cosa gli frullasse nella testa, e senza di conseguenza avere alcun modo per aiutarlo a districare i fili.
    «quello che provo per te è più di semplice affetto fra amici, Idem Withpotatoes,»
    La medium battè le palpebre sorpresa. Non era … non era quello che si era aspettata, e strinse solo un poco più forte la mano di Noah nella propria. Un fiato appena irregolare a sgusciare dalle labbra dischiuse, lo sguardo ad ammorbidirsi e null’altro, perché sapeva stesse arrivando un
    «ma»
    Arrivava sempre un ma, e deglutì tutte le emozioni insieme alla saliva, controllando il respiro ma non potendo fare nulla per il battito lievemente accelerato, o le guance rosee esposte allo sguardo del ragazzo.
    «ti ho mentito troppo a lungo, e mi dispiace. Il mio vero nome è Magnus Hyperium Icesprite. Sono nato a Londra, nel 1948, e ho viaggiato nel tempo»
    Uhm. Uhm? Non era il “ma” che aveva atteso. Ancora, si ritrovò a battere le palpebre, le sopracciglia corvine appena corrucciate nella sua rinomata posa riflessiva. Magnus… Icesprite? Conosceva quel nome, Idem, ma era ancora incastrata nel ho viaggiato nel tempo per poter connettere i puntini. Icesprite? Come… Damian. Suo cugino….? Che mondo…. Piccolo. Aprì la bocca, la richiuse. Era rimasto incastrato come Darden a Bodie, senza possibilità di tornare a casa….? Le stava dicendo che avesse trovato il modo per tornare nel proprio tempo…? Era un addio?
    Magnus Icesprite.
    «Sono-... ero sposato. Ho avuto un figlio. Non ero un buon marito, ero un pessimo padre»
    Thinkin. Idem spostò la propria attenzione dalla parete del loro nascondiglio, al volto del ragazzo di fronte a lei. Era presente, sempre presente, ma con una nota distante e riflessiva.
    «sei….» Una pausa.
    Dillo.
    Ad alta voce.
    Dillo.
    Idem umettò le labbra. Magari dopo.
    «Noah non esisteva prima di conoscerti. Tu, e questa falsa seconda vita, che sembra molto più vera di quella di Magnus, mi avete reso l'uomo che sono adesso. Non perfetto, indubbiamente, ma abbastanza onorevole da volerti affidare, col mio cuore, il mio segreto» Idem fu molto, molto, grata, che Noah - Noah? - avesse richiesto della privacy, perché Sarah avrebbe rovinato tutto, cercando su Google quanti anni avesse Magnus («SETTANTACINQUE»), cantando sweet home alabama, e dicendole che i GILF fossero la nuova frontiera, perdendo di vista l’importanza del momento. La medium rimase ad osservarlo incuriosita, ma non come se lo vedesse per la prima volta.
    Era sempre Noah.
    E Magnus Icesprite.
    «...il nonno di damian?» soffiò piano, delicata, unendo infine i puntini. Era sposato con la sua… prozia? Il bambino per cui era stato un pessimo genitore, era il … - fece un paio di calcoli mentali - padre di suo cugino?
    Mi avete reso l’uomo che sono adesso.
    Oh, Noah.
    «Non ho mai amato nessuno come amo te, ma capirò se non vorrai più vedermi»
    Che… cosa. Era quello a preoccuparlo? Che non volesse più vederlo? Idem Withpotatoes non aveva mai, mai chiuso una porta, e non avrebbe cominciato in quel momento – non con Noah, e non quando il sorriso a tenderle le labbra, confuso ma sincero, sembrava non aver colto il memo che Noah, nato settantacinque anni prima, avesse messo al mondo un figlio con una sua parente. La amava? Inspirò ed espirò piano, rimanendo in silenzio. Non voleva tormentarlo inutilmente, ma cercava di capire, in tutta onestà, quanto quelle informazioni influissero sul loro rapporto. Conosceva Noah. Viveva con Noah. Condivideva la vita con Noah da sei anni.
    Sollevò le mani intrecciate, portandole sulla guancia e sospirando piano. Voleva dirgli le dispiacesse che non si fosse sentito abbastanza sicuro da parlargliene prima, ma comprendeva perché non l’avesse fatto. Per la prima volta, Idem Withpotatoes si ritrovava senza parole.
    «ho molte domande» confessò. Dire che avesse bisogno di tempo, sembrava un eufemismo – e non del tutto la verità. «ma posso non fartele. E puoi non rispondermi» amare qualcuno non significava dovergli tutto; poteva tenersi la vita di Magnus stretta al petto, se non era un problema per lui. Poteva lasciarla andare. Farne quello che preferiva. Idem non conosceva Magnus, ma conosceva Noah, e Noah era una brava persona. Non era abbastanza? Non poteva essere abbastanza?
    Lo era, per lei. Si era innamorata del modo in cui la vedeva e faceva sentire, di come la ascoltava e rimaneva sempre, e quella non poteva essere una menzogna. Fece scivolare la mano libera sul suo viso, il palmo delicato sulla guancia. «anche tu hai cambiato la mia vita, noah parrish» Premette il pollice, una carezza morbida. «e sarei molto felice se decidessi di rimanerci» si alzò sulle punte, sfiorando appena le sue labbra con le proprie, e regalandogli un sorriso contento e timido. «possiamo affrontare anche questo, insieme.» su quello, Idem, non aveva dubbi.
    Abbassò ancor più la voce in un bisbiglio. «odio rovinare il momento, ma dobbiamo salvare casper»
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    Gustav Rogers era un uomo pragmatico e di poche parole.
    Idem apprezzava che non girasse attorno alle problematiche in corso, andando dritto al punto e senza farcirle con contorno che non stava nello stomaco di nessuno. Apprezzava anche quelle riunioni settimanali, convinta che il confronto fosse importante, e vedeva lo sforzo dietro quegli incontri. Il messaggio subliminale di stringere i denti, ancora per un po’: era solo questione di abituarsi all’ennesimo orrore. L’essere umano era fondamentalmente adattivo; necessitava una tregua ed una spinta, ma trovava sempre il modo per andare avanti e sopravvivere a se stesso. Incrociò gli occhi di Stiles, le spalle di lui accartocciate su se stesso e la punta delle scarpe a premere sul pavimento come quelle di un corridore sulla linea di partenza. Immaginava non fosse neanche conscio della posa fuga con cui sedeva a quelle assemblee; gli rivolse un sorriso gentile ed uno sguardo incerto, perché finché Andrew Stilinski non avesse saputo da cosa stava scappando, Idem Withpotatoes non avrebbe potuto aiutarlo. Nessuno poteva. Credeva lo sapesse, in qualche parte sepolta e dimenticata del suo subconscio; credeva anche ci stesse provando, a non scappare.
    Tornò a guardare il loro responsabile, annuendo alle sue parole.
    Avrebbe letto altri manuali sulla gestione dei disturbi post traumatici. Sì, si sarebbe fermata oltre l’orario di lavoro. Certo, in caso di difficoltà avrebbe cercato supporto nel suo superiore.
    E la questione ancora venne ignorata, lasciando Idem a battere le ciglia su una stanza ormai quasi vuota, congedata da tutti i presenti. Cercò gli occhi del Rogers, perché pur non avendo ella fatto esplicitamente parola di quanto la situazione fosse problematica, aveva immaginato che il suo accennarne fosse già di per sé un sintomo di quanto intollerabile fosse. Non aveva appena detto che per qualsiasi problema, potevano rivolgersi a lui? Aprì la bocca per intervenire, rubare altri cinque minuti del tempo del dottore, ma si risolse nello stringere le labbra ed abbassare gli occhi sulle proprie mani in grembo.
    Non era colpa sua. Avevano già abbastanza problemi senza farsi carico di questioni di nicchia che riguardavano una percentuale di lavoratori davvero minima. Non poteva biasimare né Gustav Rogers, nè i suoi pazienti: le loro reazioni erano normali, e ciò che ci si poteva aspettare da loro. Si alzò, alla fine. Fece scivolare le mani sulle pieghe della gonna per raddrizzarla, sorridendo all’uomo a capo del tavolo prima di lasciare la sala.
    Se pensavano che essere uno psicomago fosse difficile in quel periodo storico e sociale, era evidente non avessero idea di cosa volesse dire essere uno psicomago medium di quei tempi. Tenne il capo chino, procedendo nel corridoio del San Mungo per mera memoria muscolare.
    «la prego, solo una volta -»
    «non la aiuterebbe»
    «devo dirgli che -»
    «lo sapeva, signora»
    «il mio bambino, la supplico -»
    «deve imparare ad andare avanti -»
    «ME LO FACCIA VEDERE»
    «signora, mi sta facendo male»
    «mio figlio...»
    «lo so»
    «mi dispiace, non volevo -»
    «lo so, signora»

    Il lutto tendeva a fare quello alle persone, renderle estranee a loro stesse. La paziente aveva allentato la presa sul braccio di Idem, gli occhi colmi di lacrime, la bocca spalancata in un grido muto - e Idem aveva guardato, e capito, e detto che lo sapeva, mentre i segni delle dita iniziavano ad imprimersi come lividi sulla pelle candida del braccio. Quello era solo uno dei tanti casi recenti che avevano visto protagonista la medium, alcuni dei quali avevano richiesto l’intervento della security. Non c’era stato alcun ordine ufficiale dai piani alti, ma la Withpotatoes sapeva che alcuni di loro passassero più di frequente di altri alla sua porta per assicurarsi che stesse andando tutto bene, così come sapeva che altri non lo facessero affatto, e di proposito. Non la preoccupava, riteneva fossero situazioni che fosse in grado di gestire, ma lo trovava comunque… triste.
    Trovava molte cose tristi, Idem Withpotatoes.
    A partire dall’espressione distante del più giovane psicomago rimasto sul piano.
    «sta facendo del suo meglio» suggerì, quando Stiles arrivò al suo passo, camminandole pesante al fianco. Rogers, lei, il resto dei loro colleghi rimanenti, lui stesso, stavano tutti facendo del loro meglio per sopperire alla mancanza di personale, ed alla frequenza di richieste da cittadini e ministero. Il moro la guardò di sottecchi, forse assicurandosi che fosse seria. «sicuro» Roteò gli occhi al cielo al sarcasmo spesso e trasparente quanto il vetro di una finestra, sistemando le pieghe del colletto. Non era suo compito convincerlo, a suo tempo l’avrebbe capito. Provò un altro approccio, allora, cercando di toglierlo dalla sua testa invitandolo ad una pausa alle macchinette. Sapeva che Andrew Stilinski avesse bisogno di tempo per elaborare cosa pensasse in merito alle situazioni. Di rispondere con ironia e scrollate di spalle a caldo, ma poi rifletterci ed avere modo di dire la sua con i suoi tempi, i suoi spazi – i bisbigli che pensava nessuno volesse sentire. «nah, ho un appuntamento» notò come massaggiasse le palpebre, le occhiaie violacee e la pelle smunta delle guance. Che fosse stanco, era un eufemismo, ma chi non lo era? Facevano più ore dell’orologio, ed i sessanta minuti che dedicavano ai pazienti valevano almeno il doppio di quel che la clessidra misurasse. Li svuotavano, indipendentemente da quanto preparati fossero nel loro lavoro. Idem era brava a mettere confini fra sé stessa e gli altri, professionale nella propria comprensione ed ascolto, ma avrebbe dovuto essere un automa per rimanere impassibile di fronte a quelle storie. Quel dolore. Quel nulla, che era forse la parte peggiore del loro mestiere. Le emozioni forti erano più semplici da gestire del piatto grigiore di chi aveva perso la voglia di vivere.
    E ce n’erano così tanti. Così troppi.
    Decise di bypassare anche lei la pausa alle macchinette, dirigendosi direttamente verso il suo ufficio. Di certo non le mancava lavoro in arretrato, anzi, ed anche lei aveva appuntamenti ad attenderla quel pomeriggio. Salutò con un cenno Franklyn Daniels, un sorriso ed un paio di convenevoli - come stai, io tutto bene, solo un po’ stanca, oggi è stata una lunga giornata, domani se riesco ti porti un po’ di brownies, li vuoi? -; lui faceva parte della categoria di security che trovava sempre un momento libero per passare dal suo ufficio, ma conoscendosi, si sarebbe fermata a chiacchierare in ogni caso. Aveva sempre l’aria di essere un po’ triste, pur sorridendo spesso e genuinamente. Aveva qualcosa di familiare, melanconico nella curva delle labbra, che l’aveva spinta a volergli un po’ bene da subito. Sapeva che avesse partecipato alla guerra per Lamovsky; sapeva anche che fosse una brava persona. Le due cose, non si annullavano.
    Si arrestò di fronte alla porta del proprio ufficio, curiosi occhi blu su un ragazzo lì vicino. Era il suo prossimo appuntamento…? Si era perso…? Aveva bisogno di informazioni…? Cercava qualcuno? «buongiorno. Hai bisogno…?»
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    si con il fatto che la palla ha deciso due role di psicomaghi, ho fatto i due pov della stessa giornata. WHATSUPPPPPPPPPP
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    CIAO JE BENVENUTISSIMA IO SONO SARA SR!!!
    (Lo dico subito perchè poi ho la terribile tendenza a perdermi e distrarmi, quindi potrei rispondere a tutto e non dirti mai chi sono (.) HO IMPARATO DAI MIEI ERRORI!!)
    Il caldo, mh. Ma sai che da me invece... non c'è più? Alla sera ed alla mattina fa addirittura freddo, roba che negli ultimi giorni sono andata a lavoro con i finestrini su e sono tornata a mettermi il pigiama quando vado a dormire. Scrivo dal nord, ma manco così profondo nord suvvia, provincia di Alessandria, più vicina a Genova che a Torino! Mah. Non capirò mai... niente, non elaboro. Non capirò mai punto, nella vita, senza manco un contesto.
    Siamo quasi coetanee, ma io sono più vecchia di te prr. E scrivo da... meno di sicuro, perchè a dodici anni al massimo scrivevo poesie, ma non parleremo di quel periodo oscuro e terribile della mia vita.
    CITAZIONE
    Sicuramente è anche colpa di tiktok e i suoi per te...

    Chissà se anche il tuo tiktok si è triggerato con le fanfic drarry, o se è un problema del mio. Recentissimo eh, ma da stamattina è proprio entrato in fissa con harry e draco senza assolutamente mezzo motivo (ti dirò: non me ne lamento, mark me as intrigued)
    DICCI I SEGRETI DEL MCCCCCCCC DICCI SE BARATE PER METTERE POCO GELATO AIUTOOOOO sono una cliente affezionata del mcflurry, esattamente nella stessa rotonda del mio ufficio c'è il mc quindi quando sono triste (spesso.) faccio tappa self care ♥

    E QUINDI! RICAPITOLANDO! CIAO JE!
    dicevo: sono sara sr (ce ne sono altre due: vj e jr, quindi dobbiamo distinguerci) il mio account principale è #epicwin ma mi trovi davvero in ogni forma (link doppi account). Ora faccio la persona :sparks: normo :sparks: e vado a copia incollare i link utili dai miei colleghi più efficienti (...)
    -- GUIDA ALLE SEZIONI!
    -- GUIDA AL PERSONAGGIO!!
    -- AGGIORNAMENTI DI TRAMA!!
    -- PRIMI PASSI!
    -- TELEGRAM!!! facoltativo, ma ci piace sempre molestare ed essere molestati, VIECCE A FARCI COMPAGNIA!

    per qualunque cosa non esitare a chiedere, siamo qui apposta! BACI BACI ♥ hai già idee su che pg creare? dicci di più!!
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    ti odio da morire sei proprio stupida e quasi quasi ti banno
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    Teneva un orecchio poggiato contro la porta, il palmo aperto su di essa per tenersi in equilibrio. Era difficile sentire con l’udito, sopraffatta com’era da tutto il resto. Le sembrava di ascoltare le voci all’esterno con un paio di cuffie spente nelle orecchie; contorni ovattati e gonfi. L’adrenalina, certo, non aiutava, ma a minare la sua concentrazione c’era soprattutto il basso vibrare delle bolle nell’archivio della DUSP. Non li percepiva come il resto dei fantasmi, non poteva comunicare con loro e certamente non controllarli, ma li avvertiva comunque. Un ronzio sotto pelle a disturbare le frequenze. Il principio di un emicrania che non si evolveva mai in un vero e proprio mal di testa, quanto più in un cerchio a stringere la fronte.
    (Di lì a qualche mese, la situazione non sarebbe migliorata neanche per le tranquille strade di Brighton, la morte a permeare ogni granello d’ossigeno; un’altra storia, per un altro momento.)
    Premette la mano libera contro una palpebra abbassata, schiacciando per alleviare la sensazione di stanchezza. Ecco, forse era quello il problema: sapeva non fosse possibile, ma si sentiva comunque drenata della propria energia come se qualcosa lì dentro si stesse alimentando del suo potere. Magari le voci che non riuscivano a raggiungerla. Le richieste e le preghiere.
    Non si arrabbiava spesso, Idem Withpotatoes, ma sapere che una società come la DUSP esistesse, la faceva innervosire. Aver scoperto che fossero andati ad Hogwarts, ed avessero usato le vite di persone reali come lezione per degli adolescenti, la infastidiva, perché non era storia. Non di tutti, almeno: era la loro, di storia. Intima. Non erano – tutti – personaggi che avevano in qualche modo contribuito a creare la società così come la conoscevano, ma gente normale. Qualunque. Imprigionata solo perché in vita non avevano avuto qualcosa - il coraggio, il tempo – ed erano stati visti in seguito come fonte di disturbo dagli esseri ancora viventi. Persone che avevano amato, ma non l’avevano fatta abbastanza; combattuto, senza vincere; perdersi, senza avere la possibilità di ritrovarsi.
    «vorrei restare da solo con te, Idem»
    Posò interrogativi occhi azzurri su Noah Parrish, la bozza di un sorriso divertito sulle labbra. Certo, anche lei avrebbe voluto restare da sola con lui, e che il resto dei dipendenti lasciasse l’edificio – non era quello il punto della loro missione? Sconclusionata, caotica. Poco stile Parrish, a voler essere del tutto onesti. Sapeva - sapeva - l’avesse fatto per lei, e come si poteva non amare qualcuno che spingesse i propri limiti un po’ più in là pur di renderla felice? Non aveva mai fatto pressioni in merito, Idem, perché sapeva ci fossero altre priorità - strani avvenimenti stavano capitando in tutto il mondo, e nessuno sembrava avere idea di quale fosse il motivo: era su quello che avevano indirizzato i loro studi, pur con pochi risultati – ma era importante per lei. Non capiva perché a quei fantasmi non fosse permesso di andare oltre, e fossero invece rinchiusi eternamente nel malessere che li aveva costretti in quella situazione in primo luogo. Che lei sapesse, la DUSP non aveva contattato alcun medium per facilitare il trapasso: nulla, della loro associazione, lasciava intendere che lavorassero per i fantasmi – offrivano un servizio ai vivi, e tanto bastava alla maggior parte della popolazione.
    «Se c'è qualcun altro con noi, vi pregherei di farmi questa premura e andarvene- perchè io sono pronto» Ah… mh. Quel soli. Fu istintivo e naturale offrirgli il palmo, lasciare che intrecciasse le dita fra loro. Non aveva bisogno di un motivo o di una spiegazione per farlo, ma - pronto? A che… cosa. Faceva parte del piano? Cercò di fare mente locale, ma non trovò una risposta. Alzò lo sguardo su Sarah, che osservava Noah con un cipiglio confuso ed offeso, le braccia incrociate sul petto.
    «digli che me ne sono andata. Tanto mica lo sa»
    «sarah» rimproverò a bassa voce, battendo le ciglia. Capiva quando esitava a lasciarla da sola in presenza di sconosciuti, gli Withpotatoes non erano propriamente una famiglia affidabile, ma Noah…? Noah Parrish non era un pericolo per Idem. Non avrebbe mai potuto essere un pericolo, neanche con quell’espressione seria ed il suo essere pronto. Provò a pensare se avesse dimenticato qualche conversazione in sospeso; se negli ultimi tempi fosse stata troppo bisognosa di attenzioni, appiccicosa come afa d’estate. Se quello fosse il suo modo – rispettoso, sempre; galante, ed educato – di farle notare che fosse il momento di prendere le distanze, costruirsi ciascuno la propria vita. Non potè fare a meno di notare come il solo pensiero bastasse a rendere scostante il battito nello sterno, un salto verso il basso e rapido poi a stringere la gola. Morse nervosamente il labbro inferiore, allentando la stretta sul suo palmo.
    «se mi vuoi, rimango» insistette il fantasma, e Idem riconobbe nel tono delicato che fosse un’offerta: le avrebbe tenuto l’altra mano, se la ex Tassorosso ne avesse avuto bisogno – e poi avrebbe posseduto Noah, costringendolo a prendere una testata contro la parete, ad afferrare un paio di forbici dagli uffici a fianco, e radersi a zero. Se fosse stato necessario, diceva l’espressione serafica di Sarah. Le rivolse un sorriso morbido ed affettuoso, sollevando un angolo della bocca. Le indicò poi l’esterno della stanza, senza però imprimere alcun controllo su di lei. Non avevano quel genere di rapporto. Avrebbe potuto, ma non voleva. «siamo soli» confermò in un mormorio, pochi secondi dopo l’uscita di scena del suo fantasma di fiducia, azzardandosi a ricambiare l’occhiata dell’altro. Qualunque cosa avesse voluto dirle, andava bene: non voleva pensasse che non volesse sentirla, anche se in parte era così. Aveva tutto il diritto di esprimersi. Spezzare un cuore che neanche sapeva di tenere fra le dita, ma tenuto così gentilmente, in quegli anni, che Idem non aveva potuto far altro se non cederglielo. Non sarebbe stata colpa sua. La Withpotatoes non voleva niente in cambio, perché non era così che funzionavano i regali.
    «Da mesi sto cercando di... affrontare discorsi difficili, senza mai trovare il momento - o rovinandolo da solo per paura. Ho bisogno di parlarti di me, perchè voglio che tu mi conosca sul serio. Le cose belle e le cose brutte.» Di nuovo, non quello che si era aspettata. Piegò il capo sulla spalla, allontanandosi dalla porta per avvicinarsi a lui. «Sei d'accordo? Spero che se dopo quello che devo dirti non mi vorrai più nella tua vita, avrai la bontà di spezzarmi il cuore con la tua solita gentilezza» Rispettava le scelte altrui abbastanza da costringersi a non pensare di aver fatto il passo più lungo della gamba, a concedere a Noah quel momento di solitudine, ma aveva davvero bisogno di un traduttore, in quel momento. Sopracciglia corrugate, ed anche l’altra mano a posarsi sul dorso del Parrish. «noah» battè le palpebre, ed esitò. Il primo istinto nelle situazioni di tensione, era sempre quello di diventare professionale, offrendo il consiglio che avrebbe dato ad un proprio cliente – che fosse un posto sicuro, che potesse condividere solo quello che si sentiva di condividere, che non era lì per giudicarlo, il suo compito era ascoltare – ma era Noah, ed era Idem: quelle cose già le sapeva. «non è il passato a definire chi sei. Ti conosco» sottolineò, perché le sembrava necessario. Aveva… paura….potesse non volerlo più nella sua vita? Lei? Trattenne una risata in favore di un sorriso. «se vuoi dirmelo, mi fa piacere, ma non sentirti in dovere. Mi interessa perché riguarda te, ma non mi importa» le sembrava così ovvio, che si sentì stupida a dirlo ad alta voce. Poteva avere una vita senza Noah, ma non la voleva: le pareva una differenza importante.
    E scontata. Non la era? Strinse un po’ di più la mano del ragazzo nelle proprie, il pollice sulle nocche. Un sorriso un po’ esitante, quello della Withpotatoes. Pieno di cose che pensava di non aver bisogno di dire. «grazie, però»
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    I know too well
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    when & where
    qg, post comacose
    what
    psychowhat
    how
    medium
    «me lo diresti se fosse successo qualcosa di grave, vero? non sono un bambino» a quella frase, Idem si fermò interdetta. Lo osservò da sotto fitte ciglia scure con un’espressione di monito bonaria, perché chiunque avesse bisogno di sottolineare di non essere un bambino, implicava qualcuno a priori che l’avesse accusato d’esserlo troppe volte. O l’avesse usata come giustificazione per non dare spiegazioni. Una mentalità pressochè sconosciuta a qualunque Withpotatoes: neanche quando erano stati bambini, Seti e Lena li avevano trattati in modo diverso. Più morbido e guidato, forse, ma senza cambiare i concetti. «non è una questione di età» scandì, in tono dolce ma fermo, cercando con un cipiglio confuso gli occhi di JD. In quanto membri della Resistenza, avevano ritmi diversi rispetto al resto dei cittadini, vero. Non potevano permettersi percorsi lunghi e tortuosi di terapia, non gli era concesso perderci testa o sonno per più di qualche minuto, se non volevano che la situazione peggiorasse. La loro sanità mentale risiedeva quasi unicamente sul motivo per cui lo stessero facendo. Il fatto che non potessero migliorare l’elaborazione delle informazioni, non significava che dovessero peggiorarlo; se calibrava le informazioni, era perché avessero modo e tempo di farlo, e Idem sapeva che JD ne fosse a conoscenza. Così come doveva essere consapevole che più forzava il sorriso sulle labbra e accelerava i tempi per venire a sapere tutto e subito, meno avrebbe avuto.
    Era procedura standard.
    «ottima scusa per saltare i pranzi di famiglia»
    Non avrebbe forzato un meccanismo di difesa differente neanche se non fosse stato un suo amico, ed un paziente qualsiasi incontrato al San Mungo. Se in quel momento aveva bisogno di quello, quello avrebbe ottenuto: avevano tempo per il resto, quando – e non se – ne avesse avuto necessità. «carboidrati in meno» perché dargli corda con battute riguardanti come avesse potuto liberarsi facilmente delle domande sul fidanzatino, in quel frangente, non le sembrava particolarmente opportuno. Abbozzò un sorriso gentile, celando la tristezza nostalgica di quella smorfia. Quella di Idem non era pietà, ma non voleva l’altro la interpretasse come tale.
    «il mio cellulare-»
    «ehi...»
    «saranno tutti offesi...»
    «ehi...»
    «devo avvisare- dio, anche Jericho. L'unboxing di lunedì. questa volta mi ucciderà di sicuro» Schioccò le dita della mano libera di fronte al viso del coreano, strappandolo dalla linea distratta ed incoerente di quei pensieri. Non solo non avevano finito (…) ma non era su quello che avrebbe dovuto concentrarsi in quel momento. Soprattutto non la possibilità che fossero offesi con lui, quand’era stato così vicino a morire. «priorità, JD. Piccoli passi» Arcuò entrambe le sopracciglia, tenendo salda la mano fra le proprie.
    Forse perfino un po’ di più. Annuì piano, invitandolo a fare lo stesso per assicurarsi fosse ancora lì con lei, e quando fu certa di avere la sua attenzione, ricominciò a parlare.
    «la cosa più importante è che al momento tu sia sveglio.
    Il primo passo, è la tua forma fisica: come ti senti?»
    gli rivolse un’occhiata dal sapore di rimprovero. «sinceramente» una menzogna non avrebbe fatto bene né a lui, né al Guaritore che si sarebbe occupato della sua ripresa. Avrebbe solo allungato i tempi per tutti. «è normale sentirsi deboli, e ancora stanchi. non è stato un lungo sonnellino. Anzi, dopo la visita, ti converrebbe dormire un po’» sapeva non l’avrebbe fatto, ma doveva comunque provarci.
    «il secondo passo, è ricordarti che sei vivo. E non esiste nulla che non si possa sistemare. Ok? nulla» Poteva non sembrargli, e poteva crederlo impossibile, ma non era così: finché avesse avuto un cuore funzionante ed una testa sulle spalle, potevano trovare una soluzione a tutto. Magari difficile; magari a lungo termine.
    «il terzo, che non sei da solo.» Non parlava solo di Ken, o banalmente di se stessa: aveva l’intera resistenza alle spalle, che piacesse o meno. Ricordava la sera stessa dell’incidente all’Anoobi, quando i feriti erano stati portati al QG ed al San Mungo. Quando i capi si erano guardati in faccia, e la notizia di North e JD aveva già viaggiato l’intera contea. Il «se li uccidessimo, non avremmo problemi» mormorato da William, gli occhi blu sulla foto segnaletica di North.
    Idem si rendeva conto, perchè non era stupida, fosse vero.
    E Idem sapeva, non l’avrebbero fatto. Non quando avevano altre possibilità. Loro non facevano scelte facili: erano la Resistenza, qualunque fosse il prezzo da pagare. I problemi, li affrontavano insieme. Potevano anche sbranarsi l’un l’altro, tollerarsi nei giorni pari e non farlo affatto in quelli dispari, ma erano comunque una squadra. Si coprivano le spalle a vicenda, anche con il rischio di prendersi il colpo a posto d’altri. Lo facevi, perché volevi qualcun altro lo facesse per te.
    «durante l’incidente...la tua identità è stata compromessa. Così come quella di north. I vostri nomi sono di pubblico dominio; le vostre facce, sui muri della comunità magica» Strinse la presa per sentirlo presente, e per tenerlo ancorato a sé, perché non aveva finito. «magari è vero che per ora ti odiano, JD, ma sono tutti vivi. Le indagini si sono già concluse. Né tu né North siete più una priorità.
    Non è facile. Cambierà tutto. E mi dispiace, JD. Sono rischi che abbiamo scelto di correre ogni giorno, e che continuiamo a scegliere per quello successivo. Non sei peggiore di noi. Non hai messo nessuno in pericolo solo perché ti sei concesso di vivere: che loro lo sappiano o meno, che ti odino o meno, è anche per loro, che l’hai fatto.
    E non è una colpa
    idem
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  8. .
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    Era come assistere ad un incidente e non poter fare nulla per fermarlo. Abbandonò la Idem amica e collega di JD, ricadendo negli abiti mai in disuso della Withpotatoes psicomaga, perché in quel momento aveva bisogno di essere quella persona. Per se stessa, forse, più che per il ragazzo. Attese paziente che le dicesse cosa ricordasse, senza mostrare nulla di quanto quelle memorie – così vicine per lui, quasi storia vecchia per lei – influissero sul suo stato d’animo.
    Oh, baby. Sapeva anche cosa sarebbe arrivata dopo la notizia: la negazione, la rabbia verso se stesso per aver perso tempo ed aver messo in pericolo le persone a lui care, l’impotenza, il peso sullo stomaco ed il petto che gli avrebbe impedito di respirare come avrebbe dovuto e potuto. A livello clinico, Idem Withpotatoes era consapevole delle conseguenze, e di come affrontarle.
    Era sempre diverso, quando dall’altra parte non c’era uno sconosciuto. Fingere che non la toccasse, che non sentisse il cuore spezzarsi per tutto quel che ancora non sapeva. Non era morto nessuno, e quella avrebbe dovuto essere una conquista, ma come erano arrivati al punto in cui il trionfo erano vite risparmiate, e non tutto il resto? Avevano perso un luogo sicuro. Avevano soldati ancora feriti, che avrebbero dovuto convivere con le loro mancanze. C’erano i traumi; c’erano le libertà strappate da sotto i piedi di North e JD. Il loro mondo – presente, futuro; passato – non sarebbe mai più stato lo stesso.
    Si sistemò più comodamente sulla brandina dell’infermeria improvvisata, cauta nel muoversi per non infierire ulteriormente sulla già precaria salute del Kim. Aprì il palmo, offrendoglielo perché potesse darle una mano da tenere nelle proprie, e non fu solo un gesto di vicinanza ed empatia: aveva bisogno smettesse di cercare di alzarsi, perlomeno finché non fosse arrivato un guaritore in suo soccorso. Dopo tutti quei mesi passati in un lettino, i muscoli non erano più abituati a funzionare come avrebbero dovuto, e Idem non era abbastanza competente per poterlo aiutare a livello fisico. Già su quello psichico, iniziava ad avere dei dubbi. «oltre alla vostra presenza, c’è stato un… diversivo. L’edificio in cui vi trovavate, è esploso. Abbiamo perso la safe house, ma almeno non hanno tracce che possano ricondurli a noi. Siete riusciti a scappare tutti» un sorriso delicato, quello della medium.
    «alcuni sono rimasti gravemente feriti. Permanentemente.» perché doveva essere onesta: non era un bambino, era un soldato, ed aveva messo in gioco tutto per essere all’Anoobi quel giorno. Meritava, perfino nelle sue condizioni, di sapere che non fosse stato tutto rosa e fiori. «ma non abbiamo avuto nessuna perdita» non abbassò lo sguardo: lo tenne fisso in quello confuso, e spaventato, del coreano, cercando di tranquillizzarlo con quelle poche parole - nessuna perdita - e con una stretta più vigorosa sulla mano. «l’incidente all’anoobi risale a luglio» scandì, lentamente, sapendo avesse bisogno di tempo per processare. «è normale che tu ne abbia ricordi confusi e sfocati. hai battuto la testa» e perso la maschera. «forte. sei rimasto in coma quattro mesi, JD» dolce, morbida, comprensiva. Gli sorrise, perché a conti fatti, il suo risveglio restava una cosa bella. «l’importante è svegliarsi, ok? Non abbiamo mai dubitato che sarebbe arrivato questo momento. Avevi bisogno di… tempo per riprenderti, tutto qui» non gli promise che avrebbe potuto riavere la sua vita così come l’aveva lasciata. Non faceva mai promesse che sapeva di non poter mantenere.
    … Magari che il mondo sapeva la sua identità, gliel’avrebbe detto al prossimo post più tardi. Come si soleva dire, a lot to unpack.
    idem
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    Era difficile trovare Idem Withpotatoes impreparata - con la schiera di fratelli disagiati complessi che si ritrovava, era cresciuta sapendo sempre esattamente cosa dovesse fare -, ma in quel momento, non sapeva affatto come muoversi. Cosa fare delle proprie mani, ancora allungate verso JD nel tentativo di aiutarlo a rialzarsi, o cosa fare dello sguardo azzurro posato confuso, e spaventato, e sollevato, sul ragazzo, indeciso su quale emozione planare per prima.
    Decise di non scegliere.
    Quando fu nuovamente assicurato nel lettino, tornò a recuperare la tazza di tè – che aveva già iniziato a bere, e per quanto educazione e norme igieniche imponessero che trovasse altro, doveva accontentarsi di quel che passava il convento: era un’emergenza - su cui, for good measure, soffiò ancora un paio di secondi, prima di porgerla al Kim. «sei sveglio» realizzò in tono morbido, dopo i primi secondi di panico, facendo sciogliere quell’affermazione sulla lingua come uno dei cristalli di zucchero lasciati nel tè. Battè le palpebre, allungando le dita per togliere i capelli sudati dalla fronte del ragazzo, ed approfittarne per osservarne il viso sotto la luce – non era un medico, ma lavorando nell’ambiente, almeno le procedure di primo soccorso le conosceva. (Lele, se stai leggendo, fatti i cazzi tuoi: non le so davvero, e non ho voglia di informarmi .) Senza contare che il trauma rientrasse nelle sue competenze, quindi. Gli sorrise, tornando a posare le proprie mani in grembo, allontanandosi quanto bastava per non farlo sentire (sticker di cidi) in trappola. «come ti senti?» Mano a mano che i secondi passavano, il risveglio diventava più reale, e con esso, l’entusiasmo della Withpotatoes. JD SI ERA SVEGLIATO! Sapevano che prima o poi sarebbe accaduto – almeno, così avevano detto i guaritori – ma il quando era sempre stato nebuloso, tanto da far temere a molti che potesse essere più vicino al poi, ed al mai, che al prima. «hai dormito... per un po’» lo rassicurò, e prima che precipitasse in una spirale di terrore, aggiunse «gli altri stanno bene» per quanto bene potessero stare quand’erano un po’ mutilati e ricercati, ma insomma, avrebbe aspettato almeno un quarto d’ora prima di scendere nei dettagli. «qual è l’ultima cosa che ricordi? Non sforzarti troppo. Datti un po’ di tempo»
    idem
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    chissà se posso tenerti compagnia finchè non arriva beltè. e soprattutto se posso collezionare la figurina
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    Plof. Idem guardò la bustina di tè galleggiare nella tazza per qualche secondo, prima di impregnarsi d’acqua e galleggiare fino al fondo. La sua cosa preferita del tè non era berlo, ma prepararlo: c’era qualcosa di confortante e terapeutico nel guardare l’acqua colorarsi d’arancio, nello stringere le dita attorno ad una ceramica calda ma non bollente, e l’inspirare i profumo che raramente poi rispecchiava il sapore della bevanda. Aprì l’armadietto della cucina cercando fra i tipi di zucchero, quello in cristalli che aveva portato la settimana precedente. Era diverso da quello sciolto, o dalle zollette? No, ma era :sparks: self care :sparks: ed il rito del tè girava tutto attorno a quello. La vera pausa per eccellenza, una parentesi di tempo strappata all’ordinario. Sgranocchiò lo zucchero prima di lasciarlo cadere nella tazza, occhi azzurri distratti ad osservare l’ambiente deserto.
    Ricordava un tempo in cui il Quartier Generale era sempre pieno di gente. Che fossero rifugiati politici, ragazzini che l’avevano resa casa propria, o semplici ribelli che preferissero quella bolla piuttosto che il mondo all’esterno, non faceva alcuna differenza. Si respirava un’aria diversa, cameratismo e solidarietà; erano stati un fronte unito contro il nemico comune, pronti a sorreggersi e coprirsi le spalle a vicenda. Non sapeva con esattezza quando fosse successo quello; non sapeva neanche se fosse un lato positivo o negativo, che ci fossero sempre meno ribelli. Forse positivo; forse il mondo stava già cambiando grazie anche a loro. Aveva bisogno di crederci, per giustificare le continue faide interne che vedevano i ribelli divisi da ideologie o morale; per dare un senso all’assenza di parole tutte schiacciate fra mure provvisorie.
    Per non rendersi conto di dove fossero, quelli mancanti.
    Non biasimava William Barrow per quella situazione. Avrebbe preferito fosse possibile prendere strade diverse, fare scelte differenti, ma sapeva che non avessero il lusso di scegliere, e che i danni andassero contenuti perché prevenirli fosse impossibile. Idem Withpotatoes aveva fatto parte della Resistenza per tutta la sua vita, l’ingenuità con cui guardava il mondo era destinata a smussarsi. Aveva visto cambiare il potere politico dei ribelli e del governo indifferentemente, aveva assistito a tragedie e vacue vittorie, e sapeva che quella fosse una battaglia destinata a durare. Che avrebbero perso colleghi, amici, ed avrebbero trovato altri soldati da addestrare e buttare in campo – loro, gli altri.
    Era un ciclo che nessuno sembrava in grado di rompere.
    Da Ricercatrice, non poteva fare a meno di notarlo sempre più, come la storia tornasse sempre a fare il suo giro. Malgrado le informazioni fossero sempre spezzettate, e mancasse qualcosa a legare il tutto, i format ed i pattern si susseguivano nei secoli. Voleva persistere nell’essere ottimista, era pur sempre Idem Withpotatoes, ma perfino le sue certezze talvolta vacillavano. Trovava quello stato di stallo più pericoloso delle guerriglie e le missioni, perché incerto; quando il pericolo era in nessun luogo, era potenzialmente ovunque.
    E quella di Luglio, lo sapevano tutti, non era stata una vittoria sotto alcun punti di vista: avevano perso fisicamente, moralmente, e agli occhi dell’opinione pubblica. Ne pagavano il prezzo ogni giorno, un fallimento rimembrato in ogni sguardo amico e nemico, nel sorriso forzato di una North che leggeva i giornali con il suo nome e nei respiri artificiali di un JD sul lettino in infermeria. Andava così male, che i biscotti glassati che aveva portato la Withpotatoes quella mattina, erano ancora tutti lì. Ne prese un paio da portare a Bertie nel loro archivio slash biblioteca slash :shrug emoji: si fa quel che si può, e l’altro lo addentò, masticandolo lentamente mentre tornava al lavoro. Biscotti e tazza in mano, riflettendo fra sé e sé sulla vita e la morte ed i gechi che sembravano foglie, Idem rivolse un sorriso ai visi stanchi incrociati fra i corridoi, o intravisti nelle stanze lasciate aperte. «ehi holden - ciao hunter ci sono dei biscotti in cucina se vuoi, buondì wren belli gli occhiali nuovi – jd ti sei fatto male» Pausa.
    Pausa.
    Aggrottò le sopracciglia, ferma all’uscio della stanza dove il bello addormentato aveva fatto un lunghissimo power nap di mesi, ed ora la osservava metà per terra e metà sul lettino. Si guardò attorno. «jd……….» tentò, uscendo dalla stanza per controllare quale porta fosse.
    JD CONFIRMED.
    «!!!! JD!!!!!» Posò tè e biscotti sul tavolino, piroettò verso il PULSANTE (certo che c’era un pulsante!!! così il primo che trovava JD sveglio avvisava boh. Gli infermieri? Qualcuno. Dak send help) e quindi si affrettò al capezzale del coreano, aiutandolo a rimettersi in sesto.
    Cosa si diceva a qualcuno che si era svegliato da un coma? «non sei un fantasma vero? Haha joking» she was, in fact, not joking.
    idem
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    ha premuto un magico pulsante per avvisare??? qualcuno che jd è sveglio!!
  11. .
    arms crossed with the attitude, lips pouted
    «poteva andare molto peggio» Idem represse un brivido, l’indice a testare delicato la carta da parati presente nella stanza. Noah aveva ragione, poteva – ed era successo. Diverse volte – andare decisamente molto peggio, ma non le sarebbe dispiaciuto se ogni tanto il fantasma arrabbiato di turno avesse deciso di sprigionare calore, anziché gelo artico. Ritrasse il dito quando le parve di sentire qualcosa di umido sul polpastrello, nascondendolo nel pugno chiuso. «ricordate il castello di Edimburgo?» il tono di voce era sottile e delicato quanto il sorriso a curvare le labbra. Spostò la luce tremula della propria torcia sul viso di Noah, a cui rivolse un’occhiata allusiva. Avevano giurato di non parlarne mai con nessuno, ed anche se non credeva che Jess o Darth facessero parte di quei nessuno, non sarebbe stata lei la prima a condividere quel Segreto TM. Non spettava a lei rivelare il racconto di come avessero dovuto uscire dalle segrete passando dalle fogne, magicamente tornate al loro antico splendore; sinceramente, neanche lei era troppo felice nel ricordarlo. «potevamo essere bloccati in un campeggio» Trattenne una risata premendo entrambe le labbra fra loro, sguardo basso sui propri piedi. Non c’era alcuna traccia scherzosa nel tono mortalmente solenne del Parrish, e Idem sapeva – lo ripeteva ogni santo giorno, come se bastasse a esorcizzare la possibilità che potesse ricapitare – quanto fosse serio; riderne avrebbe solamente finito per ferire i suoi sentimenti. «È stata una vacanza carina ??» Si avvicinò alla Goodwin, bisbigliandole all’orecchio «è noah» che bastava, dopo mesi passati a lavorare fianco a fianco ai casi più disparati, a spiegare che invero fosse stata un’esperienza piacevole, ma non una nelle corde del metamorfo. Fece spallucce, continuando ad esplorare cauta la stanza in cui erano stati sigillati in attesa di una morte che non sembrava affatto gradevole. Sapeva che quello fosse il suo campo, il suo momento da medium di elevarsi e brillare, ma poter vedere i fantasmi e comunicare con loro anche quando non erano potenti quanto la Sanguinaria, non rendeva quel compito più semplice. La sua affinità con la morte la portava solamente a scorgere sagome di chi era già passato fra le grinfie del Poltergeist, e non era sopravvissuto per raccontarlo.
    Non le sembrava il caso di condividere quella specifica informazione con i suoi compagni. Un morale a terra portava il corpo sotto terra, lo sapevano tutti (chi? Tutti.). Senza contare che, per quanto ne sapeva, poteva trattarsi di morti del tutto accidentali: troppi erano i curiosi che si avventuravano nei castelli infestati senza tenere conto delle minacce terrene quali crolli improvvisi e cedimenti delle pareti. Non era colpa dei fantasmi, se il destino aveva voluto relegarli al ruolo di spettatori.
    «dunque. qualcuno ha idee?» Sempre. Ma che potessero funzionare? Eh. Schioccò la lingua sul palato rivolgendo lo sguardo al soffitto, forse con del feng shui potevano aggraziarsi Sissi? Per i fantasmi era difficile spostare mobili, interrompendo il proprio flusso creativo per indirizzare gli occhi blu sul suo coinquilino. Era sempre… ossequioso, nel trattare con i non morti, una dote che tornava decisamente utile, ma «magari potremmo non darle suggerimenti…?» soffiò appena, avvicinandosi al moro, strizzando la domanda in un sorriso forzato che non attirasse troppo l’attenzione. Fortuna che Jess, con la sua domanda sui bagni, avesse deviato la concentrazione di Sissi su un problema più pressante; ci mancavano solo le allucinazioni su tutte le persone morte che La Sanguinaria avrebbe potuto aizzarle contro. Era un bagaglio di notevole dimensioni. «nOoOoooOo TAnTo QuAnDo DiVeNtErAi FaNtAsMa CoMe I TuOi CoMpAgNi NoN aVrAi PiÙ bIsOgNo DeL bAgNo, Io nOn Ci VaDo Dal 1812!!1!!» Arricciò il naso. Cappero, era stata davvero un’idea geniale. Offrì a Jess un pollice alzato ed un sorriso di supporto, in altre occasioni quella strategia avrebbe funzionato alla grande!, e si schiarì la voce avanzando di un passo verso il centro della stanza. «mh, Sua Terrificenza» Spaventosità? Ugh. «potremmo fare un… gioco» Funzionava in tutti i film horror – Saw, Shining; andava anche un sacco di moda su Netflix oriente! - e dopo aver passato secoli ad infestare lo stesso posto, doveva annoiarsi parecchio.
    Una pausa. «CHE TIPO DI GIOCO?» Chissà perché gridava così tanto, riuscivano tutti a sentirla benissimo. Idem dondolò sui talloni, uno sguardo interrogativo a rimbalzare fra i compagni. Nascondino? Campana? Obbligo o verità? (“obbligo o verità?” “OBBLIGO” “facci uscire” “DANG”) «un… gioco… che… ora ti diremo subito… com’è che si chiamava….?» prese tempo, offrendo la patata bollente a qualcun altro.
    Simple plan
    What's new Scooby doo Dick Gansey
    What's new Dick Gansey?
    We're coming after you
    You're gonna solve that mystery
    I see you Dick Gansey
    The trail leads back to you
    What's new Dick Gansey?
    idem w.gifs cr.playlistaesthetic



    ormai la quote e la canzone sono di gruppo .
  12. .
    kalopsia
    (n.) the delusion of things being more beautiful than they really are
    «Sto per caso subendo una famosa adozione tiemme Withpotatoes?» Idem roteò sui pattini, un’occhiata stupita verso Noah ed un leggero sorriso sulle labbra. La domanda non avrebbe dovuto coglierla di sorpresa, le adozioni tiemme Withpotatoes erano effettivamente una cosa a sé: era la loro prerogativa da anni, da tutta una vita, quella di essere una famiglia aperta. C’era chi aveva relazioni aperte e chi, come loro, accoglieva nella propria cerchia chiunque non avesse altro a cui aggrapparsi, felici di allungare una mano nell’oceano e tirarli a galla sul proprio materassino gonfiabile. Non erano molto, non avevano molto, ma erano la condivisione nella sua essenza più pura: quello che avevano, apparteneva a chiunque lo volesse. Offrivano una casa; offrivano una famiglia, un posto e persone a cui tornare quando tutto andava male. Offrivano se stessi, e mai Idem aveva rimpianto quelle scelte – non quando Isaac era quasi morto, non quando credeva Gemes lo fosse, non quando Mabel era sparito, ed aveva dimenticato l’esistenza di Poor. Più che un adozione, era un trovarsi, un aver bisogno vicendevole di essere una famiglia.
    Ma non aveva pensato a Gemes, Isaac, Poor e Mabel, o a sua nonna e sua madre. Non aveva pensato a Darden, nell’offerta a cuore aperto sul palmo della mano esposto al Parrish.
    Aveva pensato, per una volta, a se stessa. Che le sarebbe piaciuto averlo al proprio fianco a quei picnic, o alla spasmodica ricerca di uno dei suoi fratelli; che avrebbe voluto sentirlo ridere per la nuova, assurda, trovata di Poor che li avrebbe resi ricchi, o per le litigate a denti stretti fra Gemes e Darden su chi fosse il ballerino più bravo di High School Musical - conversazioni cui solo loro erano stati testimoni, e che i due non avrebbero mai riconosciuto all’infuori della famiglia. Che, allungando una mano, potesse stringere la sua, e sentirsi un po’ più a casa. «Sei tu la mia famiglia» e quelle parole, regalate con un sorriso ed una mano a spostarle i capelli dal volto, non avrebbero dovuto farle perdere mezzo battito, o dipingerle le guance di rosa. Non avrebbero dovuto ammorbidire un’espressione già dolce, sciogliendo lo zucchero in morbido e malleabile caramello. Non avrebbero dovuto essere le parole che che avrebbe voluto sentirsi dire.
    Ma lo erano. «E Tupp e Cash, ovunque vivano» un sorriso, liquido e felice, curvò le labbra della Withpotatoes. «Non ho bisogno di altro. Loro sono tuoi tanto quanto tu sei loro, e a volte penso sia giusto che tu ti tenga qualcosa anche per te» Lo osservò da sotto le fitte ciglia scure, soppesando le sue parole. Penso sia giusto che tu ti tenga qualcosa anche per te. Se lo ripetè, mentre annuiva brevemente. Continuò a ripeterselo nel sorriso brillante rivolto al metamorfo, e mentre gli porgeva una mano per guidarlo verso l’uscita, ed al sospiro di sollievo quando le scarpe di Noah Parrish sfiorarono il suolo.
    E quando giunsero a casa, e quando la serata continuò come le cento precedenti e quelle successive. Se lo ripetè ogni volta che lo guardava senza che lui sapesse, ed ogni volta che invece se ne accorgeva ne incrociava lo sguardo.
    Aveva ragione.
    Per quanto egoista fosse, magari Noah se lo sarebbe tenuto per sè.
    rebel
    deatheater
    26 y.o
    27 y.o.
    idem-withpotatoes
    be the reason someone believes in the goodness of people.
  13. .
    ABILITATO FIGGHIO MIO
  14. .
    b-day: 21.03.1993
    house: hufflepuff
    job: psychowat
    power: medium
    be-kind-be-gentle
    idem wp
    Mordicchiò nervosamente l’interno della guancia, le dita a tirare il bordo della vestaglia. Non capitava spesso che si ritrovasse senza parole, o senza idee su come agire, ma quella era decisamente una situazione surreale e al di fuori della sua portata. Cosa aveva fatto il giorno prima? Le pareva un ottimo punto d’inizio per le indagini, ma allo stesso tempo non...avrebbe saputo dire cosa avesse fatto di diverso. Santo cielo, se fosse incappata in una faglia spazio temporale avrebbe dovuto trattarsi di qualcosa di grande ed epico, no? L’ultima volta che era successo, erano c’entrati viaggi nel tempo e fantasmi del passato tornati per riprendersi la corona; non ricordava di aver evocato demoni d’altri tempi o di aver smarrito altri fratelli nel Medioevo, ma forse era il caso di fare un giro di telefonate. Non si sapeva mai. «sono andata a lavoro? e» sono passata dal quartier generale della resistenza, a quello non poteva dirlo. Sorrise alla De Thirteenth. Idem Withpotatoes, in linea di massima, non sapeva mentire, ma quando la situazione lo richiedeva, non perdeva mezzo battito nel flettere la verità. «ho fatto un paio di commissioni, nulla di entusiasmante; sono tornata a casa, e...» basta. Scrollò le spalle, agitando vaga le mani per indicarle che come fosse finita, lo sapevano entrambe. Inspirò profondamente, la testa reclinata sulla spalla alla ricerca del morbido conforto della vestaglia. Si fermò d’un tratto a età movimento, vigili occhi azzurri ad osservare un punto oltre le spalle della bionda. «ho incontrato questo...ragazzino» scandì lentamente, cercando di unire i puntini a formare il disegno più grande – un compito che solitamente toccava a Darth; lei era quella dei gadget ed i biscotti, Noah quello Bello, Phobos quello con (i soldi) le risorse, e Jess quella simpatica: a ognuno il suo – sentendo di essere vicina a...qualcosa. Mise nuovamente a fuoco la strega, tristi occhi chiari a cercare i suoi. «a lavoro. Uscito da poco dai laboratori, con diverse...difficoltà» di vita, ma quello era un dettaglio che, se possibile, avrebbe preferito tenere per sé: segreto professionale. «anche a gestire il proprio potere? Ma non so se-» indicò l’ambiente attorno a loro, sempre uguale. «possa essere opera sua. Magari...inconsciamente? Una specie di...richiesta d’aiuto?» Ed un pensiero più greve le strinse il petto in una morsa: che fosse un defective? Sapeva cosa succedeva agli special difettosi, e non voleva pensare che una sorte simile potesse toccare un bambino spaventato e confuso. «piuttosto alto per la sua età, magrissimo, con fini capelli bruni lunghi fino alle spalle? Magari l’hai...incontrato anche te?»
    [bridge]
    Hold on to
    something good
    Something's
    gotta change
    gifs
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it
  15. .
    oggi voglio strafarissimo e dico due (oltre a quella che ho già!!! postato!!!!)
262 replies since 21/1/2015
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