I feel for you but when did you believe you were alone?

idem ft. ethan l.

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    Gustav Rogers era un uomo pragmatico e di poche parole.
    Idem apprezzava che non girasse attorno alle problematiche in corso, andando dritto al punto e senza farcirle con contorno che non stava nello stomaco di nessuno. Apprezzava anche quelle riunioni settimanali, convinta che il confronto fosse importante, e vedeva lo sforzo dietro quegli incontri. Il messaggio subliminale di stringere i denti, ancora per un po’: era solo questione di abituarsi all’ennesimo orrore. L’essere umano era fondamentalmente adattivo; necessitava una tregua ed una spinta, ma trovava sempre il modo per andare avanti e sopravvivere a se stesso. Incrociò gli occhi di Stiles, le spalle di lui accartocciate su se stesso e la punta delle scarpe a premere sul pavimento come quelle di un corridore sulla linea di partenza. Immaginava non fosse neanche conscio della posa fuga con cui sedeva a quelle assemblee; gli rivolse un sorriso gentile ed uno sguardo incerto, perché finché Andrew Stilinski non avesse saputo da cosa stava scappando, Idem Withpotatoes non avrebbe potuto aiutarlo. Nessuno poteva. Credeva lo sapesse, in qualche parte sepolta e dimenticata del suo subconscio; credeva anche ci stesse provando, a non scappare.
    Tornò a guardare il loro responsabile, annuendo alle sue parole.
    Avrebbe letto altri manuali sulla gestione dei disturbi post traumatici. Sì, si sarebbe fermata oltre l’orario di lavoro. Certo, in caso di difficoltà avrebbe cercato supporto nel suo superiore.
    E la questione ancora venne ignorata, lasciando Idem a battere le ciglia su una stanza ormai quasi vuota, congedata da tutti i presenti. Cercò gli occhi del Rogers, perché pur non avendo ella fatto esplicitamente parola di quanto la situazione fosse problematica, aveva immaginato che il suo accennarne fosse già di per sé un sintomo di quanto intollerabile fosse. Non aveva appena detto che per qualsiasi problema, potevano rivolgersi a lui? Aprì la bocca per intervenire, rubare altri cinque minuti del tempo del dottore, ma si risolse nello stringere le labbra ed abbassare gli occhi sulle proprie mani in grembo.
    Non era colpa sua. Avevano già abbastanza problemi senza farsi carico di questioni di nicchia che riguardavano una percentuale di lavoratori davvero minima. Non poteva biasimare né Gustav Rogers, nè i suoi pazienti: le loro reazioni erano normali, e ciò che ci si poteva aspettare da loro. Si alzò, alla fine. Fece scivolare le mani sulle pieghe della gonna per raddrizzarla, sorridendo all’uomo a capo del tavolo prima di lasciare la sala.
    Se pensavano che essere uno psicomago fosse difficile in quel periodo storico e sociale, era evidente non avessero idea di cosa volesse dire essere uno psicomago medium di quei tempi. Tenne il capo chino, procedendo nel corridoio del San Mungo per mera memoria muscolare.
    «la prego, solo una volta -»
    «non la aiuterebbe»
    «devo dirgli che -»
    «lo sapeva, signora»
    «il mio bambino, la supplico -»
    «deve imparare ad andare avanti -»
    «ME LO FACCIA VEDERE»
    «signora, mi sta facendo male»
    «mio figlio...»
    «lo so»
    «mi dispiace, non volevo -»
    «lo so, signora»

    Il lutto tendeva a fare quello alle persone, renderle estranee a loro stesse. La paziente aveva allentato la presa sul braccio di Idem, gli occhi colmi di lacrime, la bocca spalancata in un grido muto - e Idem aveva guardato, e capito, e detto che lo sapeva, mentre i segni delle dita iniziavano ad imprimersi come lividi sulla pelle candida del braccio. Quello era solo uno dei tanti casi recenti che avevano visto protagonista la medium, alcuni dei quali avevano richiesto l’intervento della security. Non c’era stato alcun ordine ufficiale dai piani alti, ma la Withpotatoes sapeva che alcuni di loro passassero più di frequente di altri alla sua porta per assicurarsi che stesse andando tutto bene, così come sapeva che altri non lo facessero affatto, e di proposito. Non la preoccupava, riteneva fossero situazioni che fosse in grado di gestire, ma lo trovava comunque… triste.
    Trovava molte cose tristi, Idem Withpotatoes.
    A partire dall’espressione distante del più giovane psicomago rimasto sul piano.
    «sta facendo del suo meglio» suggerì, quando Stiles arrivò al suo passo, camminandole pesante al fianco. Rogers, lei, il resto dei loro colleghi rimanenti, lui stesso, stavano tutti facendo del loro meglio per sopperire alla mancanza di personale, ed alla frequenza di richieste da cittadini e ministero. Il moro la guardò di sottecchi, forse assicurandosi che fosse seria. «sicuro» Roteò gli occhi al cielo al sarcasmo spesso e trasparente quanto il vetro di una finestra, sistemando le pieghe del colletto. Non era suo compito convincerlo, a suo tempo l’avrebbe capito. Provò un altro approccio, allora, cercando di toglierlo dalla sua testa invitandolo ad una pausa alle macchinette. Sapeva che Andrew Stilinski avesse bisogno di tempo per elaborare cosa pensasse in merito alle situazioni. Di rispondere con ironia e scrollate di spalle a caldo, ma poi rifletterci ed avere modo di dire la sua con i suoi tempi, i suoi spazi – i bisbigli che pensava nessuno volesse sentire. «nah, ho un appuntamento» notò come massaggiasse le palpebre, le occhiaie violacee e la pelle smunta delle guance. Che fosse stanco, era un eufemismo, ma chi non lo era? Facevano più ore dell’orologio, ed i sessanta minuti che dedicavano ai pazienti valevano almeno il doppio di quel che la clessidra misurasse. Li svuotavano, indipendentemente da quanto preparati fossero nel loro lavoro. Idem era brava a mettere confini fra sé stessa e gli altri, professionale nella propria comprensione ed ascolto, ma avrebbe dovuto essere un automa per rimanere impassibile di fronte a quelle storie. Quel dolore. Quel nulla, che era forse la parte peggiore del loro mestiere. Le emozioni forti erano più semplici da gestire del piatto grigiore di chi aveva perso la voglia di vivere.
    E ce n’erano così tanti. Così troppi.
    Decise di bypassare anche lei la pausa alle macchinette, dirigendosi direttamente verso il suo ufficio. Di certo non le mancava lavoro in arretrato, anzi, ed anche lei aveva appuntamenti ad attenderla quel pomeriggio. Salutò con un cenno Franklyn Daniels, un sorriso ed un paio di convenevoli - come stai, io tutto bene, solo un po’ stanca, oggi è stata una lunga giornata, domani se riesco ti porti un po’ di brownies, li vuoi? -; lui faceva parte della categoria di security che trovava sempre un momento libero per passare dal suo ufficio, ma conoscendosi, si sarebbe fermata a chiacchierare in ogni caso. Aveva sempre l’aria di essere un po’ triste, pur sorridendo spesso e genuinamente. Aveva qualcosa di familiare, melanconico nella curva delle labbra, che l’aveva spinta a volergli un po’ bene da subito. Sapeva che avesse partecipato alla guerra per Lamovsky; sapeva anche che fosse una brava persona. Le due cose, non si annullavano.
    Si arrestò di fronte alla porta del proprio ufficio, curiosi occhi blu su un ragazzo lì vicino. Era il suo prossimo appuntamento…? Si era perso…? Aveva bisogno di informazioni…? Cercava qualcuno? «buongiorno. Hai bisogno…?»
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    si con il fatto che la palla ha deciso due role di psicomaghi, ho fatto i due pov della stessa giornata. WHATSUPPPPPPPPPP
     
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    Quel biglietto da visita era ormai consumato. Ogni giorno lo prendeva e se lo rigirava in mano, lo stropicciava, lo appallottolava, poi si sentiva in colpa per non avergli dato nemmeno una possibilità e lo dispiegava nuovamente. Quel loop aveva pian piano iniziato a far parte della sua quotidianità, a volte addirittura sovrappensiero, senza nemmeno rendersi conto di quello che stesse facendo, poi con altrettanta cura lo piegava e lo rimetteva a posto. Qualcosa doveva essere andato storto quel giorno quando, invece di stropicciarlo, lo dispiegò e chiamò il numero ormai mezzo sbiadito per prenotare un appuntamento e non richiuse il telefono in faccia alla persona dall'altro lato. Qualcuno l'avrebbe chiamata una vittoria, Ethan invece era piuttosto che qualcuno si fosse impossessato del suo corpo perchè non ce la faceva più a vederlo disperarsi sopra a quel bigliettino.

    [...]Si sedette sulla sedia, appoggiò la punta della scarpa per terra e iniziò a dondolare nervosamente le gambe. Stava solo perdendo tempo, in quel momento sarebbe dovuto essere in sala a provare l'ultima coreografia che aveva creato e studiare quella del saggio di Natale dei piccoletti. Non era di certo in ansia perchè qualsiasi tipo di persona competente nel guarire corpo e mente, lo metteva a disagio. Non aveva bisogno di essere aggiustato come se fosse stato una macchina rotta e malfunzionante. Era quasi scappato quella volta che lo ricoverarono in ospedale perchè non aveva dormito per giorni lavorando fino allo stremo ed era svenuto come un Finn qualunque. Si era alzato per scappare quando una donna era entrata nel suo campo visivo, sperando di essere invisibile, ma non aveva fatto ancora un passo quando, avvicinandosi, gli rivolse la parola. «buongiorno. hai bisogno…?» bisogno? No, lui non aveva bisogno di nulla, nemmeno era certo del perchè si trovasse lì, perchè ora, perchè dopo tutto quel tempo. Ci aveva già provato, giusto? Aveva già messo in scena quel teatrino: si era presentato da un psicologo già tempo prima, perchè le persone attorno a lui continuavano a dirgli quanto ne avesse bisogno. Ethan però, quel bisogno non lo percepiva. Sapeva di avere traumi che si trascinava dietro da quando era solamente un bambino, sapeva anche che quelli spesso intaccavano le relazioni interpersonali che avrebbe voluto instaurare ma era sopravvissuto fino a quel momento quindi poteva farne benissimo a meno. Le persone che lo conoscevano invece avrebbero detto diversamente dopotutto aveva una collezione immensa di: persone che gli davano del coglione, daddy issues, traumi vari, un ex fidanzato morto e ucciso da lui, relazioni senza impegno, relazioni senza impegno che erano sfociate in sentimenti che aveva cercato di seppellire comportandosi di merda per allontanarli e non provare niente, sentimenti che erano venuti a galla, sentimenti che non sapeva gestire, relazioni che non sapeva gestire, persone che non sapeva gestire, ecc.. all inclusive. Gli era stato detto anche che avrebbe dovuto parlarne con uno psicologo fidato e che il fatto che avesse ucciso qualcuno, in quel mondo a nessuno fregava un cazzo se avessi ucciso qualcuno, anzi, più o meno tutti lo avevano fatto e nessuno avrebbe battuto ciglio. Insomma, BINGO. Aveva evitato di andare da uno psicologo per quanto più a lungo possibile. C'era stato due volte, con due persone diverse, per dare il contentino a JD ma non si era manco impegnato in quella relazione complicata (con gli psicologi) e li aveva abbandonati. Quindi il fatto che non ne avesse bisogno era ovviamente una bugia. Come tutte quelle che continuava a ripetere a se stesso e agli altri. Non stava bene, non andava bene ma non voleva parlarne. Conosceva già i suoi problemi, non aveva bisogno di un'altra persona che gli dicesse quali fossero. Quindi perchè diavolo era seduto in quella sala d'aspetto? "Oh no, non ho bisogno di niente, sto solo scaldando la sedia". Avrebbe decisamente fatto la figura dell'idiota e sarebbe stato cacciato dallo studio o forse accettavano anche barboni, chissà. «forse sei tu che hai bisogno dei miei soldi» disse infine per fare comunque la figura del coglione. Giusto per farsi riconoscere. Non aveva ricevuto abbastanza trasfusioni di zucchero per essere trattabile. Onestamente però, quella era la fiducia che riponeva nella terapia: uno spreco di soldi perchè non sarebbe cambiato e quindi, insomma, beneficenza. Donazione in beneficenza che fra l'altro avrebbe preferito fare a dei gattini per rimuoverli dalle strade o da investire nel suo gattile per aumentare i posti disponibili, il cibo offerto e giochi per intrattenerli. Gli esseri umani non valeva la pena di salvarli e la guerra glielo aveva dimostrato: l'umanità meritava solo di estinguersi. Il cambiamento in positivo non era possibile, gli umani non imparavano mai dagli errori del passato e ogni azione a fin di bene nasceva e moriva lì, bastava poco a cancellarla e dimenticarla. Incontrò gli occhi azzurri di Idem e finalmente si decise a presentarsi «ethan lynx, sono qui per una seduta. non c'è nemmeno bisogno di ricordare il mio nome. è probabile che questa sarà la prima e ultima» patti chiari, sveltina e via. «non sei tu, sono io» il problema, ovviamente. Ora e per sempre.
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    Idem era abituata a vedere ogni tipo di persona vagare per quel corridoio. Chi era stato mandato dai propri superiori, fosse per una perizia in seguito ad un incidente o per protocollo post bellico, chi costretto dalle famiglie, chi caldamente spinto dagli amici. Avevano tutti lo stesso sguardo addosso, il medesimo che il ragazzo le rivolse quando attirò la sua attenzione: mancanza di fiducia. Idem la trovava del tutto legittima, considerando che non la conoscevano; non prendeva sul personale l’essere sulla difensiva, quando tutto al mondo sembrava progettato per attaccare. Sembrava molto giovane. Sembrava molto indurito ai bordi, come carta macchiata di caffè lasciata ad asciugare; friabile e delicata, nella sua rigidità. «forse sei tu che hai bisogno dei miei soldi» Il sorriso sulle labbra della Withpotatoes tremò appena agli angoli, minacciando di sciogliersi in una risata. Tenne il divertimento stretto fra i denti, lasciandolo danzare negli occhi azzurri a cercare quelli scuri dell’altro. Non stava ridendo di lui, né a lui, ma trovò quell’uscita comunque fuori dalle righe ed a suo modo esilarante. Tenero. «forse» concesse allegra, muovendosi cauta in direzione dell’ufficio davanti al quale si fermò. Passò i polpastrelli su invisibili pieghe della gonna, intrecciando poi le dita di fronte a sé. Non c’era traccia di accondiscendenza nell’espressione della medium, solo paziente attesa. Se pensava di provocarla con il tono polemico ed aggressivo, evidentemente o era figlio unico, o il minore della famiglia. «ma il mio stipendio è pagato dal san mungo, che tu decida di entrare o meno» Replicò in tono tranquillo e gentile, privo di accusa ed al contempo senza lasciare margine perché il ragazzo potesse persistere nella propria controversia a senso unico. Sapeva, più per esperienza personale che per professione, che la soluzione migliore nell’incontrare personalità oppositive, fosse farle proseguire senza erigere muri, finché l’accelerazione dell’impulso non scemava in naturale frenata. Dare tempo al tempo, si diceva. «ethan lynx, sono qui per una seduta. non c'è nemmeno bisogno di ricordare il mio nome. è probabile che questa sarà la prima e ultima» Lo invitò ad entrare, sorridendo gentile anche del suo non sei tu, sono io su cui immaginava avrebbero avuto modo di lavorare – insieme, o individualmente. Malgrado il pronunciato broncio, Idem ebbe l’impressione che Ethan Lynx, a quella sua prima ed ultima seduta, fosse più smarrito che arrabbiato. Il nome fece suonare una campanella ben precisa nella memoria della ribelle, una a cui non permise di trillare troppo a lungo. Già sentito, mormorato in stanze ovattate da cui non avrebbe dovuto uscire alcuna parola. Nomi destinati ad essere lasciati dove venivano ascoltati la prima volta, costretti a spazi angusti ed irrequieti. «idem withpotatoes» offrì la mano nel farlo avanzare, senza alcun obbligo perché lui la stringesse. Gli indicò la sedia di fronte alla scrivania, ignorando il lettino poco distante, perché il primo incontro meritava un approccio più diretto ed intimo, dove l’altro potesse sfuggire più difficilmente al suo sguardo. Si accomodò al proprio posto, spingendo verso di lui una ciotola di vimini con dolcetti di ogni forma e dimensione. «caramella?» Era un ufficio impersonale, quello degli psicomaghi. Con il loro lavoro, non potevano permettersi di essere troppo umani, lasciando segni del proprio storico sulle pareti: non c’erano foto, non c’erano modellini. Potevano solo prendere ciò che lo spazio offriva, e renderlo un po’ più confortevole, senza però violare le libertà altrui – l’ufficio veniva equamente diviso con altri colleghi. I vasi delle piantine posti vicino alla finestra erano decorati a mano, variopinti e caldi; le tende erano bianche e leggere, i mobili eleganti ed asettici. La libreria conteneva volumi scientifici e medici, senza i titoli che Idem avrebbe amato avere. L’unico posto dove avessero libertà di manovra, era il cassetto della scrivania, dove ogni psicomago stipava una piccola parte di sé: i dolcetti, erano stati un qualcosa su cui si erano mostrati tutti d’accordo.
    «il percorso lo scegli tu, ed unicamente tu. Se pensi che una sola sessione sia abbastanza» lo osservò con mezzo sorriso morbido e liquido, senza specificare che quell’abbastanza avesse mille ed una sfumatura. «lo sarà. Il fatto che tu sia venuto qui, significa già qualcosa» Non prese pergamena su cui prendere appunti, allacciando piuttosto le dita fra loro, e lasciandovi cadere il mento. Lo guardò e basta, studiandolo gentile per una manciata di secondi, permettendogli di rompere il ghiaccio per primo.
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    «forse» almeno una dei due in quella situazione si stava divertendo più dell'altro. «ma il mio stipendio è pagato dal san mungo, che tu decida di entrare o meno» EH LE TASSE !! non che gli interessasse dove finissero i suoi soldi, aveva lavorato sodo per permettersi quella vita, aveva sacrificato se stesso e soprattutto gli altri. Tutto quello semplicemente per fare ciò che più gli piaceva, permettendosi di viverci anche. «idem withpotatoes» un nome particolare, sicuramente a suo modo speciale. Osservò la mano di Idem. Il fatto che non volesse essere lì in quel momento, non gli dava il diritto di trattarla male, non le aveva dato alcun motivo e riconosceva che quello fosse il suo lavoro, era semplicemente scettico. Accettò quindi la mano della psicomaga stringendogliela, entrando poi nel suo ufficio. Non nascose la smorfia alla vista del lettino nello studio. Non era un fan dei lettini negli studi medici, se mettevano a proprio agio le persone, beh, quello non era il suo caso. Preferiva di gran lunga sedersi e sopportare lo sguardo indagatore della psicomaga piuttosto che rimanere steso lì come se fosse un paziente. Fortunatamente per lui, la psicomaga non aveva intenzione di usare quello strumento di tortura su di lui per il momento e gli indicò invece la sedia di fronte alla sua scrivania. «caramella?» le chiese lei dopo essersi seduto e scosse la testa. «no grazie, ho già fatto il mio strappo alla regola. come se avessi accettato» Il suo lavoro richiedeva un'alimentazione ferrea, il cibo non era mai stato un problema in quanto tutto poteva risultare sano e squisito se cucinato bene. Riusciva anche a godersi qualche dolce qua e là, il problema era che riusciva a sputtanare tutto con l'alcool, l'unica pecca nella sua alimentazione praticamente impeccabile. «puoi prendere quella riservata a me, non lo dirò a nessuno» fece spallucce poi appoggiò la schiena alo schienale e alzò lo sguardo verso la donna. «il percorso lo scegli tu, ed unicamente tu. se pensi che una sola sessione sia abbastanza» sapeva che non lo stava giudicando male per quello che aveva appena detto ma quelle parole sembrarono avvertirlo che comunque non sarebbe stato abbastanza. O meglio, lo sarebbe potuto essere ma forse non per quello che cercava di ottenere. «lo sarà. il fatto che tu sia venuto qui, significa già qualcosa» alzò un sopracciglio, confuso. «e cosa significa?» stranamente non era nemmeno una domanda per percularla, era sincero e serio. «perchè per me niente, non è la prima volta che ci provo, non ha mai funzionato» certo, erano state tutte prime e ultime esperienze ogni volta ma non si era mai sentito a proprio agio o che stesse effettivamente facendo qualcosa di giusto e utile. «non amo essere psicanalizzato» infatti non lo stava nemmeno facendo per se stesso, non aveva mai avuto problemi tutti quegli anni a convivere con i suoi demoni e non gli era mai interessato star meglio, era il primo a rifugiarsi in quel dolore. Se ci stava riprovando era solo e unicamente perchè aveva già fatto soffrire abbastanza le persone a cui teneva. Non aveva nemmeno bisogno di psicanalizzarsi, era sicuro di conoscere se stesso abbastanza bene da capire perchè agisse in tal modo. Non era lì per conoscersi, era lì per trovare una soluzione ad un problema che - per quanto odiasse ammetterlo - non riusciva a risolvere. «è peggio di essere squartati sotto ai ferri» non gli piacevano i medimaghi in generale e nemmeno gli psicomaghi. Entrambi si offrivano di rimettere a posto ciò che in lui non lo era e pensavano di conoscere meglio di lui il suo corpo e la sua mente quando era lui ad averci convissuto tutti quegli anni. Ethan conosceva se stesso, perchè si comportasse in un determinato modo e soprattutto i propri limiti, anche se qualcuno avrebbe potuto affermare il contrario. «e non capisco perchè parlare con uno specialista dovrebbe aiutarmi» Troppe parole, poche azioni. Poi si doveva parlare, tanto, e non a vanvera per sua sfortuna ma anche nelle cose più banali si poteva finire per parlare di traumi, disseppellire cose che la mente aveva preferito chiudere a chiave in qualche cassetto della memoria e lui non poteva. Non poteva semplicemente dire di aver ucciso il suo fidanzato, dire per chi avesse lavorato da piccolo, spiegare i problemi che aveva causato, i nemici che si era fatto, la sua situazione sentimentale o qualunque aspetto della propria vita che potesse aiutarla a comprenderlo senza mettere in pericolo altre persone o se stesso. Nonostante le fosse stata consigliata, non si fidava assolutamente ad aprirsi ad un'estranea. Nemmeno questa volta sarebbe cambiato qualcosa: si sarebbe alzato, se ne sarebbe andato e non sarebbe mai più tornato. «posso farti una domanda? cosa ti piace di questo lavoro?» doveva essere estremamente frustrante, debilitante, pesante e sconcertante. Non solo bisognava sopportare i propri problemi ma anche quelli degli altri e spesso di persone non cooperative come lui. A volte lui avrebbe voluto che potesse abbassarli e silenziarli come il volume della musica, eppure lui stesso con i sentimenti ci viveva. Non sarebbe stato un buon ballerino se non avesse infuso ogni briciola di sé nella danza. A volte però erano... troppo. Se fosse andato avanti, se avesse dimenticato o lasciato perdere, ora non sarebbe arrivato a quel punto. Invece era sempre stato troppo tardi, era stato travolto dai sentimenti, aveva complicato le cose, poi aveva iniziato a fare meno lo stronzo e poi aveva di nuovo cercato di far finta di niente, aveva provato a mentire nuovamente a se stesso e poi c'erano stati casini, si era reso conto che ormai era troppo tardi, che lui era troppo incasinato e che lo era anche la situazione. Era troppo tardi per tornare indietro e non sapeva più come evitare i propri sentimenti. Bramava l'apatia per il proprio benessere e quello degli altri, avrebbe risolto moltissimi problemi nella sua vita. Eppure eccolo lì, seduto davanti a una psicomaga alla quale se avesse svelato il desiderio di insensibilità nei confronti dei propri sentimenti, non avrebbe fatto altro che cercare di portarli a galla, per evitare quell'intorpidimento. Ethan lo sapeva però che ci sarebbe affogato dentro e quella sarebbe stata la sua condanna.
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