you keep me still when all I feel is an aimless direction

idem + noah

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    «non è difficile come sembra» il tono di Idem Withpotatoes, così come il sorriso ad arricciare le labbra, era rassicurante e sincero mentre finiva di allacciare le calzature. Seduta sugli spalti della pista da pattinaggio, ruotò il capo per lanciare una fugace occhiata a Noah, chiedendosi - ancora - se fosse stata una buona idea. L’aveva trovata un’idea carina, divertente, qualcosa di diverso, e se fino a qualche anno prima il pensiero che qualcuno potesse trovarlo sgradevole l’avrebbe semplicemente infusa di senso di colpa, in quel peculiare periodo della sua vita l’incertezza assumeva il drammatico tono della paura. Non di quelle raggelanti, né troppo scomode – solo un leggero fremito sul palato i cui battiti seguivano il ritmo cardiaco. Più arrendevolezza quella di Idem, che fra i tanti, troppi, difetti, non mancava di essere troppo accondiscendente; uno avrebbe creduto che non essere egoisti fosse un pregio, ma poteva essere considerato tale se settimana dopo settimana, anno dopo anno, ti ritrovavi solo perché non avevi mai considerato l’ipotesi avara di domandare agli altri che rimanessero? Perchè se ne stavano andando tutti, e Idem Withpotatoes si limitava a sorridere e salutarli. Sapeva fosse giusto lasciarli andare. Pensare di imbrigliare Darden Larson in un unico posto era impensabile, per Isaac e Sharyn era decisamente venuto il momento di cambiare aria, e Mabel era diventato grande; avevano tutti ottimi motivi per lasciarsi Idem alle spalle. Sarebbe stato più facile, se fosse stata in grado di essere egoista permettendosi, almeno, di essere in parte arrabbiata, per quanto irrazionale ed inconscio potesse essere, ma...no. Non faceva parte dell’indole di Idem Withpotatoes, arrabbiarsi. Per cosa, poi? Perchè avevano una vita? Seguiva più il cuore della mente, ma rispettava la logica. Tutti quei saluti suonavano semplicemente un po’ troppo definitivi, capite? Dopo aver perso Nathan ed April, e Gemes e Darden, la medium era diventata più suscettibile all’abbandono. La solitudine era qualcosa di nuovo per Idem, e di non troppo piacevole.
    Non voleva se ne andasse anche Noah. Era diventato una costante nella sua vita, che egli lo sapesse o meno. Sapere che andando a casa l’avrebbe trovato, che se avesse aspettato sarebbe tornato, quietava il senso di panico a tamburellare alla base della gola. Vederlo seduto in cucina, sentire il suo profumo fra i cuscini del divano, ascoltare il morbido suono del pennello sulla tela, era confortante e piacevole. Quando parlavano, quando non parlavano, quando guardavano un film, quando su due poltrone differenti leggevano un libro, quando cercavano ritagli di giornali interessanti per la mystery, quando Noah leggeva (...cose che lei non avrebbe scelto per una bambina, ma contava il pensiero) storie a Tupp mentre Idem cercava di insegnarle come fare una barca con un foglietto di carta: non importava il quando né il come, ma c’era. «è solo questione di...» equilibrio? , certo, ma non quello che la Withpotatoes stava cercando. Mordicchiò le labbra facendo oscillare la coda corvina, alzandosi e poggiando le mani sul bordo della pista. «pratica» concluse soddisfatta, sorridendo ancora al moro. «immagina:» la tua otp poggiò i gomiti sulle transenne, lo sguardo zaffiro ad osservare qualcosa oltre quel gazebo – quel parco, quella vita. «la superficie di un lago ghiacciato, la luce della luna a riflettersi sul bianco della neve tutt’intorno, il silenzio rotto solo dalle lame dei pattini sul ghiaccio» non si era accorta di aver chiuso gli occhi. Gli riaprì, indicando vaga il cielo sopra di loro. «le stelle» arcuò le sopracciglia e piegò il capo in avanti, porgendo aggraziata una mano a Noah. «è molto aesthetic» gli rivolse uno di quei sorrisi fatti di cento situazioni senza importanza - quelle che rendevano il superfluo un abitudine, allegandovi ricordi e sensazioni senza un reale bisogno di rispolverarle. Dieci, mille volte in cui Idem Withpotatoes osservava di sottecchi Noah Parrish, lo ascoltava, sentiva parlar di lui, e quel termine vibrava sempre da una bocca all’altra come un’esilarante malattia contagiosa: estetica. «quando sei pronto» non solo un invito quello della mano di Idem, ma una tacita promessa: non ti lascerò andare.



    Sara, in background: «non è difficile come sembra………....it’s woRSE»
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    Edited by ‚soft boy - 4/2/2021, 00:35
     
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    «non è difficile come sembra»
    Era una frase che poteva essere applicata a davvero un sacco di cose, e che Noah per primo aveva ripetuto spesso; quasi sempre niente è difficile come sembra, anche se te ne accorgi solo una volta che hai raggiunto il risultato. In tutto o quasi nella vita ci voleva pazienza, dedizione, e il ragazzo non mancava mai di provare, resistere, superare a denti stretti l'iniziale scoglio di "non sono capace" e renderlo un "ci riuscirò". Non era difficile come sembrava.
    ...Di solito, però, disegnando, allenandosi, imparando a usare la tecnologia o addirittura cucinando, non rischiava la propria vita.
    «is it, though?» sussurrò più a se stesso che alla ragazza, testa voltata verso la pista perchè idem non vedesse la smorfia.
    Era bravo a fingersi ottimista, il suo ego eccellente a fargli credere di essere portato di base per tutto semplicemente perchè- beh, perchè era lui, e ovviamente aveva pensato che il pattinaggio, in quanto disciplina artistica, fosse qualcosa in cui sarebbe riuscito a eccellere come niente - ma questo era stato prima di indossare i pattini e rendersi conto che non riusciva neanche a stare in piedi.
    Si era letto una guida su come pattinare prima di andare, giusto per prepararsi, e ripensando a come l'avevano fatto sembrare una cosa da nulla ("1. cammina un po' per trovare il tuo baricentro". noah un'ora prima: ah ah certo andrò direttamente al passaggio 2. Noah adesso: io non ho un baricentro e la vita è dolore), si chiese se quel tutorial l'avesse fatto apposta per lui qualcuno per vendicarsi di quella volta che aveva caricato un video su internet intitolato "lezione di disegno n. uno" e l'intera durata del filmato era semplicemente lui che diceva: «Disegna e basta. Non è difficile».
    Karma is a bitch.
    Sorrise a Idem, le braccia inevitabilmente allargate per sentire una parvenza di equilibrio nonostante si sentisse un pagliaccio o - peggio - un bambino.
    "Magari l'equilibrio migliorerà una volta in pista".
    Spoiler: non sarebbe migliorato.
    «è solo questione di...» dai, ora gli avrebbe rivelato il super segreto- «pratica»
    .
    Certo.
    «la superficie di un lago ghiacciato, la luce della luna a riflettersi sul bianco della neve tutt’intorno, il silenzio rotto solo dalle lame dei pattini sul ghiaccio...» seguì lo sguardo della ragazza, e si appoggiò (si arpionò) anche lui alla transenna. «...le stelle. è molto aesthetic»
    Non potè fare a meno di ridacchiare, nonostante le gambe che lo tradivano, il corpo che lo spingeva a cadere all'indietro. Si sentiva molle come un ubriaco e un pezzo di legno tutti insieme.
    Si umettò le labbra, sporgendosi leggermente verso di lei pur dovendo stringere più forte il bordo della pista. «non devi convincermi che sia bello da vedere» inclinò leggermente la testa di lato sorridendo bonariamente. «ti ho già vista pattinare»
    Se Idem fosse stata bella solo quando pattinava, sarebbe stato facile rifiutarsi di andare con lei quel giorno, convincerla che si sarebbe divertita molto di più da sola mentre lui, al massimo, poteva guardarla da fuori e farle un (altro - l'ennesimo) ritratto. Sarebbe stato facile chiudersi in camera propria invece che sbucare da dietro il davano appoggiandosi languidamente ai braccioli per chiedere cosa stesse guardando quella sera, e se potesse aggiungersi. Sarebbe stato facile ignorare i suoi post it con la canzone del giorno e non andarsela a cercare su internet.
    Il problema era che Idem fosse bella sempre. Il problema era che Idem fosse più bella quando era felice.
    Noah non aveva l'ardire di pensare di poterla rendere tale, non quando il mondo intorno a loro continuava a trovare nuovi modi di deluderla, le persone che amava nuovi motivi per andarsene, ma sapeva di poter fare qualcosa, di poterla distrarre e farla sorridere sul serio per cinque minuti finchè le giornate non sarebbero state sempre di più fatte dalla somma di quei cinque minuti. Non voleva, come altri, che fosse la Idem che era stata prima dei laboratori (non l'aveva conosciuta, non gli importava), ma era difficile non desiderare che quel velo di tristezza la lasciasse sempre un po' di più. Forse ci teneva tanto perchè, vivendoci insieme, gli capitava più spesso che ad altri di vederla di sfuggita, pensandosi non vista, mentre si spegneva.
    Forse ci teneva e basta.
    «quando sei pronto»
    Abbassò lo sguardo sulla sua mano, prendendo un grosso respiro. «alessandro magno non ha conquistato il mondo tirandosi indietro» e, allungate le dita, strinse quelle di lei, facendosi forza e coraggio e avanzando sul ghiaccio. Sapeva lei non lo avrebbe lasciato, si fidava della ragazza, e-
    si stava già pentendo di tutto.
    «Oh- diamine» strinse i denti, occhi allargati mentre i pattini si posavano sul ghiaccio «non mi sento per niente stabile» cosa che si poteva perfettamente capire vedendolo.
    Portò rapido la mano libera sul bordo della pista.
    Cosa dice la guida che aveva detto? Immaginati un uccello leggiadro?
    Santi numi, al massimo si sentiva una palla da bowling pronta a essere lanciata.
    «e adesso?» Eh, ma come ci aveva sperato che una volta in pista, sarebbe stato davvero magicamente più facile. Si voltò verso di lei, dimenticandosi per un attimo di nascondere (il terrore) la confusione. «Ti ho già detto che non mi piace per niente non saper fare le cose?» deglutì, avanzando lentamente in avanti piegato in avanti per sopprimere la forza che lo spingeva all'indietro... no, ancora non si sentiva a suo agio, anzi; aveva un po' la nausea all'idea che la gente lo stesse guardando in quella posizione imbarazzante «mi sto pentendo di essermi fatto conquistare dall'idea romantica della prima volta, e non essere andato prima da solo ad allenarmi» se il ghiaccio lo rendeva onesto? Sì, un po' come gli occhi blu di Idem (non che con lei non fosse gentile e affettato, ma lo era sinceramente).
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    Lasciò la mano tesa verso Noah, e per una manciata di secondi, abbastanza da farle premere la lingua sul palato, temette che lui non l’avrebbe accettata. Si rese conto, nell’attendere di sentire il calore del palmo del metamorfo contro il proprio, che il timore che Noah non volesse davvero essere lì, si mescolava agrodolce al sospetto che non volesse essere lì con lei: vivevano insieme, lavoravano - se così si poteva definire la mystery; dipendeva dai giorni, ecco – insieme, e forse… forse era semplicemente troppo? Troppo tempo passato fianco a fianco, troppa Idem. In caso non l’aveste notato, Idem era strana. Era stramba. Lei non...lei non si inseriva. L’avevate mai vista senza uno stupido sorriso sulle labbra? Era strano. Non la ritrasse, ovviamente - come avrebbe potuto? - ma l’allontanò leggermente, timidamente, dandogli modo di sapere che non ci fosse alcun obbligo in quell’invito, solo un mite “non me ne vado se non mi dici di andare”. A volte, bastava quello. «alessandro magno non ha conquistato il mondo tirandosi indietro» fu con un sospiro morbido che accolse la mano di Noah, le dita a stringersi in una presa più ferma ma sempre delicata. Nascose il sorriso sulla spalla, perché per quanto fosse convinta che ogni sorriso andasse mostrato come una medaglia al valore, alcuni erano semplicemente troppo crudi per un pubblico. Alcuni erano semplicemente fine a se stessi, e per se stessi. Azzardò un passo sul ghiaccio cercando di prendere familiarità con quel nuovo equilibrio, sorridendo entusiasta ai pattini ed al pubblico. Pattinare era come nuotare, come volare: non seguiva le leggi di tutti i giorni, non aveva una forma concreta. Era eleganza, stabilità nel caos.
    Catartico, sotto certi aspetti.
    «Oh- diamine. non mi sento per niente stabile» Avrebbe potuto dirgli che fossero, beh, sul ghiaccio, e la stabilità dovesse ancora guadagnarsela, invece gli sorrise divertita: era un Noah così diverso quello aggrappato alla sua mano ed al bordo della pista, che non voleva perdersene nessuno uno, di secondo, nemmeno zitto. Non era il fatto che mostrasse d’essere umano, vulnerabile e onesto, ad ammorbidire gli occhi celesti di Idem, i quali seguivano affascinati il rapido mutamento d’espressione del moro; era che lo mostrasse a lei. «e adesso?» La risposta sorse spontanea sulla lingua della Withpotatoes, accompagnata da un rapido battito di ciglia corvine. «pattini» lo stava prendendo in giro? Forse un pochino, ma quando le sarebbe ricapitata un’occasione simile? Strinse la presa sulla sua mano, giungendo fluida al suo fianco. «Ti ho già detto che non mi piace per niente non saper fare le cose?» Gli sorrise radiosa, spingendosi cauta all’indietro. Voleva abbracciarlo, you’re doing amazing sweetie, ma sapeva che se avesse ceduto al (terrore) dubbio negli occhi di Noah, avrebbero finito per a) cadere entrambi, e troncare l’esperienza sul nascere; b) uscire, e troncare comunque l’esperienza sul nascere. «un paio, mi pare» finse ignoranza, studiando la posizione dei piedi del Parrish, e la rigidità degli arti. «mi sto pentendo di essermi fatto conquistare dall'idea romantica della prima volta, e non essere andato prima da solo ad allenarmi» Reclinò il capo sulla spalla lanciando allo special un’occhiata di sottecchi. «perchè?» curiosa, onesta nell’osservare Noah, cercando di sciogliere la rigidità delle braccia con piccoli cerchi concentrici sulle sue nocche. «è bello vederti...» come poteva spiegarglielo? Strinse le labbra fra loro e fece spallucce. «fuori dalla tua comfort zone» concluse, sorridendo allegra. «un nuovo noah da scoprire» uno dei tanti, ma che poteva farci se non si stancava mai di esplorarne di nuovi? «sono felice tu abbia deciso di farlo con me» e lo era davvero, e con lui lo era un po’ sempre, ma quel giorno un po’ di più. «piega leggermente le ginocchia; quando cerchi di pattinare, non tenere mai entrambi i pattini sul ghiaccio, solo uno per volta» glielo mostrò nel poco spazio disponibile offerto dalle mani strette fra loro, contando destro, sinistro per cercare di dargli un ritmo da seguire. «tieni il peso in avanti: è più difficile cadere sulle ginocchia, piuttosto che sulla schiena» provò a tirarlo leggermente verso di sé, indicando con il capo la mano di lui sul bordo della pista. «però devi lasciare la presa lì» gli offrì un’espressione di conforto, ma risoluta. «la prossima volta possiamo trovare qualcosa che non sa fare nessuno dei due» tipo? Boh, wrestling; poco aes ma sempre ad effetto, e le maschere erano carine. Che non si sentisse a suo agio a condividere cosa non sapesse fare? «se vuoi confessare adesso, sappi che sul ghiaccio ogni segreto è mantenuto sara: perché potresti morire in qualunque momento. «tutto è possibile» sara: tipo morire. «non giudica» sara: perché nessuno giudica i morti.
    Idem sorrise.
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    quando devi prendere pause mentre scrivi perchè stai ridendo da sola, capisci di aver toccato il fondo. scusa ti amo e li amo giuro im just that stupid AMACI COSì stavo ridendo così tanto che sia winston che mamma sono venuti a controllare
     
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    E adesso pattini.
    Più che pattinare, Noah voleva morire.
    ...ok, forse morire no (quel momento di tortura cinese prima o poi sarebbe passato, ma prima doveva essere dramatique al riguardo), ma ugualmente non si sentiva bene (insomma, come avrebbe detto un giovane: voleva morire). Le gambe andavano dove volevano, il suo corpo sembrava non rispondere ai comandi. Fare un passo avanti? Assolutamente impensabile. "Sono Noah Parrish; sono scappato da solo, senza l'aiuto di nessuno, da un l a b o r a t o r i o super controllato. Non mi fermerà un po' di ghiaccio"
    No infatti, non l'avrebbe fermato. Anzi.
    Iniziò lentamente a scivolare verso (l'oblio) terra, le gambe ad allargarsi mentre i piedi sembravano andare dove voleva loro e lui non capiva !! come !!! fermarli !!!
    Si strinse più forte alla balaustra con la mano che non teneva Idem, sperando di non tirarla giù con sè mentre usava i muscoli del braccio e del busto per tornare su, richiudendo in qualche modo mistico i piedi e tornando dritto.
    «perchè?» Alzò velocemente la testa (finendo quasi per ribaltarsi; good job Noah) per fissare Idem, sopracciglia sollevate e sguardo da "tu che dici?". Idem aveva - doveva avere, per forza - una alta considerazione del Parrish; se non quando falliva nel riconoscere qualcosa del ventunesimo secolo, si considerava decisamente un giovane uomo... affascinante? Equilibrato? Forse non perfetto - sebbene alla perfezione ambisse -, ma di certo vicino all'esserlo. A suo dire calibrava bene la modestia con la consapevolezza di essere quello che alle persone piaceva.
    Era un bugiardo, Noah. Tendeva a minimizzare o esagerare in base al contesto, a mostrarsi meno appassionato di quanto non fosse per non diventare una parodia di se stesso, o più interessato per non essere scortese. Trovava il giusto mezzo.
    In quel momento, invece? «sono terribile» ammise con una smorfia, seppur certo che Idem a quel punto se ne fosse accorta. Insomma, praticamente era in piedi solo perchè lei muoveva il braccio per aiutarlo a mantenere l'equilibrio, tenendolo di peso su.
    «è bello vederti...» «ridicolizzarmi?» «fuori dalla tua comfort zone; un nuovo noah da scoprire»
    Ricambiò istintivamente il sorriso della ragazza, spostando però nuovamente lo sguardo ai propri piedi. Fuori dalla sua comfort zone lo era di certo. Per quanto riguardava un nuovo Noah... beh, di certo per Idem doveva esserlo. Era attento solitamente a non mostrarsi così vulnerabile ma... a conti fatti si sentiva meno a disagio man mano che i secondi passavano.
    Non fisicamente: fisicamente voleva ancora morire, ed era certo sarebbe deceduto in quella pista cadendo e prendendosi una botta troppo forte alla sua bellissima testa, o che avrebbe perso l'uso delle gambe. Mentalmente? Mentalmente aveva sempre pensato che mostrarsi debole a Idem l'avrebbe fatta scappare; che avrebbe ricevuto lo sguardo da "ah, quindi sei così, è tutta una recita, non sei davvero super cool e sereno, non sei bravo a fare tutto al primo tentativo". Il fatto che sembrasse apprezzare lo rincuorava leggermente.
    Magari finita quell'avventura potevano fingere non fosse mai successa. Magari poteva invece davvero andare a fare qualcosa in cui non era capace nessuno dei due, e tenerlo come il loro piccolo segreto condiviso.
    Ascoltò attento i consigli della Withpotatoes, facendo del suo meglio per seguirli nonostante stesse già puntando l'idea di finire il giro, e uscire per andare a buttarsi sulla panchina a riprendere a riprendere fiato. Un giro era sufficiente per fare Idem felice, no? NO?
    In ogni caso finora, nonostante ci fosse arrivato vicino più volte, era ancora riuscito a non cadere. I vippini probabilmente stavano dicendo una preghierina per lui da qualche parte.
    «però devi lasciare la presa lì» «piuttosto mi ammazzo.» (Sara in the background: "va usata con pArSiMoNiA!!! nei casi VERY IMP!!!!" - BEH, PER NOAH ERA VERY IMP!) «...magari al prossimo giro?» perchè lo sguardo deciso di Idem, un po' gli faceva paura.
    «se vuoi confessare adesso, sappi che sul ghiaccio ogni segreto è mantenuto» «cosa «tutto è possibile. non giudica»
    Gli occhi scattarono in quelli chiari dell'altra, e sebbene ai suoi figli («Gwenda e Darla» «Gansey e Dorian» «E' quello che ho detto») avrebbe raccontato che a fargli partire il cuore a mille fosse stato il sorriso gentile e adorabile di loro madre, in verità fu qualcos'altro a smuoversi dentro di lui; non le farfalle nello stomaco, la sensazione strana ma piacevole di una stretta alle interiora che gli aveva dato vedere gli occhi di Idem illuminarsi quando lo aveva trovato a fare i pancake con Tupp, ma un altro tipo di peso sul petto.
    Senso di colpa.
    Quei pochi attimi di distrazione bastarono per farlo cadere malamente a terra (quanto malamente? Malamente; a sara l'immaginazione di dove erano finite le gambe #cos), seppur riuscì a lasciare in tempo Idem per non farla cadere con lui. Con una smorfia di dolore si chiese se potesse fingersi morto, o ascoltare i consigli che gli aveva dato la medium su come rialzarsi. Optò per rialzarsi (ma solo perchè idem poteva parlare con i fantasmi e quindi non poteva sfuggirle per sempre)
    «io... potrei...» riprendendo l'equilibrio, non cercò lo sguardo di Idem (accettando però il suo aiuto). «avere un segreto» e no, non stava pensando alla serata alla stamberga strillante in cui aveva bevuto birra in lattina - dannazione se avrebbe voluto che quello fosse il suo segreto più grande (non che non lo fosse, ovviamente).
    Quando era arrivato nel 2016, non aveva mai pensato di raccontare a qualcuno - Levi a parte - la verità. Perchè avrebbe dovuto farlo? Aveva la possibilità di vivere the best of both world, e non doveva giustificarsi con nessuno. Fra i vari AU, UAU, viaggiatori nel tempo, resurrezioni, la sua storia sembrava addirittura normale, passabile come bravata giovanile. Ok, il suo vero nome non era Noah, e allora? Tante persone cambiavano nome di battesimo per questo o quel momento. Non era nato nel 1995, ma aveva ventiquattro anni quindi non era una bugia. Non era americano, ma a quel punto persino Idem doveva averlo capito, pur decidendo di non insistere al riguardo perchè il Parrish faceva passare la sua vita prima dei lab come un ricordo lontano a cui preferiva non pensare troppo. Aveva ucciso suo padre: e quindi? Dai non... non era così strano... e poi era un bastardo...
    avrebbe dovuto passare metà della sua vita in prigione, e aveva letteralmente lasciato un suo circa amico a scontare la pena per lui
    era sposato
    aveva (avuto) un figlio
    era nonno
    era bis nonno.
    "Diamine."
    Ok, la verità era che non aveva mai detto a idem di Magnus non perchè non credeva fosse importante ma perchè, da qualche parte nel suo cuoricino, capiva che fosse un segreto di cui doversi vergognare. Si vergognava di averle mentito tanto a lungo, di non sapere da dove iniziare a dirle la verità dove lei era così- vera? Si vergognava perchè aveva paura: che non avrebbe capito, che l'avrebbe giudicato, che si sarebbe sentita tradita. Che l'avrebbe odiato.
    «prima tu» cosa? cosa «mi hai portato qui perchè hai qualcosa da confidare?» tipo: so già che sei un bugiardo infame e ti ho portato qui per ucciderti.
    Elementare; i conti tornano - cit.
    Non voleva ammazzare la sensazione di piacere di essere lì con lei, toglierle il sorriso dalla faccia, quindi si prese il tempo della risposta dell'altra per pensare se davvero fosse il caso di raccontarle di Magnus (parte della storia, almeno), o tergiversare ancora.
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    Narrator: there’s only one thing worse than falling
    Idem: *gasps* «NOAH!»
    Narrator: nO
    Idem osservò impotente il Parrish aggrapparsi all’aria cercando appigli inesistenti, i piedi incapaci di trovare una posizione stabile che lo tenessero in equilibrio. Le venne in mente quando Sarah le aveva raccontato di un antico vino che non erano riusciti a portare in salvo: aveva allungato le dita – come Idem in quel momento – aperto la bocca senza che ne uscisse alcun suono – come Idem – ed alla fine era rimasta semplicemente a guardare la tragedia svolgersi fino a che non era stato troppo tardi per porvi rimedio. Memorie così vivide che si ritrovò a pensare ti prego non romperti quando Noah infine, con l’usuale poca grazia dei non pattinatori, rantolava a terra. Fu all’incirca a quel punto che Idem dovette premere le mani sulla bocca: perchè shockbasita, avrebbe raccontato a chi gliel’avesse domandato, ma la verità era che non le pareva carino nei confronti del Parrish lasciar sgusciare la risata a premere sul palato. Era una brava persona, Idem Withpotatoes; una brava persona che rideva della gente che scivolava, okay, ma il secondo successivo si affrettava a domandare se stessero bene. E infatti: «ti sei fatto male? Ci fermiamo? Possiamo andarcene» e lo guidò nella complessa vita del rialzarsi da una superficie scivolosa (Sarah: «rimani a terra e salvati. Striscia fino allo scalino – ASCOLTA ME NOAH, è UNA TRAPPOLA») pronta ad afferrarlo se avesse dato altri segni di cedimento. Gli offrì nuovamente la mano, i preoccupati occhi fiordaliso a studiarlo per assicurarsi che stesse bene. Decretò che non stesse bene, accompagnandolo più vicino all’appoggio così che potesse ritrovare il suo equilibrio zen interiore. «direi che sono già progressi, davvero, possiamo -» «io... potrei...avere un segreto» Non la risposta che si era aspettata. Battè le ciglia, pattinando fino a trovarsi di fronte a Noah (non perché volesse guardare a 360 gradi che la sua testa non avesse subito danni….). Lo studiò un paio di secondi ponderando la sua replica. potrei avere un segreto; il condizionale era perché poteva averne più di uno, non perché non ne avesse. Era buona, non stupida. Accennò un sorriso comprensivo, quelli un po’ tristi perché consci di non sapere qualcosa, e leggeri perché non aveva importanza. Tutti avevano i propri segreti. E come poteva giudicare, lei che era, un segreto. Non che la medium ne fosse a conoscenza, ma una parte di Idem...lo sapeva; quella stessa parte che comunicava con gli spiriti dei morti, lo sapeva. E «lo so» perché sapeva anche quello, Idem; non cosa, ma che Noah Parrish potesse avere un segreto? Sarebbe stata sciocca a pensare il contrario. Un segreto che si sentisse di condividere con lei? Quello era un altro paio di maniche, ma non avrebbe mai forzato la mano. «prima tu» Lei? In che sensoH. Trasparente come acqua in vetro, il dubbio dovette essere palese sul volto della Withpotatoes, un sopracciglio sollevato ed il palmo portato oltraggiato al cuore. Avrebbe potuto dire di non avere segreti, ma sarebbe stata una menzogna; avrebbe potuto dire di non poterne parlare, e sarebbe suonata come tale. Principalmente però, come Sarah di fronte a qualsivoglia autorità, malgrado avesse una fedina penale quasi impeccabile, si sentì punta nel vivo. Coda di paglia? , e senza un reale motivo. «mi hai portato qui perchè hai qualcosa da confidare?» aveva qualcosa da confidargli? «forse» rispose, perché magari era vero e se n’era dimenticata – capitava più spesso di quanto non le piacesse ammettere. «...dipende?» si corresse, spingendosi avanti di un altro metro e cercando di portare il metamorfo con sé, cauta a non compiere movimenti affrettati. Umettò le labbra e ci pensò, ci pensò sul serio, voltandosi poi per cercare gli occhi blu dell’altro. «no» ammise onesta, abbozzando un sorriso. «ti ho portato qui perché volevo farlo» guardò la pista da pattinaggio, accecata ed affascinata da tutto quel bianco, soffermandosi poi ad osservare i movimenti eleganti – ed impacciati, ma non quanto Noah - degli altri pattinatori. «ci venivo spesso, con la mia famiglia» poi sono morti, o se ne sono andati. «volevo fare...qualcosa di normale, con te» mise una ciocca corvina dietro l’orecchio, indicando vaga attorno a sé. «di carino, sai, che non riguardasse viaggi nel tempo o universi alternativi» ancora un mezzo sorriso. «senza contare che non potevo perdermi la possibilità di vederti cadere» cosa? «imparare qualcosa di nuovo*, dannato auto correttore»
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    Era davvero come sentirsi sottoposto alla macchina della verità. Era un bugiardo, Noah, un bravo bugiardo, tanto da essere stato in grado di rifarsi una vita dettando lui tutte le regole (sì sì, si era dichiarato special quindi aveva/avuto qualche limite... ma gli importava? Non troppo; quel potere gli aveva dato la possibilità di fare cose che mai Magnus avrebbe potuto fare)... ma a volte, sotto lo sguardo di Idem, si chiedeva se lei non fosse un'investigatrice nonchè psicomaga più brava di quanto non fosse lui bravo a tenere in piedi la propria farsa.
    «lo so» non ricambiò il sorriso triste dell'altra, perchè non sembrava la cosa giusta da fare, perchè sapere che ci fosse (almeno) un segreto - ma non quale, non perchè - doveva essere ancora più brutto per lei che non sapere e basta. «non è perchè non mi fidi di te» precisò a bassa voce. Non fosse stato su quegli aggeggi mortali dagli sciocchi chiamati semplicemente pattini, si sarebbe avvicinato per prenderle la mano fra le proprie. Mentiva spesso, va bene, ma non su quella semplice affermazione: sapeva di poter contare su di lei. Qual era il problema, allora? «È un mio segreto» non avrebbe dato la responsabilità di averlo tenuto tale per anni a qualcun altro, della serie "non posso dirtelo perchè lo condivido già con qualcuno e questo qualcuno non vuole tu lo sappia". «Ma è come se appartenesse ad un'altra persona, a un'altra vita; capisci quello che intendo?» probabilmente no, non era certo di capire neanche lui. Lui era stato Magnus, che gli piacesse o meno pensarci.
    Si lasciò trascinare quando, dubbiosa, Idem si mise a pensare se avesse un segreto, occhi obbligati a passare dal suo viso al ghiaccio per non rompersi una gamba cadendo di nuovo. «ti ho portato qui perché volevo farlo»
    «per uccidermi?» ma sorrise, nel dirlo.
    «ci venivo spesso, con la mia famiglia» Oh. «volevo fare...qualcosa di normale, con te. Di carino, sai, che non riguardasse viaggi nel tempo o universi alternativi Anche perchè dopo la partenza di Nathan, e poi quella di Amos, anche incontrarsi nel van della mystery era diventato in qualche modo triste; ma questo non lo disse, limitandosi, labbra incurvate, a inclinare leggermente la testa nel guardarla; lo sapeva lui, lo sapeva lei. Per quanto emozionante cercare (male) di risolvere misteri, non era divertente uguale se la tua squadra pian piano si sfalda.
    «senza contare che non potevo perdermi la possibilità di vederti cadere- imparare qualcosa di nuovo*, dannato auto correttore»
    Noah sbuffò una risata, arrischiandosi ad allungare la mano per darle un buffetto sul naso. Aveva capito la reference, sì. «Dicono tutti che sei un angelo, ma è ovvio che non ti conoscano bene» e scherzava, certo, ma non che gli spiacesse poterla vedere dannatamente umana e più tridimensionale di un personaggio che la gente le cuciva addosso. Era buona, Idem (a volte troppo per quel mondo), ma era più di questo.
    Con una mano (e con un sospiro), le fece gesto di tornare a muoversi; un altro giro della pista, lentamente, potevano ancora farlo.
    «Se ci sono altri posti mortali dove andavi con la tua famiglia, ti accompagnerò volentieri» commentò quando tornarono, con calma, a pattinare (Idem, arrancare, Noah). «questo tipo di ricordi nostalgici familiari mi... mancano. Non ho mai avuto un gran rapporto con la mia» Cercava di immaginarsi momenti felici passati con la famiglia da bambino o ragazzo, ma erano pochi o nulli; c'erano i pomeriggi passati con le amiche della mamma vestito da bambola, ma non erano esattamente ricordi a cui fosse legato, e lo stesso valeva per le grandi feste a casa Icesprite, che aveva sempre amato proprio perchè poteva non stare con i suoi genitori ma imboscarsi con i coetanei o parlare del mondo di fuori con chi era abbastanza di larghe vedute da volerglielo raccontare senza timore.
    «mia madre mi voleva bene, so che era così, e pensavo questo fosse sufficiente per fare di lei una buona genitrice, ma- sorpresa. Ho scoperto che non è così» Sapeva di essere sempre stato considerato da Beatrice un premio della lotteria, o il suo giocattolo preferito, ma prima di vedere Amos e Idem con Cash e Tupp, Sin con il suo marmocchio o i Jackson-Beech con il nano biondo, non si era mai preoccupato di pensare ci fosse qualcosa di sbagliato in quello.
    Non si era mai preoccupato di pensare a come si era comportato lui con William, troppo impegnato allora a ritenersi la vittima della situazione. «con mio padre non avevo un rapporto e basta, immagino. Non approvava le mie passioni neanche stette a precisare quali: camera di Noah era una galleria privata di lavori incompiuti e di libri, e non mancava mai di parlare dell'una o dell'altra cosa alla special. Dopo una vita passata a dover cercare di nascondere in casa quello che amava, aveva fatto voto a se stesso di non farlo mai più.
    Non aveva mai parlato granchè della sua famiglia, non citando personalmente la madre o il padre quanto frasi vaghe («a casa avevamo un sacco di quadri; ho iniziato così ad amare l'arte» o cose simili), perchè gli era sembrato stupido farlo: era il passato di Magnus, non di Noah... ma se voleva arrivare a essere sincero con lei dopo tutti quegli anni, doveva almeno provarci, no? Partire da qualcosa. «quando gli estremisti mi hanno preso, stavo scappando dal suo fantasma» ah ah quasi letteralmente, perchè era morto.
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    «È un mio segreto. Ma è come se appartenesse ad un'altra persona, a un'altra vita; capisci quello che intendo?» Un debole sorriso apparì sulle labbra della Withpotatoes, scivolando prima ancora di poter essere notato. Idem era stata la segretaria della Resistenza, ed era - come sempre era stata - una ribelle: dire che potesse capire quello che intendesse, sarebbe stato un eufemismo. Ciascun membro della Ribellione era il mattone di un castello, e senza di loro l’intero edificio sarebbe crollato; ognuno di loro era un segreto, nel singolo quanto insieme. Non che fosse l’unico scheletro nell’armadio della ex Tassorosso, ma a quello che ghignava ironico in un angolo remoto della sua mente, preferiva non pensare. «non sei obbligato a dirmi nulla, noah» bisbigliò, preferendo essere diretta piuttosto che ammettere fin troppo bene di comprendere dove volesse andare a parare implicando così di avere anch’ella un segreto. Alzò gli occhi azzurri su di lui perché potesse leggervi quanto sincera fosse, quanto lo intendesse sul serio: c’erano segreti destinati a rimanere tali, e non li considerava un ostacolo alla loro amicizia. Se non se la sentiva di rivelarlo, doveva avere degli ottimi motivi, e Idem Withpotatoes si fidava del senso del giudizio del Parrish – se poi l’interpol avesse deciso di far saltare in aria l’appartamento con loro dentro perché il suo segreto era l’essere un most wanted, nei pochi secondi prima di morire sarebbe stata molto triste. «Dicono tutti che sei un angelo, ma è ovvio che non ti conoscano bene» Liquidò la questione con una risata cristallina ed un vago cenno nell’aria; sapeva scherzasse, non era il caso di aggiungere quanto invero fosse lontana dall’essere un angelo: era solo un essere umano che ci provava un po’ di più, ed altrettanto un po’ di più, tendeva a fallire – ed a riprovarci, ancora ed ancora. «Se ci sono altri posti mortali dove andavi con la tua famiglia, ti accompagnerò volentieri» Sorrise ed arcuò le sopracciglia, abbastanza certa che non ci fosse nulla di letale nel passatempi dei Withpotatoes (il fatto che poi continuassero comunque a morire, era un dettaglio a cui Idem preferiva non pensare, e che faceva ridacchiare istericamente solo Sara) ma altrettanto sicura che Noah non l’avrebbe pensata allo stesso modo. «escursioni, recupero di fratelli smarriti nei boschi» tratto da storie vere. c’era chi perdeva i propri figli al supermercato e chi, come Lena, doveva cercarli sopra la cima di ogni albero (#eh darden, #eh poor). «ti divertirai da morire» concluse, spingendosi un poco più avanti e voltandosi per sorridergli sorniona. «questo tipo di ricordi nostalgici familiari mi... mancano. Non ho mai avuto un gran rapporto con la mia» Non era la prima volta che Idem si sentiva dire una cosa simile, ma come ogni volta non poteva fare a meno di trovarlo un concetto alieno. Era una psicomaga, conosceva perfettamente qualsivoglia genere di problema famigliare, eppure non riusciva mai a...comprenderlo, perché si trattava di questioni troppo estranee alla sua sfera conoscitiva. Nel bene e nel male, e di male ce n’era stato tanto, la sua era sempre stata una famiglia unita, dai fratelli ai vicini cugini Peetzah, fino a giungere ai più algidi Icesprite. Pensare che potesse esserci qualcuno come Noah che fosse privo dei ricordi felici di pranzi e rumorosi picnic, la rendeva abbastanza triste da farle stringere un po’ di più la mano del Parrish nella propria. Tacque, e quel silenzio fu riempito dal suono morbido e distante delle parole di Noah, una confessione spontanea che diede maggior definizione al conosciuto sconosciuto con cui stava pattinando. «mia madre mi voleva bene, so che era così, e pensavo questo fosse sufficiente per fare di lei una buona genitrice, ma- sorpresa. Ho scoperto che non è così. con mio padre non avevo un rapporto e basta, immagino. Non approvava le mie passioni» Arricciò il naso, sguardo a guizzare dai piedi di Noah – a cui ogni tanto, sottovoce, correggeva la postura – al viso del ragazzo. «a volte i genitori scelgono per i figli la vita che avrebbero voluto fare loro, senza rendersi conto che non è quello che loro vorrebbero» non lo disse per giustificare suo padre, ma per fargli capire che non fosse il solo ad aver avuto quelle difficoltà; non era stato il solo a fuggire dal suo fantasma, ed a sopravvivere. I fantasmi cessavano d’esistere quando smettevi di ascoltarli – e se a dirlo era una medium, c’era solo che da fidarsi. «mi dispiace» concluse sincera mordendo il labbro inferiore, fermandosi per fronteggiare ancora l’altro. «sei riuscito a scappare?» sorrise ancora, portando la mano libera al petto. «se vuoi gli do una lezione io. me ne intendo di fantasmi» metafisici e concreti; ah, che bella la vita di Idem Withpotatoes. «puoi venire ai nostri picnic ed alle nostre cene a tema» aggiunse dopo un paio di secondi di silenzio, reclinando il capo per incrociare lo sguardo del Parrish. «ai nostri funerali, ormai sono più numerosi compleanni ed ai pomeriggi di tè caldo e biscotti» battè le ciglia, allargando il sorriso all’idea di mostrare («IDEM, BASTA, LE HAI Già FATTE VEDERE A TUTTI E NON INTERESSANO A NESSUNO») le foto imbarazzanti dei suoi fratelli a Noah. «è troppo tardi per il Noah bambino, ma non è mai troppo tardi per avere una famiglia»

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    Se stava iniziando a capire come pattinare ed era, magicamente, diventato yuri on ice solo con la forza dell'amore e del suo ottimismo?
    No, ovviamente no.
    Ancora i suoi passi erano incerti, il suo peso instabile, e doveva concentrare gran parte dei suoi pensieri ai movimenti che molto lentamente iniziavano a diventare meccanici.
    «non sei obbligato a dirmi nulla, noah»
    Si arrischiò a spostare gli occhi dal ghiaccio a Idem, perchè la propria risposta non sembrasse detta tanto per: «Mi dispiace» bisbigliò anche lui; che gli dispiaceva davvero non essere sincero con lei, e forse per questo ammise, la voce sempre più bassa: «Non voglio che tu mi odi» lo sguardo si era fatto incerto e se di per sè dovesse essere una vista divertente, Noah Parrish confuso (insomma, il Noah Parrish che apriva internet e cercava di capire se la gente era impazzita o se era semplicemente in voga un nuovo meme; odiava i giovani e la velocità con cui cambiavano trend), in quel momento c'era un non so che di fragile, di bisognoso di trovare negli occhi azzurri dell'altra, nel ricambio della sua stretta di mano, che no, non l'avrebbe odiato.
    Durò poco.
    Non passò molto che di nuovo stava guardando la pista, leggero, felice (*odiando il ghiaccio e per poco tutt'uno con esso), come se niente fosse.
    (...) «altri posti mortali dove andavi con la tua famiglia» «escursioni, recupero di fratelli smarriti nei boschi»
    Citando un vecchio saggio: tragico.
    Si pentiva già di averle detto l'avrebbe accompagnata: alle escursioni, come nei boschi, c'erano insetti, sporcizia, insetti. «Mh» aveva ancora le labbra incurvate verso l'altro, ma difficile non notare come l'idea non lo appassionasse. Era pur sempre il ragazzo che aveva cercato per mesi di convincere la mystery inc che no, non serviva cercare lo Sasquatch nei boschi, sicuramente vivano in città e in posti carini e puliti, guardate ho fatto una bacheca apposta per dimostrarvi l'intelligenza delle mie ricerche! Ci sono anche le foto le puntine e i fili rossi!! (spoiler: non era riuscito a far approvare la sua teoria a nessuno, ma in compenso Phobos gli aveva regalato un cappello da apicultore da indossare alle loro cacce al mostro contro i veri mostri: gli insetti, e Idem e Nathan ci avevano appiccicato delle toppe simpatiche per renderlo più speciale; li odiava e amava con ugual furore). «ti divertirai da morire» oh mio dio lo stava minacciando . Come doveva reagire a ciò?? non facendolo se non con una risata assolutamente per niente nervosa. «Non vedo l'ora» no davvero, non la vedeva, che ore erano, quanto ancora doveva rischiare di morire con quei coltelli ai piedi? Nessuno ti dice che un orologio da taschino non è pratico su una pista da pattinaggio dove entrambe le mani ti servono per non morire.
    (...)
    «a volte i genitori scelgono per i figli la vita che avrebbero voluto fare loro, senza rendersi conto che non è quello che loro vorrebbero»
    Arricciò il naso. Era certo che suo padre volesse un'esatta copia di se stesso, non qualcosa di meglio (aveva mai pensato ci fosse meglio di lui? Sicuramente no), ma ripensandoci... Damide aveva fallito in qualcosa, no? Aveva fallito con Magnus. Il pensiero gli diede non poca soddisfazione.
    «mi dispiace» si fermò con Idem (non senza difficoltà; I imagine death so much it feels more like a memory ...), stringendosi nelle spalle con l'accenno di un sorriso. "Non è colpa tua". «sei riuscito a scappare?»
    «Sì» Tirò su le loro mani unite, e senza staccare gli occhi dalla ragazza, posò un bacio sulle sue dita. «Sono qui, e sono al sicuro» Non una volta gli era venuto il dubbio che dal ministero potessero scoprire qualcosa e arrestarlo, nè altro. La sua storia era stata un dramma familiare - finito sui giornali, certo, ma di cinquant'anni prima. Il governo attuale aveva ben altro su cui indagare che non un caso chiuso da secoli di una famiglia purosangue. «Non ci penso quasi più»
    «se vuoi gli do una lezione io. me ne intendo di fantasmi» «No» Il sorriso tentennò mentre lo special si irrigidiva, tornando subito cortese come se niente fosse successo. «Apprezzo l'iniziativa, ma no, grazie. Al nostro ultimo incontro gli ho detto tutto quello che pensavo: non c'era altro da aggiungere» era piuttosto certo che l'omicidio racchiudesse tutta la propria frustrazione. Abbassò le loro mani giunte, ancora tenute fra loro. L'idea che Idem lo scavalcasse per parlare con Damide Icesprite lo destabilizzava solo a pensarci; se sarebbe stato brutto dirle la verità, sarebbe stato sicuramente peggio lasciare che la sentisse da parte di lui. Poteva solo immaginare come, anche da morto, fosse pieno di veleno nei confronti del figlio.
    «puoi venire ai nostri picnic ed alle nostre cene a tema» Alzò nuovamente gli occhi; non si era neanche reso conto di averli abbassati pensando al padre. «ai nostri compleanni ed ai pomeriggi di tè caldo e biscotti» inclinò la testa di lato, divertito. «Sto per caso subendo una famosa adozione tiemme Withpotatoes?»
    «è troppo tardi per il Noah bambino, ma non è mai troppo tardi per avere una famiglia»
    Ugh, Julie, che colpo al cuore, ma poi così a tradimento?
    Il Parrish ricambiò il sorriso stupido (sì, stupido, non è un typo), intenerito da tali parole e tentato, sinceramente, di accettare, di dire al diavolo a tutto quello che era stato, e prendersi quello spicchio di felicità che non aveva mai avuto. Sarebbe stato bello, no? Qualche volta fastidoso magari, ma bello, partecipare alle feste colorate e rumorose dei WP, farsi prendere in giro da quella grossa famiglia di casi umani, ridere delle battute di nonna Seti e di- il sorriso si intristì.
    Lui già faceva parte di quella famiglia, in qualche modo, solo non come glielo stava offrendo Idem. Solo che invece che sorrisi e allegria, aveva portato dolore ad almeno parte di loro.
    Anche se fra lui e Levi le cose ora andavano bene (più di quando erano sposati, per dire), anche se sapeva di essere stato perdonato per come era stato un pessimo marito e un terribile padre, sapeva che il perdono era giunto proprio grazie alla sua scomparsa definitiva dagli schemi (e di Damide; Levi era stata più che felice della morte dell'uomo come lo era stato Noah). Non era certo che Levi sarebbe stata felice di averlo a quelle occasioni di festa; le doveva almeno la libertà di non interferire, sapeva fosse già una scocciatura per lei il rapporto di Noah con la sua pronipotina.
    Non era certo di meritarsi la famiglia di Idem, quando cinquant'anni prima non aveva lottato perchè fosse la propria nonostante le pressioni paterne.
    «Sei tu la mia famiglia» staccò la mano dalla balaustra, e la usò per spostarle una ciocca di capelli dalla faccia. «E Tupp e Cash, ovunque vivano» e Amos *blow a kiss in the air* spero il vostro viaggio per il mondo, bramos, vada alla grande «Non ho bisogno di altro. Loro sono tuoi tanto quanto tu sei loro, e a volte penso sia giusto che tu ti tenga qualcosa anche per te»
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    «Sto per caso subendo una famosa adozione tiemme Withpotatoes?» Idem roteò sui pattini, un’occhiata stupita verso Noah ed un leggero sorriso sulle labbra. La domanda non avrebbe dovuto coglierla di sorpresa, le adozioni tiemme Withpotatoes erano effettivamente una cosa a sé: era la loro prerogativa da anni, da tutta una vita, quella di essere una famiglia aperta. C’era chi aveva relazioni aperte e chi, come loro, accoglieva nella propria cerchia chiunque non avesse altro a cui aggrapparsi, felici di allungare una mano nell’oceano e tirarli a galla sul proprio materassino gonfiabile. Non erano molto, non avevano molto, ma erano la condivisione nella sua essenza più pura: quello che avevano, apparteneva a chiunque lo volesse. Offrivano una casa; offrivano una famiglia, un posto e persone a cui tornare quando tutto andava male. Offrivano se stessi, e mai Idem aveva rimpianto quelle scelte – non quando Isaac era quasi morto, non quando credeva Gemes lo fosse, non quando Mabel era sparito, ed aveva dimenticato l’esistenza di Poor. Più che un adozione, era un trovarsi, un aver bisogno vicendevole di essere una famiglia.
    Ma non aveva pensato a Gemes, Isaac, Poor e Mabel, o a sua nonna e sua madre. Non aveva pensato a Darden, nell’offerta a cuore aperto sul palmo della mano esposto al Parrish.
    Aveva pensato, per una volta, a se stessa. Che le sarebbe piaciuto averlo al proprio fianco a quei picnic, o alla spasmodica ricerca di uno dei suoi fratelli; che avrebbe voluto sentirlo ridere per la nuova, assurda, trovata di Poor che li avrebbe resi ricchi, o per le litigate a denti stretti fra Gemes e Darden su chi fosse il ballerino più bravo di High School Musical - conversazioni cui solo loro erano stati testimoni, e che i due non avrebbero mai riconosciuto all’infuori della famiglia. Che, allungando una mano, potesse stringere la sua, e sentirsi un po’ più a casa. «Sei tu la mia famiglia» e quelle parole, regalate con un sorriso ed una mano a spostarle i capelli dal volto, non avrebbero dovuto farle perdere mezzo battito, o dipingerle le guance di rosa. Non avrebbero dovuto ammorbidire un’espressione già dolce, sciogliendo lo zucchero in morbido e malleabile caramello. Non avrebbero dovuto essere le parole che che avrebbe voluto sentirsi dire.
    Ma lo erano. «E Tupp e Cash, ovunque vivano» un sorriso, liquido e felice, curvò le labbra della Withpotatoes. «Non ho bisogno di altro. Loro sono tuoi tanto quanto tu sei loro, e a volte penso sia giusto che tu ti tenga qualcosa anche per te» Lo osservò da sotto le fitte ciglia scure, soppesando le sue parole. Penso sia giusto che tu ti tenga qualcosa anche per te. Se lo ripetè, mentre annuiva brevemente. Continuò a ripeterselo nel sorriso brillante rivolto al metamorfo, e mentre gli porgeva una mano per guidarlo verso l’uscita, ed al sospiro di sollievo quando le scarpe di Noah Parrish sfiorarono il suolo.
    E quando giunsero a casa, e quando la serata continuò come le cento precedenti e quelle successive. Se lo ripetè ogni volta che lo guardava senza che lui sapesse, ed ogni volta che invece se ne accorgeva ne incrociava lo sguardo.
    Aveva ragione.
    Per quanto egoista fosse, magari Noah se lo sarebbe tenuto per sè.
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