Someone to you

noah ft. idem @ sede DUSP

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    «Quando pensi di dirglielo?»
    Noah tenne ostentatamente lo sguardo sui pezzi della scacchiera, e nessun movimento del suo corpo poteva far pensare che avesse davvero sentito la domanda dell'anziana signora di fronte a lui. Levi sapeva che l'udito del suo (ex?) marito era perfetto come poche cose, e non si fece ingannare ripetendosi, lasciando invece all'altro il tempo di elaborare e rispondere. Non confidava che fosse la volta buona in cui Noah - Magnus - le avrebbe dato una risposta degna di quel nome, ma sperava che ricordandogli di tanto in tanto che prima o poi avrebbe dovuto vuotare il sacco, infine l'avrebbe fatto. Erano passati più di sei anni, in fondo, dal suo arrivo in quel secolo.
    Noah mosse la pedina del cavallo con calma, e Levi finì il suo turno in cinque secondi mangiandoglielo con un alfiere - dimostrazione che il Parrish l'avesse sentita e si fosse distratto. Era sempre stato bravo solo a nascondere le proprie emozioni, ma non altrettanto a controllarle.
    «Scacco»
    Lo special sbuffò, portandosi la mano davanti alla faccia, l'indice sulle labbra.
    Passarono altri minuti, prima che muovesse un altro pezzo per cercare di togliersi dallo scacco. E prima di parlare. «Glielo dirò»
    «Quando?»
    «Fra quattro... o cinque...»
    «Quattro o cinque cosa? Giorni? Settimane? Mesi?»
    «Forse sei»
    «... Mi stai citando una di quelle battute che girano online?» Finalmente Noah alzò lo sguardo, sorridendo malandrino. Quel ghigno lo conosceva benissimo da sessant'anni, perchè era lo stesso che aveva ricevuto per sette anni di matrimonio quando lui pensava di aver vinto, tuttavia: «Non sei lo stesso uomo che ho sposato» Magnus non avrebbe mai quotato un tormentone preso da una serie tv babbana che neanche aveva visto, piuttosto che da un libro.
    Di nuovo, la frase non sembrò ferire il ragazzo, ma Levi ne sapeva di più, e aggiunse: «È un bene, Noah» Erano da soli nella grande villa dove viveva Levi Withpotatoes-Icesprite, e non c'era bisogno di chiamarlo con quel nome nonostante fosse andato lì quel pomeriggio col suo aspetto giovanile, ma l'anziana l'aveva usato lo stesso. Magnus era la vera maschera da anni. «Magnus era uno stronzo» «Levi! Linguaggio!» «-E sapeva solo fuggire. Dovresti dimostrare a Idem che Noah non è così. Scacco, di nuovo.»
    «Lo sai che non è facile»
    «Non tutte le relazioni sono uguali» Gli occhi chiari del ragazzo erano tornati da tempo sulla scacchiera, cercando una soluzione per bloccare la vittoria della donna, ma si alzarono nuovamente all'affermazione affermazione. Questa volta, un leggero panico mal celato.
    «Non è come pensi»
    «Lo è» agitò una mano in aria. «Ma non importa. Sono passati cinquant'anni da quando mi dicevo che il problema eri tu, non io. Il problema eravamo noi due insieme»
    Il sorriso si fece triste «Ma soprattutto io»
    «Forse con Idem sarebbe diverso» Noah scosse la testa. Certe cose non erano cambiate, le aveva solo elaborate e ora sapeva dargli un nome. «Dovresti comunque darle la possibilità di dirtelo lei stessa. Scacco matto.»
    Nessuna reazione da parte di Noah. La partita, ormai, l'aveva vinta Levi da un pezzo. «Parlale. Di tutto quanto» Sorrise leggermente. «Ci saremmo risolti un sacco di problemi facendolo anche noi a suo tempo. Sei sempre stato bravo con le parole, ma mai a dire quelle giuste, quelle che pensavi davvero»
    Noah l'aiutò a ritirare la scacchiera, ma chiamarono l'elfo domestico per la teiera vuota e il resto. Da brava padrona di casa l'accompagnò alla porta, e prima di uscire Noah posò la mano contro lo stipite, prendendosi del tempo. «Io... grazie, Levi. Vorrei fossimo diventati amici prima; sarebbe stato tutto diverso»
    Levi gli accarezzò la guancia con le dita rugose, sorridendo dolcemente. Un gesto che quando vivevano insieme non si sarebbe mai sognata di fare «Proprio perchè sarebbe stato tutto diverso, non lo desideri davvero»
    Forse con un'amica a guidarlo Magnus sarebbe stato un genitore decente. Un marito migliore. Lui e Levi avrebbero trovato un punto d'incontro per rendersi felici, senza tarparsi le ali. Lei gli avrebbe lasciato perseguire la sua arte - in segreto dalla famiglia -, lui l'avrebbe aiutata a trovarsi qualcun altro di cui essere soddisfatta mentre entrambi continuavano a salvare le apparenze del loro matrimonio, rincontrandosi la mattina per fare colazione insieme e raccontarsi senza asio le reciproche avventure notturne.
    Non avrebbe ucciso suo padre.
    Non sarebbe scappato nel 2016.
    Non sarebbe stato prigioniero nei laboratori, non avrebbe incontrato Idem. Fondato la Mystery inc.
    «No, hai ragione.» Non sarebbe stato così felice come era in quel secolo, come era Noah. «Non lo desidero davvero.»

    (...)

    Uno sgabuzzino, un registratore acceso, badge con nome finti, una borsa piena di fogli da leggere, il fiato corto di una fuga improvvisata ma necessaria, e loro due in attesa che il tempo passasse per potersene andare.
    Non era così che se lo immaginava.
    Si trovavano nella sede principale del DUSP, Divisione Ufficiale alla Salvaguardia del Paranormale, con l'idea di indagare riguardo i loro esperimenti sospetti sui fantasmi ("cReAtUrE ParAnOrMaLi" per loro; si vabbè, ok) e, chissà, magari già che c'erano rubare qualche spirito tenuto lì rinchiuso per aiutarlo invece ad andare oltre piuttosto che sorbirsi torture e angherie in eterno. In qualità di Mystery Inc. era loro dovere sapere il più possibile (della concorrenza) dell'organizzazione per salvaguardare davvero gli esseri paranormali non regolati dal ministero della magia con giustizia, e in qualità di Noah e amico era certo che Idem tenesse a quella questione anche più degli altri membri della squadra in quanto medium, e per questo non ci aveva pensato due volte e aveva proposto una missione decisamente rischiosa ma necessaria. Ora che erano dentro, tuttavia, avevano bisogno di aspettare che la gente se ne andasse, prima di poter tornare a gironzolare per i corridoi in tranquillità - o scappare.
    Non era in un luogo squallido e asettico come quello che Noah si vedeva a parlare dei propri sentimenti, di mani sporche di sangue, di una vita che sembrava appartenere ad un'altra persona...
    Eppure forse non ci sarebbe stata occasione migliore; come aveva detto Levi giorni prima Magnus sapeva solo scappare. E se Noah lo avesse obbligato a restare - fisicamente? Dopotutto, aveva provato parecchie volte negli ultimi mesi a tirare fuori uno o l'altro argomento, e aveva sempre fallito perchè cercava un momento perfetto che non sarebbe arrivato.
    Le aveva chiesto di uscire ad un locale carino, ma poichè vivevano insieme non aveva potuto nè andarla a prendere nè riportarla a casa e non era capitata la situazione giusto per dire che no, non era un'uscita tra amici, per lui.
    Aveva organizzato un pic nic, pur odiando gli insetti e il rischio di sporcarsi con la terra (ma apprezzandone per lo meno l'estetica) perchè credeva a lei sarebbe piaciuto, e pur avendo l'intenzione di dirle che c'erano un sacco di cose che non facevano per lui, ma per farla felice le avrebbe fatte tutte, si era dovuto interrompere all'attacco (passaggio*) di una vespa, e quindi aveva solo finito per dire che odiava essere lì.
    Erano andati insieme a mostre, e nessun quadro aveva creato la giusta atmosfera.
    Le aveva donato un bouquet, ma un fiore era appassito ancora prima che potesse iniziare a parlare e si era reso conto con un colpo al cuore che come belli erano i fiori prima di essere colti, così era la loro relazione attualmente, e nel tentativo di cambiare le cose avrebbe rischiato di farla appassire.
    Erano rimasti da soli nel cuore della notte nella base della mystery, seduti vicini nella semi oscurità e abbastanza stanchi da lasciar cadere le proprie difese, e Dick III si era messo a parlare nel sonno e gridare insulti verso le lobby dei gatti.
    Ci era quasi riuscito, una sera sul divano, avvolti nella stessa coperta (perchè era quella bella, e nessuno dei due voleva cederla, preferendo condividerla), la testa di Idem sulla sua spalla, e dopo minuti di incipit e l'accenno all'essere già sposato si era reso conto che Idem si era addormentata. La mattina gli aveva chiesto davanti al caffè se gli andava di finire di raccontare quel libro che aveva iniziato a riassumerle, ma Noah non se l'era sentita più alla luce del sole.
    Insomma.
    Le occasioni erano capitate, e parecchie volte.
    Ma qualcosa andava sempre storto - quindi perchè non iniziare da una situazione storta, e sperare che diventasse il momento perfetto?
    «vorrei restare da solo con te, Idem» iniziò a bassa voce, guardandola negli occhi con espressione seria a mandare via eventuali fantasmi. Anche Sarah. «Se c'è qualcun altro con noi, vi pregherei di farmi questa premura e andarvene- perchè io sono pronto» Allungò la mano, per chiederle silenziosamente di poter tenere la sua. «Da mesi sto cercando di... affrontare discorsi difficili, senza mai trovare il momento - o rovinandolo da solo per paura. Ho bisogno di parlarti di me, perchè voglio che tu mi conosca sul serio. Le cose belle e le cose brutte.»
    erano vicini, in attesa, e seppur la presenza e vicinanza alla ragazza non lo mettesse in agitazione fisica allo stesso modo che avrebbe fatto con il classico protagonista di un romanzo, qualcosa c'era comunque. Non i sintomi del desiderio, magari, ma l'attrazione che provava lui era forse peggiore, perchè non gli sarebbe bastato togliersi il pensiero (con lei, o altri) per liberarsene.
    Senza contare che era terrorizzato.
    Dalla reazione che avrebbe avuto alla storia del suo passato, a come l'avrebbe giudicato, al rifiuto che sarebbe potuto seguire.
    Aveva considerato anche che la sua dichiarazione - se fosse riuscito ad arrivare a dirle quello che provava sentimentalmente - sarebbe stata un buco nell'acqua, perchè anche se aveva avuto qualche segnale che l'interesse fosse ricambiato, sapeva ci fossero le basi per non volerlo come partner romantico, e gli sarebbe andata bene... ma non voleva perderla come amica. E se avesse rovinato quello che avevano, irrimediabilmente?
    Era egoista uscire dal guscio, e cercare di avere di più - o meglio, essere più sinceri?
    «Sei d'accordo? Spero che se dopo quello che devo dirti non mi vorrai più nella tua vita, avrai la bontà di spezzarmi il cuore con la tua solita gentilezza» Sorrise leggero, muovendo il pollice per accarezzarle la mano.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.


    primo pezzo assolutamente inutile ma a chi non serve un grillo parlante png
     
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    Teneva un orecchio poggiato contro la porta, il palmo aperto su di essa per tenersi in equilibrio. Era difficile sentire con l’udito, sopraffatta com’era da tutto il resto. Le sembrava di ascoltare le voci all’esterno con un paio di cuffie spente nelle orecchie; contorni ovattati e gonfi. L’adrenalina, certo, non aiutava, ma a minare la sua concentrazione c’era soprattutto il basso vibrare delle bolle nell’archivio della DUSP. Non li percepiva come il resto dei fantasmi, non poteva comunicare con loro e certamente non controllarli, ma li avvertiva comunque. Un ronzio sotto pelle a disturbare le frequenze. Il principio di un emicrania che non si evolveva mai in un vero e proprio mal di testa, quanto più in un cerchio a stringere la fronte.
    (Di lì a qualche mese, la situazione non sarebbe migliorata neanche per le tranquille strade di Brighton, la morte a permeare ogni granello d’ossigeno; un’altra storia, per un altro momento.)
    Premette la mano libera contro una palpebra abbassata, schiacciando per alleviare la sensazione di stanchezza. Ecco, forse era quello il problema: sapeva non fosse possibile, ma si sentiva comunque drenata della propria energia come se qualcosa lì dentro si stesse alimentando del suo potere. Magari le voci che non riuscivano a raggiungerla. Le richieste e le preghiere.
    Non si arrabbiava spesso, Idem Withpotatoes, ma sapere che una società come la DUSP esistesse, la faceva innervosire. Aver scoperto che fossero andati ad Hogwarts, ed avessero usato le vite di persone reali come lezione per degli adolescenti, la infastidiva, perché non era storia. Non di tutti, almeno: era la loro, di storia. Intima. Non erano – tutti – personaggi che avevano in qualche modo contribuito a creare la società così come la conoscevano, ma gente normale. Qualunque. Imprigionata solo perché in vita non avevano avuto qualcosa - il coraggio, il tempo – ed erano stati visti in seguito come fonte di disturbo dagli esseri ancora viventi. Persone che avevano amato, ma non l’avevano fatta abbastanza; combattuto, senza vincere; perdersi, senza avere la possibilità di ritrovarsi.
    «vorrei restare da solo con te, Idem»
    Posò interrogativi occhi azzurri su Noah Parrish, la bozza di un sorriso divertito sulle labbra. Certo, anche lei avrebbe voluto restare da sola con lui, e che il resto dei dipendenti lasciasse l’edificio – non era quello il punto della loro missione? Sconclusionata, caotica. Poco stile Parrish, a voler essere del tutto onesti. Sapeva - sapeva - l’avesse fatto per lei, e come si poteva non amare qualcuno che spingesse i propri limiti un po’ più in là pur di renderla felice? Non aveva mai fatto pressioni in merito, Idem, perché sapeva ci fossero altre priorità - strani avvenimenti stavano capitando in tutto il mondo, e nessuno sembrava avere idea di quale fosse il motivo: era su quello che avevano indirizzato i loro studi, pur con pochi risultati – ma era importante per lei. Non capiva perché a quei fantasmi non fosse permesso di andare oltre, e fossero invece rinchiusi eternamente nel malessere che li aveva costretti in quella situazione in primo luogo. Che lei sapesse, la DUSP non aveva contattato alcun medium per facilitare il trapasso: nulla, della loro associazione, lasciava intendere che lavorassero per i fantasmi – offrivano un servizio ai vivi, e tanto bastava alla maggior parte della popolazione.
    «Se c'è qualcun altro con noi, vi pregherei di farmi questa premura e andarvene- perchè io sono pronto» Ah… mh. Quel soli. Fu istintivo e naturale offrirgli il palmo, lasciare che intrecciasse le dita fra loro. Non aveva bisogno di un motivo o di una spiegazione per farlo, ma - pronto? A che… cosa. Faceva parte del piano? Cercò di fare mente locale, ma non trovò una risposta. Alzò lo sguardo su Sarah, che osservava Noah con un cipiglio confuso ed offeso, le braccia incrociate sul petto.
    «digli che me ne sono andata. Tanto mica lo sa»
    «sarah» rimproverò a bassa voce, battendo le ciglia. Capiva quando esitava a lasciarla da sola in presenza di sconosciuti, gli Withpotatoes non erano propriamente una famiglia affidabile, ma Noah…? Noah Parrish non era un pericolo per Idem. Non avrebbe mai potuto essere un pericolo, neanche con quell’espressione seria ed il suo essere pronto. Provò a pensare se avesse dimenticato qualche conversazione in sospeso; se negli ultimi tempi fosse stata troppo bisognosa di attenzioni, appiccicosa come afa d’estate. Se quello fosse il suo modo – rispettoso, sempre; galante, ed educato – di farle notare che fosse il momento di prendere le distanze, costruirsi ciascuno la propria vita. Non potè fare a meno di notare come il solo pensiero bastasse a rendere scostante il battito nello sterno, un salto verso il basso e rapido poi a stringere la gola. Morse nervosamente il labbro inferiore, allentando la stretta sul suo palmo.
    «se mi vuoi, rimango» insistette il fantasma, e Idem riconobbe nel tono delicato che fosse un’offerta: le avrebbe tenuto l’altra mano, se la ex Tassorosso ne avesse avuto bisogno – e poi avrebbe posseduto Noah, costringendolo a prendere una testata contro la parete, ad afferrare un paio di forbici dagli uffici a fianco, e radersi a zero. Se fosse stato necessario, diceva l’espressione serafica di Sarah. Le rivolse un sorriso morbido ed affettuoso, sollevando un angolo della bocca. Le indicò poi l’esterno della stanza, senza però imprimere alcun controllo su di lei. Non avevano quel genere di rapporto. Avrebbe potuto, ma non voleva. «siamo soli» confermò in un mormorio, pochi secondi dopo l’uscita di scena del suo fantasma di fiducia, azzardandosi a ricambiare l’occhiata dell’altro. Qualunque cosa avesse voluto dirle, andava bene: non voleva pensasse che non volesse sentirla, anche se in parte era così. Aveva tutto il diritto di esprimersi. Spezzare un cuore che neanche sapeva di tenere fra le dita, ma tenuto così gentilmente, in quegli anni, che Idem non aveva potuto far altro se non cederglielo. Non sarebbe stata colpa sua. La Withpotatoes non voleva niente in cambio, perché non era così che funzionavano i regali.
    «Da mesi sto cercando di... affrontare discorsi difficili, senza mai trovare il momento - o rovinandolo da solo per paura. Ho bisogno di parlarti di me, perchè voglio che tu mi conosca sul serio. Le cose belle e le cose brutte.» Di nuovo, non quello che si era aspettata. Piegò il capo sulla spalla, allontanandosi dalla porta per avvicinarsi a lui. «Sei d'accordo? Spero che se dopo quello che devo dirti non mi vorrai più nella tua vita, avrai la bontà di spezzarmi il cuore con la tua solita gentilezza» Rispettava le scelte altrui abbastanza da costringersi a non pensare di aver fatto il passo più lungo della gamba, a concedere a Noah quel momento di solitudine, ma aveva davvero bisogno di un traduttore, in quel momento. Sopracciglia corrugate, ed anche l’altra mano a posarsi sul dorso del Parrish. «noah» battè le palpebre, ed esitò. Il primo istinto nelle situazioni di tensione, era sempre quello di diventare professionale, offrendo il consiglio che avrebbe dato ad un proprio cliente – che fosse un posto sicuro, che potesse condividere solo quello che si sentiva di condividere, che non era lì per giudicarlo, il suo compito era ascoltare – ma era Noah, ed era Idem: quelle cose già le sapeva. «non è il passato a definire chi sei. Ti conosco» sottolineò, perché le sembrava necessario. Aveva… paura….potesse non volerlo più nella sua vita? Lei? Trattenne una risata in favore di un sorriso. «se vuoi dirmelo, mi fa piacere, ma non sentirti in dovere. Mi interessa perché riguarda te, ma non mi importa» le sembrava così ovvio, che si sentì stupida a dirlo ad alta voce. Poteva avere una vita senza Noah, ma non la voleva: le pareva una differenza importante.
    E scontata. Non la era? Strinse un po’ di più la mano del ragazzo nelle proprie, il pollice sulle nocche. Un sorriso un po’ esitante, quello della Withpotatoes. Pieno di cose che pensava di non aver bisogno di dire. «grazie, però»
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    Quasi sospirò, quando Idem posò la mano sulla sua con naturalezza, alleggerito di un macigno sul petto. Lungi da essere finita la parte difficile, ma era un inizio.
    Cercò di non prestare troppa attenzione alle espressioni di Idem, alla conversazione silenziosa che stava avendo con Sarah - sarebbe stato come origliare, e non era suo diritto ascoltare, tanto più dopo aver chiesto un po' di privacy, ma si chiese quale fosse il problema.
    Effettivamente, non aveva neanche pensato che potesse essere addirittura pericoloso per Sarah andarsene dal fianco di Idem. Forse doveva- «siamo soli»
    Sbattè le palpebre un paio di volte, tornando a concentrarsi su Idem. Ok. Ok, poteva farcela... e continuò con le premesse, girando, per l'ennesima volta, attorno alla questione, pretenzioso come sapeva essere senza neanche impegnarcisi troppo.
    «noah» la guardò.
    Forse lei non voleva sapere.
    Avrebbe rovinato la loro amicizia.
    «non è il passato a definire chi sei. Ti conosco» Ed era dannatamente vero, per molti - troppi - versi. Non conosceva Magnus, ma conosceva Noah come forse nessun altro, neanche se stesso. «se vuoi dirmelo, mi fa piacere, ma non sentirti in dovere. Mi interessa perché riguarda te, ma non mi importa» non era certo fosse positivo che a Idem non interessasse, e inclinando la testa lei dovette notare lo sguardo vagamente ferito e confuso, perchè aggiunse, stringendogli la mano: «grazie, però»
    Scosse la testa, il ragazzo.
    «voglio dirtelo. Tutto quanto» si umetto le labbra, muovendo lentamente il pollice sulla sua mano, sulla pelle morbida. «Non perchè ho bisogno di aiuto, ma perchè devi saperlo se-...» se voglio che la nostra sia dichiaratamente più di amicizia. Non gli interessavano le etichette, davvero, ma a volte pensava che sarebbe stato più facile parlarsi piuttosto che fingere. Non voleva per forza di più di quello che avevano, ma di certo non voleva di meno, e temeva che senza discuterne, prima o poi sarebbe stata Idem a lasciarlo indietro, non soddisfatta.
    Chiuse gli occhi. Li riaprì dopo un secondo.«quello che provo per te è più di semplice affetto fra amici, Idem Withpotatoes, ma ti ho mentito troppo a lungo, e mi dispiace. Il mio vero nome è Magnus Hyperium Icesprite. Sono nato a Londra, nel 1948, e ho viaggiato nel tempo» non era certo, nonostante la mezza parentela data da Seti e Levi, che Idem riconoscesse il suo nome, quindi proseguì: «Sono-... ero sposato. Ho avuto un figlio. Non ero un buon marito, ero un pessimo padre» scosse la testa leggermente. «Noah non esisteva prima di conoscerti. Tu, e questa falsa seconda vita, che sembra molto più vera di quella di Magnus, mi avete reso l'uomo che sono adesso. Non perfetto, indubbiamente, ma abbastanza onorevole da volerti affidare, col mio cuore, il mio segreto»
    Immobile, alla ricerca di una reazione da parte di Idem, e terrorizzato da quello che avrebbe potuto dire o fare lei. Niente domande stupide come "Mi credi?" perchè gli scherzi di Noah raramente erano così personali e Idem non aveva motivi per non credergli, e niente "potrai perdonarmi?" perchè temeva la risposta. Finì, comunque, con una precisazione: «Non ho mai amato nessuno come amo te, ma capirò se non vorrai più vedermi»
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    Il «voglio dirtelo. Tutto quanto» di Noah, non aiutò ad allentare la tensione delle spalle di Idem. Si trattenne dal guardarsi attorno solo perché non voleva tornasse sui propri passi decidendo non fosse il momento opportuno, ma non riusciva a pensare ad alcun motivo che potesse necessitare quell’urgenza. Cercò rapidamente nei propri ricordi se negli ultimi minuti avesse fatto qualcosa di sconsiderato, ma le era parsa – con attenuanti del caso, tipo essersi infiltrati in un’associazione privata con l’intento di distruggerla. – una giornata del tutto normale.
    Per loro, perlomeno.
    «Non perchè ho bisogno di aiuto, ma perchè devi saperlo se-...» Attese, ma il Parrish non concluse mai quel se, lasciando che i dubbi della Withpotatoes si accumulassero gli uni sugli altri come mattonelle di lego. Rispose al suo nervosismo cercando di placare il proprio battito, controllare il respiro, ed offrire un’espressione neutra e non giudicante, gli occhi azzurri a cercare - e trovare sempre - i suoi. Dopo anni di convivenza, era la prima volta che Idem lo guardava senza avere alcuna idea di cosa gli frullasse nella testa, e senza di conseguenza avere alcun modo per aiutarlo a districare i fili.
    «quello che provo per te è più di semplice affetto fra amici, Idem Withpotatoes,»
    La medium battè le palpebre sorpresa. Non era … non era quello che si era aspettata, e strinse solo un poco più forte la mano di Noah nella propria. Un fiato appena irregolare a sgusciare dalle labbra dischiuse, lo sguardo ad ammorbidirsi e null’altro, perché sapeva stesse arrivando un
    «ma»
    Arrivava sempre un ma, e deglutì tutte le emozioni insieme alla saliva, controllando il respiro ma non potendo fare nulla per il battito lievemente accelerato, o le guance rosee esposte allo sguardo del ragazzo.
    «ti ho mentito troppo a lungo, e mi dispiace. Il mio vero nome è Magnus Hyperium Icesprite. Sono nato a Londra, nel 1948, e ho viaggiato nel tempo»
    Uhm. Uhm? Non era il “ma” che aveva atteso. Ancora, si ritrovò a battere le palpebre, le sopracciglia corvine appena corrucciate nella sua rinomata posa riflessiva. Magnus… Icesprite? Conosceva quel nome, Idem, ma era ancora incastrata nel ho viaggiato nel tempo per poter connettere i puntini. Icesprite? Come… Damian. Suo cugino….? Che mondo…. Piccolo. Aprì la bocca, la richiuse. Era rimasto incastrato come Darden a Bodie, senza possibilità di tornare a casa….? Le stava dicendo che avesse trovato il modo per tornare nel proprio tempo…? Era un addio?
    Magnus Icesprite.
    «Sono-... ero sposato. Ho avuto un figlio. Non ero un buon marito, ero un pessimo padre»
    Thinkin. Idem spostò la propria attenzione dalla parete del loro nascondiglio, al volto del ragazzo di fronte a lei. Era presente, sempre presente, ma con una nota distante e riflessiva.
    «sei….» Una pausa.
    Dillo.
    Ad alta voce.
    Dillo.
    Idem umettò le labbra. Magari dopo.
    «Noah non esisteva prima di conoscerti. Tu, e questa falsa seconda vita, che sembra molto più vera di quella di Magnus, mi avete reso l'uomo che sono adesso. Non perfetto, indubbiamente, ma abbastanza onorevole da volerti affidare, col mio cuore, il mio segreto» Idem fu molto, molto, grata, che Noah - Noah? - avesse richiesto della privacy, perché Sarah avrebbe rovinato tutto, cercando su Google quanti anni avesse Magnus («SETTANTACINQUE»), cantando sweet home alabama, e dicendole che i GILF fossero la nuova frontiera, perdendo di vista l’importanza del momento. La medium rimase ad osservarlo incuriosita, ma non come se lo vedesse per la prima volta.
    Era sempre Noah.
    E Magnus Icesprite.
    «...il nonno di damian?» soffiò piano, delicata, unendo infine i puntini. Era sposato con la sua… prozia? Il bambino per cui era stato un pessimo genitore, era il … - fece un paio di calcoli mentali - padre di suo cugino?
    Mi avete reso l’uomo che sono adesso.
    Oh, Noah.
    «Non ho mai amato nessuno come amo te, ma capirò se non vorrai più vedermi»
    Che… cosa. Era quello a preoccuparlo? Che non volesse più vederlo? Idem Withpotatoes non aveva mai, mai chiuso una porta, e non avrebbe cominciato in quel momento – non con Noah, e non quando il sorriso a tenderle le labbra, confuso ma sincero, sembrava non aver colto il memo che Noah, nato settantacinque anni prima, avesse messo al mondo un figlio con una sua parente. La amava? Inspirò ed espirò piano, rimanendo in silenzio. Non voleva tormentarlo inutilmente, ma cercava di capire, in tutta onestà, quanto quelle informazioni influissero sul loro rapporto. Conosceva Noah. Viveva con Noah. Condivideva la vita con Noah da sei anni.
    Sollevò le mani intrecciate, portandole sulla guancia e sospirando piano. Voleva dirgli le dispiacesse che non si fosse sentito abbastanza sicuro da parlargliene prima, ma comprendeva perché non l’avesse fatto. Per la prima volta, Idem Withpotatoes si ritrovava senza parole.
    «ho molte domande» confessò. Dire che avesse bisogno di tempo, sembrava un eufemismo – e non del tutto la verità. «ma posso non fartele. E puoi non rispondermi» amare qualcuno non significava dovergli tutto; poteva tenersi la vita di Magnus stretta al petto, se non era un problema per lui. Poteva lasciarla andare. Farne quello che preferiva. Idem non conosceva Magnus, ma conosceva Noah, e Noah era una brava persona. Non era abbastanza? Non poteva essere abbastanza?
    Lo era, per lei. Si era innamorata del modo in cui la vedeva e faceva sentire, di come la ascoltava e rimaneva sempre, e quella non poteva essere una menzogna. Fece scivolare la mano libera sul suo viso, il palmo delicato sulla guancia. «anche tu hai cambiato la mia vita, noah parrish» Premette il pollice, una carezza morbida. «e sarei molto felice se decidessi di rimanerci» si alzò sulle punte, sfiorando appena le sue labbra con le proprie, e regalandogli un sorriso contento e timido. «possiamo affrontare anche questo, insieme.» su quello, Idem, non aveva dubbi.
    Abbassò ancor più la voce in un bisbiglio. «odio rovinare il momento, ma dobbiamo salvare casper»
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    Rapido, quasi secco nell'annuire. Sperava Idem ci avrebbe messo un po' meno a collegare anche quello, e arrossì leggermente rendendosi conto della rivelazione a cui doveva essere arrivata. Aggiunse in un mormorio veloce, le parole a inseguirsi: «Noi non siamo parenti» Caso mai pensasse avesse mostrato interesse verso di lei, dichiarandole i propri sentimenti, nonostante un legame familiare. «Non di sangue. Non in quanto Magnus Icesprite» "Ma sei la mia famiglia", pensò ugualmente. Sua di Noah - una famiglia che non solo si era scelto lui, ma che Idem stessa aveva offerto con un sorriso tanto tempo prima (così tanto, che quella role l'avevamo aperta dopo un altro capodanno a Torino; il cerchio si chiude).
    Idem portò le loro mani intrecciate sulla guancia, e Noah resistette alla tentazione di chiudere gli occhi nell'accarezzarla, per paura che riaprendoli, ad accoglierlo sarebbe stato finalmente lo sguardo arrabbiato e tradito della donna - o, peggio, che lei avrebbe distolto lo sguardo, e per sempre. Voleva affogare nel blu dei suoi occhi il più a lungo possibile, soprattutto quando il rischio era non poterlo fare mai più. Il piano iniziale era stato dirle solo qualche verità alla volta, ma una volta aperto il vaso di Pandora era stato impossibile fermarsi, e capiva quanto potesse essere... difficile, per lei, accettarlo ancora.
    «ho molte domande» Lo capiva. Le avrebbe avute anche lui: la curiosità di Idem e la sua passione per il mistero erano fra le cose che più amava di lei. «ma posso non fartele. E puoi non rispondermi»
    Si chiese se fosse un ultimatum, se non rispondendole, o dandole le risposte sbagliate, avrebbe perso tutto.
    «puoi domandarmi cosa vuoi» incurvò le labbra in un piccolo sorriso triste e spaventato. «potresti non apprezzare le risposte» Aveva voluto la libertà, da ragazzo, e una vita che non gli era stata concessa di vivere, ma adesso non c'era niente che volesse di più della comprensione e dell'affetto della withpotatoes, o semplicemente della sua presenza nella sua vita. Se avesse dovuto perderla per errori del passato non sapeva cosa-
    «anche tu hai cambiato la mia vita, noah parrish. e sarei molto felice se decidessi di rimanerci»
    e oh, come cantò il suo cuore a quelle parole.
    L'uomo espirò leggero dal naso, un sorriso sincero a fare finalmente capolino mentre inclinava leggermente la testa, per appoggiarsi alle dita della medium sul proprio viso. Neanche si era accorto di quanto era stato difficile respirare, negli ultimi secondi, tanto che il bacio lo elaborò a metà, più colpito dalle parole della donna che non dalle sue labbra sulle proprie. Non gli aveva detto di amarlo a sua volta, ma per lo meno gli avrebbe concesso di starle ancora accanto; era abbastanza.
    «Finchè mi permetterai di farlo, anche per sempre» Alzò lui questa volta la mano libera, le dita prima leggere a spostarle una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi sullo zigomo tenendole il viso con delicatezza. Studiò il suo viso qualche istante ancora, imprimendosi nella memoria quel momento, avvicinandosi per esserle più vicino, per respirare la stessa aria.
    Quando la baciò non furono fuochi d'artificio. Non fu a guidarlo una cocente passione e non sentì sulla lingua gusto di disperazione: quel bacio era un finalmente sussurrato, intimo, solo loro. Un sono qui, sono a casa che pareva essersi già detti mille volte. Familiare e accogliente. Agognato, in qualche modo, atteso, ma semplice - come respirare; ovvio, come il cuore che batte senza bisogno che tu gli dica di farlo - e altrettanto necessario.
    Staccandosi, appoggiò sorridendo la fronte a quella di Idem, gli occhi ancora chiusi. Posso tenerti con me?
    «odio rovinare il momento, ma dobbiamo salvare casper»
    Aggrottò le sopracciglia. Mh. Momento rovinato. Si morse la lingua per non dire "è morto adesso, sarà morto fra due minuti" (bacio al cielo a kaegan), ma sospirò. La amava anche per il suo altruismo.
    «Immagino di poter incolpare solo me stesso per il mio pessimo tempismo» Si staccò leggermente per poter incrociare di nuovo sguardo azzurro. Mosse leggermente il pollice sulla sua guancia. «Allora andiamo; prima salviamo qualche fantasma, prima potrò tornare a dirti quanto l'inglese manchi di parole adatte per descrivere appieno la forza del il mio amore per te» perchè il signore dio ha dato a noah ecc - cit
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