qualche segnale che le cose non stavano andando nel verso giusto, forse ty avrebbe dovuto coglierlo. intanto per cominciare, behan non aveva reagito alla breve (ma intensa) istantanea dei suoi muscoli addominali in bella vista, come invece gli era già capitato di fare nei due mesi precedenti: sguardo fisso, guance in fiamme, un cuscino premuto sulla faccia.
e poi non aveva ricambiato la sua stretta.
capitava di rado che i trymore riuscissero a superare le loro strambe barriere psicologiche da damine dell'Ottocento nei confronti del contatto fisico, ma quando accadeva — e il desiderio di abbracciare behan nel momento stesso in cui lo aveva visto ne era un esempio, allora lo facevano entrambi con un trasporto fanciullesco che li lasciava a navigare nell'imbarazzo per le successive ore a venire: se uno dei due faceva il salto, poco ma sicuro l'altro seguiva a ruota. ma non era quello che stava succedendo in quel momento «ehi..» persino la consapevolezza di non aver lasciato aperta la porta d'ingresso (i had 1 fear) riuscì a rallentare il battito improvvisamente accelerato del suo cuore.
si spostò leggermente all'indietro, ty, slacciando l'intreccio delle mani sulla schiena di beh per lasciargli spazio «tutto b-» «devodirtiunacosa» (now i have 2 fears) tipico dei pg di chimi: far venire un infarto a quelli di rob. non so voi, ma i see a pattern here — solo che il límore non era Barry, e la sua reazione di fronte alla frase™ non poteva semplicemente essere panico dentro e calma fuori. non le aveva mai sapute contenere le proprie emozioni, in special modo quelle negative; gli si stampavano addosso, risalendo in superficie come inchiostro assorbito da carta troppo porosa, e in questo il cambio pv non lo aveva aiutato affatto «oh» stava tutto li, in quegli occhi troppo scuri improvvisamente rivolti al pavimento, una mano per istinto tuffata nei corti capelli corvini. annuí, di fronte alla frase successiva, muovendo piano le spalle «no, ma.. capisco sai. cioè se non te la senti di-» senza accorgersene aveva fatto un altro passo indietro, le mani sollevate a mezz'aria per gesticolare come un linguini qualunque «vederci, ecco. insomma, lo capisco» l'aveva già detto, eppure la verità era che non avrebbe voluto capire; nel petto gli bruciavano ben altre parole, andrà meglio, sarà più facile, insieme possiamo farcela, ma non ne volevano sapere di uscire.
nel momento del bisogno, lo tradivano sempre.
«possiamo almeno-» «tuocuginoeisuoiamici mifannotroppapaurascusaavreidovutodirtelo» avrebbe voluto chiedergli di rimanere amici, perché quello era il livello di sottoneria al quale ty aveva accettato ormai da tempo di vivere; persino quando si era fatto avanti (mesi prima. MESI!!!?? QUASI UN ANNO) per confessare a behan i suoi sentimenti, l'unica vera paura capace di strizzargli il cuore nel petto come uno straccio bagnato era quella di perdere il ragazzo. che non volesse più vederlo, o parlare con lui — di dover rinunciare al sorriso un po imbambolato che il tryhard gli riservava sempre quando si vedevano. non è che avesse molti amici, taichi límore, anche se li considerava i migliori (capito merdina?): rinunciare a beh sarebbe stato un colpo ben peggiore che dovergli stare accanto sapendo di provare qualcosa in più, e diversi accontentare. solo che il ragazzo non aveva detto credo proprio come dovremmo lasciarci, come il cervello di ty aveva già elaborato per conto suo.
si prese i suoi buoni quindici secondi di riflessione, labbra leggermente dischiuse e sguardo perso nel vuoto; era come inserire la retromarcia dopo aver superato un parcheggio libero, rendendosi conto di quanto fare la manovra al contrario fosse più complicato. ma rallentare era un optional, e forse era un bene che lo special non dovesse prendere la patente «quindi non vuoi-» si interruppe, perché a dirlo ad alta voce rischiava di sembrare più stupido del normale. muovendosi in ritardo come un internet Explorer qualunque, ty si fece di nuovo avanti, troppo agitato persino per sorridere «mi hai fatto prendere un incarto*» e quando gli strinse le braccia attorno alle spalle, ancora, non diede alcuna importanza al fatto che behan potesse sentire il suo cuore battere all'impazzata attraverso la stoffa sottile della maglietta; dopotutto, era giusto che ricambiasse verità con verità «fanno paura anche a me, cosa credi» sciogliendo appena la presa tornò a guardarlo in volto, le guance improvvisamente in fiamme — damina dell'800 confirmed «possiamo trovare un altro posto per vederci» che non fosse il BDE perché davvero la presenza di Eddie non aiutava affatto.
«comunque ecco..» anche l'espressione da Labrador stampata sul volto di behan, a quella distanza praticamente inesistente, non aiutava affatto «mi sei mancato» gliel'aveva già detto? nel dubbio, tanto valeva ribadire. perché non era solo il tryhard, a mancargli: in quelle tre parole ty racchiudeva tutto un mondo. gli mancava poter stare ogni giorno con i suoi amici, passare ore nella sala comune di ivorbone a lanciare popcorn addosso ad Hans, o esplorare i corridoi del castello insieme a Livy; gli mancavano Bri e i suoi scherzi, le fintissime litigate con il belby a fare da siparietto quotidiano. gli mancava vibrare alla stessa frequenza di McKenzie, riconoscersi da una parte all'altra di una stanza senza bisogno di dire nulla (sos mentali a parte).
il peso sul petto si fece un po' più pesante, il groppo in gola un po' più insopportabile «posso baciarti?» erano da soli in casa, ma ty si ritrovò comunque a sussurrare, come se un tono di voce appena più alto avesse potuto spaventare (entrambi) behan e costringerlo in ritirata. il confine dello spazio personale tra loro era così labile e delicato che non si vergognava affatto a chiedere il permesso; anche solo per vedere il ragazzo annuire impercettibilmente, inghiottendo aria e nient'altro, come in quel momento. accennò un piccolo sorriso, troppe fossette, prima di appoggiare le labbra su quelle del tryhard con la stessa impacciata insicurezza di un tredicenne al campetto estivo — almeno aveva la certezza che potevano essere awkward insieme.
si rese conto di aver trattenuto il respiro solo dopo aver spostato leggermente la testa all'indietro, gli occhi ancora chiusi e il cuore a martellare contro la cassa toracica; il fatto che bastasse un bacio a fior di labbra perche ty dimenticasse le basi della sopravvivenza faceva sorridere, ma anche riflettere. sui suoi sentimenti per behan tryhard, e non solo «beh» sia intercalare che nome proprio di persona. rafforzando la presa delle braccia ancora sollevate sulle spalle del mago, ty lo baciò di nuovo, con un trasporto che gli nasceva direttamente dal petto e che non aveva alcuna intenzione di tenersi dentro: anche le damine dell'800 sapevano quando era il momento di lasciarsi andare e non disprezzavano le paccate dure — l'aveva visto Bridgerton, cosa credete.
non si rese conto di aver passato le dita tra i capelli di behan finché non lo fece
non si rese conto di aver spinto il ragazzo ad indietreggiare fino alla parete finché non lo fece
e non si rese conto di aver perso il controllo (punto) sul suo potere finché-
«sta piovendo in salotto. perché sta piovendo in salotto?» una voce dall'oltretomba, un sottofondo mistico di violini. il cuore già provato di ty perse un colpo e per istinto tappó la bocca di beh con una mano anche se non ce n'era effettivamente bisogno «é godric.» era godric.
questa è la maxistoria di come lo special afferrò behan per la maglia trascinandolo dentro la cabina armadio (dai quella con le porte che rimangono aperte le righe così non soffocano, come nei film): de botto, senza senso. non esisteva un vero motivo per nascondersi, quando godric già sapeva che ty viveva con i golden, ma dopo avergli inzuppato il divano preferiva non correre rischi (tanto li becca comunque.)

con quell'attitude bucky c'era nata.
poi la vita non aveva fatto altro che infierire, prendere, strappare, e bucky non aveva fatto altro che aggiungere mattoni, alzare il muro, renderlo più spesso. non era qualcosa che poteva insegnare lei, ci pensava l'Università della Strada a renderti una persona cinica e poco disponibile, sempre pronta a fare due passi indietro prima che uno avanti — erano quelli a fregarti, se appena appena lasciavi aperto uno spiraglio «a parole non te la cavi granché» commentó, lieve, mentre maddox tentava senza successo di trovare una risposta che avesse senso, senza rendersi conto forse che gli sarebbe bastato pensarla. dopo l'ennesima carezza distratta all'impugnatura del coltello a scatto, si decise a tirarlo fuori, i flash ballerini della luce al neon sul soffitto catturati per un attimo dalla lama «se stai molto fermo posso provare a liberarti» gli mostrò l'arma, sollevandola a mezz'aria, ma senza avvicinarsi ulteriormente; non si fidava del ragazzo sconosciuto con le voci nella testa, ma sapeva anche di non poter uscire di li da sola.
voleva comunque dargli la possibilità di decidere, tho.
«Digli una stronzata, Mad!»
«Mi mette paura»
«un suggerimento sbagliato e un'osservazione giusta» il coltello si mosse di lato, la punta della lama rivolta verso il basso, mentre le iridi verde bosco della telepate tornarono ancora una volta verso quella chiazza di luce sulle loro teste; avrebbero anche potuto fare un tentativo di arrampicarsi, ma prima avrebbe dovuto liberarlo davvero. sempre ammesso che la pianta bastarda fosse disposta a cedere sotto una lama seghettata di quindici centimetri «sai cosa, non mi interessa» voleva raccontarle una balla? problema suo. bucky sapeva riconoscerle a fiuto, senza nemmeno dover sfruttare la capacità di leggere nella mente altrui, e maddox non si stava certo sforzando per farsi prendere sul serio «chiunque sia che ti sta parlando ha idea di come uscire da qui?» gli indicò lo spazio vuoto sopra le loro teste, poi fece di nuovo un passo nella sua direzione.
e il coltello lo rivolse verso il basso, la lama pronta a conficcarsi nella carne molle del Tranello, pochi centimetri sopra il nodo con cui si era avviluppato ai polsi dello special «non scherzavo prima. stai fermo» e il proprio potere, questa volta, bucky decise di utilizzarlo volontariamente: lo sentì confluire attraverso di sé, insinuarsi nella testa di Maddox, toccare i tasti giusti affinché il ragazzo fosse costretto ad ubbidire. non le piaceva, obbligare le persone a fare quello che voleva lei, ma a volte era necessario — in quel caso lo era per entrambi. con un colpo secco recise il rampicante che teneva bloccate le mani del suo compagno di disavventure, la lama a penetrare il ramo più spesso a circondargli la vita; con un movimento molliccio e nauseabondo, il groviglio di radici reagì allentando per un istante la presa, e fu in quel breve lasso di tempo che bucky afferrò la maglia di maddox tirandolo in avanti.
ora, palla dice "col cazzo che liberi mad", ma (rob) bucky è divergente e non accetta che qualcuno le dica cosa può e non può fare: in particolar modo se random.org dà la sua benedizione con un 7su10 — diede infatti un pestone a (maddox) (jk.) al ramo che, strisciando sul terreno, tentò subito di riagguantare la gamba del ventenne, schiacciando poi entrambi contro la parete opposta «pare che abbia un debole per te» riprese fiato, osservando la pianta brulicare su se stessa con uno stridio sinistro, prima di riassestarsi in attesa «non ci sono altri telepati, vero?» chiese, dopo qualche secondo di silenzio, voltandosi in direzione di un Mad che ancora non poteva muoversi; e a bucky andava bene così, per il momento «possiamo solo sentire i pensieri degli altri, non comunicare con loro. » un dettaglio al quale inizialmente non aveva fatto caso, distratta da altre cose: tipo assicurarsi di essere ancora viva e non avere emorragie interne.. le solite robe «a meno che tu non sia come me, e non mi pare» si lasciò sfuggire un sospiro, bucky; e con quel piccolo sbuffo fra le labbra lasciò andare anche la mente dello special, liberandolo dall'obbligo di rimanere immobile.
se avesse voluto attaccarla ora, doveva essere disposto a giocarsi delle buone, buonissime carte.