Votes taken by [bitch]craft

  1. .
    più comunemente conosciuti come flank, i sanguinari si occupano di indebolire il nemico con attacchi rapidi così da poter sferrare gli ultimi colpi fatali con facilità.
    Mona sarebbe tornata, prima o poi, su quel «lo rifarei» di Sorta, annunciato senza esitazione e subito prima di afferrarla per le mani e trascinarla in pista; in quel momento, però, era appunto impegnata a seguire la maggiore attraverso la folla, ed era felice così.
    L’energia, e la ferocia, con cui la Motherfucka la stava conducendo verso la pista da ballo, lusingava la corvonero e la faceva sentire desiderata — e anche un po' protetta dalle zampacce lunghe di certi uomini; non sarebbe stata di certo lei a spezzare quell’incantesimo e riferire alla maggior che non avesse bisogno di essere protetta, perché Mona Benshaw poteva badare a se stessa meglio di chiunque altro: tutto quello che sapeva glielo aveva insegnato Cherry anni prima e lei si era limitata ad affinare, poi nel tempo, gli insegnamenti preziosi della sorellona.
    Era bello e accattivante, però, avere qualcuno disposto a incenerire con gli sguardi chiunque provasse anche solo a guardare nella sua direzione, nello sguardo scuro la promessa di staccare qualsiasi appendice riuscisse ad afferrare, pur di non perdere la conquista. Per una volta – o anche solo per qualche minuto, diciamo – Mona poteva accettare di essere la preda e non il predatore; era una versione insolita rispetto a come andavano solitamente le sue serate, soprattutto quando si calava nei panni della più adulta Charlie Barclay.
    Era anche curiosa di vedere quanto a lungo sarebbe durata, prima di tornare inevitabilmente allo status quo delle cose e reclamare una cosa che sentiva appartenerle di diritto, in ogni cosa: il controllo. Era maniacale, perfezionista, precisa e troppo sicura di sé, la Benshaw, per non essere una control freak — lo considerava uno dei suoi pregi più grandi *nail polish emoji*
    Fino a quel momento, però, si sarebbe goduta l’esperienza di essere dall’altra parte della barricata, lasciando a Sorta il controllo su ogni cosa, e lasciando che la manovrasse e indirizzasse dove preferiva, persino che le agganciasse le braccia attorno al collo e si stringesse di più contro il suo corpo; negarle cose del genere sarebbe stato un reato. E Mona non era una criminale, né una stupida.
    «oh, sì che lo ricordo, non mi hai più richiamata»
    Vero, tristemente vero, ma non vedeva per quale motivo giustificarsi o lanciarsi in scuse che a Sorta non sarebbero interessate; l’importante era recuperare il tempo perso, no? «posso farmi perdonare in qualche modo?» Osò dunque chiedere, mentre le mani scendevano lungo il corpo della ex serpeverde, palmi ben aperti ad accarezzarne la schiena e premere leggermente affinché i loro corpi si avvicinassero ancora di più.
    Ricordate la storia del controllo? Ecco, era durata molto poco: ogni parte di lei vibrava già per riavere il pieno dominio sulla situazione, dita a cercare la stoffa della maglia di Sorta per sollevarla appena e rubare un po’ di calore dalla pelle accaldata, e labbra che non aspettavano altro che decretare una volta per tutte la morbidezza di quelle carnose della Motherfuca. Proprio non sapeva come essere la conquista e non la conquistatrice, Mona Benshaw.
    «avrei un paio di idee…» La voce, quando parlò, era bassa e seducente, ma non serviva urlare per farsi sentire, data la poca distanza tra la sua bocca e l’orecchio di Sorta; sperava che l’altra percepisse il suo respiro corto sulla propria pelle, così come Mona sentiva l’energia statica farsi sempre più forte e mandare brividi lungo la propria schiena.
    Le fece la domanda sui doni che si erano scambiati due estati prima, senza rimettere distanza tra loro, ma anzi iniziando a giocare con una ciocca di capelli scuri. Le mancava il rosa, più acceso di quello pastello che sfoggiava lei, e che per anni aveva contraddistinto Sorta. Pink haired lesbian eccetera eccetera.
    «la coroncina però la custodisco con cura in una teca. ogni tanto la indosso anche»
    Gliele serviva proprio su un piatto d’argento, e chi era Mona per non cogliere quelle occasioni al volo?! Senza battere ciglio, né perdere un solo istante a domandarsi se fosse lecito o meno fare quella domanda, le chiese subito «mi pensi quando lo fai?» con il respiro ancora a pochi centimetri dalla pelle del collo, questa volta, dell’altra strega. «magari un giorno potresti venire a casa, per assicurarti come sta e per firmare la teca» mentre la maggiore parlava, Mona chiuse del tutto la distanza e lasciò un timido bacio nello spazio dell’incavo del collo, che durò solo un momento prima di diventare un po’ più serio, un po’ meno cauto.
    Non lo prolungò a lungo, perché non era così di cattivo gusto da lasciare succhiotti sul collo delle ragazze, non quando con quella bocca avrebbe potuto fare molto altro. Si leccò le labbra, non un gesto distratto o involontario, perché nulla di quello che Mona faceva non era calcolato alla perfezione, e assaporò il sapore della pelle calda di Sorta ancora impresso sulle sue labbra. «mh mh,» annuì, piegando leggermente il capo da una parte, «a firmare la teca, certo» se quello era il game della maggiore, Mona era curiosa di vedere che frutti avrebbe dato: era più esigente di così, la cheerleader…
    «a proposito di quel bacio…» l’idea di dover fare tutto lei non le dispiaceva, ma conosceva Sorta Motherfucka abbastanza bene da sapere che non avrebbe ceduto tutto il controllo, perché erano molto simili in quell’aspetto, e Mona voleva rispettare l’altra strega. Per questo si limitò solo a portare una mano al viso di lei, accarezzare delicatamente una guancia e lasciare che le ciocche scure le solleticassero le dita, avvicinando il viso abbastanza da far toccare i loro nasi, ma non chiuse le distanze con un bacio come avrebbe voluto. Invece, con un filo di voce e direttamente sulle labbra scure di Sorta, domandò «può valere come assoluzione?»
    desdemona
    Benshaw

    your paradise sucks
    but your hell sounds good to me
    rogue sanguinario
    [toglie ps al nemico nel tempo]
    strega
    Lvl mago
    2006 — ben10 — corvonerodon't you ever make angels cry,
    never misbehave, stay in line;
    but she looks so good in red like a secret valentine
    I can't change my ways, God knows why.
    devil is a woman
    cloudy june
    Mother of Night, darken my step
  2. .
    più comunemente conosciuti come flank, i sanguinari si occupano di indebolire il nemico con attacchi rapidi così da poter sferrare gli ultimi colpi fatali con facilità.
    Era un periodo strano, quello: i Ben10 sembravano più uniti e in simbiosi che mai, e allo stesso tempo era chiaro che stessero marciando ciascuno al proprio ritmo, ognuno con i propri pensieri ad affollare la testa. Si riunivano costantemente nella Bencarverna, senza aver bisogno di accordarsi, e lasciandosi semplicemente guidare dall'istinto e dal neurone che, dopo sei anni, aveva iniziato a rimbalzare tra di loro; ma così come passavano del tempo insieme, come avevano sempre fatto sin dal momento della loro formazione, non era troppo raro che si prendessero ciascuno un momento per sé.
    I più ovvi, nonché i più emotivi, erano sicuramente Balt e Paride, ciascuno con i propri demoni da affrontare (qualcuno più letterale di altri), e sebbene non fosse nelle sue corde empatizzare con altri esseri umani (no, nemmeno se quegli esseri umani erano i ben) non poteva negare, almeno in quell'occasione, di capirli almeno un po': anche Mona non ci avrebbe pensato due volte se al posto del pasticcere che aveva adottato di cuore il loro Caso Umano spagnolo ci fosse stata Cherry, o se al posto del primate grifondoro con una nocciolina nel cervello per cui Paris aveva preso chiaramente una sbandata, ci fosse stata Bennett.
    Ma sia Bennett che Cherry erano troppo intelligenti per farsi rapire e sparire due mesi, per questo Mona non aveva mai dovuto davvero preoccuparsi del benessere delle due ragazze.
    Non poteva dirsi la stessa cosa degli uomini, a quanto pareva, cosa che la più piccola di casa Benshaw aveva sempre sostenuto d'altronde — e infatti.
    C'era un patto (tacito, scritto, firmato col sangue, marchiato a fuoco nelle ossa, stretto tramite voto infrangibile: fate voi, ma comunque c'era) tra i Ben10 che dichiarava chiaramente che fosse loro dovere muoversi come unica entità in caso di cataclisma e sciagura, un po' tipo le istruzioni per evacuare un posto di lavoro o la scuola in caso di incendio; c'era un punto di ritrovo, e una serie puntata stilata da tutti loro che li obbligava moralmente a stare dalla loro parte. Sempre e comunque.
    (Memo che, chiaramente, non era arrivato a Bengali Tipton.)
    Mona era stata la prima a storcere il naso, a dodici anni, quando avevano avuto la prima bozza di quella conversazione ancora acerba, perché a detta sua c'erano troppi maschi nel gruppo, e le probabilità che il cromosoma Y li avrebbe inevitabilmente fatti finire nei guai più di quanto non avrebbe fatto quello X.
    Non si era sbagliata.
    Era perché Paris voleva riprendersi Theo che i Ben avevano valutato (e accettato) di partecipare alla missione ministeriale.
    Era perché Balt voleva riprendersi Wren che i Ben avevano valutato (e accettato) di partecipare alla missione ministeriale.
    Ed era anche perché Romolo fucking Linguini voleva riprendersi la sua famiglia, che Bennett Meisner aveva iniziato a decorare la propria lama con una moltitudine di brillantini decorati. Quell'ultima parte, più di tutto il resto, Mona non riusciva a capirla: da un anno a quella parte, la sua bff era inspiegabilmente legata all'altro primate grifondoro con una nocciolina nel cervello (funny siano due, e siano entrambi miei — if I had a nickel ecc ecc) e si vociferava che la colpa fosse della lezione avvenuta nella DA; non poteva ritrovarcisi, la Benshaw, perché lei una connessione con i suoi compagni di (dis)avventura non l'aveva instaurata, figuriamoci! Ci aveva messo anni per crearne una con i ben, come potevano pretendere facesse di meglio nei tre secondi totali in cui erano stati nella realtà virtuale?! Ma Ben lo aveva fatto. Ben! E con Romolo Linguini, fra tutti. Romolo. Era davvero terribile. Se non avesse avuto la certezza intrinseca nelle ossa che Ben avrebbe amputato l'appendice tra le gambe del grifondoro senza pensarci due volte, avrebbe potuto persino pensare che stesse rischiando di perdere un'altra corvonero per quel deficiente lì. Ma aveva fede in Bennett Meisner; di certo, molta più di quanta non ne avesse mai avuta in Erisha Byrne.
    Quindi. In sintesi: i ben10 sarebbero partiti perché, per un motivo o per un altro, qualcuno di loro aveva qualcosa da perdere — che fosse più o meno vicino al cuore, non faceva differenza. Si muovevano come una sola cosa, loro.
    (Più o meno, ciao Dara divergente.)
    Mona aveva compreso solo negli ultimi giorni che non avrebbe comunque potuto tirarsi indietro, nemmeno volendo; e, ancora più tristemente, aveva scoperto di non volerlo. Quel gruppo di babbei l'aveva resa soft e debole, e un po' li odiava per aver sempre avuto — ugh??? Ragione.
    Fece per dirigersi verso l'uscita del Fiendfyre, dopo una lunga serata passata a rimuginare sopra cose che non sarebbero cambiate, non importava quanto a lungo le avrebbe ripassate nella propria mente, quando si sentì invece trascinare per un braccio. Alzò subito gli occhi turchesi pronta a maledire, verbalmente e magicamente, il molestatore di turno, ma scoprì con sua sorpresa si trattasse, udite udite!, di Sorta Motherfucka. E che fai, a quel punto, non ti lasci portare ovunque la Lesbica per eccellenza ritenga opportuno? Mona aveva diciotto anni, gli ormoni a palla, e un desiderio di testare se le labbra della ex serpeverde fossero davvero morbide come sembravano da anni. Fatele causa!!!
    «ALLE SCELTE SBAGLIATE WOOOOOOO»
    Diamo per scontato che avessero versato un bicchiere di Whisky anche a Mona, altrimenti sarebbe stato molto maleducato da parte del barman; la cheerleader non ci pensò due volte a mandare giù il drink insieme all'altra ragazza, pur non trovandosi d'accordo con quell'affermazione: lei, per principio, non faceva mai scelte sbagliate.
    «sorta…» la salutò di rimando, sorridendole con il più morbido (e affamato) dei sorrisi. Le sembrava discutibilmente alticcia, o forse era solo l'impressione di una Mona decisamente troppo sobria per l'ambiente in cui si trovava, ma a suo favore bisogna dire che non fece assolutamente una piega quando la maggiore si alzò sulla punta dei piedi per salutarla con un bacio, ma anzi, la lasciò fare per poi rivolgerle un sopracciglio alzato e una piega divertita delle labbra truccate in maniera impeccabile.
    «scusa, puntavo alla fronte. a meno che non ti sia dispiaciuto, in quel caso puntavo al 100% alle labbra»
    Disoiacerle?! E quando mai?! L'unica cosa che le era dispiaciuta, se proprio, era stata la fugacità di quel bacio ricevuto per errore, e il fatto che non fosse bastato a decretare davvero la morbidezza delle labbra di Sorta.
    «cento percento» le rispose, lasciando che la maggiore le prendesse le mani e la trascinasse ancora — in pista, a fare un altro shot, nei bagni; davvero, a Mona andava bene tutto.
    «andiamo a ballare»
    Come poteva rifiutare l'invito da una Sorta Motherfucka? Ben l'avrebbe perdonata.
    La seguì ondeggiando tra la folla di corpi sudaticci, stando bene attenta a non toccare nessuno, nemmeno per sbaglio, che non fosse la strega davanti a lei; quando trovarono poi uno spazio di pista dove poter finalmente tornare a stare una di fronte l'altra, si strinse a Sorta perché c'era spazio ma non così tanto, e approfittò di quella vicinanza per chiederle «hai ancora la coroncina che ti ho regalato?» galeotta fu la festa freaks, «io ho conservato il tuo regalo» e le fece l'occhiolino, sperando ricordasse quella dedica scritta con il pennarello indelebile e quel "Ti regalo la cosa che mi sta più (vicino) a(l) cuore. no non sono le tette, ma per quello puoi sempre chiamarmi, XOXO Sorta Motherfucka" che ad una Mona quindicenne, all'epoca, era sembrato l'equivalente del ricevere le chiavi per il Paradiso.
    desdemona
    Benshaw

    your paradise sucks
    but your hell sounds good to me
    rogue sanguinario
    [toglie ps al nemico nel tempo]
    strega
    Lvl mago
    2006 — ben10 — corvonerodon't you ever make angels cry,
    never misbehave, stay in line;
    but she looks so good in red like a secret valentine
    I can't change my ways, God knows why.
    devil is a woman
    cloudy june
    Mother of Night, darken my step
  3. .
    desdemona benshaw
    teen accused of being a bully:
    'somebody has to tell people
    that they're ugly'


    2006 ✧ ravenbitch ✧ cheerleader
    bitch, he spits;
    'witch', he sneers;

    && I say:
    actually, I'm both
    Non aveva mai fatto errori nella sua vita, Desdemona Benshaw, e anche quando sembrava ne facesse, non era mai per colpa sua; di certo, non l'aveva fatto quando, volontariamente e mai per semplice circostanza dei fatti, aveva scelto Bennett Meisner come sua anima gemella. Chi aveva bisogno dell'oblinder, duh; anche lì, non era stata lei a sbagliare, ma il fato a prenderla in giro.
    Aveva abbastanza certezze nella vita, perché le aveva accuratamente messe da parte una dopo l'altra, e la concasata era una di quelle.
    «al massimo, un’attività opinabile, in quanto giustificata da una situazione potenzialmente pericolosa»
    Le sorrise, allargando la smorfia soddisfatta dipinta color ciliegia, e passò la lingua sui denti, prima di farla schioccare con approvazione e sussurrare piano, quasi un soffio contro la guancia della mora, «talk dirty to me»
    Avrebbe potuto ascoltare Bennett Meisner fare le prove per il suo futuro da magiavvocato tutto il giorno, Mona, e l'avrebbe fatto con piacere se solo non fossero state due lesbiche on a mission. C'era un tempo per ogni cosa.
    La guidò quindi per il parco, mano nella mano, in confortevole silenzio perché tra loro due funzionava anche quello, il silenzio; sembrava condividessero un link telepatico al quale persino gli altri ben non avevano accesso, una frequenza tutta loro dove poter comunicare anche senza spiccicare parola.
    «com’è che mona benshaw conosce l’entrata dei magazzini dello zoo?»
    Solo a quel punto, ormai vicine alla meta, Mona si fermò e piroettò su se stessa, per rivolgere all'amica il più innocente dei sorrisi. «se te lo dicessi, dovrei poi farti giurare fedeltà eterna e silenzio» perché non esisteva alcun universo in cui avrebbe ucciso Bennet Meisner, anche solo a parole, «I don't kiss and tell» che in italiano non rende allo stesso modo.
    In realtà, la storia dietro quelle scorciatoie era molto meno interessante di quanto Ben potesse pensare, ricordi di giornate passate allo zoo insieme a Cherry, ad inseguirsi e a spiare gli altri visitatori, intrufolandosi laddove non era loro permesso solo per poter dire di averlo fatto. Ma conquistare Bennett con una certa aura di mistero rimaneva ancora la priorità numero uno della cheerleader.
    «andiamo?»
    «tentare non può far male. Alla peggio, diciamo di esserci perse cercando un posto dove pomiciare»
    Ecco, quel piano le piaceva sempre di più. Annuì con decisione, lasciandosi afferrare la mano e correndo insieme alla compagnia fino a raggiungere la rimessa, elegante e ancora perfettamente pettinata, con i boccoli color zucchero filato a ondeggiare sulle spalle come fosse la protagonista di un cartone animato. Era abituata a sforzi ben peggiori, quelli a cui sottoponeva l'intero team cheerleader di corvonero, una corsetta simile non pesava di certo sul suo fisico allenato.
    Ma diede comunque tempo all'altra blubronzo di riprendersi, passandole un braccio intorno al fianco e stringendola a sé, solo perché non sapeva come evitare di cercare il contatto fisico con la mora.
    La osservò in silenzio mentre provava ad aprire la porta, trovandola prevedibilmente chiusa, e poi seguì con lo sguardo quello di lei, fino a trovare la finestra «aperta»
    Allargò il sorriso sulle labbra, che rivolse poi a Ben, rivolgendo solo appena lo sguardo verso l'alto, alle successive parole. «possiamo toglierlo dalla to do list ben, se lo facciamo solo noi due?»
    Sì, secondo lei potevano, ma aveva un'idea migliore. «oppure possiamo fare pratica per la quella scusa, così che se dovessero fermarci sembrerà plausibile» le suggerì, ironica solo in parte.
    Tanto cercare un modo per recuperare Bengali Tipton era davvero l'ultima delle priorità di Mona.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©


    e chiudo!! SMACK
  4. .
    ravenbitch
    vi | cheer
    ben10
    gryffindork
    v | goalie
    troublemaker
    «e mi raccomando» aveva detto il professore di trasfigurazione, «non uccidete nessuno» e poi aveva lasciato uno dei pazienti in mano a Dara e Theo. C’era un che di ironico in quello, non che a Mona interessassero davvero le condizioni dei pazienti all’interno dell’ospedale: era lì perché doveva, perché la lezione lo richiedeva, e avrebbe fatto il suo lavoro al meglio perché poteva, pur non provando alcun tipo di emozioni nei confronti della magimedicina o di ciò che vi ruotava intorno — nel suo futuro c’era sempre stata una sola ed unica carriera possibile, quella di avvocato, e qualsiasi prova pratica e sul campo non organizzata al IV livello del ministero, scivolava addosso alla Benshaw e perdeva di interesse, limitandosi ad essere ciò che era: un compito da portare a termine e per il quale ambire al massimo dei voti, fine.
    Era abbastanza certa che, se qualcuno avesse fallito (e non sarebbe stato di certo il caso di Mona), guaritori e medimaghi più esperti di loro (un ragtag team di studenti più o meno capaci anche solo di allacciarsi le scarpe – con qualche dovuta eccezione –, figuriamoci di produrre pozioni in grado di curare qualcuno, mpf) sarebbe intervenuto per porre rimedio al problema e far sì che il povero malcapitato non lasciasse quel mondo prima del tempo. Unless.
    Dal canto suo, come già detto, pur non avendo mai sentito il bisogno di scoprire i lati interessanti e i pro di indossare un camice, avrebbe fatto del suo meglio per affrontare quella giornata nel migliore dei modi, dimostrando – ancora una volta! – di poter riuscire in letteralmente qualsiasi cosa.
    Aiutava che, al suo fianco, ci fosse Bennett: la compagna non solo aveva cieca e totale fiducia in lei e, al contempo, aveva la sua stessa ambizione e voglia di portare a casa un bel voto (anche solo per vincere la dannata competizione delle case) ma anche per il semplice fatto che Mona non avrebbe mai potuto pensare di fare brutta figura davanti alla Meisner: in un modo o nell’altro, che fosse malsano o meno, la cacciatrice tendeva a spronare Mona ad essere sempre la versione migliore di se stessa, perché non voleva deludere le aspettative che, ne era certa, Bennett aveva nei suoi confronti.
    «nulla di interessante» e non era una domanda quella soffiata contro la guancia dell’amica, mento posato sulla spalla di Ben e iridi turchesi a guizzare sul fascicolo che la mora teneva in mano; era un dato di fatto. Avrebbero potuto almeno assegnare al duo un caso più intrigante, o più complesso, invece si trattava di una fumatrice incallita rincoglionita dall’operazione a cui era stata sottoposta il pomeriggio precedente. Wow.
    La cosa più degna di nota, se proprio Mona doveva sforzarsi di trovarne una, era il tatuaggio sul braccio di miss Yina — un errore, o un fermo ideale politico? Stando alle note di Faustus, si trattava della prima opzione: Mona non ne era così certa, e trovava quantomeno interessante che, fra tutte le forme che avrebbe potuto assumere il tatuaggio preesistente, aveva scelto quella di una svastica. C’erano modi meno plateali per esprimere il proprio credo; ma chi era Mona per giudicare, lei che aveva pregato più e più volte sua nonna di farle vedere il simbolo tatuato sull’avambraccio, memorie di un tempo lontano; lei che aveva chiesto, con occhi grandi e dita minuscole a tracciare il profilo del serpente, quando sarebbe toccato a lei — lei, che nei Mangiamorte ci aveva sempre creduto, e continuava a farlo anche ora che si erano ridotti a nulla più di un manipolo di burattini comandati dal Quinto Fondatore.
    Schioccò la lingua contro il palato, staccandosi da Bennett ma senza allontanarsi. «mi ricorda balt dopo una sbronza» bacino simbolico rivolto al povero ben con gli arti maciullati, «quella sarei quasi tentata di lasciarla» sussurrò all’orecchio della Meisner, senza indicare il tatuaggio: non c’era bisogno, si sarebbero capite. Si capivano sempre. Lo sguardo rimase invece impassibile e fermo sul volto del guaritore che le aveva condotte fino al lettino di miss Yina, e che sembrava intenzionato a seguire ogni loro mossa e ogni loro decisione. Non si fidava? Peggio per lui.
    Con lo stesso interesse con cui avrebbe sfogliato un album di figurine del quidditch (ovvero nessuno), Mona passò le dita a mezz’aria sopra gli ingredienti messi a loro disposizione, stando bene attenta a non toccarne neppure uno: non si fidava (di nessuno, ma ancor meno) dei professori, e non escludeva a priori che qualcuno di quegli ingredienti fosse maledetto.
    «guanti?» chiese invece, e seguì il cenno con la testa del guaritore a cui erano state affidate, mentre coinvolgeva Ben riguardo le sue ipotesi: se fossero state da sole non ne avrebbe avuto bisogno, si sarebbero capite con un cenno, ma doveva dimostrare all’uomo (annoiato quanto lei, forse di più; era chiaro che quella mattina non si fosse recato al San Mungo con il desiderio di fare da babysitter a due studentesse.) che sapesse il fatto suo, nel caso in cui quello lì avesse poi fatto riporto ai professori.
    «l’alcol lo teniamo,» a prescindere, non si poteva mai sapere quando sarebbe tornato utile; ma in quel caso specifico: «come base della soluzione. poi,» picchiettò le dita, ora foderate dal lattice dei guanti, sul banchetto dove si erano appoggiate, e poi le allungò verso la menta. «oltre a dare gusto all’elisir, combattono la stanchezza e aiutano a ritrovare la concentrazione.» cosa che chiaramente a miss Yina mancava. Mona non stava giudicando. (O forse sì?) «le uniamo ai semi di peperoncino e all’olio essenziale di rosmarino,» perché lo stava dicendo? Le sembrava così superfluo: Bennett non aveva bisogno del suo aiuto, né di ripassare. E l’uomo era chiaramente su un altro pianeta, con la testa.
    Yina… beh, lei dormiva.
    Mona sollevò gli occhi verso le luci al neon dell’ospedale, ed espirò. «ho visto delle bacche di vitaevortix,» poi, più a bassa voce e rivolto solo a Ben, «ne teniamo un po’ da parte? potrebbero tornare utili» infondo il castello era pieno di persone così stupide che le avrebbero mangiate senza fare domande; con un tono di voce normale, aggiunse. «uniamo il loro succo e le radici di guaranà. no, quella no.» che ci facevano con l’escolzia, e infatti lo sapeva anche Bennett. Puntellando lo sguardo turchese sul guaritore, sospirò annoiata: «ci servirebbero i peli di kroyshire,» ce li avevano? infondo non stava chiedendo la polvere derivata dai loro artigli: il pelo veniva raccolto durante una banale tolettatura, no?! «o dei pungiglioni di billywig. essiccati, possibilmente. non più di due, ma anche uno andrà bene. » e, stando a quello che vide passando nuovamente in rassegna gli ingredienti, billywig sia. «mi sembra di star preparando una di quelle bevande monstruose di cui dara è tanto ghiotto,» brr.
    mona benshaw
    bennet meisner
    goodnight to my wife
    && fuck the rest of y'all
    theo kayne
    dara sunwoo
    cult leader
    king mala


    GRUPPO 5: ben (ingrediente errato e incantesimo) + mona (lista ingredienti e pozione)
    Sintomi ed evidenze: spossamento, confusione e stanchezza eccessiva
    Diagnosi: sollievo post-operazione chirurgica

    POZIONE + LISTA INGREDIENTI
    nome: elisir energizzante (oppure: energia liquida)
    descrizione: come dice il nome, è un rimedio contro la sensazione di spossatezza e la fatica, utile per chi si trova in momenti particolarmente difficili ed è in riserva di energie; i babbani potrebbero scambiarla per una delle loro bibite energizzanti, e in realtà avrebbero ragione: questo elisir sembra proprio la versione magica di un gatorade, solo che non presenta né i colori sgargianti della bevanda babbana, né i gusti fruttati. aka: il multicentrum dei maghi.
    lista ingredienti:
    – Alcol etilico (come base della soluzione)
    – Foglie di menta essiccate (per ridurre la stanchezza e aumentare la concentrazione; inoltre danno un sapore fresco e piacevole all’elisir)
    – Semi di peperoncino tritati (stimolano i sensi; ottimo in combinazione con l’effetto concentrante della menta)
    – Olio essenziale al rosmarino (può aiutare a stimolare la mente e combattere la confusione)
    – Radice di Guaranà (per le sue proprietà stimolanti, ma graduali)
    – Succo delle bacche di Vitaevortix (aumentano l'energia e sono ideali contro la stanchezza)
    – Peli di Kroyshire (spesso utilizzate in pozioni energizzanti)
    oppure
    – Pungiglioni di Billiwyg essiccati (non più di due, per evitare che il soggetto inizi a fluttuare)
    procedimento:
    1. aggiungere 3 misurini di foglie di menta essiccate e ½ di semi di peperoncino nel mortaio
    2. aggiungere 3 cucchiaini di olio di rosmarino
    3. tritare gli ingredienti e poi aggiungere 3 radici di guaranà
    4. frantumare il tutto fino ad ottenere un composto cremoso
    5. versare il contenuto nel calderone
    6. mescolare 2 volte in senso orario
    7. lasciar riposare per 1 minuto
    8. mescolare 2 volte in senso antiorario
    9. portare il composto ad ebollizione
    10. aggiungere il succo di 2 bacche di vitaevortix (si consiglia di schiacciare prima le estremità della bacca per far uscire meglio il liquido)
    11. mescolare 4 volte in senso orario
    12. unire il pelo di kroyshire o 1 pungiglione di billiwyg essiccato
    13. mescolare 2 volte in senso antiorario
    14. lasciare fermentare per 30 min
    15. con l’aiuto di un passino e un mestolo, filtrare la soluzione in un’ampolla contenente l’alcol etilico
    16. lasciar raffreddare per almeno 1 ora
    17. compiere mezzo giro con la bacchetta in direzione dell’ampolla, poi disegnare una X senza fermare mai il movimento
    effetti: ridare energia al corpo e combattere la stanchezza e il torpore
    effetti indesiderati: un uso prolungato di questa bevanda rischia di portare all’insonnia (e a provocare tachicardia); si consiglia di utilizzare l'elisir energizzante con moderazione.

    PIANTA INVENTATA
    nome: Vitaevortix
    descrizione: classificabile come “frutto di bosco”, il Vitaevortix è una pianta erbacea che cresce in prossimità di acque dolci (torrenti, fiumi, paludi, ecc) e presenta dei frutti di colore verde smeraldo. Non produce alcun fiore, ed è una pianta molto bassa che raramente supera i 50cm di altezza; le sue foglie sono pallide, quasi bianche, e molto velenose. In tempi antichi, venivano fatte seccare e messe sotto la lingua come palliativo e per aiutare persone gravemente malata a soffrire di meno negli ultimi istanti di vita; al contrario, le bacche di vitaevortix vengono raccolte e utilizzate nell’ambito delle pozioni e delle bevande energizzanti per il loro liquido (insapore e trasparente) che contiene antiossidanti e nutrienti che combattono la stanchezza e aumentano l’energia. Sono leggermente più grandi di more o lamponi, quasi come una noce. Il succo è contenuto in una piccola sacca che funge da "nocciolo" della bacca stessa, e lo separa dalla polpa che, ricordiamo, per quanto invitante, sia letale almeno quanto le foglie della pianta stessa ed è per questo che è sconsigliato mangiare le bacche così come si trovano.
    Contrariamente a molte altre piante di rovo, il Vitaevortix non presenta spine.
    proprietà: nessuna oltre quelle descritte, ma una “particolarità” della pianta, se vogliamo, è il suo non essere esclusivamente una pianta per maghi in quanto il veleno, tanto quanto il liquido energizzante, non ha bisogno di essere attivato dalla magia per fare il suo effetto. Un babbano potrebbe assaggiare il liquido insapore di una bacca e sentirsi leggermente più rinvigorito dell’attimo precedente; così come potrebbe fare l’errore di mangiarne una, confondendola con una mora ancora acerba, ed essere ucciso dal veleno.
  5. .
    desdemona benshawvi annocapo cheerleader
    lavoro mediocre quello della squadra corvonero — di cheerleaders; ma non che quella a mezz'aria stesse facendo un lavoro molto migliore.
    Con le labbra serrate in una smorfia, Mona aveva assistito alla parata (quasi fortuita) di Paride ("l'ha presa col piede" cit.) ma non aveva fatto nulla di più dell'agitare i pompom ed esultare insieme alla squadra per il goal evitato, tornando poi alle coreografie e ai cori che io in questo momento non posso inventare perciò al fly

    «FORZA RAGAZZI! SIETE I MIGLIORI» mh mh.... «ATTENZIONE AI BOLIDI, PORTATE IN ALTO I COLORI DELLA MAGLIA, TUTTA CORVONERO È CON VOI» e bla bla bla «DATEMI UNA B
    DATEMI UNA E
    DATEMI UNA N
    DATEMI UN'ALTRA N
    E DATEMI UNA E
    DATEMI DUE T
    BENNETT!!»

    Che c'entra? Niente, ma Mona è una persona dedicata e dedita e le sue priorità sono chiare.
    kill your darling
    cloudy june
    living in the middle between the two extremes
    (eliandi's version)


    tifo corvonero
  6. .
    desdemona benshawvi annocapo cheerleader
    Il pensiero di tifare per tutti tranne che Paride l'aveva accarezzata a più riprese, nei giorni precedenti alla partita, ma poi aveva lsciato che il buonsenso prevalesse sul resto, ricordandole che una disfatta del proprio capitano si sarebbe riflettuta poi sull'intera squadra e sull'intera casata; Mona non poteva permetterselo, quell'anno la coppa doveva essere loro.
    Perciò sì, aveva costretto la squadra di cheerleader blubronzo a imparare cori e coreografie anche per il Tipton, ed erano stati i momenti più umilianti e bassi della sua intera esistenza.
    Sperava di non doverli mai mostrare a nessuno.
    «forza con quei pompom! più grinta, più decisione!!» rivolse gli occhi al cielo, non per osservare i giocatori, ma per evitare di fulminare qualche compagno sul posto. «non vi sento, più forti!!» cos'è, avevano già le corde vocali fuori gioco? solo per un po' di neve?! ugh.
    «da capo, stavolta sul serio però!»
    Li richiamò all'attenzione, e con un cenno del capo diede il via ad uno di loro per iniziare con i giochi di luci che avevano programmato, tra un incantesimo e l'altro: corvi blu e bronzo iniziarono a danzare intorno a loro, raggiungendo di tanto in tanto la platea per poi sparire in minuscole scintille una volta venuti a contatto con il pubblico.
    «5, 6, 7, 8.» batté le mani tra loro due volte, dando il ritmo ai compagni, e poi rivolse un sorriso smagliante in direzione degli spalti, intonando le parole che aveva ripetuto così tante volte negli ultimi mesi da averle scolpite a fuoco nella mente.
    «*clap clap clap*
    HEY - HEY - HEY
    Blu e bronzo, il nostro manto di gloria,
    con il corvo nel cielo scriviamo la storia;
    con la sapienza e l'astuzia a fare da vanto
    a grand voce per te dedichiamo questo canto.

    HEY - HEY - HEY
    Corvonero, siamo pronti a trionfare,
    e i nostri colori in alto ad innalzare,
    siamo tornati, siam più forti di prima
    lo dimostriamo ad ogni azione e ogni rima!

    HEY - HEY - HEY»
    kill your darling
    cloudy june
    living in the middle between the two extremes
    (eliandi's version)


    tifo corvonero
  7. .
    desdemona benshaw
    teen accused of being a bully:
    'somebody has to tell people
    that they're ugly'


    2006 ✧ ravenbitch ✧ cheerleader
    bitch, he spits;
    'witch', he sneers;

    && I say:
    actually, I'm both
    «ma è mia amica»
    Qualcosa nel modo in cui Ben ammise quella semplice verità, vulnerabile e aperto, strinse inevitabilmente il cuore di Mona — perché un cuore, Mona Benshaw, al contrario di quanto sostenevano i più, ce l’aveva, solo che tendeva a battere per poche persone, e per un numero di questioni che poteva contare sulle dita di una sola mano. Sceglieva lei per chi farlo battere, e la Meisner era stata selezionata senza ripensamenti e senza rimpianti ben due secondi dopo aver incrociato il suo sguardo scuro come l’ebano sei anni prima, sull’Espresso per Hogwarts.
    Proprio per quel motivo si preoccupava di Ben come non si preoccupava di nessun altro, e proprio per quel motivo detestava l'idea che ci fosse qualcuno al mondo in grado di poter far del male alla Meisner, che appariva una fortezza inespugnabile di sentimenti ben celati e tenuti a bada, quando Mona sapeva che in realtà fosse molto più fragile di quanto desse a vedere.
    Non conosceva la Hatford così bene, se non per quello che viveva a scuola, tra una lezione e l’altra, ma aveva una mente acuta e uno sguardo attento, Mona, e sapeva che certi lati del proprio carattere, Bennett li aveva ripresi dalla sorella maggiore, allo stesso modo in cui lei aveva ripreso molte cose da Cherry, seppur non rendendosene conto; quel bisogno di avere vicino le persone che amava, di fare tutto il possibile per loro, anche quando queste chiaramente non lo meritavano, doveva averlo ripreso per la troppa esposizione alla prof di combattimento. A Mona quell’elemento non piaceva, perché c’era un limite a quanto fosse lecito spingersi per salvare una situazione che, chiaramente, non aveva nulla di salvabile.
    Ma il suo cinismo, e la sua freddezza, non erano ciò di cui Ben aveva bisogno in quel momento; non le avrebbe comunque offerto parole di conforto vuote o colme di finte speranze – per quello c’erano Ficus e Balt; se Bennett aveva scelto di confidarsi con lei, era perché dentro di sé sapeva di aver bisogno della ruvidezza del suo punto di vista portato ad osservare e analizzare i fatti così come erano.
    La tenne comunque stretta a sé, e si lasciò stringere di rimando, perché se non altro quello era il suo modo di dimostrare alla concasata che per lei fosse ci fosse sempre, anche se non nei modi più convenzionali o necessariamente quelli di cui la maggior parte delle persone avessero bisogno.
    «ho paura che la strada che si è scelta la porterà lontano da noi, e finirà per perdersi, e non posso farci niente»
    Non erano paure infondate, ed era già chiaro che Bengali avesse scelto la strada sbagliata — quella di schierarsi (punto) dalla parte di un megalomane dispotico e fuori controllo, ma d’altra parte condividevano la stessa magia impura, no? Ugh. Era normale che avesse scelto di seguire Abbadon, e di combattere per lui. Mona non era pronta a giustificarla, o perdonarla, ed egoisticamente desiderava lo stesso da parte di Ben.
    «vorrei avesse scelto noi»
    La corvonero non poteva dire di concordare — se non li aveva scelti, c’era un motivo. Ma per Ben era disposta ad aspettare, ad aspettare con lei, tenendole la mano fino alla fine e abbracciandola quando (inevitabilmente) avesse dimostrato di aver ragione nel rimanere della sua – glaciale – opinione. «alle volte bisogna sbagliare e perdere qualcosa per rendersi conto di quanto fosse importante» Socchiuse gli occhi nel sentire le labbra di Ben poggiarsi delicatamente sulla sua guancia, e con la mano libera accarezzò la sua: sapeva che non era quello ciò che la cercatrice voleva sentirsi dire, che ingenuamente desiderasse Bengali realizzasse già, senza dover perdere nulla, quanto i Ben10 fossero importanti per lei, ma ancora una volta: Mona era lì per riportare i fatti nero su bianco, non per edulcorare una verità innegabile.
    Non le sfuggì il modo in cui, per qualche minuto, Ben evitò con cura di incrociare il suo sguardo, ma la lasciò fare: concederle qualche minuto per riprendersi, per rimettere al loro posto le palizzate con cui proteggeva se stessa e il suo cuore, era il minimo che potesse fare.
    «non ha importanza.»
    Non era una così grande bugiarda, la Meisner, oppure era Mona a conoscerla fin troppo bene, ma la lasciò fare non smascherò la sua farsa, rimanendo in silenzio ed incrociando le braccia al petto. «la cercheremo comunque. Per gli altri» «non per me,» si intromise, osservando la manicure ancora perfetta, «possiamo decisamente fare altro» e c’era solo un pizzico di divertimento a colorare le parole della corvonero, e decisamente molta più serietà di quanto fosse lecito. Ben, ormai abituata, sembrò non farci caso — o scegliere volontariamente di ignorarla.
    «dobbiamo intrufolarci nella torre di controllo»
    «oh meisner,» lo sguardo turchese di Mona si illuminò di una scintilla poco raccomandabile, «stai cercando di conquistarmi, proponendo attività illegali?» sciolse la postura rigida, avvicinandosi civettuola alla compagna, e abbassando il tono di voce. «ci stai riuscendo.»
    Poi, con un sorriso felino, le prese di nuovo la mano e la guidò per un sentiero. «vieni, gli uffici amministrativi sono da questa parte» e, da lì, l’accesso alla torre di controllo che gettava ombre su tutto il giardino zoologico. «ovviamente non passeremo per l’entrata principale» puno primo, perché le avrebbero fermate prima ancora di poter entrare nel raggio visivo degli uffici; punto secondo, perché non ci sarebbe stato alcun gusto a fare le cose in maniera legittima.
    A metà della passeggiata, trascinò Bennett con sé lungo un sentiero nascosto da aiuole e vegetazione più fitta, uno che non era segnato da nessuna mappa del parco, e dopo poco le indicò una struttura a qualche metro di distanza. «credo lo usino come magazzino, o ripostiglio… non ne ho idea, non mi interessa. ma–» e, portando due dita sotto il mento della giocatrice, lo sollevò dolcemente per farle osservare un punto più in alto, «è direttamente sotto la torre di controllo. io dico che lì dentro c’è un passaggio secondario per raggiungere la torre, e tu?»
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  8. .
    whodesdemona benshaw
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & hair
    infoseventeen | ravenbitch
    infohead cheerleader | ben10
    Inutile dire che Mona avesse spento il cervello nel momento stesso in cui Lawrence e Cherry avevano iniziato a fare le loro solite cose, un po’ come faceva con i bens quando questi iniziavano a parlare tutti insieme, e minacciavano di abbassarle il QI solo con le loro chiacchiere.
    Di stare a sentire quanto i due amichetti avevano da dirsi, Mona non ne aveva proprio la minima intenzione; preferiva rimanere assente a tutto il discorso, lasciar correre le iridi zaffiro sulla sala che si riempiva e sperare di intravedere almeno un viso amico.
    E invece, pure a cerimonia iniziata e finita, degli altri bens nemmeno l’ombra.
    Da un lato, se lo era aspettato: aveva parlato di quel matrimonio con i suoi amici a lungo, sottolineando come fosse orgogliosa del fatto di esser stata invitata a quello che era, di fatto, il matrimonio del secolo — non le interessava tra chi fosse, ma solo che esistesse nello spazio e nel tempo e contasse la presenza di tutte le persone che contavano qualcosa nella società magica. Chi non c’era era uno sfigato — ben compresi. La rattristava solo la mancata presenza di Bennett, che almeno avrebbe potuto fare lo sforzo di presentarsi come accompagnatrice di sua sorella che, a detta della Benshaw, aveva un’aria misera; per essere la damigella d’onore, la prof Hatford sembrava più star partecipando ad un funerale.
    «hai visto qualche tuo amico?
    Quasi come a voler sottolineare la sua capacità di leggerle nella mente, Cherry scelse proprio quel momento per rivolgersi alla sorellina, distraendola dai suoi pensieri. Mona, dal canto suo, non si era nemmeno resa conto di cosa fosse successo fino a quel momento, perché aveva di nuovo spento il cervello e isolato la conversazione tra gli shade in favore della propia sanità mentale. «No.»
    Secca, una risposta che chiaramente non voleva avere un seguito: di parlare dei bens, in quel momento, non le andava.
    Accettò comunque il macaron offerto da Cherry, lanciando un’occhiata di sbieco al terzo incomodo. «Ah, è ancora qui.» E lei che sperava di averlo manifestato via. Una ragazza poteva sognare…
    «Ora che ci penso, potrebbe esserci anche Bennett da qualche parte»
    Solo a quel punto alzò le iridi turchesi verso Cherry, scostando con attenzione una ciocca rosa da davanti al viso. «No, non c’è.» Altrimenti Mona sarebbe già gravitata senza alcuno sforzo in direzione della concasata, lasciando a sua sorella e quella sottospecie di rappresentante del genere maschile alle loro cose. «Non sono venuti.» Se c’era rimasta male? Sì, ma solo un po’ e non l’avrebbe né dato a vedere, né confessato.
    E comunque, Cherry non era l’unica in grado di sapere leggere la mente della sorella. Buttò un’occhio alla coppia di neo sposi che salutava gli invitati al centro della pista, e scambiava due o tre parole con chiunque li avvicinasse: poveri cristiani, nemmeno la cena gli lasciavano godere in pace. Che cosa terribile, i matrimoni.
    «Uno spreco, eh.» Lasciato cadere così, con leggerezza, mentre mordeva quel che restava del dolcetto e puliva le dita con il tovagliolo. «Ne perdiamo un’altra per un penemunito.» E lo sguardo che poi andò a cercare, volutamente giudicante, la Benshaw maggior era tutto un dire: come qualcun altro.
    Che Mona sapesse o meno le specifiche della nuova relazione di sua sorella, non era importante – ma sì, sapeva molto più di quanto desiderasse –, rimaneva il punto che fosse delusa da Cherry perché aveva scelto – ugh!! – un uomo. «Non capirò mai come si possa scegliere un uomo detto con il tono più derogatory possibile, «quando al mondo ci sono così tante belle ragazze.» Beh, più per lei immaginava, no?
    Non si era nemmeno accorta che Lawrence si fosse allontanato, tanto il peso specifico che l’ex serpeverde aveva nella sua vita, ma era felice di avere Cherry tutta per sé e poterla roastare un po’ per le discutibili scelte di vita fatte nell’ultimo periodo. «Non lo pensi anche tu, sorellona
    Oh, no, don't look in their eyes
    'cause that's how they get you,
    kiss you && then forget you
    when3 september 2023
    avignon, provencewhere
    board'till death do us part
    crush culture
    conan gray
    wholawrence matheson
    roleguest (bride's side)
    outfitsuit & tie
    infotwenty-three | former slytherin
    infoentrepreneur | 2043's kid


    indovinate? parla con un pg di eli! sorpresa!
  9. .
    sono sempre io, con le mie migliori amiche: le role libere. e per di più ne arriveranno altre. poi un giorno inizierete ad aprirne anche voi e mi farete sentire meno sola

    HTML
    <i class="fas fa-angle-right" aria-hidden="true"></i> [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62868900]i was always up for making changes[/URL]ft. reese [estate '23 - ministero (2° livello)]
    <i class="fas fa-angle-right" aria-hidden="true"></i> [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62869898]are my prophetic visions a joke to you?[/URL]ft. lisi [settembre '23 - wicked park]
    <i class="fas fa-angle-right" aria-hidden="true"></i> [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62874756]roses are red, violets are blue; lady karma's a bitch & she's coming for you/URL]ft. mona [settembre '23 - hogwarts (aula strategia)]
  10. .
    confermo il ruolo di capo cheerleader SMACK

    e lascio anche la giffina di ava perché tanto esistono solo le 4 che ho fatto io SIGH e sì ci metto ava perché è mona FIGHT ME

    CODICE
    https://64.media.tumblr.com/cb527d9eca2191fb4806847c0d47c89b/tumblr_inline_rgtha665wL1qevij1_500.gif

    CODICE
    https://pourmeadrink.tumblr.com/mb
  11. .
    desdemona benshaw
    teen accused of being a bully:
    'somebody has to tell people
    that they're ugly'


    2006 ✧ ravenbitch ✧ cheerleader
    bitch, he spits;
    'witch', he sneers;

    && I say:
    actually, I'm both
    Contrariamente a quanto succedeva con il resto della popolazione (di Hogwarts, e mondiale) Mona non provava volontariamente a rovinare l'umore di Bennet Meisner; tutto il contrario, a dire il vero: veva fatto della felicità della concasata la sua missione principale, perciò vederla accigliarsi al pensiero di Bengali, la fece sospirare. E non in maniera cute o romantica.
    «l’ha già fatto»
    Certo, certo.
    Prima o poi Ben avrebbe capito che non tutti avevano la sua stessa cieca lealtà, e che non poteva pretendere che altre anime la pensassero esattamente nel suo modo, che condividessero quella territorialità così feroce: qualcuno di loro era destinato a perdersi, nel tempo, e i soldi di Mona erano banalmente piazzati sulle Bengali della situazione. Soldi fin troppo facili, e che la Benshaw non avrebbe scommesso perché non voleva dimostrare che la Meisner si sbagliasse — ma in cuor suo sapeva che c'era alta possibilità che lei avesse ragione. Una situazione senza vincitori, in pratica.
    E tanto sapevano entrambe che ormai, per certi versi, l'avessero già persa.
    Nella rabbia della concasata, Mona poteva leggere qualcosa che forse neppure Ben stessa si rendeva conto di possedere: paura di non essere all'altezza, una insicurezza che non aveva modo di esistere, perché se qualcuno – poniamo l'esempio: Bengali – pensava di poter trovare di meglio nel mondo, meglio di Bennet Meisner, nella sua feroce e cieca lealtà, la sua forza e la sua dedizione, allora non avevano davvero capito nulla del mondo.
    Per sua fortuna, Mona Benshaw era più sveglia dell'essere umano medio, e aveva capito già da tempo le sue priorità, e la teneva stretta per la mano, le lunghe dita ad incastrarsi perfettamente tra gli spazi di quelli della giocatrice.
    Tentò di (conquistarla) distrarla con un racconto, perché sapeva che la via per raggiungere (il cuore di) Bennett Meisner era dimostrarsi colta, socura di sé e piena di risorse, e Desdemona Benshaw rientrava perfettamente nella descrizione.
    Se chiudeva gli occhi forte forte, poteva quasi convincersi di non essere lì alla ricerca della Ben perduta— oh wait, non aveva bisogno di fingere, era già così.
    In verità, raccontare, a Mona, piaceva davvero: era cresciuta tra le parole, che fossero quelle preziose e colte di sua nonna, quelle gonfie e ipocrite dei suoi genitori, o quelle scritte nei libri che vedeva passare sin da giovanissima sotto il suo naso, quando si intrufolava nella sede della Wizzhard e si perdeva tra i manoscritti in attesa di essere stampati e pubblicati; era solo normale che avesse sviluppato una certa predisposizione per le parole, e la dialettica.
    Non era raro che intrattenesse i ben10 con dei racconti, dai toni più svariati — e poi, le piaceva il suo della sua voce.
    «uomini e uccelli»
    Sorrise, quel genere di sorriso che solo Bennett Meisner, o una sciagura ad abbattersi su Parker e Paride, o la presenza di Cherry nella sua vita, tendenzialmente le strappavano: entusiasta, genuino, capace di illuminare un intero villaggio. Il brillantino sul dente in bella mostra, Mona rivolse il suo sorriso color ciliegia in direzione di Ben, annuendo. «Lo so, davvero una pessima accoppiata, ew. Dovrebbe davvero essere questa la morale della storia.» E invece – purtroppo – non lo era.
    Si lasciò tirare, pur non sapendo non ce ne fosse bisogno: avrebbe seguito la concasata ovunque, e sempre. «secondo me è solo un airone. Perché Sameer dovrebbe tornare? Ormai ha la sua vita» Le rivolse una scrollata di spalle, e un semplice: «per come la vedo io, non può cancellare del tutto la sua natura umana, né i legami creati durante quest'ultima» Il che voleva dire che – ugh – Bengali li avrebbe ancora voluto nella sua vita e considerati suoi amici, a discapito di tutto. «Tornerà sempre, in qualche modo, consapevole o meno di starlo facendo, perché richiamato da quello che aveva un tempo. Esseri umani.» Eccoli lì, i suoi umili due scellini di conclusione messi neri su bianco.
    Derogatory, sempre e comunque; creature difettose e, nella maggior parte dei casi, stupide. Erano davvero rare le eccezioni, e una Mona la stringeva a sé senza la minima intenzione di lasciarsela scappare.
    «magari è tornata ad hogwarts. Dovremmo mandare un messaggio a qualcuno? Se vedessero arrivare una… creatura randomica»
    E, a dimostrazione che Mona avesse già capito tutto, Ben confermò che stessero ormai parlando di Bengali, e che Sameer Singh fosse solo una metafora. «Potremmo.» Ma volevano? Uhm, Mona non molto, ma non poteva continuare a tirare la corda per molto, era un argomento troppo delicato e che bruciava sulla pelle di Bennett, e l'ultima cosa che voleva la bionda era che l'altra sfuriasse contro di lei tutti o sentimento negativi riservati invece alla Ben mancante.
    «erisha? Neffi?» ricambiò l'occhiata, senza aggiungere nulla a parole: lei non parlava con le due special – oh, derogatory so – da quando avevano rimesso piede al castello, ma Ben era libera di contattare chiunque volesse. «chi va con lo zoppo…» “birds of a feather” sarebbe stato più poetico, ma in italiano come lo traduci? Ugh. Anyway.
    Seguí lo sguardo della mora fino agli altoparlanti, valutando il suggerimento. «Ma sì,» non avrebbe contribuito con suggerimenti intelligenti perché: non le interessava così tanto trovarla, era davvero lì solo per Bennett.
    Bengali era stata una delle poche eccezioni di Mona, nella questione special, fino a che non le aveva dimostrato – ancora una volta – che avesse avuto sempre ragione; da quel momento, aveva chiuso con la Tipton.
    La mano libera andò automaticamente a cercare la schiena di Bennett, accarezzandola piano mentre posava il mento sulla sua guancia e nascondeva il viso nell'incavo del collo; Bennett Meisner profumava sempre di pergamena, di shampoo al cocco e vagamente di sangue. «Non pensi siamo già apposto per la quota casi umani? Abbiamo Parker, e lo sgorbio.» Avevano davvero bisogno di un tassorosso senza denti? «Ben9 non suona così male.» sussurrò sulla sua pelle, mantenendo quello strano abbraccio.
    Un'altro motivo per cui detestava la Tipton, di recente, era per via del modo che aveva di rovinare l'umore di Bennett con un semplice pensiero: non se la meritava tutta quella importanza. «Tu hai fatto il possibile, Ben, ad un certo punto non dipende più da te E sapeva che l'altra non la vedesse allo stesso modo, ma Mona era lì anche per quel genere di reality check.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  12. .
    il corpo di neffi è ancora caldo ma a Mona non interessa: prenoto il posto di capo cheerleader corvonero e arriverò presto con la role di prova SMACK
    (ciao neffina baci scusa niente di personale sei bellissima)
  13. .
    desdemona benshaw
    teen accused of being a bully:
    'somebody has to tell people
    that they're ugly'


    2006 ✧ ravenbitch ✧ cheerleader
    bitch, he spits;
    'witch', he sneers;

    && I say:
    actually, I'm both
    «sarebbe stato più strano se ti avesse risposto»
    Non aveva dovuto neppure fare lo sforzo di alzare la testa, Mona, per percepire la vicinanza di Bennett Meisner; ogni Ben aveva il proprio passo, il proprio ritmo, la propria aura, e la cheerleader aveva imparato a riconoscere e isolare quella della mora da anni: sarebbe stata in grado di chiudere gli occhi, in una stanza piena zeppa di gente, e trovare la propria strada fino a Bennett Meisner senza inciampare mai sul proprio cammino, né vacillare o essere indecisa su quale percorso seguire. Un filo rosso, invisibile ma resistente, le legava a doppio nodo l’una all’altra; ce n’erano altri, otto per la precisione, che li legavano agli altri Ben10, ma quello che Mona sapeva, senza bisogno di vederlo, la legasse alla giocatrice era del tutto diverso.
    Lo sguardo, tuttavia, Mona lo alzò lo stesso perché chi era lei per privarsi della vista di una creatura così impossibile e speciale come la sua migliore amica, la sua vera anima gemella. «Una ragazza può sperare, no?» La mano salì immediatamente a cercare quella della compagna, un riflesso istintivo come quello di incanalare aria nei polmoni per sopravvivere; c’era un motivo se le loro dita si incastravano perfettamente le une con le altre, se il modo in cui i loro palmi uniti la facessero sentire completa. «Sembrava molto a suo agio, speravo avesse trovato il suo posto nel mondo.» Inutile dire che, dietro le finte parole apprensive della Benshaw, si nascondeva tutto un mondo: che Gali fosse sparita, di nuovo, non le interessava così tanto. Se era grande e grossa per decidere autonomamente di andare in guerra e rompere il (non così) tacito accordo dei Ben10 di astenersi, e di farlo tutti insieme, era anche abbastanza grande da poter risolvere quel problema da sola.
    Offrì uno sguardo veloce ai Moca, schegge zaffiro impassibili e severe: aveva accettato di cercare la special, non voleva dire che dovesse farlo attivamente. «Ma hai ragione, non penso sia Gali.» Un angolo della bocca virò lievemente verso il basso, in una finta espressione delusa, quasi rattristata, al pensiero di aver fatto un buco nell’acqua: oh no«comunque.»
    «se è stata trasfigurata in un animale, non penso sia già nel proprio habitat. Magari possiamo chiedere a qualcuno se hanno recuperato di recente un fuggitivo…?»
    Ah, Bennett, Bennett, Bennett; Bennett, che aveva scelto di raccogliere per strada nove anime e di stringerle sotto la sua ala protettiva, cuore grande e un po’ troppo in bella mostra, per i gusti della cheerleader, che quel cuore voleva custodirlo a sua volta; Bennett, che presto o tardi si sarebbe resa conto che non poteva proteggerli tutti, tutto il tempo, e che alcuni di loro fossero destinati a incasinare le cose più del necessario, finendo in una fitta rete di conseguenze che nemmeno la Meisner avrebbe potuto sbrogliare. Prima o poi qualcuno dei suoi piccoli anatroccoli avrebbe smarrito la via; e allora, quel cuore grande, e leale e cocciuto, avrebbe sofferto.
    Perché lo aveva già visto, Mona, in quel mese e mezzo di Ben 9; dietro la rabbia e dietro l’orgoglio ferito di Bennett, c’era anche una nota di apprensione che la corvonero aveva mascherato con parole dure, distratta solo dal pensiero dei G.U.F.O. e della corsa alla gloria nella Coppa delle Case.
    «è ancora lei?»
    Preferiresti non lo fosse?
    Mona non ammorbidì lo sguardo, non sarebbe stato da lei, ma lasciò che le dita accarezzassero il dorso della mano di Ben con movimenti circolari, lenti e calcolati. «È ancora lei», affermò, allontanandosi dalla teca dei Moca e portando con sé la concasata, in una passeggiata che non aveva in sé l’urgenza che avrebbe dovuto, all’idea di una di loro smarrita e trasfigurata; non era nelle corde di Mona Benshaw dimostrarsi inquieta, e non avrebbe di certo peccato di incoerenza proprio quel giorno. «Dipende dalla magia, in verità. In teoria dovrebbe essere ancora lei,» non potevano averla persa da più di dieci o quindici minuti, tutto sommato; anche se fosse stato di più, Mona dubitava che nel giardino zoologico di Carrow’s District, tra famiglie e coppiette e allevatori di creature magiche, ci fossero maghi o streghe o special in grado di utilizzare una magia così forte da cancellare del tutto la coscienza umana e sovrascriverla con quella animale in un tempo che scendesse drasticamente sotto le ventiquattro ore — già quello era inverosimile e pretenzioso. Fece schioccare la lingua contro il palato, le dita ancora ad accarezzare la mano di Ben, come spesso faceva quando era sovrappensiero. «Gli esseri umani trasfigurati in altre creature mantengono la propria coscienza, o comunque stralci di essa,» parlò con fare pratico, recitando le nozioni imparate dai libri e dalle lezioni, e poi fatte sue fino a sentirsi confidente abbastanza da poter parlare e spiegare un qualcosa che poteva dire di conoscere bene, «ciò che basta, in sostanza, a non farli comportare totalmente in maniera animale, ecco. A non farli sparire Se me lo sto inventando? Certo che sì, ma cosa ne so io. «Ma più passa il tempo, e più quella coscienza scivola via. Presto o tardi cedono all'istinto animalesco e diventano la creatura.» Solitamente succedeva in spazi talmente diluiti nel tempo da richiedere mesi, o addirittura anni, a seconda di quanto forte fosse la coscienza della vittima; nel non detto di Mona, e nel tono tranquillo utilizzato per spiegare qualcosa di banale come l’argomento trattato alla fine del quarto anno, c’era tutto quello che a Ben interessava: Bengali era ancora Bengali, sebbene confinata nell’aspetto di chissà quale creatura.
    «È raro, ma può succedere, che un umano che abbia passato troppo tempo costretto nelle sembianze di qualche animale, smetta di sentirsi del tutto umano una storia affascinante, sotto il punto di vista della psicologia, ma anche banalmente comprensibile: passavi così tanto tempo a comportarti da animale che, alla fine, non ti riconosci più nei pattern e negli atteggiamenti tipici dell’uomo. «Come la storia di Sameer Singh, un mago maledetto da un rivale, per qualche motivo banale come i soldi o l’amore o qualche torto subito in passato,» con un cenno della mano libera lasciò cadere la questione: non era la parte importante, «trasformato in un airone, e costretto a seguire la natura di volatile e i flussi migratori; a Sameer era permesso tornare umano solo per ventiquattro ore l’anno, il giorno del solstizio d’estate.» Poetico, e triste allo stesso tempo. «Né la moglie, né la famiglia, sono mai riusciti a spezzare la maledizione; chiedere aiuto ad altri maghi sarebbe stato considerato vergognoso — Sameer aveva gettato sul loro nome un’ombra di imbarazzo, per questa o quell’altra cosa,» ancora una volta: non il succo della questione, «e alla fine, col passare del tempo, e degli anni, quelle ventiquattro ore da umano iniziarono a diventare la vera maledizione di Sameer; oramai la sua vita era nel cielo, insieme al suo stormo di aironi, e quella sulla terra ferma non aveva più nulla da offrirgli.» Tirò a sé leggermente la Meisner, sul finire di quella storia, forse un po’ romanzata, ma basata su fatti reali e confermati dalle testimonianze della stessa famiglia Singh. «Un giorno, all’improvviso, Sameer non si presentò all’appuntamento con la moglie. Nessuno lo ha più visto da quella volta, ma alcuni hanno affermato di aver notato un airone immobile sulla riva del lago del villaggio dove abita, ancora oggi, la signora Singh.» Si strinse nelle spalle, «magari è solo un uccello, magari è Sameer. Immagino che non lo sapremo mai.»
    In tutto ciò: Bengali chi.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  14. .
    mona benshaw
    bennett meisner
    I'm wide awake, not losing any sleep,
    I picked up every piece && landed on my feet,
    I need nothing to complete myself.
    «Non c'è mica alcol, qui, Lovell, è una festa per minorenni piena di prof e assistenti Duh, come se gli ultimi non fossero stati studenti prima di loro, e non avessero partecipato alle stesse feste; e come se i (alcuni dei) primi non fossero gli stessi che correggevano il punch.
    Oh Dara, derogatory. Sempre.
    Mona roteò gli occhi verso le stelline che adornavano il soffitto, osservando costellazioni che sapeva esattamente dove trovare, avendo supervisionato alla riproduzione fedele del cielo stellato lei stessa, e poi li riportò con calma e freddezza sulla matricola che stava applicando lo smalto glitterato sulle sue unghie. Non aveva bisogno di commenti, né per lo studente, né per il Ben: nella piega stretta delle labbra e negli zaffiri in grado di trafiggere chiunque c’era tutto quello che Mona avrebbe voluto dire. Aveva promesso a se stessa che sarebbe stata buona, almeno per quella sera: ma infondo la notte era lunga, e la sua pazienza, pur andandoci molto vicino, non era infinita.
    Quando lo studente le liberò finalmente anche la seconda mano, la corvonero osservò con attenzione la manicure e, decisamente poco soddisfatta, fece schioccare la lingua contro il palato. «da sola facevo meglio» e lanciò uno sguardo carico di significato in direzione di Bennett, rimanendo in attesa del suo commento: viecce, te lo stiamo servendo su un piatto d’argento, Sara. Fu proprio verso la compagna che si sporse leggermente, facendole un cenno con il capo in direzione del cortile «andiamo a conquistare uno dei fortini?» possibilmente, uno per due e non per dieci. Oh, ugh, diciotto. C’era davvero un limite alla pazienza della cheerleader, e i suoi amici, con quei pantaloncini che non nascondevano assolutamente nulla alla vista, l’avevano già messa a dura prova.
    Non attese la risposta della mora, ma le offrì un palmo rivolto verso l’alto, affinché lo stringesse nel suo e si lasciasse guidare attraverso la folla di studenti che si stava radunando al centro della sala. «siamo stati bravi,» osservò, guardandosi intorno e prendendo nota di ogni dettaglio e ogni decorazione, come se non le avesse scolpite già nella mente. Con una mezza piroetta, ruotò fino a trovarsi faccia a faccia con la Meinser, e l’afferrò per i lembi della vestaglia cremisi, avvicinandosi a lei con fare cospiratorio. «quella dei fortini era una scusa,» cioè, non proprio, ma non era il vero goal di Mona, «volevo solo— » gesticolò, indicando lo spazio tutto intorno a loro. «abbiamo tutta la sera per stare con gli altri,» per almeno una manciata di minuti, voleva rimanere da sola con Bennett: Rowena solo sapeva quando gli altri Ben sarebbero tornati alla carica, e Mona voleva approfittarne finché poteva. «puch? Andiamo a chiedere ad Enrique Iglesias di cambiare la playlist? Vuoi sfidarmi a Jenga?» contrariamente a pandi, Mona era la regina di quel gioco. Mollò la presa dal pigiama di Ben, ma non si allontanò di molto. «in effetti,» un sorrisetto si aprì sulle labbra truccate, «potremmo davvero andare a testare la comodità dei cuscini...»
    ravenbitch
    v | cheer
    ben10
    wide awake
    katy perry


    ingresso/accoglienza: con i ben finché non ci sono tutti #wat
    poi si sposta con bennett nel cortile interno, non distante dall'entrata ma comunque in disparte. se le avete seguite (vi odia) va bene comunque, se volete fare altro trascinatele via, for the sake of it le ho spostate ma acab
    mona indossa un pigiama rosa cipria, una vestaglia trasparente a (non) coprire assolutamente nulla, ha due trecce morbide e un sacco di brillantini su capelli e pelle. e io ho molto sonno
  15. .
    mona charlie barclay
    && it's almost convincing
    but I've been known to go against my instincts,
    && I know you're performing, but it's working for me,
    we can talk about it in the morning
    Doveva ammetterlo: le era mancato vestire le forme generose e gli abiti scintillanti di Charlie, in quei due mesi di conflitto, in cui era stato impossibile sgattaiolare fuori dalle mura del castello. Faticava ancora ad accettare il fatto che la guerra avesse messo in pausa il mondo, e poi lo avesse rovesciato del tutto; svegliarsi in un mondo con gli special al potere non era stato di certo nella sua bingo card 2023, e Mona aveva visuto benissimo fino a quel momento, non vedeva davvero la necessità di aprire gli occhi, un giorno, e dire “mah, sì, oggi conquisto il mondo e faccio comandare la razza inferiore”. Ugh. UGH.
    Perciò sì, quei due mesi di controlli rinforzati e giri di ronda triplicati avevano messo un brusco stop alle sue uscite clandestine; non che di solito fosse facile, o non comportasse rischi ben peggiori delle torture (espulsione, anyone?! un incubo) ma Mona aveva avuto gli insegnamenti di Cherry, ed era una Ben10, per quanto ci tenesse a portare Corvonero in vetta alla classifica delle Casate, non poteva del tutto mettere a tacere quell’indole un po’ insubordinata che la Benshaw maggiore le aveva, suo malgrado, trasmesso.
    Charlie Barclay era la sua valvola di sfogo; il suo piccolo segreto.
    Nessuno, nemmeno i Bens, sapeva che dietro le forme morbide e il sorriso affilato della ventiquattrenne di South Kensington si nascondesse in realtà una corvonero annoiata e sempre alla ricerca di qualche nuova avventura che, alla lei minorenne, era vietata e malvista.
    C’erano così tanti motivi per cui sarebbe potuta finire in guai molto seri, ma credeva di meritarsela qualche gioia ogni tanto, e farlo utilizzando l’identità contraffatta di una babbana qualunque (o le sue fattezze adulte, sto ancora decidendo se usi la polisucco o un incantesimo invecchiante (.) vi farò sap dai cosa sono i dettagli nel grande schema delle cose, dopotutto) (addirittura, potrebbe essere metamorfomaga, pensate!) (dicevo.) — farlo utilizzando un’identità contraffatta rendeva tutto più eccitante. L’illegalità della cosa le mandava un brivido lungo la schiena impossibile da ignorare, impossibile da resistere, e ogni volta che doveva scivolare via dalla presa morbida delle persone che la conoscevano, per indossare quei panni che diventavano man mano sempre più comodi, si sentiva al settimo cielo.
    Forse, dopotutto, l’influenza di Cherry si palesava sempre di più, col passare degli anni, e Mona non si sentiva di considerarla del tutto una pessima influenza. C’era un certo qualcosa, un je ne sais quoi nel fare esattamente ciò che non potevi fare, in grado di ammaliarla e spingerla a farlo, appunto, solo perché non poteva. A fingere, poi, era bravissima perché era cresciuta a pane e falsità, in una famiglia come quella dei Benshaw.
    Il pensiero che qualcuno (ciao Ben) potesse offendersi per quel segreto, non l’aveva mai scalfita: non stava facendo assolutamente nulla di male, si stava solo divertendo a flirtare con donne più grandi che, altrimenti, non avrebbe potuto mai avvicinare. Che le facessero causa.
    Quindi sì, alla prima occasione possibile, uno dei primi weekend di ritrovata – e finta – normalità, Mona aveva deciso di cogliere l’opportunità e dirigersi ad Hogsmeade, un pomeriggio, indossando il miglior sorriso di Charlie Barclay. Ne aveva bisogno. Non le importava nemmeno di trovare qualcuna, quel giorno, voleva solo vivere la vita di una persona diversa, per qualche ora, e bearsi dell’adrenalità che l’illegalità della cosa le donava.
    Picchiettò sul bancone con le unghie smaltate di turchese, catturando l’attenzione di uno dei baristi, ed ordinò da bere. Charlie aveva persino un drink preferito, tanto era stata costruita bene nella sua mente quella falsa identità. «Dry Martini, con doppia oliva.» Gli sorrise, e nell’attesa di ricevere il suo bicchiere di gin e vermut, passò in rassegna il locale alla ricerca di qualcuno di interessante.
    Vuoi essere tu?
    gif code
    16 24 y.o.
    ravenbitch
    ben10


    Dai, venitece, secondo me Charlie è più simpatica di Mona. BACI
30 replies since 18/8/2022
.
Top