Posts written by but first‚ coffee

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    guadalupe garcia ramos
    fotogragia#101
    semilla de odio sembraste y odio brotó del corazón;
    tú solo fuiste el culpable que en mi naciera el rencor.
    Per via della sua predisposizione caratteriale, Lupe non poteva affermare di essersi trovata molto spesso in situazioni simili; al contrario, tendeva a tenersene alla larga il più possibile, perché non c’era nulla di più fastidioso che ritrovarsi in un contesto in cui non potesse avere il più totale controllo. Andava proprio contro ogni suo principio morale, l’idea di lasciare al caso il controllo sul suo destino; non lo avrebbe mai, e poi mai!, tollerato.
    Il fatto di essersi ritrovata in qualcosa di simile, quel pomeriggio, e di esserci finita per di più in compagni di una ragazza che sembrava non avere alcun problema a parlare prima di riflettere (una terribile, terribile, abitudine, poteva garantirlo), la mandava ancora di più su tutte le furie.
    Non che l’avrebbe mia dimostrato, lasciando emergere anche solo un pizzico di quella frustrazione sui lineamenti seri e pacati; ma la sua calma nascondeva una rabbia a ribollire sotto la pelle, una invisibile, che Guadalupe aveva imparato con gli anni, e uno sbaglio dopo l’altro, a celare al mondo intero. Persino a sua sorella, persino a Ginevra.
    Un autocontrollo imposto, per necessità e per carattere, che la ragazza e gli aggressori stavano però mettendo seriamente alla prova.
    «ho finito ciò che avevo da dire.»
    Fu più forte di lei l'istinto di arcuare un sopracciglio in direzione della mora, espressione che poteva essere tradotta facilmente con un “menomale”; la prima, dall’inizio del tutto, che Lupe mostrò apertamente alla sconosciuta. La prima che non fosse di palese disaccordo, comunque.
    «ci vorrebbe proprio un bell'oblivion di gruppo»
    Lo aveva… lo aveva detto davvero ad alta voce?
    La professoressa non riuscì a non rivolgere un side eye micidiale alla ragazza, domandandosi che tipo di ritardo mentale potesse mai avere per uscirsene ad alta voce con una soluzione del genere, davanti ad una folla armata e inferocita che ce l’aveva a morte contro la magia.
    «Non spetta a noi deciderlo», borbottò a bassa voce per non farsi sentire dagli altri, scuotendo appena la testa; probabilmente, problemi che Lupe non poteva nemmeno iniziare ad immaginare. «non è il nostro lavoro, a meno che tu non sia un’obliviante.» Cosa di cui dubitava fortemente; c'erano gruppi di ministeriali che lavoravano appositamente per quello, perché prendere la situazione in mano e far precipitare una situazione già in precario equilibrio?!
    Aprì la bocca per inivtare la ragazza a riflettere, da quel momento in poi, prima di proporre assurdità come quella, ma l’altra la precedette — per l’ennesimo gesto avventato.
    «time out»
    Era così strano vedere il mondo tutto intorno a loro rimanere fermo, come in una fotografia, mentre nella bolla temporale che le avvolgeva nulla sembrava esser stato intaccato; non potè fare a meno di gettare un occhio sul quadrante dell’orologio che portava al polso, Lupe, e notò come le lancette avessero iniziato a tremare, incerte su come tenere traccia di un tempo che non scorreva più nello stesso modo in cui erano abituate.
    «non so quanto tempo ho, sto ancora ctestando i miei limiti ma... ho fermato il tempo TADAAA»
    Quel tanto, lo aveva capito persino lei; non toglieva il fatto che fosse incredibilmente strano e destabilizzante, e che Lupe odiasse ogni singolo istante di quella cosa.
    Alla ragazza, rivolse un’espressione cupa e labbra tirate in una stretta così dura da perdere qualche sfumatura di colore. «non apprezzo chi utilizza poteri» punto «senza fornire un preavviso» la ammonì, ma non si divincolò dalla presa: gli dei solo sapevano a cosa sarebbe andata incontro se si fosse sottratta autonomamente al potere della cronocineta, uscendo dalla bolla temporale senza (il suo permesso e) la sua protezione.
    Sospirò, dunque, perché non le rimaneva nient’altro da fare.
    «che facciamo? perchè non voglio menarli e se li lasciamo probabilmente attaccheranno qualcun altro»
    «scontrarci fisicamente con queste persone non è mai stata un’opzione», come la pace del famoso meme — per tutti i germogli, odiava davvero tanto l’influenza che la generazione z stava avendo su di lei, suo malgrado. «e non lo è nemmeno farli prigionieri» e poi legarli? dargli da mangiare “ogni tot”?! ma… chi si credeva di essere. Lupe era davvero, davvero, ad un passo dal consegnare la ragazza ai cacciatori, piuttosto che la folla inferocita di babbani.
    «scherzi a parte cosa te ne pare di far svanire dalle loro menti questo bellissimo incontro? e gli togliamo queste belle armi di dosso?»
    Ah quindi… le sue erano state delle battute? Proposte fatte solo per ilarità, senza una vera intenzione a supportarle?! Beh, la cosa non rincuorava la messicana. Per niente.
    «Non ci prenderemo le loro armi,» le disse, dopo interminabili istanti di silenzio – ma erano in una bolla in cui il tempo scorreva diversamente dalla realtà, o forse non scorreva affatto, era difficile da capire. Ad ogni modo. – perciò era tutto relativo.
    E poi, non erano mica la compagnia dell'Inutile Bardo (come facesse Lupe a conoscere l'Hellfire Club rimarrà un segreto): non avrebbero rubato un bel niente.
    «né manipoleremo le loro menti. Non cancellerò alcun ricordo da questi sconosciuti, ci penseranno gli oblivianti a farlo al posto nostro.» ovvero, le persone davvero competenti; il suo ramo di specializzazione era del tutto diverso, e anche se si riteneva un'abile strega, non avrebbe giocato con i ricordi di qualche babbano, né per difesa, né per renderli innocui.
    «non è buona norma mettere mano e giocare con la mente delle persone, anche per scopi difensivi, o per uscire dai guai» soprattutto per uscire dai guai; ma che ne sapeva lei, no, che nei guai non ci finiva letteralmente mai. Troppo precisa, troppo attenta, troppo rigorosa. «piuttosto, pensiamo a come contattare le forze dell’ordine e come prendere tempo nel mentre che aspettiamo intervengano.» una proposta più razionale, la sua, ma sicuramente meno sicura: nulla vietava ai babbani di attaccarle senza preavviso, ma Lupe era già pronta a difendersi qualora fosse accaduto l'impensabile.
    Rivolse un’ultima occhiata allusiva alla ragazza, prima di aggiungere: «sembri un’esperta in materia, mi auguro tu abbia i riflessi pronti e abbastanza controllo sul tuo potere da riuscire a chiamarlo a te anche nel vero momento del bisogno» lei non aveva alcun dubbio che avrebbe saputo cavarsela egregiamente, con la sua magia.
    26.01.96
    teacher
    toxicologist
    semilla de odio
    saffy martinez
  2. .
    guadalupe garcía ramos
    20.01.1996
    el paso, tx
    «Forse dovrei comprarlo, ma temo sempre sia una fregatura.» Non sembrava stesse parlando con Guadalupe (o con qualcuno, in generale), ma la guaritrice annuì comunque, distratta, occhi rivolti al quadro in questione senza realmente guardarlo.
    Non era la prima volta che metteva piede al Sub, ma non poteva dire di essere particolarmente entusiasta del posto, o del genere d'arte che metteva in mostra; infatti, a distanza di anni dall'incontro con Ginevra, il punto di vista di Lupe sull'arte non era cambiato, trovandola ancora troppo interpretabile e, di conseguenza, troppo lontana dalla sua filosofia di vita per poterla apprezzare a dovere. Preferiva la concretezza, lei, e teorie inconfutabili e con radici che affondavano nelle certezze, nella ricerca scientifica. Sempre un controsenso, se detto da una strega, ma anche nella magia Guadalupe ci vedeva una scienza — non dico esatta ma quantomeno comprovata. Infallibile, per certi aspetti.
    L'unica incognita, da sempre, erano gli special ed era forse per questo motivo che, pur non odiandoli e non condannandoli solo per convenzione sociale, la loro mera esistenza metteva a disagio la professoressa. Erano la prova che anche la scienza, nelle mani sbagliate, poteva fallire e dare vita a qualcosa di imprevisto e incontrollabile.
    Contronatura.
    Erano pensieri, tuttavia, che ultimamente si perdevano e confondevano sempre più nella psiche della dottoressa, specialmente quando da quasi due anni frequentava una di loro e non riusciva a vedere nulla se non perfezione nello sguardo vispo di Ginevra, nelle sue forme morbide e nei suoi gesti esagerati e italiani; convincersi che fosse anche lei, seppur costretta e contro la sua volontà, un qualche scherzo della natura era sempre più difficile, così come lo era però riuscire a smettere di pensare che gli special fossero, a tutti gli effetti, un difetto in una società altrimenti perfetta.
    Ma quelli erano pensieri che, di solito, Guadalupe teneva per i giorni più difficili, quelli in cui la stanchezza permeava un ogni fibra del suo corpo e metteva a dura prova persino la mente, solitamente più lucida e affilata di così.
    Quel giorno era esattamente uno di quelli.
    Troppo lavoro nei laboratori del San Mungo, troppe incertezze fuori da quelle stesse quattro mura; troppa incompetenza nelle aule di Hogwarts. Certe volte le veniva di domandarsi chi glielo avesse fatto fare di abbandonare il Sud America e costituirsi una vita in un paese così… pieno di difetti e inidoneità. I laboratori dove aveva studiato e conseguito gli studi potevano anche non aver avuto la strumentazione d'ultima generazione, ma perlomeno i suoi colleghi erano stati tutti all'altezza delle aspettative e in grado di analizzare e risolvere con precisione ed esperienza qualsiasi problema.
    Non poteva dire lo stesso di alcuni guaritori del reparto di tossicologia dell'ospedale inglese.
    «Forse… forse dovrei continuare a bere.»
    Alla donna al suo fianco rivolse ancora un cenno vago del capo, sempre più convinta che non stesse parlando con lei, ma più rifugiata in se stessa e nei suoi pensieri, proprio come la dottoressa messicana.
    Tuttavia Guadalupe, pur da sempre portata al silenzio e, come dicevano i ragazzini della sua classe, a farsi gli affari suoi, si ritrovò suo malgrado ad alzare il bicchiere di vino che stava sorseggiando e a muoverlo appena in direzione della sconosciuta, in un gesto di solidale accordo. Un «forse» che sapeva più di convinzione che di dubbio, e un mezzo sorriso a piegare le labbra che però non raggiungeva lo sguardo scuro; non stava promuovendo l'alcolismo, ma per esperienza personale sapeva che un sorso o due di tequila aveva la tendenza a mettere tutto in prospettiva, a rendere tutto più chiaro.
    Sperava il vino, invece, quella sera la aiutasse a mettere un freno a tutti i pensieri e lasciarsi dietro la mole di lavoro che, sapeva bene, avrebbe finito col protrarsi con sé anche a casa, perché finiva sempre così, con Guadalupe.
    castelobruxo
    professor
    deatheaterhalfbloodtoxicologisterbology teacher



    people sucks,
    plants are better


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    va beh dai intanto queste . altrimenti continuo a scordarmi

    CODICE
    <i class="fas fa-angle-right" aria-hidden="true"></i> [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62889301]my last word will probably be either "whoops" or "shit"[/URL]ft. hold [ottobre '23 - ministero (1° livello)]
    <i class="fas fa-angle-right" aria-hidden="true"></i> [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62897745]the party dont start 'til I walk in[/URL]ft. maddox [ottobre '23 - cap. platinum]
    <i class="fas fa-angle-right" aria-hidden="true"></i> [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62903564]laziness is the mother of all bad habits[/URL]ft. lupe [ottobre '23 - aula trasfigurazione]
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    obliviontober 2023 settimana 2 // mini prompt: "luna"

    06zITwWrnVhSLJ


    il rosso sangue è perché nel frattempo avevo davanti gli occhi la partita e volevo piangere, ciao zia scusa è andata così bacini a fred e a te smack

    (textures: cypher-s, ravenorlov &&alkindii)
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    CITAZIONE (sehnsüchtig. @ 28/10/2023, 00:04) 
    Piango per le polaroid AIUTISSIMO!!!

    HAI VISTO!!!! FIGLI!!!!!

    sono contenta ti piaccia ciccina sdfghjk BACINI A TUTTI E DUE SMACK
  6. .
    guadalupe garcia ramos
    fotogragia#101
    semilla de odio sembraste y odio brotó del corazón;
    tú solo fuiste el culpable que en mi naciera el rencor.
    «onestamente, non mi importa più di cosa sia o non sia una buona idea in questo momento»
    Quello, signori, era esattamente il tipo di atteggiamento che portava a una morte prematura — e molto spesso dolorosa, e tragica.
    E no, per una volta non sono minacce velate da parte della guaritrice, ma una fedele rappresentazione della realtà e del mondo in cui vivevano: gli “audaci” – che per Lupe equivaleva a voler dire “gli stolti” – raramente venivano ripagati per il proprio coraggio o avventatezza. Le parole – oneste, senza ombra di dubbio, ma vane nella situazione in cui si trovavano – fecero intuire a Guadalupe quello che, nel giro di pochi minuti, si sarebbe poi verificato: un irreversibile e repentino cambio nell’aria, e un atteggiamento ancora più provocatorio e bellicoso da parte del gruppo di babbani.
    Fu inutile tentare di alzare una mano per far chiudere la bocca alla ragazza, e il massimo che Lupe poté fare fu piantare le iridi scure sul portavoce – e chiaramente leader improvvisato – del gruppo, pronta a scattare se ce ne fosse stato bisogno: difendere qualcuno che se l’era chiaramente cercata non era qualcosa che la professoressa era disposta a fare tutti i giorni, ma la necessità di riportare le cose ad un minimo di tranquillità, che fosse pure quella fittizia e solo di facciata in cui avevano vissuto negli ultimi mesi, era più forte del senso di preservazione.
    Per questo, e solo per questo, portò la mano alla giacca in un gesto veloce, pronta a scattare quando ce ne fosse stato bisogno; e, con la lingua lingua dell’altra ragazza, si trattava quasi certamente di un “quando” e non di un “se”.
    «quasi nessuno voleva davvero questa guerra. questa guerra non è stata decisa, ci è stata imposta e delle persone hanno cercato di fermarla. volete ucciderci uno a uno compresi gli innocenti? come se fosse colpa loro? auguri.» Alzò un sopracciglio, le labbra strette per impedirsi di intervenire: in parte li capiva i babbani, attaccati e decimati senza alcun preavviso, non poteva certo far loro una colpa per il modo in cui avevano reagito alla guerra. Ma starglielo a ricordare, o sottolineare quanto quel genocidio fosse opera solo di alcuni non avrebbe cambiato – o migliorato – le cose. «non siete meglio di loro. d'altronde fare schifo è insito nell'essere umano»
    Beh, su quello aveva ragione: Guadalupe aveva sempre messo una certa distanza tra se stessa e il genere umano, solo in parte lieta di rientrare anche lei nella categoria; certo, esistevano delle eccezioni per cui era grata (Ginevra; fine delle eccezioni.) ma non erano abbastanza per poter sopportare tutto il resto, e la professoressa aveva sempre preferito la compagnia di piante e fiori a quella dei suoi simili.
    Però, ancora una volta: istigare gli aggressori non avrebbe portato a nulla di buono. Guadalupe dedusse, in silenzio, che la ragazza doveva esser stata una grifondoro a suo tempo: nonostante avesse conosciuto rappresentati delle altre casate ugualmente audaci (derogatory), erano pochi i grifondoro in cui aveva riconosciuto assennatezza e capacità di giudizio.
    Poi magari si sbagliava (#sì) ma non poté far a meno di rivolgere gli occhi al cielo e predicare un po’.
    «cosa vi piacerebbe sentir dire? non sono mai stata vista bene perchè sono mezzosangue. sapete cosa significa? che sono nata da una strega e un babbano, un non mago, come voi»
    Ecco, ora faceva appello anche al sangue… bene, insomma; pensò distrattamente che quello era il momento perfetto per sgattaiolare via e lasciare che l’altra risolvesse tutto con la tecnica che aveva scelto di adottare (confondili abbastanza e si colpiranno da soli, cit) ma lo sguardo attento di altri assalitori non le permetteva di fuggire — e nemmeno il suo senso del dovere.
    «secondo il vostro ragionamento, allora è anche colpa vostra perchè sono nata grazie a un non mago. quindi è anche vostra responsabilità»
    «Non credo gli interessi granché.» Così, la buttava lì. «inoltre, non sono manco più una strega, ho perso la capacità di usare la bacchetta perchè, se non lo aveste ancora capito, noi maghi non siamo tutti grandi amiconi.»
    «Se cerchi compassione in loro, dubito ne troverai», a giudicare dagli sguardi duri e impassibili, a nessuno aveva fatto pena il discorso della ragazza e nessuno sembrava un po’ meno restio a passare alle mani; l’arma che l’uomo stringeva nel pugno ancora brillava, pericolosamente vicina alla pelle morbida della ragazza.
    «Sentite, avete due possibilità: scegliere di ritirarvi, e noi fingeremo di nulla e non ci denunceremo al Ministero,» li osservò uno ad uno, il tono di voce sicuro e l’aria di chi aveva già detto una parola di troppo ed era stufa di quella farsa, «oppure potete continuare con i vostri modi da barbari e affrontarne le conseguenze; i Cacciatori pattugliano le strade a pieno ritmo e non tarderanno ad arrivare; starà a quelli di voi ancora in piedi, poi, spiegare cosa è successo.» C’era una minaccia nemmeno troppo velata nelle sue parole, e sperava che gli altri l’avrebbero colta.
    Si girò verso la ragazza, e a lei rivolse labbra serrate e sguardo duro. «Magari evita di incitarli ancora di più.» Il silenzio, e l’indifferenza, erano la migliore arma in quelle occasioni.
    Oh, poi se vuoi fare mini duello con il gruppo, Vins, io ci sto BELLA!!
    26.01.96
    teacher
    toxicologist
    semilla de odio
    saffy martinez
  7. .
    OMG! Ho trovato la figurina di syria hollins!
    link role: no one ever starts that way, but this is how villains are made
  8. .
    guadalupe garcia ramos
    fotogragia#101
    semilla de odio sembraste y odio brotó del corazón;
    tú solo fuiste el culpable que en mi naciera el rencor.
    La guerra aveva innescato micce in tutto il mondo e situazioni come quella in cui si ritrovava Guadalupe in quel momento erano ormai molto frequenti, non solo a Londra – magica e non; la differenza non c'era più – ma ovunque.
    Non si sentiva nella posizione di condannare i non magici, ma non era nemmeno una grande loro ammiratrice di quei tempi: poteva capire da dove nascesse il loro malcontento e cosa ci fosse dietro le loro reazioni a dir poco esagerate, ma non poteva comunque dire di supportare il modo in cui si stavano ribellando: non capivano che non sarebbe bastato, che non avrebbe portato a nulla se non ad altre rappresaglie, altre guerre, altra morte?
    Tentare di farglielo capire sarebbe stato inutile, chiusi nel loro odio e incapaci di vedere oltre. Lupe avrebbe affrontato quella situazione come affrontava la vita: con la mente lucida, con le parole e con la solita imperturbabilità. Era pronta a far dialogare anche quel branco di animali feroci – perché non erano altro, belve messe alle strette dalle azioni e dalle scelte di altri – anche a costo di doverlo fare con le brutte maniere.
    L'idea di avere una spettatrice, una possibile incognita, non le piaceva. Strinse la presa intorno alla tracolla e alzò il mento con aria sicura. «sono certa che nessuno di loro voglia farsi del male.» asserì, ponendo enfasi sulle proprie parole, sicura che avrebbero capito l'antifona: dopotutto, fino a prova contraria, era lei quella armata di una bacchetta, e solo degli stolti avrebbero portato delle armi da fuoco ad uno scontro magico.
    O dei disperati.
    Ma poi che modo era quello: definirli “rissosi” non era il modo per far sbollire il gruppo, o calmare gli animi. Fece un cenno alla signorina, e strinse le labbra in una piega severa. «la ringrazio, ma non ce n'è davvero bisogno.» più una sfida rivolta agli aggressori, che non una rassicurazione per la sconosciuta: non c'era un minimo accenno di paura nello sguardo scuro che Guadalupe puntò sul gruppo.
    «uccidono per molto meno»
    Vero, purtroppo: le esecuzioni pubbliche erano divenute sempre più frequenti, e molto di rado di ritagliava del tempo per dei processi giusti e imparziali. La ragazza aveva ragione, ma forse ricordare ai babbani quanto poco riguardo avessero i maghi per le loro vite non era forse l'argomentazione migliore per convincerli a desistere.
    «se proprio volete fare rivoluzione o morire, è inutile mettersi nei guai con persone a caso per strada che magari non c'entrano niente o che potrebbero addirittura aver combattuto per almeno provare a salvarvi»
    Un tentativo valoroso e valido, quello della mora, ma forse non necessario: Guadalupe non era molto convinta che parole del genere avrebbero fatto breccia nell'odio e nel furore del gruppo. Non c'era peggior sordo di chi non voleva saperne di ascoltare, e i babbani avevano sofferto troppo per poter chiedere loro di prestare ancora attenzione. La disperazione non conosceva limiti, e soprattutto non lasciava spazio alla razionalità o alla lucidità.
    «sul serio, señorita, non penso sia una buona idea–» uno dei babbani fu più veloce di Lupe, e tagliò corto le sue raccomandazioni: con un movimento lesto, si avvicinò minaccioso alla ragazza e alzò un'arma contro di lei, a giudicare dal riflesso scintillante sulla superficie metallica, doveva essere una spranga o una lunga lama. Bene, ma non benissimo.
    «e le nostre famiglie, centravano forse qualcosa? tutte le persone uccise nelle loro case, strappate via da figli e genitori e amici–» la voce dell'uomo, bassa e roca, trasmetteva tutta l'ira che si poteva leggere anche nel suo sguardo. Lupe lo riconobbe come lo sguardo di qualcuno che aveva perso tutto, tranne una ragione per combattere e cercare, per quanto possibile, una vendetta; non avrebbe portato un sonno tranquillo, ma almeno un po' di pace in un cuore dilaniato e sofferente.
    Come avrebbero detto alcuni suoi colleghi: cool motive, still murder. O tentato, in quel caso.
    «la colpa è vostra. di tutti quanti.» lo vide agitare l'arma e, per la prima volta da quando era stata accerchiata, Lupe portò la propria mano a cercare il catalizzatore nascosto nella tasca della giacca.
    Non voleva arrivare alla violenza, ma non sarebbe rimasta con le mani in mano, o in disparte, e avrebbe tentato di contenere gli aggressori al meglio delle sue capacità se ce ne fosse stato il bisogno.
    26.01.96
    teacher
    toxicologist
    semilla de odio
    saffy martinez
  9. .
    guadalupe garcia ramos
    fotogragia#101
    semilla de odio sembraste y odio brotó del corazón;
    tú solo fuiste el culpable que en mi naciera el rencor.
    Era una persona tendenzialmente pacifica, Guadalupe Garcìa Ramos.
    Era una donna paziente.
    Era una studiosa, era riflessiva e calma, era pacata; non perdeva facilmente le staffe, né con gli studenti né con Franklyn Daniels — anche se il pirocineta riusciva a mettere a dura prova il suo autocontrollo nella maggior parte delle occasioni, ma nulla che la professoressa non potesse superare con uno sguardo duro e un’espressione serrata.
    Non erano molte le cose in grado di scuoterla, o di preoccuparla; viveva una vita molto serena, che non aveva mai contemplato incidenti e intoppi, poiché organizzata fino all’ultimo dettaglio in una tabella di marcia che Guadalupe seguiva attentamente, con dedizione, e alla lettera. Tutta la sua vita era basata sulla metodologia e sull’ordine; il caos non era previsto, e anzi, era fortemente condannato dalla Ramos. Non poteva tollerarlo, non poteva accettarlo.
    Eppure, in quegli ultimi mesi, nel mondo non c’era altro se non quello: disordine, e follia.
    Se n’era resa conto subito, sin dal primo momento, da quel discorso pronunciato nella piazza di Hogsmeade e trasmesso in tutto il mondo: le parole di Abbadon avevano fatto germogliare un seme che era stato piantato fin troppo tempo prima, e che avrebbe portato solo caos e scompiglio. Di quello, Guadalupe, ne era stata certa sin da subito; aveva alzato gli occhi sui suoi colleghi, riuniti in fretta all’inizio del comunicato, e l’aveva saputo.
    Da quel momento in poi, non si sarebbe più tornati indietro.
    Tutti erano stati chiamati a fare una scelta, a schierarsi, e anche se il buon senso suggeriva loro di scegliere Abbadon per ovvi motivi, Guadalupe sapeva che non poteva essere quella la scelta migliore. Non quella volta. Lei credeva nel governo mangiamorte e nella politica, credeva in Kimiko Oshiro e aveva accettato la sua posizione nel momento in cui aveva deciso di rimanere in pianta stabile in Inghilterra — ma non poteva accettare che fosse Seth a salire al potere.
    Come potevano farlo gli altri?
    Non avevano studiato la storia? Non sapevano che i dittatori erano dittatori in qualsiasi forma, babbana, magica o special? Come potevano supportare il folle piano di Abbadon? Guadalupe non negava che alcune argomentazioni dello Special fossero convincenti, e persino lei poteva ammettere di trovarle affascinanti e perché no, una novità dietro la quale schierarsi… ma non al prezzo di ciò che sarebbe costato al mondo intero. C’erano modi meno violenti per convincere i babbani; e se la storia insegnava che solo i conflitti risolvevano le cose, beh, allora nessuno aveva mai davvero capito affondo alcun conflitto mondiale. Perché non si poteva rompere quel circolo vizioso di guerra e morte e distruzione e, semplicemente, dialogare come le persone mature? Perché doveva sempre prevalere una posizione piuttosto che un’altra, portando ad anni e anni di malumori e popolazioni amareggiate e nascita di gruppi anarchici ribelli: non vedevano come tutto si ripetesse alla stessa maniera ogni volta? Ogni. Santissima. Volta?
    Non era un’ingenua, Guadalupe, sapeva bene che parlare non fosse sufficiente; che la razza umana fosse difettosa e avara ed egoista e complicata e testarda e per natura insoddisfatta — ma non rimaneva un buon motivo per voler spazzare via un’intera porzione di mondo. Quello che i babbani avevano fatto ai maghi per secoli non giustificava quello che Seth avrebbe fatto, di lì a poche settimane, ai babbani stessi.
    E sì, era la stessa cosa che i maghi avevano fatto agli special, se ne rendeva conto, ma come già detto: ripetere continuamente la storia non avrebbe mai portato a veri cambiamenti. Mai.
    Non poteva certamente essere l’unica al mondo a pensarla così, no?
    Si meravigliava di come molte delle sue conoscenze fossero state pronte a imbracciare le armi, a sguainare le bacchette, e a partire per morire in nome… di chi, esattamente? Di cosa? Di un megalomane che non assicurava alcuna protezione alla specie magica? Lo sapevano tutti che Abbadon non fosse il fan numero uno di maghi e streghe purosangue; che li vedesse come una macchia, come la rovina della società, come la base della piramide sociale; che la sua unica premura fossero gli special, i suoi figli. Come potevano credere, quindi, che quella guerra avrebbe portato a qualcosa di buono per tutti colori i quali non avessero magia diversa nelle vene? Come potevano averci creduto — averci sperato?
    C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui Abbadon riusciva ad ammaliare la gente e a convincere le folle a smuovere mari e monti per la sua causa; qualcosa che la mente razionale, cinica e fredda, di Guadalupe non aveva voluto accettare.
    Non poteva.
    E ora che il danno era fatto, che la guerra era stata conclusa e vinta, ora era il tempo di tirare le somme e contare i danni. Impossibile correre ai ripari, oramai; molti di quelli che erano scesi in campo seguendo le parole di incoraggiamento di Seth, se ne erano pentiti. Molti erano stati beccati a sussurrare piano che non ne valeva la pena, non ne era mai valsa la pena, non quando a perdere la vita erano stati fratelli e sorelle, amici e amanti, genitori e figli — da ambo i lati.
    Alla stupidità - e alla fragilità - umana non c’era mai fine, si ritrovò a pensare ancora una volta Lupe. Anche quello, l’aveva sempre saputo. Ma era bello potersene rendere conto ogni giorno di più: le permetteva di tirare un sospiro di sollievo e pensare che, dopotutto, non era cambiato proprio tutto.
    Solo che le cose erano cambiate, e lo vedeva tutti i giorni a scuola; lo vedeva tutti i giorni al San Mungo; e lo vedeva nei negozi, nelle piazze, nelle strade. C’erano special e maghi e babbani che percorrevano vie mescolandosi tra loro; e i maghi avevano preso il controllo di governi babbani e di infrastrutture, stavano pian piano conquistando tutto quello che la guerra non era riuscita a toccare, perché troppo delicato per essere preso con la forza, troppo delicato.
    E intanto il mondo andava avanti, le lezioni erano riprese, il ballo era stato organizzato, e le attività commerciali riaperte; si fingeva che non ci fosse mai stata nessuna Guerra della Primavera Magica, ma nessuno era davvero in grado di ignorare tutte le cose che erano, di fatto, mutate.
    Gli sguardi delle persone, ad esempio; sempre più ostili, sempre più indisponente. Lupe li vedeva ogni volta che attraversava Londra per raggiungere il San Mungo — ormai non più nascosto agli occhi dei babbani, ma imponente nella sua immutabilità. Erano sguardi che, di solito, Guadalupe evitava perché il conflitto era una cosa che preferiva tenere per pochi intimi; e, solitamente, circoscritto alla camera da letto: Ginevra Linguini era l’unica persona con cui Guadalupe decideva volontariamente di ingaggiare contrasti verbali, scontri tra intelletti. Perciò, anche quel giorno, aveva tenuto la testa alta e le spalle dritte quando alcuni babbani avevano rivolto dei commenti sprezzanti nella sua direzione, senza cedere all’istinto infantile di informali che anche lei non godeva più di una posizione rinomata, non se ne erano forse resi conto? In quanto mezzosangue era appena un gradino sopra i purosangue, ma non bastava per essere all’altezza in quel nuovo ordine delle cose.
    Dunque, perché non prendevano le loro lingue biforcute e le loro parole di odio, e non se ne andavano altrove, da qualche altra parte dove forse qualcuno li avrebbe ascoltati e accontentati?
    Perché se era uno scontro che cercavano, non l’avrebbero trovato nella guaritrice.
    Senza deviare dal suo cammino (non si sarebbe fatta intimorire da un gruppo di babbani arrabbiati e fuori di testa), Lupe continuò verso la propria metà — fermandosi solo quando il gruppo, ormai troppo vicino, la accerchiò e iniziò a chiederle se fosse sorda, se fosse stupida, se non avesse capito che stavano parlando con lei.
    «volevo farvi un favore e non ingaggiare in simili scenate,» li informò, stringendo la tracolla della borsa che poggiava sulla spalla destra, «quindi vi sarei grata se poteste fare lo sforzo di non mettervi in ridicolo da soli, e lasciarmi passare.» Non si sarebbe messa ad urlare, non avrebbe chiesto aiuto: non aveva paura, aveva affrontato bulli per tutta la vita e ne era uscita sempre a testa alta e più forte di prima.
    «questo atteggiamento non risolverà i vostri problemi» e nemmeno i suoi.
    E, anzi, le avrebbe fatto fare tardi a lavoro.
    «con permiso» Non era troppo contraria all’idea di prenderne uno o due a spallate, pur di farsi strada. E lo avrebbe anche fatto, se solo non avesse incontrato lo sguardo di un’altra persona, poco distante dal gruppo, che la osservava di rimando. Qualsiasi fossero i suoi pensieri in quel momento, Lupe decise di informare la persona sconosciuta che «non ne vale la pena», onde evitare che decidesse di percorrere la via meno matura e ingaggiare una colluttazione con i babbani.
    26.01.96
    teacher
    toxicologist
    semilla de odio
    saffy martinez
  10. .
    guadalupe garcía ramos
    Quatro pasos quiero acordarme
    Quatro pasos ya sé
    Tu me quisiste, yo te quise
    Cinco pasos ya sin perderme
    Tanto me alejé
    Cinco pasos y te perdoné


    1996 ✧ erbology teacher ✧ toxicologist
    ¿Y cuándo volverás?
    (Surtout ne m'attends pas)
    ¿Cuando volverás?
    (J'ai fait le premier pas)
    ¿Cuando volverás?
    Un día o jamás
    «come il lievito madre e i peperoni sott’olio, a ognuno le proprie metafore no?»
    Sbuffò una risata leggera, annuendo. «Claro, come il lievito madre e i peperoni sott'olio.» Se le piante erano la comfort zone di Lupe, e vivaio (per rimanere in tema) più frequente da cui attingeva per metafore di ogni genere, quello riguardante la cucina del Bel Paese era senza dubbio l'essenza stessa di Gin. In un primo momento Guadalupe aveva trovato molto peculiare (per non dire strambo) i continui riferimenti a cibo e condimenti da parte dell'italiana, ma col tempo aveva capito che fossero parte del corredo genetico, come la fede calcistica e l'orientamento politico; erano anche quelli tutti piccoli tasselli che, una volta messi insieme, davano forma all'opera d'arte che era Ginevra Linguini.
    Solo a guardarla, e a specchiarsi negli occhi chiari della minore, certe volte Guadalupe faticava a rendersi conto di come avesse potuto avere così tanta fortuna da incontrare precisamente ciò di cui aveva avuto bisogno, nel momento stesso in cui l'aveva necessitato; una qualsiasi altra persona, pur nello stesso spazio fisico e temporale, non avrebbe smosso le acque nella maniera in cui aveva fatto Gin, e non avrebbe dato vita all'effetto farfalla, se così vogliamo, che era stata in grado di scatenare la proprietaria del bar.
    «ma ne vale la pena, sono d’accordo»
    Lupe strinse leggermente la mano di Gin, ancora stretta alla sua, per dimostrare che la pensasse davvero anche lei allo stesso modo, prima di lasciarla libera di sciogliere la presa e giocare distrattamente con le dita, accarezzando il palmo e i polpastrelli e l'interno del polso, tutti gesti che, una carezza alla volta, uccidevano la professoressa — che tentò ugualmente di rimanere stoica e non far leggere il minimo accenno di cedimento sul volto serio e giovane.
    Non era brava con le parole, non quando non aveva qualcosa da spiegare o delle analisi da comunicare o dei sintomi da descrivere; c'era un motivo se Lupe aveva scelto, per tutta la vita, come unica compagnia libri e piante — ed era che questi fornissero tutto ciò di cui la donna avesse bisogno, senza mai pretendere nulla in cambio, se non un po' di cura e amore che Lupe era più che disposta a concedere.
    Ma le persone? Erano tutto un altro paio di maniche.
    Guadalupe non era fatta per i fragili rapporti interpersonali, e lo dimostrava il fatto che avesse pochissime conoscenze, e ancora meno persone che potesse definire amici — quei pochi che aveva, poi, erano la definizione stessa di casi umani, ed era stato forse proprio quello ad intrigare (e a far cedere) la donna. Solo personalità di un certo tipo (brillanti, particolari, anche un può fuori di testa...) potevano sperare di far breccia nel carattere selettivo della messicana; e solo una porzione di questi poteva sperare di rimanere.
    Ginevra era una di quelle, e la fortunata, in quel caso, era Guadalupe. Se ne rendeva conto ogni singolo minuto passato con la minore, a ridere per le sue lamentele quotidiane, o a storcere il naso all'ennesima maliziosa presa in giro nei suoi confronti.
    Era solo giusto che, dunque, lei ricambiasse il favore di tanto in tanto.
    «forse non dovresti usare questo tono con me qui dentro, dietro al bancone ci sono almeno due miei cugini e fin quando non vi sbrigherete a promuoverli la sfida che potrei proporti potrebbe non piacerti» Arricciò il naso, le labbra cremisi a prendere una piega tirata, meno divertita di qualche istante prima. «sto contando i giorni che ci separano dalla fine dell'anno» le confessò, spingendosi in avanti con i gomiti sul tavolo, «ti offenderesti molto se qualcuno di loro non arrivasse a festeggiare Pasqua?» chiedeva, perché le sue piantine carnivore era da un po' che non assaggiavano nulla di diverso da topolini e insetti, e alcuni sostenevano che la carne umana le rinvigorisse parecchio — era tentata ogni giorno di provare questa teoria, usando un Linguini qualsiasi come vittima sacrificale. Ammorbidì l'espressione, le labbra a piegarsi nuovamente in un sorriso. «scherzo» forse. Magari non del tutto. «ci pensi, solo qualche mese e niente più Linguini in giro a bighellonare per i corridoi» sembrava quasi un sogno, che nessuno la svegliasse! E sì, aveva sempre detto che non avrebbe parlato male, di fronte a Gin, dei suoi cugini ma ogni tanto andava detto — e avrebbe potuto essere molto più cattiva di così!
    Ma Gin aveva ragione: c'erano almeno un paio di Linguini sempre in agguato lì al bar, e non voleva rischiare di ricevere una sfida che poi non avrebbe potuto permettersi di accettare; purtroppo era ancora fermamente convinta che non fosse una buona idea uscire allo scoperto con ancora così tanti parenti dell'italiana tra gli studenti della Ramos. Ma, se il cielo e le intenzioni dei Linguini ancora studenti, fossero stati dalla loro parte, nel giro di qualche mese avrebbero potuto finalmente dare a quella relazione una connotazione diversa, e smetterla di nascondersi da occhi indiscreti.
    Ma per il momento, era meglio di no.
    «quindi se proprio vuoi conoscere il tuo regalo puoi accettare questa sfida al buio e con riserva per quando il momento sarà più opportuno, o puoi provare a convincermi qui ed ora che le enchilladas siano meglio delle lasagne»
    Finse di pensarci qualche istante, un dito a picchiettare contro il mento, soppesando le due alternative. «credevo avessimo deciso che sono sullo stesso livello» o così ricordava di quel battibecco quando, ubriache di cibo, sesso e anche un (bel) po' di vino, erano finite con l'accettare che, ciascuno a modo suo, entrambi i piatti fossero da considerarsi patrimonio dell'umanità. «ma sai cosa? accetto la sfida al buio» quei mesi in compagnia di Ginevra l'avevano ormai temprata: era pronta a tutto. «ma non lo faccio solo per il regalo» lo faceva anche perché, sotto sotto, un po' masochista lo era e il brivido dell'ignoto, e di una sfida accettata a scatola chiusa, davano nuova vita ad un'esistenza altrimenti spenta, e arida — tanto per rimanere in tema di metafore.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  11. .

    guada
    lupe
    garcía ramos


    • deatheater
    • twenty-six
    • toxicologist
    • erbology teacher
    Se la cartomante le fosse stata più simpatica, con ogni probabilità Lupe al «ma se mi succede qualcosa non riceverà alcun pagamento» di William, avrebbe fatto segno alla donna di non preoccuparsi: se fosse successo qualcosa al Barrow, ci avrebbe pensato lei in prima persona a pagarla profumatamente.
    Cosa?
    Sì, avete letto benissimo.
    Doveva ammetterlo: perdere il Barrow sarebbe stato triste, con il Daniels che ormai faceva security altrove (.) e passava sempre meno tempo ad Hogwarts, Lupe si era ritrovata a dover fare affidamento quasi esclusivamente sulla presenza dell’altro biondo, e una sua improvvisa sparizione avrebbe significato una grande perdita per gli esperimenti settimanali della Ramos — ma sarebbe sopravvissuta.
    Abbassò lo sguardo scuro su William, osservandolo mentre allungava la mano verso il mazzo di tarocchi e — ma pensa: le carte erano davvero stregate, e la ciarlatana facilitava davvero il passaggio ad un diverso piano atrale. Chi l’avrebbe mai detto.
    «hai visto lup-AAA???»
    «Sì, purtroppo ho visto.» Il tono di voce era fin troppo calmo, quasi da brividi nella sua freddezza; Lupe se ne stava in piedi dietro al Barrow, ancora e sempre, le braccia incrociate al petto e l’aria di chi era pronta a maledire l’intero albero genealogico di qualcuno. E perché proprio quello di William Barrow. «Ho visto benissimo.» Oh, se aveva visto: lei era lì mentre William posava i polpastrelli sulla prima carta stregata; era lì, con le mani sulle spalle del maggiore, pronta a criticare silenziosamente qualsiasi lettura avesse ricevuto.
    Era lì quando era stato spedito chissà dove proprio dagli stessi tarocchi stregati.
    Sciolse le braccia e le lasciò ricadere lungo i fianchi, guardandosi intorno. «Dove siamo finiti?» No, sul serio: dov’erano? Ad occhio e croce le sembrava di essere ancora ad Hogsmeade, sebbene non fossero più certamente nel tendone della cartomante. Beh, almeno quello era positivo.... «Per inciso: è colpa tua», e delle sue stupide idee. «Dovevo lasciarti entrare da solo— il mercato nero degli organi non era poi male, come ipotesi.» Potremmo stare qui a parlare di quanto “non lo avrebbe mai fatto perché vuole bene a Will” ma la verità è che Lupe lo avrebbe fatto; e rifatto. Se aveva scelto di accompagnare il Barrow all’interno della tenda, e accettare così tutte le dannate conseguenze, era solo perché ogni tanto decideva di dare retta alla voce nella sua mente che si raccomandava, con un tono di voce spaventosamente simile a quello delle sue zie, di provare a fare qualcosa di diverso per una volta — magari il risultato l’avrebbe sorpresa.
    Oh, in quella situazione lo aveva fatto di certo: in negativo.
    Borbottò qualche parola in uno spagnolo così stretto che dubitava Will l’avrebbe compresa, ma alla fine tornò a prestare attenzione al ragazzo. «Se adesso esce fuori qualcuno per derubarci o ucciderci, ti offro come vittima sacrificale.» Lo minacciò, chinandosi leggermente per afferrare il catalizzatore infilato nello stivale di pelle marrone. Bacchetta che poi puntò contro William, con fare ammonitore. «Barrow avvisato, mezzo salvato.» E, così dicendo, castò un Lumos per illuminare la via, nella speranza di ritrovare in fretta quella per il castello.
    Senza ulteriori intoppi, per inciso. Chiedeva troppo?
    Avrebbero potuto smaterializzarsi, certo, ma poi la role finisce e non so eli cosa voglia fare, quindi passeggiatina sia.

  12. .
    guadalupe garcía ramos
    Quatro pasos quiero acordarme
    Quatro pasos ya sé
    Tu me quisiste, yo te quise
    Cinco pasos ya sin perderme
    Tanto me alejé
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    1996 ✧ erbology teacher ✧ toxicologist
    ¿Y cuándo volverás?
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    Un día o jamás
    Erano tante le cose che Guadalupe aveva dovuto ammettere, nel corso di quell'ultimo anno e mezzo, di non sapere riguardo se stessa. O, per meglio dire, le cose che aveva male interpretato. Che non aveva capito.
    Era sempre stata convinta che il suo scarso interesse nei confronti sia di relazioni amorose che degli uomini più in generale fosse dipeso da una mancanza di tempo, più che di attrazione, che sentiva di poter dedicare a impegni simili; che non aver mai cercato la compagnia di coetanei, nemmeno quando tutte le sue compagne non sembravano fisicamente in grado di stare da sole, si potesse spiegare in maniera molto semplice con poche parole: “ho progetti più grandi, per il futuro” — quel “che pensare a mettere su famiglia” sempre taciuto, non per evitare occhiate piene di compassione da parte degli altri, ma perché non reputava fossero affari di nessuno se non suoi.
    E il concetto di famiglia, poi, per i Ramos era sempre stato qualcosa di così poco concreto che Lupe non lo aveva mai assimilato davvero — o, perlomeno, ne aveva visto, analizzato e compreso solo le parti peggiori: non la desiderava, una famiglia, non se nel giro di quindici anni avrebbe poi finito col seguire le orme di sua mamma e abbandonarla. Non voleva il rancore di nessuno, alle sue spalle; peggio ancora, non voleva doversi fermare a riflettere sul perché non provasse senso di colpa alcuno per ciò che aveva fatto.
    Non voleva diventare una seconda Maricruz.
    E sapeva purtroppo che somigliava a sua madre in quell'aspetto ancor più che in tutti gli altri.
    E che dire, poi, delle due donne che l'avevano cresciuta: le sue zie, il cui unico amore era racchiuso nelle pareti a vetri delle serre di Castelobruxo, erano state modello di vita per Lupe in così tanti aspetti che, guardandosi allo specchio, non riusciva a non vedere l'influenza delle due Ramos nel proprio sguardo, nei gesti e nelle passioni — ma non l'avevano di certo aiutata a capire come fidarsi di qualcuno. Come aprirsi al mondo e lasciare che altri esseri umani entrassero nella sua vita sotto un aspetto ben diverso di quello amichevole o lavorativo. Come amare, e farsi amare in risposta.
    Perciò no, quando aveva conosciuto Ginevra Linguini, due estati prima, Guadalupe non aveva avuto alcuna idea di quello che l'incontro apparentemente casuale ed effimero nel museo, avrebbe significato per lei.
    Per entrambe, certo, ma soprattutto per lei.
    Aveva capito tante cose di sé a partire da quel momento, specchiandosi negli occhi vispi dell'italiana, che era anche difficile tenerne il conto; tante cose che, cadendo in fila e trovando il loro giusto posto, incastrandosi nella complicata ma perfettamente collaudata macchina che era Guadalupe Maria Soledad García Ramos, spiegavano molto di lei.
    Occhi che, dunque, Lupe incontrava sempre con un misto di reverenza e sfida, quasi volesse invitarli a dirle altro, a farle capire qualcosa in più, qualcosa di nuovo, ad ogni sguardo rubato o concesso. Per questo motivo non si fece trovare impreparata quando, non senza un pizzico di malizia Made in Gin, la minore la sfidò con un «non funziona in questo modo, non è mica così facile».
    Le sorrise, placida, la curva delle labbra cremisi ad ampliarsi leggermente. Aveva imparato ad accorgesene. Ma d’altronde, a chi piacevano le cose facili? Di certo non a Guadalupe. Il modo in cui Ginevra sapeva sempre, esattamente quali tasti pigiare per suscitare in lei qualcosa era davvero impressionante.
    Degno di nota.
    E rispettava quel sentimento che negli ultimi tempi la professoressa aveva sentito nascere dentro e con il quale stava ancora cercando di venire a patti. Sostenne lo sguardo di Gin quando la definì “boomer” – non aveva tutti i torti, infondo – senza cadere nel tranello: era vero, Guadalupe non utilizzava nemmeno le emoji perché era quel genere di boomer. «Sai che preferisco una telefonata,» le rispose, con semplicità e una scrollata di spalle, aggiungendo subito dopo «o un incontro di persona. Non mi dispiace tornare anche tutti i giorni, questo locale, in effetti, è delizioso Il locale, e anche la proprietaria. Ma Lupe non era per quel genere di osservazioni esternate a voce, e preferiva tenerle per sé.
    Alla fine, l’importante era che avesse avuto successo nel suo intento, non importava il come: Ginevra era libera e Lupe poteva donarle il regalo di Natale che aveva comperato per lei.
    Far rimane Ginevra Linguini senza parole non era un compito facile, bastava chiedere a chiunque conoscesse la special per sapere che era così.
    Lupe ci era appena riuscita. Franklyn le avrebbe detto, non tanto scherzosamente, di segnarlo nel suo calendario di achievements personali. Chissà, forse lo avrebbe fatto più in la, ma per il momento voleva solo godersi l’espressione sul volto della giovane e bearsene. Non perché avesse vinto qualche stupido premio, ma perché era stata lei a suscitarla — con un gesto che, ad onor del vero, aveva stupito forse più la stessa messicana che l’altra.
    E dovette goderselo veramente quel momento, senza perdere nemmeno un guizzo dello sguardo o una vibrazione nell’aria, perché veloce com’era arrivato, sparì.
    Ginevra era pur sempre Ginevra.
    «ah beh, sarà in ottima compagnia, anche i miei cugini non hanno ancora affrontato la fase adolescenziale» su quello erano completamente d'accordo: attualmente insegnava a cinque di loro e alcuni li avrebbe collocati ancora in quella infantile. Ma erano pur sempre Linguini e, in quanto parenti della padrona di casa, Lupe temeva di non avere pieno diritto di insultarli. Peccato. Gin non si rifrenava di certo dal farlo ma, ancora una volta, erano parenti suoi, non di Lupe — il cielo solo sapeva quante cose dicesse su suo fratello, la messicana!
    Non si mosse, ma nemmeno irrigidì le spalle, quando la minore si avvicinò per lasciare un bacio all’angolo delle labbra, in un gesto chiaramente provocatorio e per nulla casuale. Così come lasciò che le prendesse la mano tra le proprie, e la stringesse un po’ a sé, ringraziandola. Il bar era poco affollato, ma non vuoto, eppure Lupe riuscì comunque a non lasciare che il pensiero di essere tra la gente la privasse di quel momento solo loro. Non era particolarmente fan delle effusioni in pubblico, ma Gin era rimasta sul discreto e la professoressa lo apprezzava.
    (Nonostante l’avesse stuzzicava volontariamente con quel bacio poco casto e puro.)
    O con quelle inaspettate parole in una lingua che non era né l’inglese, né l’italiano, ma aveva un suono che, seppur non sciolto e perfetto, la riportava comunque a casa. «gracias mi amor, yo soy muuy feliz»
    Far sorridere Guadalupe era difficile almeno quanto far rimanere senza parole Ginevra; ma in quel momento, sotto lo sguardo pieno di affetto dell’italiana, la docente di Erbologia si permise di sciorgliesi un po’; di mostrare i denti bianchi tra le labbra dischiuse, di ammorbidire lo sguardo e regalare un sorriso sincero alla sua amata.
    Sì, proprio così. Era la verità.
    «Prego Ricambiò il gesto, pronunciando quelle due sillabe in una lingua che le era poco familiare ma non sconosciuta; e non aggiunse altro, non per paura di sbagliare ma perch non c’era molto altro da dire. Non a parole, comunque. A gesti, Lupe strinse appena la presa sulla mano di Gin per farle capire che era contenta avesse apprezzato.
    «potrei insegnargli a dire culo così le nostre conversazioni sarebbero divertenti e familiari» Un’altra risata, stavolta meno dolce e più sfacciata, lasciò le labbra della prof. «Non ne dubito, cielito «ma forse qualche cliente potrebbe offendersi, ci penserò» «Non c’è fretta, ci vorrà un po’ prima che sbocci definitivamente.» Osservò la piantina non ancora germogliata del tutto, e il suo sorriso si fece un po’ più serio. «Tutte le cose belle impiegano tempo per nascere,» pensierosa, alzò lo sguardo verso Ginevra e terminò, «ma vale la pena aspettare.» Lei aveva atteso anche troppo, ed era felice di osservare i primi frutti di ciò che aveva inavvertitamente seminato nel proprio giardino.
    Li stringeva tra le mani in quel preciso momento.
    E a proposito di stringere, e di mani. Lo stava facendo; stringeva già il suo regalo — di Natale, e non solo. Ma, ancora una volta, non l’avrebbe detto ad alta voce. «significa che dovrai sudare un po’ per riceverlo, allora» «ah sì?» inarcò un sopracciglio, ricambiando l’aria di sfida della minore, «e vediamo, cosa dovrò fare? qual’è il gioco? la sfida d’altronde: non ce n’era sempre una, tra loro?!
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  13. .
    OMG! Ho trovato la figurina di wednesday dethirtheenth!
    link role: what doesn't kill you -- will probably try again.
  14. .
    OMG! Ho trovato la figurina di ginevra linguini!
    link role: bah humbug!


    69!1!!1!!1 E HO FINITO ZIA???? ASSURDO???!??! SBLOCCO IL BADGE!!!!!
  15. .
    guadalupe garcía ramos
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    Un día o jamás
    «signor Linguini.»
    Spoiler: non era il signor Linguini, ma la sua adorabile e polemica cugina.
    Oh, okay.
    L’espressione sul viso di Lupe non mutò, se non per farsi appena meno ostile; uno spiraglio di sorriso a curvare verso l’alto le labbra carnose. C'era chi si salutava con un ciao, e chi con un:
    «sembra… un culo»
    A ciascuno la propria otp.
    Anche imbacuccata come una eschimese, a quelle parole Lupe non avrebbe potuto non riconoscere la Linguini; la giornata della professoressa, suo malgrado, era appena migliorata.
    Il sorriso leggero le piegò un po’ di più le labbra, mentre lo sguardo scuro si posava con interesse sul viso arrossato dell'italiana, e prendeva nota della sua espressione maliziosa, della luce vispa negli occhi, del sorriso di chi la sapeva lunga.
    Guadalupe María Soledad García Ramos non aveva mai perso nemmeno un battito di ciglia in più del necessario per osservare qualcuno in un'ottica che non fosse puramente per la scienza, ma da quando aveva conosciuto Ginerva Linguini tutto era cambiato.
    Lei per prima.
    E ora, sempre più spesso si ritrovava ad osservare l'italiana solo perché era piacevole farlo, senza un fine o senza elementi da studiare, annotare, comprendere — per quello, in realtà, aveva già fatto pratica nel tempo, e conosceva ogni centimetro del viso di Gin, ogni neo e la costellazione di lentiggini chiarissime, ogni espressione e il loro significato intrinseco.
    La preoccupava il modo in cui Ginevra fosse diventata familiare in quell'ultimo anno, ma era anche una sensaziona piacevole, che Guadalupe non sapeva ancora spiegare. Alle volte, preferiva non farlo — ma poi si ricordava chi era e cadeva nelle solite abitudini da donna di scienza, attenta ai dettagli e alle sfumature. Era così che andava avanti, e che dava un senso a tutto quanto.
    Si mantenne seria, spalle dritte e sguardo incollato in quello della mora, le mani ancora incrociate sul libro chiuso. «a meno che, ovviamente, tu non abbia un appuntamento con qualcuno, in quel caso…» In effetti no, non aveva un appuntamento.
    Non aveva nemmeno pensato di avvisare.
    Spesso, negli ultimi mesi, si era recata al Bar dello Sport con la mera scusa di avere voglia di un caffè che potesse esser definito tale, quando in realtà lo sapevano bene entrambe che si recava lì per stare in compagnia di Ginevra — anche perché, Lupe beveva principalmente .
    Quindi si limitò a stringersi nelle spalle, un «non saprei, sei libera?» fin troppo audace per la solita Guadalupe García Ramos che tutti conoscevano, ma non di certo una novità per l'italiana, che aveva avuto modo di conoscere una Lupe ben diversa da quella che si mostrava a scuola, ma non per questo meno reale. Anzi. Sentiva di aver iniziato ad essere onesta con se stessa solo di recente, la prof. «C'è qualche argomento particolare su cui vorresti discutere Dal momento che, nove volte su dieci, i loro incontri finivano sempre in quel modo; la sua naturale predisposizione al dibattito era l'aspetto di Ginevra che aveva catturato l'attenzione della guaritrice in primo luogo, e anche ciò che la faceva tornare sempre lì per averne ancora, e ancora.
    Prevedere cosa avrebbe detto la Linguini era impossibile.
    Ma non sempre: Guadalupe aveva pur sempre in classe cinque dei suoi numerosi cugini, stava pian piano iniziando a capire come funzionava la mente italiana. Accentuò il sorriso, ricambiando quello di Gin. «Oh... pensi che la proprietaria del locale sarebbe d'accordo?» Per quanto appartarsi con lei fosse incredibilmente allettante, Lupe decise di indicarle la sedia libera di fronte a sé. «Non sono la persona adatta per interagire con altri clienti,» una confessione che non avrebbe sorpreso nessuno, men che meno Ginevra, «ma posso fare un'eccezione per te.» Ne aveva fatte molte, da quando la conosceva.
    Una volta accomodatasi, avrebbe fatto cenno alla ragazza di attendere un secondo — e se non si fosse seduta, l'avrebbe fatto comunque, indice a mezz'aria, impegnata a trafugrare con una mano in una borsetta di tela che aveva portato con sé.
    «Buon Natale»
    Poteva non essere una festività rilevante per la messicana, ma sapeva quanto Gin vi fosse legata, e Lupe conservava ancora con cura le piantine che la minore le aveva regalato l'anno precedente; ricambiare il gesto, quel Natale, era stato naturale, istintivo.
    Mise sul tavolo un vasetto, un piccolo seme a germogliare proprio nel mezzo.
    «È un baby groot,» spiegò, perché “il multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco”, cit.
    «Una volta sbocciato, assumerà delle fattezze umanoidi e sarà in grado di capire e farsi capire pur dicendo una sola parola. Sta a te decidere quale sia...» Gin, an intellectual: ipotesi.
    Si strinse poi nelle spalle, spingendo il vasetto in direzione della special. «Puoi tenerlo al negozio, non ha bisogno di particolari attenzioni se non di un po' di compagnia. E acqua, per crescere forte e sano. Al bar si troverà benissimo... Ma occhio alla fase adolescenziale,» fece una smorfia preoccupata, «non sarà una passeggiata. Tendono a sviluppare un bel caratterino.» Per usare un eufemismo; e lei, con gli adolescenti, aveva a che farci tutti i giorni.
    Che poi — non stava cercando di hintare inavvertitamente all'adozione o niente di simile, giuro, oddio ora che ci pensava forse poteva essere fraintendibile.
    Solo Ginevra Linguini era in grado di farle rimettere in discussione qualsiasi cosa; anche se stessa. Non aveva la più pallida idea di come ci riuscisse.
    Abbassò lo sguardo, Guadalupe, e si nascose dietro la tazza di tè.
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    so let the flames begin ©


    CITAZIONE
    18) [ON] un vasetto con terra e un seme che sta germogliando. questo seme, passata una notte... diventa una specie di piccolo umanoide. Hai adottato un baby groot! (dice solo una parola - a tua scelta - ma è senziente)
59 replies since 25/8/2021
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