drinks are cold, so am i

@SUB | Post MiniQ | Libera

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    Era rimasta a guardare le fiamme che avvolgevano i corpi degli ospiti del laboratorio fino alla fine, fino a quando la cenere non le aveva leggermente appannato la vista e il respiro si era fatto un po’ più pesante, un po’ più lento.
    Non aveva mai dimenticato l’odore acre dei cadaveri in fiamme, era come se fosse ancora lì, su quei vestiti ormai vecchi di anni, eppure così adatti a quel triste ritorno. Non pensava che avrebbe permeato ancora le sue narici, che il suo passato sarebbe tornato a farle nuovamente visita.
    Non aveva mai spolverato quel cappotto, permettendo soltanto al vento di allontanare dalle trame del tessuto tutto ciò che rimaneva di coloro che non ce l’avevano fatta; il pensiero di portarli ancora un po’ con sé, lontano dalla Russia, l’aveva tenuta a galla nei momenti più difficili. Per quanti chilometri avesse messo tra lei e la madre patria, il gelido freddo che le perforava le ossa non l’aveva mai abbandonata.
    Non avrebbe iniziato adesso a spolverare la cenere, non avrebbe iniziato adesso a smettere di credere in una seconda opportunità.
    “Un altro.” Ordinò al barista battendo il fondo del bicchiere ormai vuoto sul bancone, le iridi fredde incollate a quella collana da cui aveva fatto fatica a separarsi, cimelio di una missione suicida che era riuscita a portare a termine con non poca fatica e grazie a un gruppo di sconnessi sconosciuti su cui non avrebbe mai scommesso.
    La sua targhetta l’aveva barattata una vita prima, quando pur di avere qualche spiccio per mangiare era stata costretta a sacrificare il suo nome e la sua identità. Non ricordava quando era diventata Olga, non sapeva neanche perché, così come faceva fatica a pronunciare il suo nome, quasi fosse impossibile anche solo pensarlo.
    Mentre rigirava la placca tra le dita, si domandò se non fosse il caso di diventare qualcun altro, di evitare che anche quell’identità potesse andare perduta, che le persone si dimenticassero completamente dell’ennesima vittima di una rivolta che sacrificava i più deboli per rendere più forti coloro che già detenevano il potere.
    Buttò giù il liquido ambrato che riempieva nuovamente il suo bicchiere e respirò a fondo per qualche istante.
    Non aveva mai capito per quale motivo lei fosse ancora viva e gli altri bambini che erano con lei no, cosa le avesse dato la forza di scappare e di sopportare la fame, il freddo e la solitudine della fuga. Si chiese se fosse stata la paura di tornare nei lab, non di morire: la morte sarebbe stata solo una benedizione, il dolce miele dopo la più amara delle torture.
    “Un altro.” E la scena si ripeteva ancora. Era così abituata all’alcol russo che beveva quello inglese solo quando aveva voglia di ubriacarsi, di annebbiare la mente per porre un freno ai pensieri.
    Si voltò verso la sala alle sue spalle, i polpastrelli che disegnavano spirali continue sul legno, gli occhi che vagavano nella stanza alla ricerca di qualcosa che potesse attirare la sua attenzione.
    Spesso aveva scelto il SUB come meta notturna, perché la bellezza delle opere d’arte esposte leniva gli orrori che la sua mente le riproponeva a cadenza regolare, perché voleva ricordare a sé stessa che forse vivere non era poi così male, non se c’era un nuovo quadro o una nuova scultura da ammirare.
    Poggiò il mento sul gomito e inclinò piano la testa, osservando uno dei dipinti esposti nelle vicinanze, attratta dai colori vividi e vivaci, in pieno contrasto con i toni cupi dei suoi pensieri.
    “Forse dovrei comprarlo, ma temo sempre sia una fregatura.”
    Disse più a se stessa che a chiunque fosse in quel momento in ascolto.
    “Forse… forse dovrei continuare a bere.”
    Olga Ivanovska
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    Edited by so' lillo - 15/5/2023, 19:58
     
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    guadalupe garcía ramos
    20.01.1996
    el paso, tx
    «Forse dovrei comprarlo, ma temo sempre sia una fregatura.» Non sembrava stesse parlando con Guadalupe (o con qualcuno, in generale), ma la guaritrice annuì comunque, distratta, occhi rivolti al quadro in questione senza realmente guardarlo.
    Non era la prima volta che metteva piede al Sub, ma non poteva dire di essere particolarmente entusiasta del posto, o del genere d'arte che metteva in mostra; infatti, a distanza di anni dall'incontro con Ginevra, il punto di vista di Lupe sull'arte non era cambiato, trovandola ancora troppo interpretabile e, di conseguenza, troppo lontana dalla sua filosofia di vita per poterla apprezzare a dovere. Preferiva la concretezza, lei, e teorie inconfutabili e con radici che affondavano nelle certezze, nella ricerca scientifica. Sempre un controsenso, se detto da una strega, ma anche nella magia Guadalupe ci vedeva una scienza — non dico esatta ma quantomeno comprovata. Infallibile, per certi aspetti.
    L'unica incognita, da sempre, erano gli special ed era forse per questo motivo che, pur non odiandoli e non condannandoli solo per convenzione sociale, la loro mera esistenza metteva a disagio la professoressa. Erano la prova che anche la scienza, nelle mani sbagliate, poteva fallire e dare vita a qualcosa di imprevisto e incontrollabile.
    Contronatura.
    Erano pensieri, tuttavia, che ultimamente si perdevano e confondevano sempre più nella psiche della dottoressa, specialmente quando da quasi due anni frequentava una di loro e non riusciva a vedere nulla se non perfezione nello sguardo vispo di Ginevra, nelle sue forme morbide e nei suoi gesti esagerati e italiani; convincersi che fosse anche lei, seppur costretta e contro la sua volontà, un qualche scherzo della natura era sempre più difficile, così come lo era però riuscire a smettere di pensare che gli special fossero, a tutti gli effetti, un difetto in una società altrimenti perfetta.
    Ma quelli erano pensieri che, di solito, Guadalupe teneva per i giorni più difficili, quelli in cui la stanchezza permeava un ogni fibra del suo corpo e metteva a dura prova persino la mente, solitamente più lucida e affilata di così.
    Quel giorno era esattamente uno di quelli.
    Troppo lavoro nei laboratori del San Mungo, troppe incertezze fuori da quelle stesse quattro mura; troppa incompetenza nelle aule di Hogwarts. Certe volte le veniva di domandarsi chi glielo avesse fatto fare di abbandonare il Sud America e costituirsi una vita in un paese così… pieno di difetti e inidoneità. I laboratori dove aveva studiato e conseguito gli studi potevano anche non aver avuto la strumentazione d'ultima generazione, ma perlomeno i suoi colleghi erano stati tutti all'altezza delle aspettative e in grado di analizzare e risolvere con precisione ed esperienza qualsiasi problema.
    Non poteva dire lo stesso di alcuni guaritori del reparto di tossicologia dell'ospedale inglese.
    «Forse… forse dovrei continuare a bere.»
    Alla donna al suo fianco rivolse ancora un cenno vago del capo, sempre più convinta che non stesse parlando con lei, ma più rifugiata in se stessa e nei suoi pensieri, proprio come la dottoressa messicana.
    Tuttavia Guadalupe, pur da sempre portata al silenzio e, come dicevano i ragazzini della sua classe, a farsi gli affari suoi, si ritrovò suo malgrado ad alzare il bicchiere di vino che stava sorseggiando e a muoverlo appena in direzione della sconosciuta, in un gesto di solidale accordo. Un «forse» che sapeva più di convinzione che di dubbio, e un mezzo sorriso a piegare le labbra che però non raggiungeva lo sguardo scuro; non stava promuovendo l'alcolismo, ma per esperienza personale sapeva che un sorso o due di tequila aveva la tendenza a mettere tutto in prospettiva, a rendere tutto più chiaro.
    Sperava il vino, invece, quella sera la aiutasse a mettere un freno a tutti i pensieri e lasciarsi dietro la mole di lavoro che, sapeva bene, avrebbe finito col protrarsi con sé anche a casa, perché finiva sempre così, con Guadalupe.
    castelobruxo
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    people sucks,
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1 replies since 30/3/2023, 20:42   91 views
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