Votes taken by yeet!

  1. .
    nome pg: Clayton Morales
    fazione: pro
    dov'è: RAPITO OBLINDER O MINIQUEST

    nome pg: marcus howl
    fazione: pro
    dov'è: RAPITO OBLINDER O MINIQUEST

    nome pg: barrow skylinski
    fazione: pro
    dov'è: ULTIMA SETTIMANA — NORMALE

    nome pg: check vibe
    fazione: pro
    dov'è: PARTECIPANTE QUEST CHE NON E' NELL'ULTIMA SETTIMANA

    ——————————

    nome pg: taichi lìmore
    fazione: contro
    dov'è: ULTIMA SETTIMANA — OSTACOLO NELLA BOLLA

    nome pg: murphy skywalker
    fazione: contro
    dov'è: RAPITO OBLINDER O MINIQUEST

    nome pg: moka telly
    fazione: contro
    dov'è: RAPITO OBLINDER O MINIQUEST

    nome pg: joni peetzah
    fazione: contro
    dov'è: PARTECIPANTE QUEST CHE NON E' NELL'ULTIMA SETTIMANA

    nome pg: benjamin millepied
    fazione: contro
    dov'è: PARTECIPANTE QUEST CHE NON E' NELL'ULTIMA SETTIMANA

    nome pg: leonard vaughan
    fazione: contro
    dov'è: RAPITO OBLINDER O MINIQUEST

    nome pg: edward moonarie
    fazione: contro
    dov'è: ULTIMA SETTIMANA — NORMALE
  2. .
    nome pg: barrow skylinski
    classe: sentinella luminare
    (solo se special) potere: //
    arma: balestra
    punti salute a fine settimana: 73
    punti attacco / punti difesa: 23pa / 35pd
    (se switch) partecipa per: Barry e Ficus (master +5pd)

    nome pg: edward moonarie
    classe: guerriero berserker
    (solo se special) potere: //
    arma: fucile d'assalto
    punti salute a fine settimana: 51
    punti attacco / punti difesa: 27pa/25pd
    (se switch) partecipa per: Eddie e Joni (leader)

    nome pg: Taichi Lìmore
    classe: difensore anatema
    (solo se special) potere: atmo... cinesi? (ahah.)
    arma: cerbottana
    punti salute a fine settimana: 57
    punti attacco / punti difesa: 18pa/20pd
    (se switch) partecipa per: ty e check (mago)
  3. .

    when
    oct. 23
    where
    quovadis
    who
    corycorycory

    f l a m e s
    voleva solo mangiarsi in pace il suo gelato, cory: vivere alla giornata, tra uno scippo e l'altro, richiedeva un refill costante di calorie da trasformare in energia. stare fermo, per il vaughan, non era mai stata un'opzione valida.
    «ci vediamo fra poco?» davvero strano come funzionasse la mente umana. la voce del ragazzino ebbe come unica reazione quella di fargli piegare il capo nella sua direzione (esattamente quella che avrebbe dovuto prendere lui per uscire dal vicolo? si, ovvio), ma nel posare le iridi acquamarina sulla figura minuta si rese conto di aver già registrato la sua presenza. ad un livello inconscio, probabilmente: era certo di aver prestato attenzione solo ai dettagli importanti — lo sguardo vuoto di Barbie, il cassetto con i soldi, le mani della vecchia che lo palpavano nel tentativo maldestro di liberarsi dalla presa.
    eppure allo stesso modo sapeva mood fosse stato nel locale tutto il tempo.
    uno studentello qualunque, a giudicare dalla divisa, che non aveva niente di familiare.
    anche perché sarebbe stato peculiare il contrario: gli ultimi che si era trovato di fronte li aveva quasi uccisi; una, in particolare, avrebbe certamente voluto uccidere lui. per tutta una serie di motivi di cui a Leonard, purtroppo, non poteva interessare un cazzo di meno. Se era ancora per la storia del fratello, che liz lo voleva morto, avrebbe fatto bene a ragionare su quanto accaduto e mandare maluma da un bravo psicoterapeuta — un tentativo di suicidio con la testa nel secchio (si, aveva assistito anche a quella scena, cory) poteva essere una coincidenza, due in una sola lezione diventava un problema serio.
    il sorriso di mood, quella piega appena accennata delle labbra, una timida ostentazione di cortesia e buone maniere; creati ad hoc per provocare un effetto ben preciso, stavano scatenando l'esatto contrario: evidentemente aveva un problema con gli adolescenti, il vaughan. Soprattutto quelli che solo a guardarli in faccia provocavano una martellante fitta di dolore proprio in mezzo agli occhi. Punto che andò a sfiorare premendo il polpastrello, la radice del naso stretta tra le dita «e' stato divertente?» mera curiosità. Magari si sbagliava, e la presenza dei riccioli scuri alle sue spalle mentre svuotava la cassa del bde se l'era solo immaginata — difficile, ma non impossibile: gli capitava più spesso di quanto fosse disposto ad ammettere.
    aveva dei bei capelli, però.
    e questo non c'entrava fottutamente niente.
    prese un ultimo assaggio di gelato, in attesa di una risposta che probabilmente non sarebbe arrivata; aveva la possibilità di andarsene e l'avrebbe fatto, Leonard. anche solo per inghiottire a secco un'aspirina come piaceva tanto fare ai babbani. o un po' d'erba, che forse per il suo, di problema, era più utile. si avvicinò ad uno dei bidoni sul retro del locale, lasciandoci cadere dentro quanto rimaneva del cono come un qualunque essere civilizzato che si rispetti: poteva giustificare le rapine a mano armata, e il sesso assolutamente consensuale con un minorenne che non sapeva essere tale, ma tirava una linea sul gettare i rifiuti per terra. antiche reminiscenze di un'educazione, per certi aspetti, piuttosto ferrea.
    per altri, insomma, si poteva dire non fosse servita a molto.
    scusa martha.
    quindi, per chiarire, di nuovo:
    aveva la possibilità di andarsene e l'avrebbe fatto.
    se solo, forse, nel passare accanto a Mood non avesse deciso di lasciar scorrere lo sguardo sul volto del sedicenne (hhh) — per immagazzinare nella mente la fisionomia di un probabile testimone, mica per altro; notando qualcosa con la coda dell'occhio che avrebbe fatto meglio a non notare. la frazione infinitesima di un istante, una domanda ovvia a solleticare la mente e poi subito relegata in un angolo dove non potesse fare danni.
    no, che non lo conosceva, mannaggialaputtana.
    doveva averlo fissato troppo a lungo, perché in un attimo quello che era solo silenzio si trasformò in rumore. il cigolio di una porta d'acciaio, scarpe da ginnastica a pestare il cemento, l'inequivocabile sibilo provocato dalla frizione di due oggetti — décolleté in pelle contro asfalto, a voler azzardare un'ipotesi.
    allora Leonard agì d'istinto, e non certo perché rob aspettasse soltanto una scusa che fosse una: così vicino da dover semplicemente fare un passo di lato e allungare un braccio, avvolgendo le spalle del ragazzo; solo un battito di ciglia, prima di ritrovarsi la schiena di mood aderire al petto. dove se lo tenne, stretto, la canna della semiautomatica a premere contro la colonna vertebrale. doveva essere la giornata del prendi un ostaggio e portalo a casa quella.
    il tipo di attività bonding time che uno come Edward Moonarie poteva solo apprezzare «oops» come lo sticker preferito di rob, l'uomo vestito da marinaretto portò entrambe le mani a coprire la bocca, lasciando così cadere con un tonfo la vecchia tenuta fino a quel momento da sotto le ascelle. era lei che stava trascinando, Eddie, ancora bella che svenuta — mica potevano lasciarla stesa davanti al bancone a sbavare sul pavimento come un qualunque passeggero del 104 Lecce-Pescara, no? spaventava la clientela più della presenza del Moonarie, il che diceva molto sulla gente che frequentava abitualmente il BDE.
    «non volevo interrompere, continuate pure» qualunque cosa stessero facendo quei due nel vicolo, lungi da Eddie giudicare; men che meno aiutare, se è questo che il ragazzino si aspettava (probabilmente no). di nuovo chino sulla signora, la trascinò ancora per qualche metro, sistemando il corpo con la schiena appoggiata al muro — aveva almeno cinque palline di carta appiccicate sulla fronte, nemmeno l'avesse usata come tiro a segno prima che Barbie gli chiedesse GENTILMENTE di portarla fuori.
    avrebbe potuto allentare la presa, a quel punto, Leonard.
    stringere un po' meno l'avambraccio contro il torace del ragazzo.
    non lo fece.
    anche quando Edward sparì nuovamente oltre la porta sul retro del locale, i muscoli del ventiduenne rimasero tesi; mantenne le iridi chiare sulla donna svenuta, perché per qualche motivo sembrava più semplice valutare la situazione (e le possibili vie di fuga) osservando il dito che Eddie le aveva messo nel naso piuttosto che spingere via Mood ed effettivamente levarsi di mezzo «hm— dejavù» la vecchia moribonda o il calore dell'altro a bruciargli i polmoni, questo ovviamente non era dato a sapersi.




    sottone bastardo.

    leonard
    vaughan
    But when I near you I feel flames
    I touch the fire I get burned
    I feel this rush beneath my feet it's like I'm falling
    gif: richietozsier.tumblr.com
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it
  4. .

    when
    28.10.'23
    where
    whitmore mansion
    who
    w/ julian

    haunted house

    «joni?»
    sollevando il mento, si ritrovò ad incrociare lo sguardo di Julian: morbido, le palpebre pesanti a chiudersi lentamente sbattendo ciglia troppo lunghe. aveva sempre quella punta di imbarazzo ad illuminare le iridi color cioccolato fuso, come se ogni momento di intimità tra loro fosse ancora il primo, e ne avesse da stupirsi ogni volta.
    in effetti, stupiva anche joni.
    «mh?» sostenendo il proprio peso su un gomito, prese al volo l'occasione per osservare il diciannovenne (oddio quanti anni hai Giuliano.) dall'alto: più unica che rara, e solo perché erano sdraiati una accanto all'altro — piccole soddisfazioni.
    lo vide dischiudere le labbra.
    sentì il torace espandersi sotto le proprie dita, mentre prendeva una boccata di ossigeno e, insieme, tempo.
    in quell'istante, prima che Julian potesse cedere all'impulso di abbassare lo sguardo e mordersi l'interno della guancia, joni peetzah seppe esattamente cosa il suo ragazzo volesse dirle.
    dopotutto, era solo questione di tempo.
    e non è che non se l'aspettasse: una parte di lei, quella più restia a mostrarsi e aprirsi al mondo esterno, aveva riconosciuto i sintomi; sembrava sempre che il Bolton avesse quel non detto sulla punta della lingua, costantemente ricacciato in gola per il timore di spaventarla. avrebbe avuto ragione — la sola idea la terrorizzava.
    non si sentiva pronta, joni.
    per affrontarne le conseguenze, scendere a patti con il fatto che fosse ormai inevitabile, no turning point.
    poteva fare uno sforzo, però: perché se lo meritava, Giuliano, e forse nessuno più di lui «puoi dirlo,sai?» seguì con i polpastrelli la linea precisa della mascella, puntellando sotto il mento affinché tornasse a guardarla; certe cose andavano sussurrate occhi negli occhi, o taciute per sempre. «posso?» oh, Bolton. gli diede uno schiaffone buffetto sulla guancia, entrambe le sopracciglia arcuate in quell'espressione joni™ che indicava senza mezzi termini di non tirare troppo la corda «ok, allora—»
    julian: [INHALE]
    joni:
    julian: [EXHALE]
    «MANCANO SESSANTUNO GIORNI A NATALE JONI AIUTO MA TI RENDI CONTO È POCHISSIMO PERCHÉ IN RADIO NON STANNO ANCORA MANDANDO MARIAH CAREY IN LOOP THE DISRESPECT POI DEVO COMPRARE LE DECORAZIONI MA L'ALBERO POSSO REGALARTELO DAI PENSA CHE BELLO CON TUTTE LE LUCINE E—[inconsistent christas rant continues]»
    cioè, capito.
    e se l'era pure scelto.


    con il senno di poi, forse si poteva dire avesse commesso un errore di valutazione.
    ammetterlo era, ovviamente, un altro paio di maniche: neanche sotto tortura, e se la situazione fosse precipitata era probabile ci finisse, avrebbe confessato che l'idea di trascinare Julian in una delle tante case abbandonate di Londra era già azzardata in partenza.
    voleva solo, e qui cito testualmente, fargli provare tutta la Halloween experience prima che fosse troppo tardi [Alessia in the background: nearly death experience*] — giravano abbastanza voci su Whitmore mansion da renderla una tappa interessante, anche se solo la prima del tour che joni aveva organizzato appositamente per quella serata. nemmeno credeva fosse infestata davvero (non aveva mai visto Casper da bambina and it shows) ma era convinta di poter affrontare un'eventuale svolta paranormale: le ultime parole famose.
    «aiutami» questa, invece, fu l'unica che joni rivolse a Mina, quando la donna fece il suo ingresso nell'ampio salone, ritrovandosi di fronte ad una scena che con sé portava davvero pochi dubbi e qualche domanda: difficile scorgere nella penombra un centimetro di pelle chiarissima che non fosse ricoperto di sangue. non era suo, e nemmeno di Julian, sebbene il ragazzo disteso a terra non avesse affatto un bell'aspetto; qualunque entità avessero fatto incazzare mettendo piede in quella casa, aveva evidentemente un kink alla Carrie, e prima di prendere in prestito il corpo del portiere come rifugio temporaneo, aveva pensato bene di far fare alla peetzah una doccia alternativa «non riesco a svegliarlo» in ginocchio sul pavimento di legno che scricchiolava ad ogni tremito di Julian, joni rivolse alla Campbell uno sguardo che raramente nella vita si era concessa di far trasparire — dylan che si spegneva lentamente in un letto dell'infermeria; mac e hans che non facevano ritorno.
    il bello di affezionarsi alle persone, am I right?

    joni
    peetzah
    North or south is the only way
    I know I cannot tire
    A haunted house that's built to stay
    Is setting me on fire
    gif: emziess.tumblr.com
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it


    allora!!! Julian [pg di Alessia, ho chiesto il permesso di sfruttarlo per i nostri comodi e ho ottenuto carta bianca : D) è posseduto!!!!! da.. boh un fantasma, un'entità, qualcosa di sicuramente poco simpa. joni e Julian sono arrivati poco prima di mina e... basta credo, HELP ME WILHELMINA KENOBI YOU'RE MY ONLY HOPE
  5. .
    HTML
    <i class="fas fa-angle-right" aria-hidden="true"></i> [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/m/?t=62859725]i could take the high road but i know that i'm going low[/URL]ft. <s>cory</s> Leonard [agosto '23- dark street]
  6. .
    leonard vaughan
    This is the sound we make
    When in between two places
    Where are we used to bleed
    And where're our blood needs to be
    «oddio!» affascinato, sedotto, sposato: leonard portò entrambe le mani al volto, posando i polpastrelli sulle labbra — il sangue sulle nocche era ancora fresco, ma si era premurato di passare i palmi tesi contro la stoffa della maglietta, prima di toccarsi la faccia.
    prEVenZiONe!1!
    «ma quella è una barretta Scrunchy????» la confusione sui volti tumefatti dei due ragazzi (ragazzi???? avranno avuto si e no l'età dei tipelli che voleva paccarsi elisa, quindi massimo tredici anni) era palpabile, e il vaughan li aveva già presi a cuore; gli facevano tenerezza, perché era evidente che a neuroni fossero messi parecchio male. per agevolare la connessione dei puntini, allungò un braccio verso quello più vicino, che si ritrasse per istinto.
    e in egual modo Leo sorrise, mostrando la mano aperta: la stessa con cui gli aveva tenuto ferma la testa mentre le nocche dell'altra spaccavano la cartilagine del setto nasale — ora la offriva come segno di pace, se non proprio un invito a stringerla «quella che hai in tasca. è una barretta Scrunchy, si mangia» e questa volta, quando flettè leggermente le dita, il ragazzino capì al volo «grazie, sei davvero molto gentile. accetto volentieri» stringendo il dolcetto nel palmo, il ragazzo tornò a raddrizzare la schiena e le spalle, osservando i più giovani dall'alto: in effetti non era un bello spettacolo.
    «conviene che te lo fai sistemare, o rimarrà storto» l'aria greve con cui l'affermazione gli uscì dalle labbra, seguita da un sospiro quasi nostalgico, lasciava intendere che ne sapesse abbastanza. contare le volte in cui Raph lo aveva rattoppato, prima di darlo per morto, gli avrebbe portato via un pomeriggio intero. mise in bocca la barretta e diede un morso, godendo per un istante del crepitio sotto i denti, un rumore familiare a riempire le orecchie; poi fu costretto a backare on crack — era un duro lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo.
    «la prossima volta che non sapete come occupare il tempo, vi consiglio una cazzo di biblioteca» anche perché la loro alternativa non gli era sembrata delle migliori. bullizzare i senzatetto? daje, e che è, Arancia Meccanica? che poi Leonard vivesse effettivamente sotto i ponti era un altro paio di maniche, il concetto sbagliato lì era quello di fondo: la noia li aveva spinti tra i vicoli di dark street, con troppi soldi in tasca (e una barretta Scrunchy) e bacchette alla mano che non potevano usare, cercando e trovando la vittima sbagliata. una che a malmenare degli sgagni non ci pensava certamente due volte (ciao Barbapapà ❤).
    con un ultimo sospiro, a lezione terminata, si strinse nelle spalle, la giacca a ricadere troppo larga sul corpo asciutto: l'aveva recuperata dal camion di Crofton — «prendi quello che ti serve», aveva detto, e Leo non aveva esitato a riempirsi le tasche; era almeno di due taglie più grande, e faceva decisamente caldo per una giacca di quel genere, ma la temperatura esterna sembrava essere l'ultimo dei suoi problemi.
    da quando aveva riaperto gli occhi sul mondo asettico racchiuso dentro una stanza al piano interrato del ministero, il freddo dell'acciaio contro la pelle non lo aveva mai abbandonato. quasi fosse penetrato attraverso i muscoli e le ossa, sostituendo il sangue con un brivido perenne
    «a buon rendere» li scavalcò entrambi, curandosi di tirare un calcio alla bacchetta di quello con il naso rotto, rotolata a terra quando il biondo aveva reagito al primo colpo mandando il ragazzino gambe all'aria.
    perché lo avevano pure colpito! ci credete??? il fottuto disrespect. alle spalle, poi, niente di meno: portò distrattamente una mano alla nuca, dove il bastone (era un bastone??? non ci aveva fatto davvero caso, sul momento) aveva impattato contro la pelle sottile lacerandola in due punti. ferite superficiali, tutta scena— non fosse stato per il sangue ad imbrattare i capelli biondi, resi ancora più chiari dal sole estivo (che per fortuna del Vaughan non era OGM quanto quello della Puglia), nessuno ci avrebbe fatto caso.
    fu quasi tentato di raccogliere il catalizzatore, come aveva fatto un mese e mezzo prima con quello della guardia che Crofton si era premurato di stendere come un tappeto (chiedete a Lollo, lui sa cosa intendiamo), ma in cuor suo sapeva non avrebbe funzionato. di nuovo. così andò oltre, seguendo il marciapiede e costeggiando il muro degli edifici malmessi, una barretta stretta nel pugno e l'altro affondato nella tasca; non gli importava nemmeno troppo di dare nell'occhio, con quella giacca fuori stagione: sembrava che a nessuno fregasse più un cazzo. di loro, della fuga inspiegabile, delle informazioni che non erano riusciti ad estorcergli nemmeno sotto tortura.
    il Ministero aveva il suo capro espiatorio.
    due, per l'esattezza.
    avrebbe dovuto provare qualcosa in merito, Leonard; avrebbe voluto. ma ogni volta che si soffermava su quei giorni interminabili, sulle ore passate a fissare una porta, in attesa, con le dita di Dora a scavargli nella carne tanta era la forza con cui si era aggrappata al suo braccio, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era quanto fosse contento di essersela svignata lasciando Thérèse al suo destino — mors tua vita mea eccetera eccetera.
    trovò rapidamente un altro vicolo appartato (aka senza spaccini appostati: erano insistenti e coercitivi quanto un venditore di rose, quasi impossibile imporre un rifiuto), dove sedersi a fare la conta del bottino.
    tanto per cominciare, la Scrunchy era già finita.
    I... sad.
    ma in tasca aveva ancora i galeoni scippati ai ragazzini, e quando fece per tirarli fuori si portò dietro anche un pezzo di carta piegato in due; carta di giornale, per essere precisi. perché se lo portasse dietro, ormai da un mese, era un mistero: se qualcuno l'avesse chiesto a lui, Leo avrebbe risposto che si trattava di un reminder. nemmeno tanto friendly, al pari delle (innumerevoli) rare volte in cui la mente vagava tornando a quella cazzo di nave di merda (gli mancava tantissimo), ai sogni che non voleva ammettere di fare anche se li faceva.
    corycorycory.
    vividi.
    terribili raga, giuro.
    anche se sapeva già il contenuto dell'articolo, si premurò comunque di lisciare il foglio strappato sulla gamba, iridi verdi ad incupirsi come la superficie del mare increspata dal vento di una tempesta in arrivo; ogni parola produceva un'onda. la foto, poi, richiamava bestemmie direttamente dal profondo degli oceani «quegli infami» e c'era ancora un moto di affetto, nella voce roca, la nostalgia canaglia a fare capolino rotolando sulla punta della lingua, mentre guardava i volti dei suoi familiari muoversi appena nella fotografia, le lacrime impresse sulla pellicola magica.
    beh, sticazzi che piangevano: era il suo funerale, quello.
    si chiese, per la milionesima volta, se nella bara che avevano fatto seppellire ci fosse qualcosa (sassi? la vecchia divisa di scuola? la sua mazza da baseball scheggiata sul manico?), e per la milionesima volta accantonò quel pensiero senza nemmeno tentare di fornirsi una risposta. tutto sommato, non gliene fregava abbastanza. quanto avessero aspettato prima di darlo per morto, invece, era un'informazione che non mancava mai di titillargli quell'angolo della mente adibito a storage unit per il rancore e le questioni legate al dito — almeno 1 terabyte di spazio occupato, e ancora un paio da riempire. qui non si bada a spese [cit. John Hammond mentre guarda i suoi dinosauri geneticamente modificati mangiare la gente]
    premette un dito (rigorosamente il medio) sulla faccia del fratello maggiore, dedicando a Raphael l'ennesimo, telepatico vaffanculo: persino immortalato in quella posa, le spalle curve in avanti e una mano a coprire il viso, sembrava sussurrargli il solito te l'avevo detto.
    ed era vero.
    gliel'aveva ripetuto sempre, in un loop infinito.
    ti stai cacciando in un guaio, leo.
    and guess what?
    con un sospiro, l'ennesimo, il Vaughan ripiegò l'articolo di giornale con impronta insanguinata annessa, ficcandoselo in tasca dove le monete tintinnarono allegramente, rimettendo il ragazzo di buon umore all'istante. se qualcuno non avesse deciso di interrompere il suo momento di raccoglimento™, sarebbe stato più felice «serve qualcosa?» chiese, premendo la schiena contro il muro di mattoni alle sue spalle, la mano libera appoggiata sul ginocchio e la mancina chiusa a pugno nella tasca della giacca: li dove teneva il coltellino a scatto che uno strano bimbetto (sandwitch, così si era presentato) gli aveva regalato due settimane prima insieme ad un frappé bevuto a metà.
    rivolse le iridi verde acqua alla figura, reclinando la testa verso una spalla, in attesa.
    una foto
    un autografo
    una botta

    se ne poteva discutere.

    gif code
    22
    austin, tx
    100% done



    è andata così, dovevo seguire l'onda. se avete domande sulla situazione di cory leonard post MAGO chiedete pure, per il resto VIECCETE
  7. .
    CITAZIONE
    questo secondo me è un TW emotivo.

    gifs25 (ish)captain, thiefjohn cory silver
    currently playing
    sweet little lies
    bülow
    we can go and play pretend.
    you and me, in an empty room, they can't get in, only room for two. if you play your part and i play mine too, I'll never takes my eyes off you
    poteva ignorare il dolore, Cory.
    accoglierlo, persino — come un vecchio amico, una spalla su cui far riposare la testa e i pensieri. così abituato a sentirlo scorrere sotto la propria pelle da non farci più nemmeno caso: ne sentiva quasi la mancanza, a volte.
    una consapevolezza che avrebbe tenuto per sé.
    e per thero, al quale evidentemente non riusciva a nascondere nulla; non il proprio corpo, che reale lo era solo per loro due e solo in quel momento fisso nel tempo, e certo non la propria mente. anche volendo (e non voleva, porca puttana), ormai il danno era fatto — c'era stato un click, l'ennesimo interruttore a scattare, aprendo una porta che il ragazzo non era in grado di richiudere.
    fosse stato più lucido, presente a se stesso, si sarebbe chiesto se lo avevano previsto tutto quello; se quando si erano messi a ravanare nel cervello della gente sapevano, quei pezzenti bastardi, che una cosa del genere poteva succedere.
    ma non era lucido per niente, cory.
    silver.
    john.
    aveva solo il sapore del sale e quello del ragazzo sotto la lingua, un desiderio spasmodico a martellare nella testa e nel petto; pizzicava ogni centimetro di pelle e muscoli, bruciava dall'interno. era il tipo di sofferenza che non poteva sopportare, perché non arrivava dal dolore ma da qualcos'altro: un bisogno. istintivo, naturale, disperato. vi si era aggrappato come un naufrago allo stremo delle forze, e nemmeno sapeva, cory, in quale mare stesse annegando.
    o, meglio.
    tra le assi di legno che scricchiolavano sotto il loro peso e la salsedine ad impregnare vestiti ormai dimenticati, il capitano poteva fingere di non sapere — lo avevano costretto su quella nave per spezzarlo, e contro ogni previsione gli avevano offerto la sua unica via di uscita. effimera, certo, ma era tutto ciò che gli rimaneva.
    e voleva divorarne ogni centimetro, tenersela stretta fino all'ultimo secondo.
    quello che sapeva sarebbe arrivato, Cory, perché poteva ingannare se stesso (e mood) solo fino ad un certo punto.
    «capitano?» involontariamente — non proprio — strinse un po di più. la mano che premeva tra i capelli ricci, contro la nuca, e le dita ancora infilate sotto l'elastico dell'unico indumento rimasto; ogni singolo muscolo del corpo a tendersi e guizzare, in attesa. una vibrazione ormai costante, quella che il ragazzo sentiva crescere nel petto ed espandersi lungo gli arti, quasi impossibile resistere alla tentazione di affondare i denti mentre la voce roca di thero gli si infrangeva addosso. per sentire il sapore di entrambi, e quello metallico del sangue rimasto sulla punta della lingua.
    «bastardo»
    solo allora si sforzò di sorridere.
    un accenno affilato, la piega sottile delle labbra divenute quasi insensibili a forza di cercare quelle dell'altro; e trovarle «ho anche dei difetti» un elenco molto lungo che non aveva alcuna intenzione di stilare proprio in quel momento. né mai: non era prevista la concessione di un dopo, per loro.
    non era certo di poterne avere uno nemmeno per se stesso, Cory — john.
    che, al contrario di quei ricordi romanzati su una vita di avventure e tempeste, reale lo era per davvero; tangibile, e perso.
    avrebbe potuto fare un minimo di resistenza, quando l'altro lo invitò gentilmente a voltarsi, ma non ci provò nemmeno. accolse le assi di legno contro la fronte quasi con sollievo, Cory, una sensazione familiare e solida sotto i polpastrelli: conosceva ogni centimetro di quella nave, il più piccolo dettaglio immagazzinato nella mente. l'aveva sognata, immaginata, creata dal nulla, aggiungendo una parte di sé mentre qualcun altro dipingeva uno scenario più ampio. ma l'aveva fatta sua, in segreto, senza farsi notare troppo — perché era l'unico modo per non impazzire. e thero? non l'aveva previsto, ma voleva fosse suo ugualmente.
    qualcosa che non poteva davvero avere. come quella nave, quel mare in tempesta, quella vita che sapeva di libertà e di lasciarsi tutto alle spalle.
    un gemito roco gli risalì dalla gola riarsa, e dovette imporsi di non aumentare il ritmo, fino a quel punto blando e frustrante, con cui le dita di entrambi avevano continuato a muoversi sul proprio corpo. perché non sarebbe stato sufficiente, solo un antipasto che lo avrebbe lasciato con ancora un'onda di desiderio da soddisfare.
    se lo sentiva premere ovunque il corpo asciutto di thero, e ancora non bastava.
    si chiese
    questione di un istante, prima che il pensiero fosse spazzato via dell'ennesimo contatto febbricitante, la bocca del ragazzo a chiudersi sulla pelle incendiando ogni centimetro esposto e tutti i neuroni rimasti integri
    se lo avrebbe mai fatto.
    bastargli.
    mentendo a se stesso, decise che sì, poteva. non aveva alternative, «cory»: ma perché cazzo doveva fargli quell'effetto. un nome che non era nemmeno il suo, e aveva comunque la capacità di scaldare il sangue nelle vene fino a farlo ribollire; rendendo tutto il resto rumore bianco, problemi di qualcun altro. passò la punta della lingua sulle dita del ragazzo, mordendo piano, la schiena leggermente inarcata a cercare contatto anche con quell'ultima porzione di pelle finalmente libera dal tessuto.
    «se lo chiedi così gentilmente»
    e c'era l'esatto opposto, nella voce roca del capitano, un'urgenza a graffiargli la gola. avrebbe fatto qualunque cosa thero gli avesse sussurrato all'orecchio, perché poteva permettersi di assecondarlo almeno in quello, ma le richieste del ragazzo corrispondevano esattamente a ciò che Cory voleva. non importava che fosse una coincidenza, o l'inevitabile ripercussione di un intreccio mentale che nessuno dei due aveva saputo sciogliere per tempo — al contrario di mood, john sapeva bene cosa farsene della sua rabbia. aveva passato troppo tempo, in un'altra vita, a permetterle di annebbiargli la vista e risucchiare l'aria dai polmoni, lasciandolo con una sensazione di vuoto nel petto che chiedeva costantemente di essere riempito; un circolo vizioso.
    nel voltarsi afferrò entrambe le spalle di thero, una mano a premere contro la base della nuca nel risalire, tirarselo di nuovo addosso. e cercare la sua bocca con i denti prima ancora che le labbra, catturando il proprio nome nel momento stesso in cui l'altro lo faceva scivolare sulla lingua. aveva finito di dire cazzate, Cory, almeno per un po': farle, era un altro discorso.
    cosi gentile, il mozzo, da offrirgli tre (ipotesi. quelle che rob sta elencando dal momento in cui ha iniziato a scrivere questo post) possibili conclusioni su un piatto d'argento; non esisteva centimetro di quella nave sul quale cory non avrebbe voluto imprimere il corpo dell'altro, ma doveva essere pragmatico.
    fare una scelta.
    e in quella scelta era implicito il bisogno di continuare a guardarlo, incapace di interrompere un contatto visivo del quale thero avrebbe forse fatto a meno — problemi suoi.
    spinse l'altro all'indietro, seguendolo nel breve tragitto fino ad incontrare una delle casse, perché la strada per il pavimento era troppo lunga e ci teneva a salvaguardare le ginocchia, cory (giunture deboli, troppa umidità) «il mio unico rimpianto—» quasi non riconobbe la propria voce, un ottava troppo bassa, impastata, ogni parola una tortura per i polmoni affamati d'aria. ma aveva poca importanza; doveva dirla, la sua ultima cazzata, perché di tenersi le cose dentro sembrava fosse semplicemente incapace. con il peso del proprio corpo febbricitante lo tenne giù, schiena a premere contro il legno fibroso; non una sistemazione particolarmente comoda, ma a quel punto dubitava contasse qualcosa.
    forse non aveva mai contato un cazzo.
    «è non avervi buttato in mare prima di rendermi conto che ti volevo» in quel breve lasso di tempo tra l'inizio della lezione e il fateggio derogatory di Alessia, quindi. inclinò la testa e lo baciò, di nuovo, scegliendo quei punti che sapeva essere più sensibili, succhiando la pelle sottile tra i denti mentre il sangue pulsava appena sotto la superficie. avrebbe potuto contare ogni singolo battito a fior di labbra, e lo fece. portando il palmo della mancina alla sua, di bocca, affinché there vi passasse sopra la lingua (e qui giuro mi sto basando sul podcast non so come funzionano certe cose MI FIDO CIECAMENTE OK?????? non è colpa mia se i prof non hanno pensato di mettere un lubrificante sulla nave pirata andiamo oltre back on crack)
    e quando spinse non lo fece più piano, non lo fece più gentile, non lo fece più prendendo tempo; perché non ne avevano, e Cory voleva comunque sentire tutto. reale o meno, prima e ultima volta, trascinato a fondo da un'onda che aveva creato con le sue stesse mani, e che mai avrebbe pensato potesse togliergli il fiato fino a quel punto.
    spinse e se lo tenne per sé, thero, senza lasciare spazi o dubbi, imprimendo unghie e denti nella pelle madida perché un bacio sarebbe stato troppo poco — effimero.
    [sospiro]
    [gemito]
    [bestemmia]

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  8. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    16, vhufflepuff
    ben 'ficus'
    millepied

    «ooOOOooohh» l'espressione di pura meraviglia dipinta sul volto di Ficus scatenò un diffuso rossore sulle guance di dylan e sana, prese a girare su loro stesse come trottole. joni e thor, un passo indietro rispetto alle compagne di casata, non sembravano altrettanto entusiaste «siete suuuper belle!» lo diceva con il cuore, potendo contare su una sincerità innata che spesso e volentieri gli aveva causato più di un guaio; risolto solitamente con un sorriso, o alla peggio chiedendo l'intervento di Ben (e dei suoi coltellini? anche).
    batté persino le mani tra loro, un giovane allampanato con le braccia troppo lunghe strette nella divisa stirata di fresco — quella delle grandi occasioni! «grazie Benjamin, fai anche tu la tua bella figura» alle parole della Kane il Tassorosso gonfiò orgogliosamente il petto, pollici infilati sotto il bavero della giacca; sotto a quella, con lo stemma della propria casa, una camicia immacolata e l'immancabile cravatta nero-oro. fu su quella che joni mise entrambe le mani, sollevandosi sulle punte dei piedi per stringere il nodo che Ficus aveva tentato di farsi da solo, con scarsi risultati «mi raccomando, Millepied. sii carino e coccoloso come tuo solito e andrà tutto bene» il sedicenne annuì, dritto sull'attenti.
    la peetzah non era né prefetto né capocasata, ma incuteva comunque un certo timore reverenziale, e Ficus non era tipo da andare volontariamente contro l'autorità. se joni gli chiedeva di portare alto il nome dei Tassorosso, lui l'avrebbe fatto! (spoiler: ubriaco al primo bicchiere. ok)
    «sissignora!» joni: . «ho anche le rose! » ebbene si, aveva le rose.

    per prima cosa infilò un bocciolo bianco tra i capelli di Paris, poco sopra l'orecchio del ragazzo; nel giro di pochi istanti la sfumatura immacolata dei petali avrebbe virato seguendo i gusti del corvonero, proprio come aveva fatto la rosa che Ficus si era appuntato al bavero della giacca. un bell'arancione tenue, un tocco di azzurro come l'alba «tieni, così non sei più arrabbiato» credeva davvero che Benjamin non se ne sarebbe accorto? erano giorni ormai che il quindicenne teneva il muso, anche se poi la differenza con la sua espressione normale (da sobrio) non era molta «vedi? bello come il sole» sorrise all'amico, stringendo contro il petto il mazzo con le rose restanti: contava di distribuirle in modo assolutamente random agli studenti stranieri in visita, ma già lo sapevano tutti che sarebbero finite ai suoi amici.
    o distrutte nell'ennesimo blancogate.
    e no, non sto guardando Balt, che già le aveva addocchiate.
    «sapete cosa vi dico? sono troppo sobrio per tutto questo» Ficus annuì, mostrandosi d'accordo per principio. in realtà l'alcol non gli interessava particolarmente — amplificava solo quello che il Tassorosso era già: socievole e scemo. «guarda, c'è anche Jojo!!!» il sedicenne si illuminò da capo a piedi nel riconoscere il ragazzo, ma non gli sfuggì nemmeno la presenza di Mood al tavolo del beveraggio — salutò entrambi, posando il mazzo di rose per offrire un bocciolo sia al Serpeverde che allo special.
    già che c'era, ne piazzò due anche tra le mani di altrettante studentesse francesi che ricambiarono con una risatina sotto i baffi.
    «ok, quindi... beviamo? » chiese, tanto per avere una conferma: dalla faccia delusa del Tipton il punch non sembrava granché. il bicchiere che Paris gli piazzò in mano aveva già l'aria di una risposta, e Benjamin si strinse nelle spalle, portandolo alla bocca «ewu» qualcuno doveva aver scambiato il succo di lampone con una tanica di benzina, perché l'effetto sulle labbra e in gola fu pressoché quello «questo è sbagliato» c'era decisamente qualcosa che non andava nella (benza di spaco) sua bevanda, ma non se la sentiva di abbandonare il bicchiere ancora pieno — sua madre gli aveva insegnato a finire sempre ciò che aveva nel piatto, anche se non gli piaceva.
    «il tuo com'è?» chiese, sporgendosi lateralmente verso Jojo, una mano a passare tra i capelli biondo cenere. il sorriso perenne che il ragazzino aveva sul viso scemò quasi immediatamente, sostituito dalla preoccupazione, quando intravide il segno rosso sulla gola del Park «oh, ti sei fatto male?» era un punto strano perché si fosse ferito da solo, ma la mente di Ficus faticava a concepire come prima ipotesi quella di un pestaggio. era moralmente incapace di pensare il peggio delle persone, sebbene lui in primis avesse sperimentato sulla sua pelle quanto alcune potessero essere crudeli e senza scrupoli.
    persino quelle che, più di tutti, avrebbero dovuto amarlo.
    «sai, a San Valentino Mort Rainey mi ha morso» aggiunse, con una certa fierezza, sollevando una manica della divisa per mostrare a Jojo il segno ormai quasi del tutto scomparso che il Serpeverde gli aveva lasciato sull'avambraccio; scherzando (scherzava???), ben gli aveva suggerito di fare l'antirabbica, e Ficus era scoppiato a ridere piegato in due.
    ora, credeva davvero si stessero solo scambiando aneddoti divertenti e che Jojo fosse maldestro quanto lui — della serie che, come un Aldo qualunque, i ben10 dovevano portarlo in giro legato — ma la verità avrebbe di certo cambiato il suo umore. mica per niente lo usavano in versione berserker per lanciare la gente nei corridoi.


    Glitter all over the room
    Pink flamingos in the pool
    I smell like a minibar
    DJ's passed out in the yard
    Barbies on the barbecue
    This a hickey or a bruise?
    katy perry
    last Friday night
    teenage dream


    eeehhh CIAO A TUTTI (sembra una riunione degli aa) sono ROB! il mio account principale è blank/space, ma se mi scrivete su questo profilo leggo sicuro!

    chi è? Benjamin Millepied, detto Ficus, quasi 17 anni, Tassorosso, frequenta il V dopo essere stato bocciato perché un po' lento di comprendonio ♡ pensa di essere purosangue (non lo è), appartiene ad una famiglia di maghi abbastanza facoltosa e nota nella cerchia ministeriale, lui però è una patata. fa parte della Ben10 Sqwad, ha paura di volare sulla scopa, è tanto bellino quanto scemo, ama gli animali (cosa c'entra) e i suoi amici e cucinare #fine

    cosa fa? arriva al ballo della ceppa con Paris e Balt, ha con sé un mazzo di rose magiche che cambiano colore in base al gusto di chi le tocca, e ne regala una agli studenti stranieri che incontra, a mood e Jojo.
    beve un bicchiere di punch (solo alcol. è il primo giro, dai) — d6=6
    parla con Jojo.

    Ficus for the win!
  9. .
    benjamin ficus millepied

    era abbastanza chiaro che Mis Jacksson ('cacchiolina, come il prof Jackson!' — quasi) non conoscesse alcun ficus. nemmeno capital F, e di questo Benjamin forse un po se ne rammaricò: non sentiva il bisogno di farsi nuovi amici, perché i Ben10 bastavano per una vita intera, ma in generale le persone gli piacevano. i suoi coetanei, a parte qualche eccezione pescata tra quelli che litigavano quotidianamente con Paris, gli piacevano. lo special, con i muscoli tesi come quelli di un cervo che avverte l'odore del cacciatore, gli piaceva.
    non avrebbe saputo dire perché: raramente ficus era in grado di spiegare a parole i propri sentimenti, le sensazioni; forse c'entrava qualcosa il fatto che invece di prendere il Tassorosso per il culo, mostrargli una superficiale compassione, o mettere le mani avanti chiedendo di non essere picchiato, Mis era andato oltre. come avrebbe fatto un Ben, ignorando l'elefante nella stanza (lui, nudo, pieno inverno) per puntare dritto al sodo «si, esatto! è resistente e necessita di pochissime cure. una pianta senza pretese!» sorrise nuovamente, ficus, senza rendersi conto di quanto quello che aveva appena detto si adottasse bene anche a lui — alle volte l'ignoranza poteva essere davvero una manna dal cielo.
    «un altro po' e si staccano» la fronte liscia del sedicenne si corrugò. come risposta alla domanda se un tatuaggio faceva male, era ben strana. si riferiva forse alle lettere marchiate con l'inchiostro magico sulla pelle? l'espressione di ficus si fece ancora più cupa all'idea: se esisteva davvero quella possibilità, allora non ne avrebbe mai fatto uno. «il tatuaggio?» un saggio direbbe che c'era della conversazione in quella confusione, ma per Benjamin non esisteva nulla di più normale; quasi famigliare: il misunderstanding lo faceva sentire a casa. senza nemmeno tentare di trattenersi, il Tassorosso scoppiò in una risata cristallina, entrambe le mani tra i capelli biondo cenere «si, il tatuaggio! tu di cosa-» oh. oh «i capezzoli!» chissà se la scapezzolata dava punti al fantaoblinder (spoiler: no. cowards). vi premette sopra i palmi, non tanto per nasconderli dagli occhi indiscreti del faunocineta, quanto per controllare fossero ancora al loro posto; c'erano. il sollievo sul volto di ficus però non era ancora completo — l'idea di perdere i capezzoli, senza ancora aver capito il perchè dovesse perderli, lo aveva un po scosso.
    «Ho interrotto qualcosa?» si accorse della presenza di Benagol prima ancora che la ragazza aprisse bocca: bastava guardare com'era cambiata improvvisamente la postura di Mis. Ficus seguì lo sguardo del ragazzino, girando su se stesso, e quando la Serpeverde apparve nel suo campo visivo non perse tempo in convenevoli «gol, mi si possono staccare i capezzoli?» lei era intelligente, doveva per forza saperlo «cioè, non è che ci tenga particolarmente, ma mi dispiacerebbe non averli? non so, penso sia una questione di principio» si strinse nelle spalle, portando le mani sui fianchi. ormai l'ipotermia era in stato così avanzato che non sentiva più nemmeno freddo (qualcuno gli dica di vestirsi). alla risposta secca del Jacksson, Benjamin sorrise, annuendo: dopo tutto era la sacrosanta verità «vero. se l'è tatuato sulla schiena, guarda!» e indicò il tatuaggio di Mis, di nuovo al settimo cielo.
    c'era da dire che gli bastava poco.
    «a proposito, lei è gol» faceva lui le presentazioni senza chiedere il permesso? sì, certo, che domande «e io sono Ficus. come la pianta. cioè in realtà mi chiamo Benjamin, Ficus è tipo un soprannome» d'improvviso il sorriso sul volto del Tassorosso svanì, sostituito ancora una volta da un'espressione perplessa — he swing both ways «cacchio» una vera e propria epifania «quindi adesso dovrei tatuarmi il tuo?» quantomeno MIS erano solo tre lettere.


    mica come perses.

    oh you're so naive yet so
    how could this be done by such
    a smiling sweetheart?
    oh and your sweet and pretty face
    in such an ugly world

    16, vhufflepuff2043! kadabra
  10. .
    moka telly jr.

    il nuovo anno era appena iniziato, e Moka già si chiedeva quando sarebbe finito.
    sapeva che il tempo scorreva più rapido di quanto ci si potesse rendere conto, ma questo non lo aiutava affatto — non avere niente da fare era assurdo per lo special, incapace di stare con le mani in mano. si annoiava molto facilmente, incapace di stare fermo per piu di cinque minuti, anche se di quella smania si sarebbe presto pentito: Sanremo, la morte di Michael, San Valentino, il messaggio di Helianta Moonarie.
    le sfighe erano tutte dietro l'angolo e Moka ancora non lo sapeva.
    «se proprio non sai come occupare la tua giornata, Telly, puoi sempre venire in palestra ad allenarti.» sapeva, ancora prima di sollevare lo sguardo cristallino sul volto di Nelia, che la donna non stava sorridendo; così come sapeva che quello non era in invito, ma un ordine «stai diventando molliccio» excuse me. non voglio dire che lo aveva convinto più con quell'ultima, rude stoccata che con l'autorità che il superiore grado gerarchico le conferiva, ma è proprio così.
    lo aveva fregato.
    e distrutto, o almeno in quel modo lo special si era sentito ritornando nella sua stanzetta al QG piegato in più parti come una fisarmonica. il fatto che gli facesse male tutto, anche muscoli dei quali non era a conoscenza, aveva reso lo squillo del cellulare (funzionano al quartier generale? chissà) il suo nuovo acerrimo nemico. ne teneva uno sempre con sé (di telefono, non di nemico), nel caso qualche informatore babbano - tipo suo cugino - avesse avuto soffiate da fargli.
    o se sua madre insisteva per invitarlo a cena con i parenti, chiamata che Moka interrompeva sistematicamente fingendo problemi di linea con tanto di rumori statici e interferenze.
    «pronto?» con lo stesso tono tirato che caratterizzava l'inizio di quasi tutte le telefonate da parte di un call center alle otto di sera appena iniziata la cena, il Telly si predispose a recitare il solito copione: no non mi interessa, grazie ho già l'abbonamento, ma perché mi chiamate sempre a quest'ora, CAZZO CANCELLATE IL MIO NUMERO FINGETE SIA MORTO. ma la voce femminile dall'altro capo dell'apparecchio lo fece soprassedere. un po perché era una bella voce, un po perché sembrava disperata.
    e aveva chiaramente sbagliato numero.


    «bella giornata, vero?» quando si sedette sulla panchina, Moka lo fece quasi distrattamente, scivolando al fianco di Sharyn senza rivolgere lo sguardo alla ragazza. tra di loro, abbastanza posto perché potesse starci una cartelletta di cartoncino marrone, anonima: niente scritte, niente etichette. dai lati spuntavano i bordi di numerose fotografie tutte rigorosamente in bianco e nero — si era informato, il Telly.
    la tv diceva che quello era il modus operandi di un vero investigatore privato, e moka aveva tutta l'intenzione di spacciarsi per tale.
    ora, un piccolo inciso: non era sua intenzione prendere la Winston per i fondelli. non si stava divertendo alle sue spalle, e fregarla era l'ultima cosa che passava per la mente dell'elettrocineta.
    in parte - una bella parte - era per via della sua famiglia.
    quando, dopo la prima telefonata sbagliata, moka aveva cominciato a sondare il terreno, non gli ci era voluto molto per scoprire che Sharyn fosse la cugina di Mitchell Winston, il che per motivi di svariata natura (1. il suo posto nella resistenza, 2. era un daddy pure lui) richiedeva un trattamento speciale e guanti di velluto. e poi, come detto, tra una missione e l'altra il telly si annoiava sempre a morte: quale modo migliore di occupare il tempo e, da non sottovalutare, guadagnare un po di soldi spiando qualcuno? un sogno, forse una favola.
    che poi quel qualcuno si fosse rivelato un ex membro della sua stessa organizzazione, per moka non era un problema.
    quando Isaac Lovecraft ancora militava tra le file dei ribelli, lo special era solo un adolescente incazzato con il mondo il cui unico pensiero nella vita era vendicare la morte del padre e spaccare qualche testa ministeriale; non ne aveva il cazzo di fare amicizia con chicchessia, e quando il suddetto biondo era sparito non ne aveva sentito la mancanza. ora, mettere zizzania tra lui e la sua ex sembrava (un achievement) davvero cosa da nulla.
    con l'indice della mancina, moka abbassò leggermente gli occhiali da sole sulla punta del naso, guardandosi attorno prima di rivolgere le iridi grigio verdi (chissà se esiste un termine per questo colore) sulla figura della bionda «qui c'è tutto quello che le serve sapere» per l'occasione aveva indossato un completo scuro con camicia bianca e tanto di cravatta; vi portò entrambe le mani, sistemando il nodo al centro del colletto: l'ultima volta che qualcosa gli si era stretto tanto attorno alla gola era quasi morto soffocato.
    e no, non c'entravano i giochi erotici, ma un tizio che voleva prenderlo prima a bottigliate e poi strangolarlo, tanto per non farsi mancare niente — alla fine moka era l'unico rimasto in piedi per raccontare la storia. «credo che i suoi sospetti fossero fondati» Isaac Lovecraft era invischiato in qualcosa di losco, probabilmente una tresca clandestina, e il tradimento della ragazza era solo una banale scusa per lasciarla prima di venire scoperto con le mani nella marmellata.
    questa era la teoria di Sharyn, e moka vi si era attenuto perché in fondo si sentiva già invested.
    ma seguendo Isaac nei suoi spostamenti quotidiani, macchina fotografica babbana nascosta sotto la giacca, il telly non aveva scoperto niente, zero, nada — la vita dell'ex ribelle era di una tristezza assoluta. praticamente casa e (captain platinum) chiesa. nessun appuntamento losco in qualche motel, niente limoni nei vicoli; aveva persino aiutato una vecchia ad attraversare la strada, e per quanto moka avesse sperato che ad una certa l'avrebbe buttata a terra per scipparle la borsa, quella era arrivata sana e salva sul marciapiede e lo aveva persino ringraziato con un buffetto sulla guancia. ugh.
    «non ho potuto fotografarlo per ragioni di sicurezza, ma si: si è incontrato con una donna. appartato, è il termine più adatto.» una piccola distorsione della realtà, del tutto innocente. quando Isaac era entrato al captain platinum, moka lo aveva seguito; quando un tizio si era messo ad attaccare bottone con lui, moka aveva fatto del suo meglio per ignorarlo e tenere gli occhi sul suo obiettivo. poi il tizio gli aveva offerto da bere. e dopo il terzo bicchiere era diventato difficile distinguere il Lovecraft tra gli altri avventori, nonostante fosse solo tardo pomeriggio e il locale praticamente vuoto. probabile che alla fine Tizio avesse anche lucidato qualche piastrella del bagno, ma di quel tète-a-tète Moka ricordava molto poco. l'unica cosa che sapeva, l'unica cosa che gli era stata chiara una volta rimesso piede fuori dal locale, era l'essersi perso Isaac, e quindi aveva dovuto improvvisare.
    a girl's gotta eat.
    «se mi permette un'osservazione personale, signorina Winston.. quel tipo non la merita» aggiunse, con un accenno di sorriso a creare una singola fossetta nella guancia sinistra: non era più un adolescente incazzato, Moka Telly Jr., ma faccia di merda quando lo sei lo sei per sempre.


    A girl's gotta do
    what a girl's gotta do
    And now I gotta get
    to gettin' over you

    23elettrokinesisrebel / liar
  11. .
    zjdnekkfe dai festicciola!!!!!! anche io sono un po indietro con le role (questo weekend end cerco di recuperare promesso) ma ad una festa non si dice mai di no! SE TI VA DI PORTARE IL TUO PG E BUTTARLO SUBITO NELLA MISCHIA, CI SIAMO ❤
  12. .
  13. .
    pepper joni peetzah
    Sometimes I'm beaten
    Sometimes I'm broken
    'Cause sometimes this
    is nothing but smoke


    17 ✧ team cap ✧ hufflepuff
    Is there a secret?
    Is there a code?
    Can we make it better?
    'Cause I'm losing hope
    Tell me when the
    light goes out
    That even in the dark
    we will find a way out

    joni peetzah non aveva mai avuto paura, prima.
    nemmeno quando suo fratello si era fatto spaccare la testa da un bolide e lei, solo sette anni e già troppo adulta, di fronte al suo corpo immobile non aveva versato una lacrima. aveva mantenuto la calma, lì dove i suoi genitori si erano strappati le vesti e i capelli, passando ore seduta su una sedia senza mai distogliere lo sguardo da quel Piz che sembrava più morto che vivo.
    il panico non l'aveva mai sopraffatta, nonostante fosse una bambina — una bambina strana, che avrebbe fatto preoccupare la madre se non avesse avuto un altro figlio con il cervello spappolato di cui occuparsi.
    joni peetzah non aveva mai avuto paura, prima.
    prima di farsi degli amici. prima di concedere loro più di quanto fosse intenzionata a fare. prima di rendersi conto di poterli perdere, uno a uno. e allora, cazzo, non era meglio il prima? quello in cui l'unica responsabilità che avvertiva era quella nei suoi stessi confronti, dove sentirsi impotenti e vulnerabili non esisteva. un prima nel quale joni non avrebbe mai pensato di non essere abbastanza. ma nell'ora, quello in cui viveva confrontandosi costantemente con l'idea di non poter aiutare le persone che amava, la Tassorosso sentiva la paura masticarla dall'interno; strappava piccoli brandelli, conficcando dentini aguzzi nella carne, e joni non aveva idea di come strapparsela via di dosso. «lo so che puoi farcela, che capirai dove sono e che li troverai. e anche loro lo sanno, ne sono sicuro».
    la mano di Julian sulla spalla le fece fare un sobbalzo, e si odiò per quello.
    lo odiò.
    lui, il calore che emanava la sua pelle, la voce gentile, le parole giuste che diceva.
    odiava Julian Bolton come il primo momento in cui si era resa conto che le piaceva: come la guardava, come rideva, persino come la toccava. non disse niente, limitandosi a voltare il busto di tre quarti, iridi celesti ad alternarsi lentamente tra lui e la foresta. li, ad un passo, eppure distante — non le mancava il coraggio di entrarvi, ma quello di scoprire la verità? si. e lo sapeva, joni, che tra quegli alberi fitti non avrebbe trovato assolutamente nulla. «ti perderesti anche nel tuo dormitorio, bolton» evitò di guardare Julian in volto, perché (stava troppo in alto) era certa che se l'avesse fatto l'ultima scia di pensieri coerenti nella sua testa si sarebbe dissolta.
    no, non ci poteva andare nella foresta proibita.
    perché non li avrebbe trovati, e nel mentre si sarebbe fatta ammazzare.
    ma che fossero vivi, joni non aveva dubbi.
    «e poi ho sentito che Noolan si è fidanzato, quindi ti conviene tenermi in vita ancora un po’» la battuta immancabile su Cillian l'avrebbe fatta sorridere, e arrabbiare, ma non aveva davvero ascoltato; la voce del Grifondoro era vibrata sulla sua pelle, sfiorandole i capelli e le orecchie, ma lo sguardo rivolto ancora una volta verso l'oscurità della foresta l'aveva di nuovo estraniata. a far scattare l'interruttore, se così si può dire, non furono le parole di Julian, ma l'improvviso vuoto che Joni avvertì quando la mano del ragazzo non fu più sulla sua spalla. come se qualcosa, nascosto da qualche parte, si fosse spezzato.
    tutto quello che la rossa dovette fare, tutto quello che poteva fare, fu girare su se stessa, le spalle finalmente rivolte a quell'intreccio di rami e tronchi che l'avrebbe volentieri inghiottita; fece scorrere le mani sotto la giacca del Bolton, intrecciando le braccia dietro la sua schiena, fronte a premere contro il torace. avrebbe potuto stringere con meno forza, ma non voleva: che si allontanasse, che provasse a guardarla in faccia. che si perdesse, anche lui «dovresti sul serio pensare a trovarti qualcun'altra, Bolton. o qualcun altro, non giudico» non si mosse, joni, il volto affondato nella sua maglia, la voce ridotta ad un sussurro; tanto c'erano solo loro due «qualcuno che ti dia qualcosa in cambio» non era di quello che aveva parlato con Dylan, prima ancora di chiarire a se stessa i propri sentimenti? non aveva cambiato idea, joni peetzah. il fatto che Julian fosse li, a prendersi le sue risposte velenose e il suo distacco, la sua rabbia e la frustrazione, era solo l'ennesima conferma.
    l'intreccio delle dita dietro la schiena del ragazzo si sciolse, la mancina a risalire finché non trovò il colletto della sua maglia e lo strinse tirando verso il basso; non era facile per joni, nemmeno in punta dei piedi. gli posò un bacio dove la linea della mandibola era più evidente, poco sopra la curva della gola, e un altro al di sotto, dove la pelle era più sensibile. se c'era un'altra cosa che joni peetzah non aveva mai provato nel prima, e che era quasi del tutto certa non avrebbe provato nemmeno nell'ora, era il desiderio di baciare qualcuno — e di essere baciata a sua volta. un pensiero, così intimo, che le aveva sempre strappato una smorfia di disappunto, e che forse in quel momento non era poi così inconcepibile.
    stupido Giuliano.
    «ok» disse, traendo un respiro che sapeva di aria invernale e julian, un passo indietro per ristabilire un minimo di distanza. avrebbe voluto baciarlo ancora (unreal), ma c'era qualcosa di più urgente a premerle contro il palato; ad insistere per uscire fuori, grattando la pelle dall'interno. le dita strette sul quadernino quasi sbiancarono quando Joni lo estrasse dalla tasca per mostrarlo al diciottenne, sospeso tra di loro come la proverbiale spada di Damocle «faccio dei sogni, a volte. non spesso, ogni tanto. li faceva anche mac» se avesse aperto il quadernetto che gli stava porgendo, Julian avrebbe trovato quasi tutte le pagine segnate da tratti pesanti di carboncino nero, figure simili a ombre senza volti, dettagli che potevano essere tali solo nella memoria di Joni.
    capelli rossi, pelle bianca, il bracciolo di una poltrona, una macchia di ruggine nel nero, frammenti di vetro, chiodi, troppi denti.
    sognava denti e sangue, la peetzah, sognava una mano stretta alla sua, sognava le persone con lei che aveva promesso di portare in salvo senza riuscirci. sognava cose che non erano mai accadute, eppure così reale da essere condivise «li faceva anche Hans, ne sono sicura. solo che non me l'ha mai detto» eppure ne era certa, Joni. perché Hans in quei sogni c'era sempre, ed era presente su ciascuna di quelle pagine, pochi tratti confusi ma decisi «sono qui. so che sono qui. dove siamo stati insieme. e sono vivi. senti Giuliano, lo so che sembra una follia e che non ha senso» si strinse nelle spalle, la Tassorosso, richiedendo la bocca.
    non c'era nessun ma — non stava tentando di giustificare la propria ostinata convinzione. voleva solo condividerla con lui, anche se non poteva capire. quasi senza rendersene conto, Joni portò la mano destra al braccio opposto, dita a premere contro la stoffa della giacca: ci sarebbe dovuta essere una cicatrice, lì, dove invece c'era solo pelle chiarissima e lentiggini. «non l'ha mai visto nessuno, a parte mac» indicò il quaderno con un cenno del mento, tenendo quest'ultimo sollevato, quasi un atto di sfida «pensi che sia folle?» lo era, almeno in parte. e se Julian fosse stato dello stesso avviso, Joni non gliene avrebbe fatta una colpa; avrebbe potuto chiedergli se si fosse mai svegliato nel cuore della notte con un grido incastrato in gola e la sensazione di quei denti che affondavano e strappavano e mangiavano, ma non lo fece.
    a confessioni per quel giorno aveva già dato.


    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©


    Edited by yeet! - 22/2/2023, 07:51
  14. .
    pepper joni peetzah
    Sometimes I'm beaten
    Sometimes I'm broken
    'Cause sometimes this
    is nothing but smoke


    17 ✧ team cap ✧ hufflepuff
    Is there a secret?
    Is there a code?
    Can we make it better?
    'Cause I'm losing hope
    Tell me when the
    light goes out
    That even in the dark
    we will find a way out

    il tempo era una brutta bestia.
    a volte i minuti sembravano ore, le ore secondi, i giorni si rincorrevano insieme infiniti e troppo brevi. com'era possibile che fossero passati già quasi due mesi? — e perché pesavano come dieci? Einstein ci aveva provato a spiegare un fenomeno altrimenti incomprensibile, teoria della relatività e altri paroloni mistici buttati qua e là per cercare di dare un senso a qualcosa che evidentemente non lo possedeva.
    batté una volta le ciglia, la tassorosso, uscendo per un istante dai propri ragionamenti astratti per ritrovarsi dove un attimo prima non era; aveva camminato spedita senza rendersene conto, il cuore a martellarle nel petto ad una velocità che comunque era niente in confronto a quanto rapidi scorressero i suoi pensieri. joni peetzah era sempre stata brava ad agire prima di pensare, e per lei tutto quel tramestio di ingranaggi prodotto dal suo cervello nel disperato tentativo di trovare una soluzione rappresentava una scomoda novità.
    è che non le era rimasto altro.
    «joni?» non si voltò. sapeva che se l'avesse fatto, gli occhi scuri di Julian e l'espressione preoccupata a piegare le labbra del ragazzo avrebbero causato un cedimento: strutturale, definitivo. tanto si sentiva fragile, arrivata a quel punto — sottile come carta velina tra le mani paffute di un bambino «joni, non dovremmo-» solo allora la tassorosso si rese conto davvero di dove i suoi piedi si fossero fermati, spinti fino a quel momento da pensieri ingarbugliati tra loro: alle sue spalle, nel gelido grigiore di metà dicembre, Hogwarts svettava immobile e silenziosa, fregandosene altamente dei suoi ex studenti che scomparivano nel nulla. davanti a lei, oscura e pesante quanto il cratere a scavarle nel petto, una distesa intricata di alberi neri e contorti «sei tu che non dovresti» del tono ruvido si rese conto solo troppo tardi, quando già le parole avevano abbandonato le labbra sbiancate dal freddo.
    se una parte di joni era dispiaciuta, conscia che Julian non avesse fatto nulla per meritare la sua frustrazione, l'altra meno razionale avrebbe voluto scavare più a fondo, girare il coltello nella ferita finché l'altro non fosse ceduto per primo. si girò comunque verso il ragazzo, senza scostare i capelli ramati dal volto: aveva rinunciato a tagliarli, raccoglierli, pettinarli — a modo loro, quelle lunghe ciocche simili a lingue di fuoco rappresentavano perfettamente come si sentiva dentro. in balia di un caos che non riusciva a spiegarsi né, tanto meno, domare «ti farai bocciare un'altra volta, Bolton. torna a scuola» già mentre parlava, si rese conto con orrore di un pizzico estraneo nel fondo della gola, e si affrettò a richiudere la bocca. quello era solo uno dei tanti motivi per cui joni avrebbe preferito essere da sola: con il proprio senso di impotenza, con la propria rabbia, con quelle lacrime che minacciavano di traboccare da un momento all'altro.
    le odiava. odiava sentirsi soffocare da quel groppo che le ostruiva la trachea, odiava il modo in cui le appannavano la vista. soprattutto, odiava l'idea che qualcun altro potesse vederle, scambiandole per debolezza. perché in quel momento, dove niente di ciò che faceva sembrava avere un senso, l'ultima cosa di cui joni peetzah aveva bisogno era sapere di essere vulnerabile, di possedere un punto debole, di non essere in grado.
    anche se sarebbe stata la verità: le aveva provate tutte, senza ottenere alcun risultato — Mac era scomparso; Hans era scomparso. e rimanevano scomparsi, qualunque cosa lei facesse o pensasse, indifferenti agli incubi che la tormentavano ogni notte da quasi due mesi. incubi dei quali non aveva mai parlato a nessuno, perché per quello di solito c'era mckenzie.
    how ironic.
    «posso fare da sola, davvero.» era tornata a guardare la Foresta Proibita, un muro di alberi che non prometteva niente di buono; sempre meglio che dover sostenere lo sguardo di Julian, leggendovi dentro una verità che joni già conosceva: non li avrebbe trovati li dentro. non li avrebbe trovati da nessuna parte, punto. ma la razionalità in quel caso specifico contava meno di zero «torna a scuola» concluse, le braccia strette al petto mentre compiva già i primi passi, gli scarponcini ad affondare in un letto di foglie morte e terra bagnata. quello era solo un posto come un altro, l'unico nel quale non li avesse cercati; certo, rischiava di essere punita, espulsa, forse persino morire (nessuna delle tre conseguenze l'aveva davvero sfiorata), ma a quel punto del suo percorso scolastico le importava poco.
    di vivere già un po di più, ma anche quell'aspetto sembrava essere passato in secondo piano, sepolto sotto il peso eccessivo di tutti i precedenti tentativi falliti. quando si era ammalata Dylan, joni aveva creduto di impazzire, e forse l'avrebbe anche fatto: ma la missione era stata fondamentale per darle uno scopo — una distrazione. la consapevolezza di poter fare qualcosa, anche solo un salto nel (1600) buio. sempre meglio che rimanere con le mani in mano a piangersi addosso, sbattendo ripetutamente la testa contro un muro in apparenza impossibile da superare. perché era così che si sentiva ora la peetzah, messa alle strette e senza più nemmeno un'opzione: sono morti, suggeriva la logica, ma lei non poteva stare a sentire «so che sono da qualche parte. e sono ancora vivi, ok? devo solo-» si era fermata di nuovo, joni, e con i passi scemarono anche le parole.
    era quello che odiava di Julian Bolton, sopra ogni cosa: sentiva sempre la necessità di raccontargli quello che provava. una cosa mai successa prima, perché la regola principale della tassorosso era sempre stata tenere per sé i propri pensieri e mascherarli dietro ad un'espressione da giocatrice incallita di poker. ma con lui, maledetto palo della luce, non ci riusciva «capire come arrivarci» aggiunse, con un filo di voce, rivolta più a se stessa che al ragazzo. come detto, le era rimasta una sola possibilità: accettare che la spiegazione più irrazionale fosse anche l'unica accettabile. e esisteva un'ipotesi più folle di quella che includeva un posto impossibile da trovare se non nei propri incubi? joni riteneva di no. eppure i ricordi sconnessi e sfilacciati messi di gran fretta su un quadernino parlavano di una realtà completamente diversa; una realtà ben più concreta di quanto lei e Mac avrebbero mai pensato mentre tracciavano linee confuse sulla carta.
    solo che questo, Julian, non lo sapeva.
    non ne aveva mai parlato a nessuno, nemmeno a Dylan; quel quadernino, che adesso si portava dietro infilato nella tasca posteriore dei jeans, lo aveva condiviso solo con l'hale «posso farcela» disse, senza muovere un passo, sentendosi scuotere dall'interno come una maracas — experienced a feeling once, not raccomended.

    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©


    Edited by yeet! - 15/12/2022, 20:21
  15. .
    ANFJSKFKEKRKRK AHHHHH VABBÈ che meraviglia svegliarsi così socc!!! ❤❤❤❤❤ è bellissimo, posso metterlo in firma???? (manca giusto l'avatar abbinato *wink*)
205 replies since 23/7/2020
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