I could take the high road But I know that I'm going low

[ @dark street, leo ft. raph ]

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    leonard vaughan
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    And where're our blood needs to be
    «oddio!» affascinato, sedotto, sposato: leonard portò entrambe le mani al volto, posando i polpastrelli sulle labbra — il sangue sulle nocche era ancora fresco, ma si era premurato di passare i palmi tesi contro la stoffa della maglietta, prima di toccarsi la faccia.
    prEVenZiONe!1!
    «ma quella è una barretta Scrunchy????» la confusione sui volti tumefatti dei due ragazzi (ragazzi???? avranno avuto si e no l'età dei tipelli che voleva paccarsi elisa, quindi massimo tredici anni) era palpabile, e il vaughan li aveva già presi a cuore; gli facevano tenerezza, perché era evidente che a neuroni fossero messi parecchio male. per agevolare la connessione dei puntini, allungò un braccio verso quello più vicino, che si ritrasse per istinto.
    e in egual modo Leo sorrise, mostrando la mano aperta: la stessa con cui gli aveva tenuto ferma la testa mentre le nocche dell'altra spaccavano la cartilagine del setto nasale — ora la offriva come segno di pace, se non proprio un invito a stringerla «quella che hai in tasca. è una barretta Scrunchy, si mangia» e questa volta, quando flettè leggermente le dita, il ragazzino capì al volo «grazie, sei davvero molto gentile. accetto volentieri» stringendo il dolcetto nel palmo, il ragazzo tornò a raddrizzare la schiena e le spalle, osservando i più giovani dall'alto: in effetti non era un bello spettacolo.
    «conviene che te lo fai sistemare, o rimarrà storto» l'aria greve con cui l'affermazione gli uscì dalle labbra, seguita da un sospiro quasi nostalgico, lasciava intendere che ne sapesse abbastanza. contare le volte in cui Raph lo aveva rattoppato, prima di darlo per morto, gli avrebbe portato via un pomeriggio intero. mise in bocca la barretta e diede un morso, godendo per un istante del crepitio sotto i denti, un rumore familiare a riempire le orecchie; poi fu costretto a backare on crack — era un duro lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo.
    «la prossima volta che non sapete come occupare il tempo, vi consiglio una cazzo di biblioteca» anche perché la loro alternativa non gli era sembrata delle migliori. bullizzare i senzatetto? daje, e che è, Arancia Meccanica? che poi Leonard vivesse effettivamente sotto i ponti era un altro paio di maniche, il concetto sbagliato lì era quello di fondo: la noia li aveva spinti tra i vicoli di dark street, con troppi soldi in tasca (e una barretta Scrunchy) e bacchette alla mano che non potevano usare, cercando e trovando la vittima sbagliata. una che a malmenare degli sgagni non ci pensava certamente due volte (ciao Barbapapà ❤).
    con un ultimo sospiro, a lezione terminata, si strinse nelle spalle, la giacca a ricadere troppo larga sul corpo asciutto: l'aveva recuperata dal camion di Crofton — «prendi quello che ti serve», aveva detto, e Leo non aveva esitato a riempirsi le tasche; era almeno di due taglie più grande, e faceva decisamente caldo per una giacca di quel genere, ma la temperatura esterna sembrava essere l'ultimo dei suoi problemi.
    da quando aveva riaperto gli occhi sul mondo asettico racchiuso dentro una stanza al piano interrato del ministero, il freddo dell'acciaio contro la pelle non lo aveva mai abbandonato. quasi fosse penetrato attraverso i muscoli e le ossa, sostituendo il sangue con un brivido perenne
    «a buon rendere» li scavalcò entrambi, curandosi di tirare un calcio alla bacchetta di quello con il naso rotto, rotolata a terra quando il biondo aveva reagito al primo colpo mandando il ragazzino gambe all'aria.
    perché lo avevano pure colpito! ci credete??? il fottuto disrespect. alle spalle, poi, niente di meno: portò distrattamente una mano alla nuca, dove il bastone (era un bastone??? non ci aveva fatto davvero caso, sul momento) aveva impattato contro la pelle sottile lacerandola in due punti. ferite superficiali, tutta scena— non fosse stato per il sangue ad imbrattare i capelli biondi, resi ancora più chiari dal sole estivo (che per fortuna del Vaughan non era OGM quanto quello della Puglia), nessuno ci avrebbe fatto caso.
    fu quasi tentato di raccogliere il catalizzatore, come aveva fatto un mese e mezzo prima con quello della guardia che Crofton si era premurato di stendere come un tappeto (chiedete a Lollo, lui sa cosa intendiamo), ma in cuor suo sapeva non avrebbe funzionato. di nuovo. così andò oltre, seguendo il marciapiede e costeggiando il muro degli edifici malmessi, una barretta stretta nel pugno e l'altro affondato nella tasca; non gli importava nemmeno troppo di dare nell'occhio, con quella giacca fuori stagione: sembrava che a nessuno fregasse più un cazzo. di loro, della fuga inspiegabile, delle informazioni che non erano riusciti ad estorcergli nemmeno sotto tortura.
    il Ministero aveva il suo capro espiatorio.
    due, per l'esattezza.
    avrebbe dovuto provare qualcosa in merito, Leonard; avrebbe voluto. ma ogni volta che si soffermava su quei giorni interminabili, sulle ore passate a fissare una porta, in attesa, con le dita di Dora a scavargli nella carne tanta era la forza con cui si era aggrappata al suo braccio, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era quanto fosse contento di essersela svignata lasciando Thérèse al suo destino — mors tua vita mea eccetera eccetera.
    trovò rapidamente un altro vicolo appartato (aka senza spaccini appostati: erano insistenti e coercitivi quanto un venditore di rose, quasi impossibile imporre un rifiuto), dove sedersi a fare la conta del bottino.
    tanto per cominciare, la Scrunchy era già finita.
    I... sad.
    ma in tasca aveva ancora i galeoni scippati ai ragazzini, e quando fece per tirarli fuori si portò dietro anche un pezzo di carta piegato in due; carta di giornale, per essere precisi. perché se lo portasse dietro, ormai da un mese, era un mistero: se qualcuno l'avesse chiesto a lui, Leo avrebbe risposto che si trattava di un reminder. nemmeno tanto friendly, al pari delle (innumerevoli) rare volte in cui la mente vagava tornando a quella cazzo di nave di merda (gli mancava tantissimo), ai sogni che non voleva ammettere di fare anche se li faceva.
    corycorycory.
    vividi.
    terribili raga, giuro.
    anche se sapeva già il contenuto dell'articolo, si premurò comunque di lisciare il foglio strappato sulla gamba, iridi verdi ad incupirsi come la superficie del mare increspata dal vento di una tempesta in arrivo; ogni parola produceva un'onda. la foto, poi, richiamava bestemmie direttamente dal profondo degli oceani «quegli infami» e c'era ancora un moto di affetto, nella voce roca, la nostalgia canaglia a fare capolino rotolando sulla punta della lingua, mentre guardava i volti dei suoi familiari muoversi appena nella fotografia, le lacrime impresse sulla pellicola magica.
    beh, sticazzi che piangevano: era il suo funerale, quello.
    si chiese, per la milionesima volta, se nella bara che avevano fatto seppellire ci fosse qualcosa (sassi? la vecchia divisa di scuola? la sua mazza da baseball scheggiata sul manico?), e per la milionesima volta accantonò quel pensiero senza nemmeno tentare di fornirsi una risposta. tutto sommato, non gliene fregava abbastanza. quanto avessero aspettato prima di darlo per morto, invece, era un'informazione che non mancava mai di titillargli quell'angolo della mente adibito a storage unit per il rancore e le questioni legate al dito — almeno 1 terabyte di spazio occupato, e ancora un paio da riempire. qui non si bada a spese [cit. John Hammond mentre guarda i suoi dinosauri geneticamente modificati mangiare la gente]
    premette un dito (rigorosamente il medio) sulla faccia del fratello maggiore, dedicando a Raphael l'ennesimo, telepatico vaffanculo: persino immortalato in quella posa, le spalle curve in avanti e una mano a coprire il viso, sembrava sussurrargli il solito te l'avevo detto.
    ed era vero.
    gliel'aveva ripetuto sempre, in un loop infinito.
    ti stai cacciando in un guaio, leo.
    and guess what?
    con un sospiro, l'ennesimo, il Vaughan ripiegò l'articolo di giornale con impronta insanguinata annessa, ficcandoselo in tasca dove le monete tintinnarono allegramente, rimettendo il ragazzo di buon umore all'istante. se qualcuno non avesse deciso di interrompere il suo momento di raccoglimento™, sarebbe stato più felice «serve qualcosa?» chiese, premendo la schiena contro il muro di mattoni alle sue spalle, la mano libera appoggiata sul ginocchio e la mancina chiusa a pugno nella tasca della giacca: li dove teneva il coltellino a scatto che uno strano bimbetto (sandwitch, così si era presentato) gli aveva regalato due settimane prima insieme ad un frappé bevuto a metà.
    rivolse le iridi verde acqua alla figura, reclinando la testa verso una spalla, in attesa.
    una foto
    un autografo
    una botta

    se ne poteva discutere.

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    è andata così, dovevo seguire l'onda. se avete domande sulla situazione di cory leonard post MAGO chiedete pure, per il resto VIECCETE
     
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    How can you listen all night long?
    Now will it matter after I'm gone?
    Because you never learn a goddamn thing
    Sospiro, bestemmia. Un efficace riassunto della vita di Raphael negli ultimi giorni, ma anche mesi a voler essere sinceri. Prima era stato licenziato ingiustamente, poi era stato costretto a trasferirsi nella gelida e remota Scozia, ed infine c’era stata la fuckin’ Terza Guerra Mondiale. Per lo stress aveva quasi pensato di rasarsi a zero o tingersi i capelli, ma poi si era ricordato di non essere una ragazza sull’orlo di una crisi di nervi. Too bad. Sapete qual era la cosa peggiore di Hogwarts? Non gli adolescenti –cristo, suo fratello era stato dieci volte peggio– e nemmeno i colleghi nonostante avesse molto da dire, ma il cibo. Sì, il dannato cibo. Sapete cosa vuol dire provenire da uno degli stati con la cultura culinaria più fiorente degli Stati Uniti per poi ritrovarsi a cacciare il gola fuckin– fuckin prosciutto gelatinoso? Ne aveva avuto abbastanza, nessun uomo avrebbe dovuto soffrire in quel modo. I suoi colleghi, persone senza papille gustative che erano, non facevano una piega. Terribile e world-ending, ma non era un problema che lo riguardava. Raphael sistemò delle cuffiette babbane nelle orecchie e si perse a scorrere tra le varie playlist, le strade della Londra magica a fargli da sfondo. Non aveva una destinazione precisa, se non il quartiere cinese– qualcuno lo chiamava Paul Sarps, ma il Vaughan non era abbastanza familiare con il luogo da esserne certo. Il pollice esitò per un attimo sul titolo della playlist doccia, prima di prendere un respiro profondo e premere play: anche quel giorno aveva scelto coscientemente la sofferenza. Il texano era fatto così, aveva bisogno di una colonna sonora drammatica ad accompagnare la sua vita per dare un po’ di spice alla sua ora di aria (Hogwarts carcere confirmed) e perché odiava sentire. Punto, davvero. Sentire i bambini che urlavano, i vecchi che si lamentavano degli immigrati, le persone che respiravano. Un’abitudine che aveva preso quando ancora era adolescente per non sentire suo fratello, e che non aveva mai perso, anche adesso che di Leonard si erano perse le tracce. Perse le tracce, non morto come avevano voluto credere i suoi genitori una volta che era sparito. Raphael aveva già visto quella storia, una minestra riscaldata più e più volte, e aveva scelto di dare una spiegazione razionale al fatto che suo fratello non si degnasse di scrivergli da anni. Anni…freme? Anno? Still merdina. C’era l’ipotesi dei Laboratori, i guai con qualche governo perché il Vaughan minore era una testa calda, l’apatia verso la vita e la scelta di chiudersi in un monastero. Tutti scenari plausibili, più dell’eventuale morte di Leonard. Suo fratello era in grado di sopravvivere in qualsiasi scenario, come un fottuto scarafaggio. Detto con affetto, chiaramente. E facciamola breve che sono molto provata ed è tardi.
    In tutti i suoi vagheggiamenti, Raphael aveva finito con lo attivare l’autopilota. Non un pensiero in testa, solo le gambe che l’avevano portato dritto per una viuzza sperduta, come le strade che Maps fa fare ad Ari per arrivare a Porta Nuova. Avere Your Song di Moulin Rogue in sottofondo gli pareva molto appropriato in quel momento, in un vicolo buio e nascosto nella pancia criminale di Londra. Poco lontano era seduta una figura emancipata, con una giacca che cozzava con l’aria calda e appiccicosa dell’estate, una figura che aveva un che di familiare. Rimosse le cuffiette dalle orecchie per assicurarsi che non fosse una strana allucinazione provocata dalla voce di Ewan McGregor.
    La loro reunion andò esattamente così, scena per scena:
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    «serve qualcosa?» inconfondibile, quel timbro della voce, sebbene più profondo di quello che un tempo conosceva. La sfumatura degli occhi era così simile alla sua da stringergli lo stomaco in una dolorosa morsa, un groppo a formarsi alla base della gola. «ma sei scemo» domanda retorica, lo sapeva. Dovette ricordarsi di richiudere la bocca, e di liberare la stretta ai pugni prima di spaccare le cuffiette. «Ma che cazzo– ma che cazzo» portò una mano nei capelli, voltandosi da una parte e dall’altra come a cercare conferma dal cielo di quello che stava vedendo. Cioè, quel pezzo di merda era sempre stato sotto al suo naso? «Mamma era convinta fossi morto» e a giudicare dal sangue a macchiare la pelle, non pareva così surreale a quel punto. «dove sei stato?» non era un'accusa, ma suonava certamente come una. E qui mi spengo.
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    chiariamo subito una cosa fondamentale, prima di andare avanti.
    all'uomo apparso nel vicolo con la stessa aura depressa e inquietante di un babadook qualunque, Leonard non intendeva concedere né una foto, né un autografo, né (santo signore cnos perdonami) una botta. o meglio, su quell'ultima opzione si poteva ancora discutere — violenza fisica, non atto sessuale incestuoso come qualche mente perversa potrebbe pensare (#jemes)(Arianna ti vedo).
    ma poi, ad uno che girava per strada con le cuffiette e your song sparata a tutto volume, non veniva spontaneo a chiunque tirargli una testata sui denti? I propri, come reazione a quell'immagine così nitida e soddisfacente, li conficcò nel labbro inferiore per impedire a se stesso di agire come istinto voleva: chiamare il proprio fratello con l'epiteto grandissimo figlio di puttana poteva risultare controproducente; non che Leo non ci si sentisse, bastardo dentro. e forse proprio per quello rimase in silenzio, grato del fatto che raphael fosse il solito attore teatrale melodrammatico: mentre il maggiore attraversava tutte le fasi del suo lutto personale, il ventiduenne poté prendersi del tempo per ragionare su quanto stava accadendo e imbastire un piano d'azione.
    proprio come un qualunque villain di Sailor Moon durante la trasformazione di Bunny — waiting, tapping my foot.
    «ma sei scemo» in risposta, per quanto non ne servisse una, le sopracciglia bionde del Vaughan si sollevarono impercettibilmente. si era sentito chiedere di peggio. soprattutto, se avesse dovuto scommettere su quale sarebbe state le prime parole del fratello una volta scoperto (dopo un fottuto anno) fosse vivo, quelle erano certamente un'opzione valida. il che la diceva lunga sul tipo di rapporto tra i due; sospeso come una spada di Damocle sulle loro teste, pesante quanto la distanza a dividerli in quel vicolo. opprimente, quasi, perché le iridi chiare di Leonard, e il mare in tempesta che vi si scuoteva dentro, vedevano solo l'ennesimo ipocrita affacciato su una bara vuota, le spalle curve a simulare — cosa? dolore per la sua morte o rassegnazione? sette mesi!, avrebbe voluto urlargli, avete aspettato sette fottutissimi mesi!, ma le labbra rimasero sigillate.
    e il corpo immobile, se non un accenno a raddrizzare la schiena per appoggiare la nuca ferita contro il muro alle sue spalle «hai finito?» se avessi un cent per ogni volta che un mio pg si è ritrovato a porre questa domanda con espressione deadpan per non dover picchiare il proprio interlocutore (ciao justin ❤), a quest'ora avrei due cents. che non è molto ma è comunque strano sia accaduto due volte «se stai per avere un infarto sei nel posto sbagliato» sentiva la rabbia risalire dal torace alla gola, graffiando con unghie che ormai erano diventate artigli, ma la trattenne. compressa, schiacciata e arrotolata in fondo alla lingua; non voleva dargliela, quella soddisfazione.
    un pensiero unilaterale, quasi sicuramente — una cosa in comune cory e mood l'avevano di certo: giocavano le loro partite da soli. mossa e contromossa, lasciando all'ignaro avversario del momento solo una possibilità di mettere insieme i pezzi.
    teneva ancora la mano destra infilata nella tasca del giubbino fuori stagione, la presa ben salda attorno al coltellino svizzero. l'avrebbe usato su chiunque, se fosse stato necessario, ma l'idea di colpire proprio suo fratello aveva un retrogusto che andava oltre il concetto stesso di sopravvivenza, e difesa personale. immaginare se stesso mentre stendeva raph con un pugno e poi gli piantava i dieci centimetri di lama nella coscia aveva un che di curativo, rilassante, detox. bastò quella scena, ormai partita in loop sul suo proiettore mentale, a far rilassare i muscoli del volto, donando nuova quiete alla tempesta nello sguardo. e una balla, tanto surreale da poter quasi passare per buona — nessuno, tantomeno Raphael Vaughan, aveva abbastanza prove tra le mani per smentirla.
    avrebbe potuto semplicemente raccontare al fratello maggiore come fossero andate le cose. forse persino concedergli un abbraccio.
    concedersi, un abbraccio.
    ma
    te l'avevo detto, leonard.
    e ancora
    quando la smetterai di comportarti cosi?
    di nuovo, si irrigidì
    era solo questione di tempo
    i guai se li cerca
    sapevamo sarebbe finita così
    era inevitabile

    il pugno stretto nella tasca, la mano libera sporca del proprio sangue passata con apparente disinvoltura tra i capelli per raggiungere una sigaretta incastrata dietro l'orecchio.
    avevano seppellito una bara vuota.
    come direbbe un saggio: faffanculo gli abbracci.
    «Mamma era convinta fossi morto» inevitabilmente, le labbra del ventiduenne si stesero in un sorriso — tipico del cocco di casa, citare la mammina. che non era proprio l'esempio più spiccato di genitore chioccia iperprotettivo: le idee di Martha, Leo le conosceva bene. aveva preso le distanze anche per quello, sentendo le pareti della loro casa stringersi sempre di più tentando di soffocarlo. raph lo aveva accettato come un dato di fatto, lasciandosi plasmare dal carattere forte della donna e dalle convinzioni del padre, ma il minore si era impegnato sin dall'inizio per renderla una lotta. ragazzino difficile, adolescente ancora peggio, adulto.. beh, scomparso e deceduto rendevano bene l'idea «mi dispiace davvero tanto deluderti, amico» che suona un po come bro nella situazioni più estreme.
    la leggera stretta delle spalle fu volontariamente accompagnata da un sospiro, la testa bionda chinata verso il terreno — abbassare lo sguardo per evitare quello del proprio interlocutore era considerato nel mondo animale un primo atto di sottomissione. a Leonard non importava affatto che il fratello ci credesse, ma sulla scia distruttiva di quell'onda emotiva (stai ancora iperventilando, raph?) puntava sicuramente ad insinuare il dubbio «ma credo tu mi abbia scambiato per qualcun altro. non—» le iridi smeraldine fuggirono ancora, saltando dalle pareti del vicolo ad una scarpa da ginnastica abbandonata poco più in là, il respiro reso più pesante dall'ansia di sentirsi messo alle strette.
    era più facile mentire, recitare, plasmare i propri sentimenti in modo da renderli indecifrabili, quando la realtà si svolgeva al di fuori della propria mente. sulla nave, la maledetta fottutussima nave, leo non aveva avuto alcuna scelta se non strapparsi cuore e viscere e cederle in pasto al miglior offerente su un piatto d'argento.
    una cosa (un errore) che con suo fratello non aveva mai fatto.
    «non lo so, chi sei. davvero pensi di conoscermi?» e la speranza, un barlume a brillare negli occhi chiari cerchiati inevitabilmente da ombre scure di stanchezza, quella fu capace di renderla con incredibile perizia. quasi la provasse davvero, in fondo, relegata tra le costole a confondersi con un rancore mai del tutto sopito; quieta, in quel mare turbolento, accucciata proprio accanto al desiderio feroce di cambiare la propria forma in quella animale e cagargli in testa.
    con affetto, ovviamente.

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