Tell me how to breathe in and feel no hurt

[ Joni ft. Julian ]

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    il tempo era una brutta bestia.
    a volte i minuti sembravano ore, le ore secondi, i giorni si rincorrevano insieme infiniti e troppo brevi. com'era possibile che fossero passati già quasi due mesi? — e perché pesavano come dieci? Einstein ci aveva provato a spiegare un fenomeno altrimenti incomprensibile, teoria della relatività e altri paroloni mistici buttati qua e là per cercare di dare un senso a qualcosa che evidentemente non lo possedeva.
    batté una volta le ciglia, la tassorosso, uscendo per un istante dai propri ragionamenti astratti per ritrovarsi dove un attimo prima non era; aveva camminato spedita senza rendersene conto, il cuore a martellarle nel petto ad una velocità che comunque era niente in confronto a quanto rapidi scorressero i suoi pensieri. joni peetzah era sempre stata brava ad agire prima di pensare, e per lei tutto quel tramestio di ingranaggi prodotto dal suo cervello nel disperato tentativo di trovare una soluzione rappresentava una scomoda novità.
    è che non le era rimasto altro.
    «joni?» non si voltò. sapeva che se l'avesse fatto, gli occhi scuri di Julian e l'espressione preoccupata a piegare le labbra del ragazzo avrebbero causato un cedimento: strutturale, definitivo. tanto si sentiva fragile, arrivata a quel punto — sottile come carta velina tra le mani paffute di un bambino «joni, non dovremmo-» solo allora la tassorosso si rese conto davvero di dove i suoi piedi si fossero fermati, spinti fino a quel momento da pensieri ingarbugliati tra loro: alle sue spalle, nel gelido grigiore di metà dicembre, Hogwarts svettava immobile e silenziosa, fregandosene altamente dei suoi ex studenti che scomparivano nel nulla. davanti a lei, oscura e pesante quanto il cratere a scavarle nel petto, una distesa intricata di alberi neri e contorti «sei tu che non dovresti» del tono ruvido si rese conto solo troppo tardi, quando già le parole avevano abbandonato le labbra sbiancate dal freddo.
    se una parte di joni era dispiaciuta, conscia che Julian non avesse fatto nulla per meritare la sua frustrazione, l'altra meno razionale avrebbe voluto scavare più a fondo, girare il coltello nella ferita finché l'altro non fosse ceduto per primo. si girò comunque verso il ragazzo, senza scostare i capelli ramati dal volto: aveva rinunciato a tagliarli, raccoglierli, pettinarli — a modo loro, quelle lunghe ciocche simili a lingue di fuoco rappresentavano perfettamente come si sentiva dentro. in balia di un caos che non riusciva a spiegarsi né, tanto meno, domare «ti farai bocciare un'altra volta, Bolton. torna a scuola» già mentre parlava, si rese conto con orrore di un pizzico estraneo nel fondo della gola, e si affrettò a richiudere la bocca. quello era solo uno dei tanti motivi per cui joni avrebbe preferito essere da sola: con il proprio senso di impotenza, con la propria rabbia, con quelle lacrime che minacciavano di traboccare da un momento all'altro.
    le odiava. odiava sentirsi soffocare da quel groppo che le ostruiva la trachea, odiava il modo in cui le appannavano la vista. soprattutto, odiava l'idea che qualcun altro potesse vederle, scambiandole per debolezza. perché in quel momento, dove niente di ciò che faceva sembrava avere un senso, l'ultima cosa di cui joni peetzah aveva bisogno era sapere di essere vulnerabile, di possedere un punto debole, di non essere in grado.
    anche se sarebbe stata la verità: le aveva provate tutte, senza ottenere alcun risultato — Mac era scomparso; Hans era scomparso. e rimanevano scomparsi, qualunque cosa lei facesse o pensasse, indifferenti agli incubi che la tormentavano ogni notte da quasi due mesi. incubi dei quali non aveva mai parlato a nessuno, perché per quello di solito c'era mckenzie.
    how ironic.
    «posso fare da sola, davvero.» era tornata a guardare la Foresta Proibita, un muro di alberi che non prometteva niente di buono; sempre meglio che dover sostenere lo sguardo di Julian, leggendovi dentro una verità che joni già conosceva: non li avrebbe trovati li dentro. non li avrebbe trovati da nessuna parte, punto. ma la razionalità in quel caso specifico contava meno di zero «torna a scuola» concluse, le braccia strette al petto mentre compiva già i primi passi, gli scarponcini ad affondare in un letto di foglie morte e terra bagnata. quello era solo un posto come un altro, l'unico nel quale non li avesse cercati; certo, rischiava di essere punita, espulsa, forse persino morire (nessuna delle tre conseguenze l'aveva davvero sfiorata), ma a quel punto del suo percorso scolastico le importava poco.
    di vivere già un po di più, ma anche quell'aspetto sembrava essere passato in secondo piano, sepolto sotto il peso eccessivo di tutti i precedenti tentativi falliti. quando si era ammalata Dylan, joni aveva creduto di impazzire, e forse l'avrebbe anche fatto: ma la missione era stata fondamentale per darle uno scopo — una distrazione. la consapevolezza di poter fare qualcosa, anche solo un salto nel (1600) buio. sempre meglio che rimanere con le mani in mano a piangersi addosso, sbattendo ripetutamente la testa contro un muro in apparenza impossibile da superare. perché era così che si sentiva ora la peetzah, messa alle strette e senza più nemmeno un'opzione: sono morti, suggeriva la logica, ma lei non poteva stare a sentire «so che sono da qualche parte. e sono ancora vivi, ok? devo solo-» si era fermata di nuovo, joni, e con i passi scemarono anche le parole.
    era quello che odiava di Julian Bolton, sopra ogni cosa: sentiva sempre la necessità di raccontargli quello che provava. una cosa mai successa prima, perché la regola principale della tassorosso era sempre stata tenere per sé i propri pensieri e mascherarli dietro ad un'espressione da giocatrice incallita di poker. ma con lui, maledetto palo della luce, non ci riusciva «capire come arrivarci» aggiunse, con un filo di voce, rivolta più a se stessa che al ragazzo. come detto, le era rimasta una sola possibilità: accettare che la spiegazione più irrazionale fosse anche l'unica accettabile. e esisteva un'ipotesi più folle di quella che includeva un posto impossibile da trovare se non nei propri incubi? joni riteneva di no. eppure i ricordi sconnessi e sfilacciati messi di gran fretta su un quadernino parlavano di una realtà completamente diversa; una realtà ben più concreta di quanto lei e Mac avrebbero mai pensato mentre tracciavano linee confuse sulla carta.
    solo che questo, Julian, non lo sapeva.
    non ne aveva mai parlato a nessuno, nemmeno a Dylan; quel quadernino, che adesso si portava dietro infilato nella tasca posteriore dei jeans, lo aveva condiviso solo con l'hale «posso farcela» disse, senza muovere un passo, sentendosi scuotere dall'interno come una maracas — experienced a feeling once, not raccomended.

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    Edited by yeet! - 15/12/2022, 20:21
     
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    Arrestò il suo incedere quando lo scricchiolio sordo delle foglie secche rimbombò nelle sue orecchie, andando a fare compagnia al battito del suo cuore, regolare ma allo stesso tempo assordante. Abbassò lentamente lo sguardo sui suoi piedi, e poi, quasi tentennando, voltò il capo per guardare oltre la sua spalla, ma senza farlo per davvero: senza rendersene conto aveva chiuso entrambi gli occhi, e dovette costringersi a riaprirli uno alla volta, mettendo a fuoco solo allora e solo molto lentamente dove si trovavano. Non che non lo sapesse, Julian; aveva anzi capito perfettamente dove fossero diretti appena la rossa aveva iniziato a camminare e appena lui aveva iniziato a seguirla, ma una parte di sé sperava che si fosse sbagliato, che stessero andando alla capanna del guardiacaccia, o al campo da Quidditch a distruggere qualcosa, alle serre della professoressa Ramos, e perfino nello studio del Preside per urlargli qualcosa contro e rischiare di farsi espellere. Ahilui, però, quella volta aveva avuto ragione, e quando aveva aperto gli occhi ne aveva avuto la conferma.
    «joni?» richiamò la ragazza con voce sottile, mentre ora un soffio di vento un po’ più forte ora un gracchiare un po’ più vicino attiravano di volta in volta la sua attenzione e gli facevano spostare lo sguardo da un punto all’altro della foresta. Non aveva paura che uno stormo di corvi – quelli veri, con le ali e il becco e tutto l’armamentario di un volatile qualsiasi – lo attaccasse, o che si alzasse un forte vento, non era nemmeno per sé che temeva in primo luogo; fermò lo sguardo preoccupato sulla schiena della tassorosso e sospirò sconsolato. Si sentiva un po’ in colpa per sentirsi in quel modo nei suoi confronti, per sentire la necessità di difenderla e di dimostrarle che di qualsiasi cosa lei avesse bisogno lui ci sarebbe stato, perché non era giusto nei suoi confronti; sapeva benissimo che Joni non voleva quello da lui, che se fosse venuta a conoscenza di quei suoi pensieri gli avrebbe urlato contro e l’avrebbe probabilmente preso a calci anche solo per aver immaginato che lei avesse bisogno di lui (e di qualcuno, più in generale) come se fosse una qualsiasi donzella in difficoltà e lui fosse l’Ercole di turno. Ma non era quella convinzione che spingeva Julian verso quei sentimenti, il grifondoro sapeva bene quale fossero i rispettivi ruoli – lui Mary Jane, lei Peter Parker – e non avrebbe mai voluto che le cose tra di loro fossero diverse. Non era quello, era…
    Nessuno gli aveva detto che fidanzarsi a quella terribile età che erano diciassette e diciotto anni non consisteva soltanto nel tenersi la mano per i corridoi, nascondersi dentro le aule fredde e vuote per potersi appropriare di un banchetto e riscaldarsi con un limone innocente, organizzare picnic con gli avanzi del pranzo sul bordo del lago e ridere insieme, e nel loro caso colpirsi a vicenda, e darsi fastidio, e alzare gli occhi al cielo, e insultarsi, e poi di nuovo ridere insieme, ma che ci fosse anche tutto il resto. Un cumulo affascinante e allo stesso tempo tremendo di emozioni che si aggrovigliavano l’una sull’altra e li faceva crescere insieme e maturare quel senso di familiarità l’uno nei confronti dell’altro che poco alla volta sfociava in quella involontaria condivisione dei sentimenti per cui bastava guardarsi per sapere cosa frugasse nella testa dell’altro. Ecco cos’era tutto il resto; ed ecco qual era il problema di Julian, da dove derivava quella smania di protezione nei confronti di Joni, perché gli bastava guardarla per sapere come stesse, e odiava sapere che stesse in quel modo, e odiava ancora di più sapere che non potesse fare nulla per migliorare la situazione. Era frustrante, avvilente, lo faceva sentire impotente e inutile, e fuori luogo, quasi di troppo: avrebbe voluto scambiare la sua esistenza e trasformarsi in un più minuto ex corvonero biondino, con il sorrisino timido e le braccia gracili ma dotate di un’innaturale forza, presentarsi alla Peetzah e dirle: “ehy sono Mac, eccomi, sto bene, è tutto bene, posso portarti da Hans, stiamo bene, quindi puoi stare bene anche tu”; avrebbe preferito decisamente quell’opzione a quella di dover restare a guardare senza poter fare niente. Lui voleva fare qualcosa, e voleva che Joni gli dicesse cosa fare, come rendersi utile, invece la tassorosso non gli chiedeva mai niente, si torturava da sola, e restava in silenzio il più delle volte, e quella diventava la sua personale tortura.
    «joni non dovremmo-» continuò flebilmente, convinto a parlare solo dall’ennesimo crepitio che lo mise sull’attenti, ma non riuscì a finire la frase.
    «sei tu che non dovresti», le parole di Joni gli fecero spostare nuovamente lo sguardo sulla sua figura, le labbra tirate in una smorfia di disappunto. Non ci era rimasto male per il tono che aveva usato contro di lui, o per quello che gli aveva detto, aveva imparato che in quei momenti non bisognava prendere certe parole sul personale, ma bastava aspettare in silenzio e diventare il bersaglio di qualsiasi cosa la ragazza avesse da dire – o avesse voglia di lanciare, che pure era una possibilità sempre presente con Joni. Non era mai stato bravo a stare in silenzio Julian, tutt’altro – era abituato ad avere sempre la battuta pronta, o una parola di conforto, o un sorriso per sdrammatizzare e consolare l’altro, ma aveva capito che Joni non aveva bisogno di questo e con un punta d’orgoglio bisognava ammettere che era diventato piuttosto bravo a silenziarsi e ad ascoltare.
    Non parlò, infatti, ma lasciò la parola alla Peetzah e si avvicinò lentamente, muovendo con attenzione i piedi sul terreno fangoso e sul fogliame umido; solo alla fine le poggiò delicatamente una mano sulla spalla. «lo so» mormorò con convinzione, abbassando lo sguardo sul viso della rossa e annuendo leggermente. «lo so che puoi farcela, che capirai dove sono e che li troverai. e anche loro lo sanno, ne sono sicuro» parlava lentamente, e cercava di pesare le parole più e più volte prima di pronunciarle per non rischiare di dire nulla di sbagliato e non peggiorare ancora di più la situazione. «dobbiamo solo…» lui ormai ci era dentro, e sebbene sapesse perfettamente che Joni poteva farcela da sola, non aveva mai preso in considerazione quell’alternativa. E sì certo partecipava a quelle ricerche matte e disperate principalmente perché lei era la sua ragazza, ma la sparizione dei due ex studenti di Hogwarts, nonché due suoi amici, aveva messo in allerta anche lui – e perché nessuno ne stava parlando, perché nessuno li cercava, perché? «dobbiamo essere intelligenti» curioso che fosse lui a ricordarlo alla rossa visto che notoriamente non era il Bolton quello intelligente della coppia «e non è molto intelligente addentrarsi nella foresta a quest’ora, con il sole che sta calando» con un’occhiata veloce ai dintorni si assicurò che il sentiero che portava al castello fosse ancora lì, un po’ troppo lontano per i suoi gusti ma comunque ancora visibile e raggiungibile, mentre tutt’intorno la foresta cominciava ad infittirsi e a farsi sempre più buia, e gli sembrò che anche i corvi avessero iniziato a farsi sentire con più insistenza.
    Piegò debolmente l’angolo delle labbra all’insù in un sorriso appena accennato, e accompagnò il gesto con un’alzata di spalle «e poi non posso tornare a scuola da solo, lo sai che non ho senso dell’orientamento e a seguire le tracce sei più brava tu» una verità, indubbiamente, ma anche una ruffianata degna del suo nome – Julian Bolton sapeva quando fare o non fare il Julian Bolton. «non vorrai avermi sulla coscienza, Peetzah, ho promesso a tuo fratello che sarei andato a spiare (di nuovo) gli allenamenti dei Gunners, e sai com’è quando si tratta di quella squadra…» anche se iniziava ad avere il sospetto che il problema non fosse la squadra in sé, ma l’Huxley visto che le domande più frequenti del maggiore dei Peetzah erano “ma Elwyn c’era? I giocatori lo ascoltano? Ma come gli sta la tuta dei Gunners?”, ma no homo eh.
    Lasciò la presa con la mano sulla spalla di Joni e allargò il sorrisino quanto bastava per dargli quell’aria un po’ dispettosa e divertita «e poi ho sentito che Noolan si è fidanzato, quindi ti conviene tenermi in vita ancora un po’» ah, il buon vecchio Noolan. In effetti Julian avrebbe potuto rapire il tassorosso e appenderlo come un sacco da boxe e regalarlo alla battitrice, sicuramente avrebbe apprezzato e si sarebbe sentita meglio; se lo appuntò mentalmente e decise che se non fosse riuscito a farla stare un poco meglio, avrebbe messo a punto quel piano. Ah, cosa non si fa per amore.
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    joni peetzah non aveva mai avuto paura, prima.
    nemmeno quando suo fratello si era fatto spaccare la testa da un bolide e lei, solo sette anni e già troppo adulta, di fronte al suo corpo immobile non aveva versato una lacrima. aveva mantenuto la calma, lì dove i suoi genitori si erano strappati le vesti e i capelli, passando ore seduta su una sedia senza mai distogliere lo sguardo da quel Piz che sembrava più morto che vivo.
    il panico non l'aveva mai sopraffatta, nonostante fosse una bambina — una bambina strana, che avrebbe fatto preoccupare la madre se non avesse avuto un altro figlio con il cervello spappolato di cui occuparsi.
    joni peetzah non aveva mai avuto paura, prima.
    prima di farsi degli amici. prima di concedere loro più di quanto fosse intenzionata a fare. prima di rendersi conto di poterli perdere, uno a uno. e allora, cazzo, non era meglio il prima? quello in cui l'unica responsabilità che avvertiva era quella nei suoi stessi confronti, dove sentirsi impotenti e vulnerabili non esisteva. un prima nel quale joni non avrebbe mai pensato di non essere abbastanza. ma nell'ora, quello in cui viveva confrontandosi costantemente con l'idea di non poter aiutare le persone che amava, la Tassorosso sentiva la paura masticarla dall'interno; strappava piccoli brandelli, conficcando dentini aguzzi nella carne, e joni non aveva idea di come strapparsela via di dosso. «lo so che puoi farcela, che capirai dove sono e che li troverai. e anche loro lo sanno, ne sono sicuro».
    la mano di Julian sulla spalla le fece fare un sobbalzo, e si odiò per quello.
    lo odiò.
    lui, il calore che emanava la sua pelle, la voce gentile, le parole giuste che diceva.
    odiava Julian Bolton come il primo momento in cui si era resa conto che le piaceva: come la guardava, come rideva, persino come la toccava. non disse niente, limitandosi a voltare il busto di tre quarti, iridi celesti ad alternarsi lentamente tra lui e la foresta. li, ad un passo, eppure distante — non le mancava il coraggio di entrarvi, ma quello di scoprire la verità? si. e lo sapeva, joni, che tra quegli alberi fitti non avrebbe trovato assolutamente nulla. «ti perderesti anche nel tuo dormitorio, bolton» evitò di guardare Julian in volto, perché (stava troppo in alto) era certa che se l'avesse fatto l'ultima scia di pensieri coerenti nella sua testa si sarebbe dissolta.
    no, non ci poteva andare nella foresta proibita.
    perché non li avrebbe trovati, e nel mentre si sarebbe fatta ammazzare.
    ma che fossero vivi, joni non aveva dubbi.
    «e poi ho sentito che Noolan si è fidanzato, quindi ti conviene tenermi in vita ancora un po’» la battuta immancabile su Cillian l'avrebbe fatta sorridere, e arrabbiare, ma non aveva davvero ascoltato; la voce del Grifondoro era vibrata sulla sua pelle, sfiorandole i capelli e le orecchie, ma lo sguardo rivolto ancora una volta verso l'oscurità della foresta l'aveva di nuovo estraniata. a far scattare l'interruttore, se così si può dire, non furono le parole di Julian, ma l'improvviso vuoto che Joni avvertì quando la mano del ragazzo non fu più sulla sua spalla. come se qualcosa, nascosto da qualche parte, si fosse spezzato.
    tutto quello che la rossa dovette fare, tutto quello che poteva fare, fu girare su se stessa, le spalle finalmente rivolte a quell'intreccio di rami e tronchi che l'avrebbe volentieri inghiottita; fece scorrere le mani sotto la giacca del Bolton, intrecciando le braccia dietro la sua schiena, fronte a premere contro il torace. avrebbe potuto stringere con meno forza, ma non voleva: che si allontanasse, che provasse a guardarla in faccia. che si perdesse, anche lui «dovresti sul serio pensare a trovarti qualcun'altra, Bolton. o qualcun altro, non giudico» non si mosse, joni, il volto affondato nella sua maglia, la voce ridotta ad un sussurro; tanto c'erano solo loro due «qualcuno che ti dia qualcosa in cambio» non era di quello che aveva parlato con Dylan, prima ancora di chiarire a se stessa i propri sentimenti? non aveva cambiato idea, joni peetzah. il fatto che Julian fosse li, a prendersi le sue risposte velenose e il suo distacco, la sua rabbia e la frustrazione, era solo l'ennesima conferma.
    l'intreccio delle dita dietro la schiena del ragazzo si sciolse, la mancina a risalire finché non trovò il colletto della sua maglia e lo strinse tirando verso il basso; non era facile per joni, nemmeno in punta dei piedi. gli posò un bacio dove la linea della mandibola era più evidente, poco sopra la curva della gola, e un altro al di sotto, dove la pelle era più sensibile. se c'era un'altra cosa che joni peetzah non aveva mai provato nel prima, e che era quasi del tutto certa non avrebbe provato nemmeno nell'ora, era il desiderio di baciare qualcuno — e di essere baciata a sua volta. un pensiero, così intimo, che le aveva sempre strappato una smorfia di disappunto, e che forse in quel momento non era poi così inconcepibile.
    stupido Giuliano.
    «ok» disse, traendo un respiro che sapeva di aria invernale e julian, un passo indietro per ristabilire un minimo di distanza. avrebbe voluto baciarlo ancora (unreal), ma c'era qualcosa di più urgente a premerle contro il palato; ad insistere per uscire fuori, grattando la pelle dall'interno. le dita strette sul quadernino quasi sbiancarono quando Joni lo estrasse dalla tasca per mostrarlo al diciottenne, sospeso tra di loro come la proverbiale spada di Damocle «faccio dei sogni, a volte. non spesso, ogni tanto. li faceva anche mac» se avesse aperto il quadernetto che gli stava porgendo, Julian avrebbe trovato quasi tutte le pagine segnate da tratti pesanti di carboncino nero, figure simili a ombre senza volti, dettagli che potevano essere tali solo nella memoria di Joni.
    capelli rossi, pelle bianca, il bracciolo di una poltrona, una macchia di ruggine nel nero, frammenti di vetro, chiodi, troppi denti.
    sognava denti e sangue, la peetzah, sognava una mano stretta alla sua, sognava le persone con lei che aveva promesso di portare in salvo senza riuscirci. sognava cose che non erano mai accadute, eppure così reale da essere condivise «li faceva anche Hans, ne sono sicura. solo che non me l'ha mai detto» eppure ne era certa, Joni. perché Hans in quei sogni c'era sempre, ed era presente su ciascuna di quelle pagine, pochi tratti confusi ma decisi «sono qui. so che sono qui. dove siamo stati insieme. e sono vivi. senti Giuliano, lo so che sembra una follia e che non ha senso» si strinse nelle spalle, la Tassorosso, richiedendo la bocca.
    non c'era nessun ma — non stava tentando di giustificare la propria ostinata convinzione. voleva solo condividerla con lui, anche se non poteva capire. quasi senza rendersene conto, Joni portò la mano destra al braccio opposto, dita a premere contro la stoffa della giacca: ci sarebbe dovuta essere una cicatrice, lì, dove invece c'era solo pelle chiarissima e lentiggini. «non l'ha mai visto nessuno, a parte mac» indicò il quaderno con un cenno del mento, tenendo quest'ultimo sollevato, quasi un atto di sfida «pensi che sia folle?» lo era, almeno in parte. e se Julian fosse stato dello stesso avviso, Joni non gliene avrebbe fatta una colpa; avrebbe potuto chiedergli se si fosse mai svegliato nel cuore della notte con un grido incastrato in gola e la sensazione di quei denti che affondavano e strappavano e mangiavano, ma non lo fece.
    a confessioni per quel giorno aveva già dato.


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    Edited by yeet! - 22/2/2023, 07:51
     
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    «ti perderesti anche nel tuo dormitorio, bolton» più che una risata quello che il grifondoro sbuffò lievemente dalle narici fu un sospiro di sollievo, perché sapeva, a quel punto, che Joni avesse spostato l’attenzione dalla voglia di procedere nella foresta a lui – la presa sulla sua spalla si fece meno solida, i muscoli si distesero un po’, e si concesse un sorriso più morbido. Ma sapeva anche quanto fosse determinata e un po’ testarda la Peetzah, e sapeva altrettanto perfettamente che quando si metteva in testa di fare qualcosa raramente qualcuno riusciva a distoglierla da quel pensiero: leggeva ancora sul suo viso e nella sua espressione quell’indecisione che la tratteneva dal dare completamente le spalle alla foresta e la guardò insistentemente, come se potesse richiamare la sua attenzione con la semplice forza dello sguardo.
    Il nome di Noolan, buttato lì per far ridere la tassorosso, rimbombò tra gli alberi e poi cadde nel vuoto, così come la mano del Bolton scivolò lentamente via dalla spalla di Joni con un sospiro. Non capì se fosse riuscito o meno a distogliere la Peetzah da quell’idea; per quanto bene conoscesse la sua ragazza non riusciva mai a capire fino in fondo cosa pensasse, e quella era una cosa che lo faceva sentire vivo, pieno di curiosità e di ammirazione verso la tassorosso. In effetti, era iniziata proprio così: quando aveva conosciuto Joni non sapeva che lei l’avrebbe guardato dal basso verso l’altro come se avesse avuto intenzione di polverizzarlo con la vista laser, e poi aveva imparato a conoscere quello sguardo e a sguazzarci dentro, a reputarlo una provocazione a cui rispondere giocosamente; e all’inizio non sapeva neanche che lei l’avrebbe colpito e quanto forte l’avrebbe colpito; e ovviamente non aveva capito neanche lontanamente che a lei piacesse, e anche quando gliel’aveva detto era stato preso alla sprovvista. Il fatto è che Joni lo sorprendeva continuamente, e a lui piaceva lasciarsi sorprendere. Studiò la sua espressione e i suoi movimenti e cercò di prevedere la sua prossima mossa, e soprattutto cercò di capire se stesse per correre e scappare nel groviglio di rami spogli e foglie secche, o se gli avesse preso la mano e fosse tornata al Castello con lui per studiare un piano insieme – eppure, riuscì a sorprenderlo ancora.
    Restò un attimo di sasso, con la bocca sospesa in un sussulto stupito, ma poi piegò le labbra per sorridere placidamente e cinse le spalle della rossa con le braccia in una stretta altrettanto forte e altrettanto sentita. Si dovette abbassare un po’ con la schiena, un bel po’, ma non sembrò dispiacersene o risentirne eccessivamente, perché posò le labbra sulla chioma rossa della battitrice e le lasciò un bacio lì, strizzando gli occhi e inspirando profondamente. Non è che non fosse abituato ad abbracciare la sua ragazza, ormai si abbracciavano, si baciavano, ricercavano spesso l’uno il contatto dell’altra – ma non si aspettava di ricevere quell’abbraccio in quel momento, a un passo dalla tetra foresta proibita, il vuoto intorno a loro e l’aria fredda a premere sempre di più sulla loro pelle. «dovresti sul serio pensare a trovarti qualcun'altra, Bolton. o qualcun altro, non giudico» arricciò le labbra e riaprì gli occhi mentre si drizzava di nuovo con la schiena e alzava la testa dal capo di lei «uhm» pensieroso e un po’ sconcertato, non si chiese se lo stesse lasciando – perché non gli sembrava una cosa plausibile abbracciarlo e subito dopo lasciarlo –, piuttosto se quelle parole fossero la naturale conclusione a cui la tassorosso era giunta a partire da un discorso più vecchio e più generale; «qualcuno che ti dia qualcosa in cambio» si insospettì ulteriormente e aggrottò la fronte sollevando il sopracciglio. Qualsiasi fosse la matrice di quella convinzione della Peetzah, Julian sentiva che non solo non la condividesse ma che fosse oggettivamente errata – scacciò quel pensiero con un convinto diniego della testa, e poi rise flebilmente e anche un po’ divertito. «ma che dici, a me piace quello che mi dai tu, Joni» disse con tono sicuro, sbuffando una risata naturale e divertita; lo disse come se fosse un’ovvietà, come se stesse dicendo che l’acqua a cento gradi bolle o che un essere umano (nella stragrande maggioranza delle ipotesi) ha due braccia e due gambe. «tu mi rendi felice» continuò con lo stesso tono, ma con la lancetta spostata un filino più a destra verso lo spicchio che apparteneva alla sdolcinatezza; quello poteva o non poteva essere il modo di Julian per evitare di dire ad alta voce un troppo precoce e ancora non interiorizzato ti amo – l’intenzione, perlomeno, era proprio quella e anche il suo petto si scaldò di un calore sconosciuto, quasi ardente, ma piacevole e rassicurante. «però se proprio insisti-» ma era pur sempre Julian Bolton e trovava il modo di stuzzicare la rossa in qualsiasi contesto «-potrei sempre andare a fare una visita alla Robertson» una tale Sophie Robertson che aveva guadagnato la fama di dare (senza neanche ricevere qualcosa in cambio) a diversi ragazzi senza fare troppe storie. Non che a Julian interessasse, ovviamente, sperava semplicemente di toccare determinate corde e di spingere su quelle per tirare su il morale della tassorosso – era meglio essere preso a pugni che vedere Joni in crisi. In effetti, era più che probabile, una realtà quasi tangibile, che dopo quanto aveva detto gli arrivasse un calcio volante o qualche colpo ben assestato, ma per il momento accompagnò con la schiena il movimento a cui l’aveva costretto, quindi si piegò leggermente e si prese con un sorriso morbido entrambi i baci. A dire la verità, Julian l’avrebbe volentieri baciata ancora, e il sito isolato, lontano da occhi indiscreti, favoriva la sua idea – ma la Peetzah lo sorprese ancora perché si staccò e sembrò avere questioni più urgenti.
    Rimase in silenzio. Ascoltò. La guardò e poi guardò il quadernino che gli aveva passato, ma non lo aprì ancora. «faccio dei sogni, a volte. non spesso, ogni tanto. li faceva anche mac» si fece più attento e studiò con gli occhi l’espressione di Joni farsi via via più combattuta e più preoccupata, e anche lui, d’altra parte, diventava sempre più confuso. Non aveva un’idea, non aveva collegato i punti perché non aveva neppure sviluppato dei veri e propri punti da collegare, e quando aprì il quadernetto di Joni le cose non migliorarono affatto; fu assalito da un senso di sconforto e quasi di paura nel guardare quei disegni, nel passare con le dita sulle pagine per tastare quanto fosse calcato il segno del carboncino, chiedendosi se si fosse svegliata con l’urgenza di disegnare quelle cose, se l’avesse fatto dopo diverso tempo, troppo scossa per eliminare dalla mente certe immagini che ai suoi occhi apparivano così… tetre, buie, spaventose. Sfogliò pagina dopo pagina e alzò gli occhi sulla rossa solo quando la sentì rivolgersi direttamente a lui; non sapeva cosa dire, Julian, forse per la prima volta da sempre. Aveva tante domande e nessuna risposta: si chiese come avesse fatto a non accorgersi in più di un anno che Joni avesse questi incubi, si chiese se fosse stato abbastanza accorto da chiederle almeno una volta come avesse dormito e cosa lei gli aveva risposto, si chiedeva se l’avesse mai vista disegnare, e se, più in generale, fosse stato un buon ragazzo, e poi ovviamente dove fosse andata insieme a Mac e Hans, e ancora si chiedeva cosa dovesse risponderle ora che non aveva risposte da darle e nessuna rassicurazione per lei.
    Lui, che avrebbe donato il suo cuore d’oro per lei, non poteva aiutarla in nessun modo.
    «no,» scosse lentamente la testa mentre richiudeva il quadernino con una mano «lo so che non sei folle» parlò lentamente ma non dubitò mai di quello che stava dicendo «e neanche Mac e Hans» posò di nuovo, per un attimo, lo sguardo sul quadernetto e si morse l’interno del labbro inferiore, pensieroso. No, Joni non era impazzita, e Mac e Hans non erano impazziti – era successo qualcosa, e se non poteva dare una spiegazione a questa cosa poteva comunque ancora dare una mano a trovare i due ex studenti. Erano amici di Joni, erano amici di Livy, erano suoi amici, e dovevano trovarli. Accennò un passo verso la tassorosso e annuì convinto; il quaderno di lei era chiuso e stretto tra le sue grandi mani, ma allungò quella libera per raccogliere le dita tra le sue «ti credo, hai ragione, lo so» a quanto pare c’era un legame tra i tre che non poteva essere messo in discussione, e neanche lui poteva azzardare una cosa del genere, per quanto fosse vicino alla Peetzah. «dov’è qui? cos’è… qui? e… cosa sono quelle figure che hai disegnato?» fu cauto nelle domande, nonostante tutto; non voleva entrare in modo troppo irruento in quel discorso, perché se quel diario l’aveva visto solo Mac, se neanche Dylan era a conoscenza di quella cosa, allora la confessione della tassorosso prendeva la forma di un segreto, e lui non voleva forzare troppo. E fu così cauto che propose l’ultima cosa che ci si aspetterebbe da Julian Bolton «hai… già cercato in biblioteca?» lui, che la biblioteca l’aveva vista tre volte in croce perché Joni ce l’aveva trascinato direttamente dal campo da Quidditch.
    Solo alla fine sorrise leggermente, e più che un sorriso liberatorio voleva provare ad essere un sorriso rassicurante «li troveremo, lo so che lo faremo»
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
     
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