Votes taken by meta/noia

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    How many times must I keep it inside?


    Quando se n'era andata, non si era data il tempo di pensare. Non aveva lasciato Londra con la promessa di non farvi mai più ritorno, non aveva sperato in un futuro diverso, non aveva preso le distanze da quella sé maledettamente ingenua in favore di una Nicole finalmente capace di difendersi dalle stronzate. No, era semplicemente scappata via. Senza un piano, senza una prospettiva, solo con il desiderio di allontanarsi quanto più possibile da ciò che le aveva fatto male. Volete fargliene una colpa? Era così stanca di combattere. Lo faceva da tutta una vita: per la ribellione, per la famiglia, per sé stessa. Voleva solo chiudere gli occhi e dormire. Una volta avrebbe aggiunto tra le braccia di Sin, ora si sarebbe fatta bastare persino una sedia scomoda purché potesse finalmente riposare.
    Invero, una piccola parte di sé, quella meno orgogliosa, meno ferita, avrebbe ancora cercato Sin, ma c'era troppo da digerire, troppo perché potesse semplicemente dimenticare.
    Perfino guardarlo era doloroso.
    «non ho avuto tempo di cambiarmi, ero da murphy» annuì soltanto, e per un attimo riuscì a visualizzare con estrema chiarezza quel Sinclair Hansen che andava a trovare sua figlia, un momento qualunque di una giornata qualunque, e faceva il padre in quel suo modo un po' boomer e un po' adorabile che Nicole aveva presto imparato ad amare.
    In quei giorni, si era chiesta più e più volte in che modo avrebbe accolto la notizia della sua gravidanza. Sin era un buon padre per i suoi figli, certo, ma ciò non implicava che fosse disposto ad accoglierne un altro. Se avesse colto il rifiuto nel suo volto, Nicole non sarebbe stata in grado di biasimarlo. Ciò non toglieva il fatto che l'avrebbe oltremodo ferita. Non era pronta a quella prospettiva, ma avrebbe dovuto accettarla comunque, in un modo o nell'altro.
    Sollevò nuovamente lo sguardo sul volto di Sin e per un attimo, solo per un brevissimo istante, si ritrovò a percepire le sue stesse emozioni. Non era sua intenzione usare i propri poteri per comprendere i sentimenti dell'Hansen, e ormai da tempo si era auto-imposta di non farlo mai senza consenso. A volte, però, succedeva e basta. Era difficile controllarsi quando di mezzo c'era il suo stesso coinvolgimento emotivo.
    Distolse immediatamente lo sguardo dall'idrocineta, impedendosi di scavare oltre tra le emozioni di Sin. Cos'era, rabbia? Disperazione? Sollievo? Forse tutte quelle cose insieme, ma non era suo diritto scoprirlo così.
    Quella era la parte dell'essere special che aveva sempre odiato di più: sentire troppo, a volte, era anche peggio che non sentire affatto.
    Aveva impiegato anni per imparare a padroneggiare i suoi poteri in maniera accettabile, eppure le sembrava di non essere mai forte abbastanza. Sbagliava sempre, in un modo o nell'altro, intrufolandosi nelle emozioni altrui o plasmandole in maniera involontaria. Avrebbe preferito cento volte che in quel maledetto Laboratorio le avessero tolto la magia e basta, piuttosto che lasciarle un potere che pareva più simile a una condanna.
    E Sinclair era stato uno di loro.
    «scusami» mormorò, pur senza specificare a cosa si riferisse. Con tutta probabilità, Sin non si era neanche accorto della sua intrusione e, in ogni caso, non era quella l'unica cosa per cui sentisse di doversi scusare.
    Si umettò le labbra prima di parlare, nascondendo nervosamente le mani sotto le cosce. «non sarei dovuta scappare» ammise, pur evitando accuratamente di guardarlo negli occhi «non è così che le persone mature affrontano le discussioni» il che era un po' paradossale da dire, visto che di maturo sentiva di non avere proprio un bel niente. Provarci e riuscirci erano due cose nettamente diverse. Fece per dire qualcos'altro ma, per quanto si sforzasse, le risultava difficile dire qualcosa che non portasse con sé tutta la propria rabbia per le bugie che lui le aveva propinato. «dio Sin, perché...» non riuscì a finire la domanda. Che senso aveva chiedergli perché glielo avesse tenuto nascosto, quand'era ovvia la ragione per cui l'avesse fatto? Gli aveva raccontato degli anni passati ai Laboratori. Gli aveva spiegato come le avessero rovinato la vita, gli aveva confidato le sue più intime paure a riguardo. Confessarle di essere stato un dottore sarebbe equivalso ad ammettere di essere stato uno dei suoi carnefici e, con tutta probabilità, perderla per sempre. Era chiaro perché avesse esitato a dirle la verità.
    Nicole, però, avrebbe preferito cento volte scoprirlo da lui, che non da uno stupidissimo fascicolo.
    Si ritrovò a sospirare, sollevando il viso verso il cielo per richiamare a sé tutta la calma che aveva promesso di mostrare.
    «ho così tante domande, e sinceramente non sono neanche sicura di voler sentire le risposte» spostò finalmente le iridi chiare sul suo viso, permettendosi di guardarlo. Avrebbe voluto soltanto poggiare la fronte sulla sua e fingere che gli ultimi mesi non fossero mai accaduti davvero, invece si ritrovò a sospirare ancora, alla ricerca delle parole giuste da dire.
    Non gliene venne in mente nessuna, perciò disse l'unica cosa sensata, la ragione che l'aveva realmente spinta a tornare: «sono incinta» tanto brutale quanto onesto. Rimase in silenzio per qualche istante prima di continuare «è tuo, ovviamente» si sentì in dovere di specificare. Inutile dire che non avesse mai neppure pensato di andare con qualcun altro dopo averlo mollato, e non che non ve ne fosse stata l'occasione. Il fatto era che né la testa, né tantomeno il cuore glielo avrebbero mai permesso. Ciononostante, non poteva pretendere la fiducia dell'Hansen più di quanta lei non gliene avesse concessa impedendogli di fornirle una spiegazione.
    «e con questo non voglio che tu ti senta in obbligo di fare alcunché, so che è stato difficile per te anche con Murphy ed Eugéne» aggiunse in un sussurro, non riuscendo a evitare di sentirsi in colpa. Era forse colpa sua, però, se il gene Hansen non era in grado di starsene al proprio posto? «però mi sembrava giusto che lo sapessi» si strinse nelle spalle, lo sguardo di nuovo chino sul pavimento, in attesa di una qualunque reazione da parte dell'Hansen.


    nic
    ole
    rivera


    ravenclaw - special - 33 y/o

    my toxic trait is how badly i want to domesticate a racoon
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    okay dai, oggi una!

    rettifico perché mi voglio male: due ♥
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    BENVENUTA LIONAN (lion? elle? qualunque nome tu preferisca insomma)!! ♥
    Io sono Elisa - per evitare l'inevitabile futura confusione: elisa sr, perché imparerai che le elise sono ovunque -.
    Anch'io ho un passato da giocatrice di PBC, e in realtà credo di averle provate un po' tutte: chat, commenti di facebook, roleplay dal vivo e chi più ne ha più ne metta! Ormai da un po' di anni, però, sono approdata qui e mi sono definitivamente convertita al PBF, vuoi perché l'Oblivion è un posto oscuro dal quale è impossibile uscire davvero, vuoi perché la scrittura è sempre stata la mia passione e quindi perché non ottimizzare?

    So che tra regolamenti, codici e quant'altro ci si può facilmente perdere, ma non temere di sbagliare: il bello di un gioco è che è, appunto, un gioco, e che c'è sempre tempo per imparare, e tutti qui saremo ben felici di darti una mano ad ambientarti ♥

    Che dire? Lascio le cose utili a chi ne sa più di me, e mi limito a darti nuovamente il benvenuto e ad avvertirti che sbircerò ignobilmente tutti gli aggiornamenti sul tuo futuro pg perché sono già stra curiosa di vederl*!! :perv2:
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    nickname: meta/noia
    gruppo: wizard
    link in firma? yes!
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    How many times must I keep it inside?


    Famiglia.
    Per tutta la vita aveva mai desiderato nient'altro che una famiglia. Durante gli anni in orfanotrofio non aveva fatto che pregare, prima di andare a dormire e ad ogni maledetta candelina di compleanno, affinché qualcuno l'adottasse.
    Poi erano arrivati i Rivera, che l'avevano tirata fuori dall'inferno e trattata come fosse sempre stata figlia loro, e per un po' quel desiderio si era acquietato. Per diversi anni aveva persino osato credere di non poter essere più felice di così. Aveva finalmente dei genitori, a Hogwarts si era fatta degli amici, era una maga brillante e una figlia modello. I suoi professori non facevano che ripeterle quanto fosse promettente, e quale futuro prospero l'attendesse. I suoi genitori smorzavano la pressione di tanta aspettativa dicendole che, qualunque cosa avesse scelto di fare, loro le avrebbero voluto bene comunque. Era tutto talmente bello, talmente perfetto, da rendere la tragedia in arrivo quasi scontata.
    Avrebbe dovuto aspettarselo Nicole, così sveglia e previdente, che quella felicità semplicemente non potesse durare in eterno, eppure non l'aveva fatto. Si era crogiolata in quella tanta agognata gioia al punto da dimenticarsi che di cose brutte, nel suo mondo, ce ne fossero più di quante riuscisse a immaginarne. Non l'aveva vista arrivare, ma era arrivata lo stesso. La tragedia. E sette anni nei laboratori avevano spazzato via tutto ciò che di buono la vita aveva ammesso di concederle negli ultimi anni.
    Aveva perso la sua magia, aveva acquisito un potere che somigliava più a una maledizione, aveva temuto ogni singolo giorno per la sua vita e, al contempo, aveva sperato affinché finisse in fretta. Quand'erano venuti a liberarla, aveva avuto l'impressione di essere semplicemente finita in una prigione più grande: il mondo intero, pronto a torturarla con le sua troppa rabbia, troppa tristezza, troppa felicità. Sentiva le emozioni degli altri in maniera talmente intensa da sovrastare tutto il resto. Eppure, malgrado sopportasse a malapena la vicinanza altrui, aveva cercato i suoi genitori lo stesso. Li aveva cercati perché avrebbe preferito morire con la testa poggiata sul grembo di sua madre che da sola, divorata da quella stessa solitudine che aveva contraddistinto gli ultimi duemilacinquecento giorni della sua vita. Troppi, per una persona sola.
    Ma non aveva trovato che una casa vuota ad attenderla.
    Morti
    morti
    morti.

    Era nata senza una famiglia, poi ne aveva finalmente avuta una, poi l'aveva persa ancora. Erano passati anni prima che riuscisse a superarla, e forse non l'avrebbe mai superata del tutto. Certo, aveva imparato a controllare il suo potere, si era trovata un lavoro e una causa in cui credere. Qualcosa di lei, però, era rimasta in quei laboratori. Una perdita dolorosa e visibile, che chiunque avrebbe potuto scorgere nei suoi occhi spenti, nel suo sorriso trattenuto, in quel disturbo ossessivo che la costringeva a pulire il suo ufficio cento volte in un giorno. Non sarebbe mai più stata la Nicole Rivera di un tempo, ma era pur sempre Nicole. Non avrebbe mai accettato di arrendersi senza combattere. Per questo aveva combattuto, ancora e ancora. Per sé stessa, per la Resistenza, per tutte le persone che ogni giorno si rivolgevano a lei per ricevere un po' di sollievo.
    Poi era arrivato Stiles, e la sua vita era cambiata di nuovo.
    Era stata lei a scoprire il loro legame di sangue ma, onestamente, non aveva mai osato sperare alcunché. Aveva smesso di desiderare una famiglia, Stiles però lo era diventato comunque. L'unico con cui riuscisse finalmente a ritrovare un po' di ciò che era stata un tempo, l'unico con cui sentisse di poter essere realmente sé stessa. Erano stupidi, ma erano fratelli.
    Non aveva soltanto trovato una famiglia, aveva riacquisito la voglia di vivere che aveva perso. Per questo era riuscita a rimettersi in contatto con quei vecchi amici di Hogwarts che non aveva più avuto il coraggio di chiamare, per questo aveva cominciato ad accogliere in casa sua orfanelli come Dustin, come mgk. Per questo non aveva opposto troppa resistenza nell'aprire il suo cuore a Sinclair.
    La sua vita, per lo meno, era dotata di una crudele coerenza. Ogni qual volta sentiva di essere finalmente felice, ogni cosa finiva per crollarle inesorabilmente addosso. Stavolta, però, era pronta. Sapeva che sarebbe potuta arrivare da qualunque parte: da quell'interrogatorio al Ministero, dal suo coinvolgimento negli scontri che avevano portato alla fine di Vasilov, dal suo irregolare lavoro come psicomaga in quanto special. Non da Sin, però. Da chiunque, ma non da lui.
    Si era ritrovata a stringere fra le mani quei documenti, inutili pezzi di carta che non significavano niente, ma che significavano tutto. In alto a destra la fotografia di un Sinclair più giovane, ma sempre lo stesso. Affianco il codice identificativo di un laboratorio. Status: dottore.
    Aveva lasciato scivolare il foglio sul pavimento della sua stanza al Quartier Generale. Aveva raccolto le sue cose, e se n'era andata.

    Due mesi dopo era in piedi davanti al gabinetto di un bar messicano, una mano a tenere la porta dietro di sé e l'altra a stringere un test di gravidanza. «Vuoi aprire questa porta?? Devo pisciare» aveva ignorato l'ennesimo martellare impaziente ed era rimasta a fissare le due linee rosse al centro dell'asticella bianca. «Ehi??» «Gesù cristo» aveva aperto la porta sbattendola letteralmente in faccia al tipo, scivolando poi fuori dal bagno senza guardarsi indietro. Per quel che ne sapeva, quel maledetto test sarebbe potuto sgusciare via dalla spazzatura e perseguitarla per il resto dei suoi giorni, meglio affrettarsi ad andar via.
    Aveva lanciato un'occhiata al bancone e valutato di bere sino a dimenticare ogni cosa di quell'orribile serata, ma aveva presto realizzato di non potere ingerire alcolici. Non per i prossimi sette mesi almeno. Sempre che intendesse portare avanti la gravidanza, s'intende, ma Nicole non si sarebbe mai perdonata un aborto senza aver prima avvisato il padre del bambino della sua condizione. Sinclair. Il fatto che fosse fuggita in Messico proprio per non doverlo rivedere rendeva le cose certamente più difficili, ma non per questo meno doverose.
    Si era concessa due settimane per rimuginare. Infine, con tutta la dovuta rassegnazione, aveva preso il primo aereo - per niente certa di poter sopportare una gravidanza e una passaporta - ed era tornata a Londra.

    Sinclair era lì, ovviamente. Credere che avrebbe smesso di andare al parco a dar da mangiare ai piccioni la domenica mattina soltanto perché lei se n'era andata sarebbe stato davvero ingenuo. Si prese del tempo per osservarlo in silenzio. A guardarlo così, seduto sulla stessa panchina in cui l'aveva invitata a uscire la prima volta, le spalle curve e la coppola sulla testa, Nicole poteva quasi fingere che fra loro non fosse cambiato niente. Quasi. Le bastò fare un passo, perché ogni cosa le tornasse dolorosamente alla mente.
    Fece per chiamarlo, ma si accorse di non essere più in grado di pronunciare il suo nome. Perciò, senza dire niente, si sedette semplicemente al suo fianco. «Ciao» soffiò, costringendosi a spostare lo sguardo dalla punta delle proprie scarpe al volto di Sin. Rimase a fissare i suoi occhi per un breve istante - bugiardo - prima di arrendersi e metterlo del tutto a fuoco. «questa camicia è un disastro» commentò, incapace di trattenere un piccolo sorriso al ricordo di quella volta in cui aveva tentato di insegnargli a stirare.
    Solo Dio sapeva quanto avrebbe voluto mollargli un pugno.


    nic
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    rivera


    ravenclaw - special - 33 y/o

    my toxic trait is how badly i want to domesticate a racoon
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    Dai, oggi dico una perché il blitz non vale!!
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    AAAAAAAAAAAAAA ma quanto sono belli!! :fangirl: :fangirl:
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    CITAZIONE
    Perché sei uno stupido, il Milkobitch si ritrovava a pensarlo nei momenti di dubbio del ragazzo; lo sussurrava, quando credeva di aver detto qualcosa di sbagliato od inopportuno. Glielo sputava in faccia con un semplice sguardo, senza bisogno di fiatare, tutte le volte che l’incertezza aveva la meglio sulle capacità che, da solo, sembrava non voler vedere: sei uno stupido, perché sei migliore di quanto tu non creda.

    niente scusate, jeremy (lele) mi rende debole e volevo segnarlo da qualche parte, ciao
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    little girl
    faith marie
    little girl
    Take a walk, clear your head,
    breath in, count to ten
    Cause on the first page of life written in red.
    Sollevò l'ampolla verso il soffitto, squadrandone il contenuto con aria estremamente critica, come se avesse davvero idea di cosa stesse facendo. Spoiler: non ne aveva. Era intelligente Nicole, a volte tanto secchiona da risultare noiosa, ma se c'erano due cose in cui era veramente negata, quelle erano il corpo a corpo e la medimagia, entrambe per gli stessi motivi: aveva un problema con il sangue, i lividi, il dolore e via dicendo. Perciò, ecco, sebbene si fosse personalmente assunta l'incarico di prendersi cura di Marcus durante le sue serate not-so-funny, talvolta le era difficile guardare i graffi sulla sua pelle senza sentirsi svenire. Nonostante ciò, non aveva mai pensato, neanche una volta, di lasciare che l'Howl se la cavasse da solo, spesso anche ai limiti del molesto. E, credetemi, Nicole sapeva essere davvero molesta. Non era neanche colpa sua, non del tutto almeno, ma ce l'aveva nel dna quella costante necessità di conferme, quel chiedere troppo spesso 'sicuro che non sia un problema?' sino a non dormirci la notte, il terrore di non fare abbastanza presto trasformato nel far troppo, per non correre il rischio di trascurare qualcosa.
    L'abbandono dei suoi genitori biologici, l'esperienza infernale in orfanotrofio, l'avevano resa insicura e terribilmente introversa, tanto da essersi convinta, già alla veneranda età di undici anni, di non avere alcuna possibilità di stabilire delle relazioni, né nel mondo babbano della sua famiglia adottiva, né tanto meno ad Hogwarts. Aveva l'impressione che tutti fossero sempre un passo avanti a lei, che fossero più carini, più simpatici, meno disagiati, e che non potesse far altro che accettare la cosa ed imparare a conviverci.
    Non aveva chiaramente calcolato che, un giorno non troppo lontano, si sarebbe ritrovata in infermeria nel cuore della notte a curare le ferite di Marcus Howl, o a rincorrere un Edward Dubois per i corridoi del castello con la malsana idea di strozzarlo a mani nude, per poi farsi inevitabilmente impietosire dal suo tenero faccino di cazzo. Insomma, diciamo che Nicole non aveva proprio preventivato di potersi fare degli amici, specie non degli amici come i suoi: un po' speciali, ma a cui non poteva che voler bene.
    «potrebbe fare un po' male» annunciò, dopo aver rovesciato mezzo litro di disinfettante sulla garza, avvicinandosi all'Howl per potergli ripulire la ferita sul braccio «ma in fondo, cosa non fa male in questa vita, ahah» decise che, nel bene o nel male, avrebbe semplicemente evitato di guardare: chiuse gli occhi, e schiaffò la garza sulla ferita.
    «oddio scUSA vado a... cercare un cerotto??» o un assorbente. O magari del sonnifero. Qualunque cosa che potesse addormentare Marcus per sempre ed impedirgli di farsi torturare ancora dalle sue evidenti incapacità come medimaga - TIPO UNA MAZZA (è di famiglia il trigger per le mazze)!!
    Dunque, quale posto migliore se non la magika Sala delle Torture? Nicole vi si avviò trionfante, certa di poter ancora salvare il suo paziente. Aprì la porta con cautela, limitandosi a far capolino al suo interno con la testa per assicurarsi che non ci fosse alcun professore nei paraggi. «caspita state facendo voi due mongoli?» con assoluta certezza, né Edward né tanto meno Phobos erano prof. Cioè, bastava guardarli per capire che neanche avrebbero mai potuto, specie quest'ultimo. Ma ve li immaginate? Assuuurdo. «possibile che non posso lasciarvi da soli un secondo?» si portò le mani ai fianchi, osservando entrambi con espressione severa.
    «evochiamo Satana, no?»
    Avrebbe voluto portarsi una mano al viso e restare così fino alla fine dei suoi giorni, ma non ebbe la forza di fare neanche quello. «IO!! Io voglio partecipare!!!!» si voltò ad osservare la Beary, sgomenta, chiedendosi se non si fossero tutti quanti fumati il cervello senza neanche invitarla. «ma scherzi, sono dei terroristi» ma li aveva visti in faccia? E poi li conosceva anche, insomma, PESSIMA IDEA.
    Poi cose, (un)sexual tension tra Teddy e Phob, Rea che entra e si pente di tutto, inseguimenti, roba troppo complicata per una Nicole nata confusa.
    «non dovremmo tipo - chiederle di tornare?» la sua principale preoccupazione, insieme alla vita di Marcus nell'altra stanza, era sempre e comunque quella di non lasciare nessuno indietro. Non conosceva la Hamilton, non abbastanza da sapere cosa le passasse per la testa, ma le pareva impensabile l'idea di lasciarla semplicemente andare come se non facesse parte del gruppo. Quale gruppo? Beh, non /quel/ tipo di gruppo - non quelli che snobbavano la gente, ecco. Spostò quindi lo sguardo sul sorrisino malvagio di Edward, e si rese conto che quella di Rea era stata probabilmente la scelta più saggia. «è ovvio che si rischia di morire, voglio dire - guardalo» indicò baby satana con un cenno del mento, spostando poi lo sguardo sugli arnesi di cui era circondato.
    «ah, è un gessetto?» poteva anche trattarsi di una supposta, cosa poteva saperne lei «che voi sappiate la... polvere, quella bianca dico, dà effetti di qualche tipo... sul naso?» a chi altri chiedere, se non ai presenti che erano certamente super informati su quel genere di cose!! «è per la scienza» ciao Marcus, scusa, tranquillo nel futuro ci sei anche tu SMACK.
    ravenclaw
    12.12.89 . 14 y.o.
    neutral
    smartass
    nicole
    rivera
  10. .
    give me everything
    pitbull
    global warming
    But I might drink a little bit more
    than I should tonight And I might
    take you home with me if I could tonight.
    Era evidente che Nicole avesse un problema.
    Ne aveva tanti, indubbiamente, ma ce n'era uno più di tutti che in quel momento le ronzava in testa come una fastidiosa zanzara: perché si trovava in una discoteca. I mean, se mai ci fosse stato un giorno in cui Dio, il Fato o il Karma avevano distribuito lo starter pack per essere una persona normale, a proprio agio in mezzo alle pERsoNe, lei doveva essersi chiaramente persa qualcosa.
    «mr stilinski i don't feel so good» si aggrappò al braccio del fratello come se andasse della sua stessa vita, guardandosi attorno in un misto tra paura e confusione. Perché la gente sembrava divertirsi?? Ma erano drogati?? «dov'è l'erba di jeremy quando serve» e non che fosse una fattona, ma insomma - non sapeva come essere una persona normale, sapere come rilassarsi era proprio su un altro livello.
    Avrebbero potuto fare un sacco di altre cose: avrebbe potuto ascoltare la radio; avrebbe potuto mettere un vinile; avrebbe potuto usare uno stereotto, a sapere cosa fosse. Avrebbe persino potuto fare la silent disco in casa sua assieme a Stiles e finire sfatti come due lie in botta da candeggina da rikki!! E invece, boh, persone, musica scadente, gente in giro a chiedere di toccare le sue ascelle.
    Cosa? Cosa.
    «stiles ma ke succede» si guardò attorno alla ricerca di intervention per il suo bro, attaccato da una specie di strano maniaco feticista, tastandosi la borsa alla ricerca di un assorbente da brandire.
    «ma sei DROGATOH?» indietreggiò, continuando a lanciare hints ai vicini sul suo disagio esistenziale sempre più crescente «CENTODICIOTTO» stare con suo fratello le faceva più male di quanto non fosse cosciente.
    special(e)
    ex-ravenclaw
    too vekkia
    birds are not lunch
    nicole
    rivera
  11. .
    'Cause I might break if you're gonna die, not by mistake.
    14.12.1989
    ex-ravenclaw
    psychowizard
    emphaty
    rebel
    with a cause
    nicole
    rivera
    sheet
    pensieve
    aesthetic
    headphones
    Posò distrattamente l'indice sull'estremità della cannuccia rossa del suo milkshake, gli occhi attenti a seguire i movimenti di un uccellino alle prese con un tocco di pane. Non c'era disagio in quel silenzio, protratto forse più a lungo di quanto in via generale non sarebbe risultato consono per un appuntamento, se così poteva definirsi. Con Sin non c'era mai disagio. O, almeno, non nella più negativa delle accezioni: avevano imparato a conoscersi, a rispettare l'uno i vuoti dell'altro, ed avevano scoperto di essere piuttosto bravi a farlo. Eppure, malgrado ciò, erano ancora fermi, bloccati in un limbo che gli impediva di fare un passo avanti, ma anche uno indietro. Non stavano insieme, non erano solo amici, si vedevano troppo spesso, mai abbastanza. E per un po' a Nicole era andata bene così, pur non avendo la più pallida idea di come fosse finita tra le braccia dell'Hansen, nel suo letto persino. Le era andata bene, fintantoché non era necessario definire le cose, complicarle quando erano, per una volta, così maledettamente semplici. D'altronde, cosa c'era da dire? Si erano avvicinati in circostanze non propriamente normali, e poi c'era stata la morte-non-morte di Stiles, il cambio di rotta della Ribellione, il ritorno ad una routine che, comunque, non sarebbe mai più stata la stessa. E, in tutto questo, l'unico punto fermo era sempre stato lui, Sinclair, nel bene o nel male. Parlarne, significava solo mettere a rischio anche quell'ultimo briciolo di certezza che era rimasto nella sua vita, ed era l'ultima cosa che la Rivera desiderava.
    «Nicole» sollevò il capo, posando le iridi chiare sul profilo dell'uomo. Invero, non le riuscì proprio di trattenere un piccolo sorriso, pur essendo perfettamente conscia di quanto questo la facesse apparire una ragazzina alle prese con la sua prima cotta. Tuttavia, il tono dell'Hansen l'aveva messa leggermente sull'attenti, perciò gli rivolse uno sguardo interrogativo prima di raddrizzarsi sulla panchina e mollare il milkshake affianco a sé.
    «volevo parlarti» ecco.
    Sapeva che sarebbe successo, presto o tardi, ma aveva sperato di poter rimandare quel momento all'infinito, perché aveva l'impressione che potesse significare una sola cosa: perdersi. Perdere Sin o, per lo meno, il rapporto che avevano costruito, e perdere di nuovo sé stessa. Non avrebbe sopportato neppure l'idea di tornare alla solitudine di una volta, all'incapacità di fuggire da una vita diventata troppo stretta ormai da tempo, e si odiava, per non avere la forza d'impedirlo né di fare alcunché, il coraggio di mettere a tacere l'Hansen e prolungare quell'illusione per un altro giorno ancora.
    «dimmi» si sforzò dunque di mormorare, incoraggiandolo a continuare con un leggero cenno d'assenso, e nascondendo le mani tra le gambe per impedir loro di torturarsi l'una con l'altra.
    «non è niente di che» pessima scelta di parole Hansen, pessima per avere a che fare con una persona ipersensibile come lo era la Rivera «è solo che sento il bisogno di chiarire le cose tra di noi» l'aveva detto, ed ora non c'era più alcuna possibilità di tornare indietro.
    Non voleva usare il proprio potere con Sin - evitava sempre di utilizzarlo se non in situazioni strettamente necessarie - ma le fu inevitabile percepire l'agitazione dell'idrocineta, più di quanto già non suggerissero i suoi gesti. E, per una come Nicole, fin troppo abituata al rifiuto e all'abbandono per potersi aspettare qualcos'altro, quell'ansia poteva significare una sola cosa. «se ti sei stancato di questa... cosa, di me ecco» abbassò lo sguardo sulle proprie mani, pesando con cura ogni parola da dire «lo capisco, è comprensibile» anche se, a dirla tutta, non era comprensibile neanche per un cazzo, ma era sempre stata fin troppo ragionevole l'ex-corvonero.
    «non pretendo che tu rimanga se non è quello che vuoi» si strinse nelle spalle, piccola come una bambina spaventata «però mi piacerebbe se continuassimo comunque a vederci, anche solo così» così come? «da amici» quando mai lo erano stati? «non vederti più sarebbe...» scosse il capo, perché non voleva neanche pensarci.
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    il post da elisa ubriaca mi ha convinta MANNAGGIA A LEI
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    playing from playlist:
    oc-nicole.mp3
    Generation Why
    Conan Gray
    1:21
    5:05
    nicole marie rivera
    psychowizard | empathy | 1989's
    Da grande, Nicole Rivera avrebbe voluto fare la bibliotecaria. Avrebbe amato ogni singolo momento del suo lavoro, circondata dai libri e da quella che era sempre stata la sua più grande passione: Storia della Magia. Una di quelle materie che non piacevano un granché a nessuno, ma che lei seguiva da sempre con una certa passione, sin da quando aveva per la prima volta messo piede nel mondo magico. Con un po' più di fiducia in sé stessa, forse, avrebbe persino potuto prendere in considerazione l'idea di insegnarla ma - chi vogliamo prendere in giro? A Nicole i giovani facevano paura persino quando ne faceva parte ella stessa e adesso, sulla soglia dei trent'anni, la sua percezione degli adolescenti si era persino fatta più terrificante. Con un mgk in casa una settimana sì e l'altra pure, poi, la situazione era inevitabilmente peggiorata. Un po' lo rimpiangeva, talvolta, quel progetto di vita che i Laboratori avevano spazzato via insieme a tutto il resto, perché ancora convinta di poter vivere bene solo al riparo dietro a decine e decine di scaffali stracolmi, ma non si pentiva della scelta che aveva fatto. Aveva smesso di credere nella storia nell'istante in cui aveva compreso come questa non fosse altro che un mucchio di stronzate inventate dal Regime per tener buona la gente e, dal momento in cui aveva acquisito quel suo nuovo potere, aveva deciso che piangersi addosso non l'avrebbe mai portata da nessuna parte. E se il fato aveva voluto così, se davvero avrebbe dovuto imparare a convivere con l'idea di aver perso per sempre la propria magia - allora, tanto valeva usarlo per qualcosa di buono.
    La psicomagia.
    Non ci sapeva fare con le persone Nicole, e a malapena comprendeva sé stessa, ma voleva sforzarsi di essere migliore, di essere utile, di dare un senso a quell'esistenza che ormai da troppo tempo sentiva aver perso di valore. E aveva iniziato a piacerle, in fondo, quella professione, anche se c'erano giorni in cui la paura di non esserne all'altezza la schiacciava come un peso troppo grande da portare, ed in quei giorni camminava su e giù per il proprio studio e pregava che nessuno bussasse, che nessuno cercasse il suo aiuto perché, semplicemente, credeva di non essere in grado di poterlo dare. In quei giorni - «ciaaaao».
    Si era fermata all'improvviso la Rivera, giusto al centro della stanza, trattenendo il respiro per percepire quello della persona che aveva bussato alla sua porta, forse sperando di aver sentito male. Spoiler: aveva sentito bene. E per questo, nonostante tutto, si era passata una mano fra i capelli e aveva mormorato un sottile «forza» a sé stessa prima d'indossare il migliore sorriso di cui era capace e andare ad aprire, beccandosi il suddetto saluto pieno di voglia di vivere da millenial. «ciao, posso aiutarti?» rispose semplicemente, melliflua, come se non avesse davvero vagliato l'opzione di rispondere con un 'yo' come gli aveva insegnato mgk - forse avrebbe dovuto farlo?? «sono jane darko, ho chiamato per… cose.» «cose» ripeté, annuendo con una certa convinzione come se, in qualità di Psicomaga, comprendesse chiaramente ciò di cui l'altra stesse parlando. Ma, indovinate cosa? Non ne aveva idea. E non le pareva un granché farlo notare ma, d'altra parte, neppure rischiare di fallire miseramente come avrebbe certamente fatto fingendo, perciò s'azzardò semplicemente ad aprire un po' più la porta e farle cenno d'entrare, indicandole la poltrona in fondo alla stanza e seguendola a sua volta per potervisi accomodare di fronte. «parliamo di cose allora - jane? posso chiamarti jane?» posò le iridi chiare sulla Darko, cercando di farsi un'idea su cosa potesse effettivamente volere da lei «non è sempre così scontato» spiegò, piegando le labbra in un leggero sorriso «sai, i dissociativi -» perché riusciva ad essere sempre un disagio? Ventotto anni di vita, e ancora non riusciva a darsi una sola buona ragione. «ad ogni modo» si riprese, schiarendosi la voce e accavallando le gambe dinanzi a sé per ritrovare un minimo di professionalità «prego, sono tutta orecchi».
    Millennium kids, that all wanna die, Something that I've heard a million times in my life: Generation why.
  13. .
    1989's
    ex-ravenclaw
    empathy
    psychowizard
    nicole
    rivera
    «hai fatto ancora lo stesso sogno?» non era con tono accondiscendente che glielo stava chiedendo, quanto più con sincero interesse, tanto da poggiare le mani sui palmi e sporgersi un po' più avanti ad osservare il ragazzo che, di tutta risposta, si limitò ad annuire e stringersi nelle spalle. «non è un problema» e gli sorrise leggermente, tornando a poggiarsi allo schienale della poltrona «o meglio, è certamente qualcosa su cui dobbiamo ancora lavorare, ma stai andando alla grande brandy» e lo pensava davvero, la psicomaga «supereremo anche questa» chiuse il quaderno che aveva in grembo e si alzò in piedi, aspettando che anche l'altro la imitasse. «ci vediamo la prossima settimana, come sempre?» lo accompagnò verso la porta, ottenendo in risposta l'ennesimo silenzioso cenno di assenso. Esitò un attimo Nicole, prima di poggiargli una mano sulla spalla e voltare il ragazzo verso di sé «brandy» fissò le iridi su quelle altrui, usando il proprio potere per ispirargli un po' di pace «penso davvero che tu stia facendo un ottimo lavoro, con te stesso e con tua sorella» e sorrise ancora, lasciandolo andare «devi solo darti tempo, d'accordo?»

    «L’altro giorno ho aperto l’armadio nella speranza di trovare il passaggio per Narnia» sollevò un sopracciglio la Rivera, perplessa, lasciando tuttavia che Syl continuasse coi suoi discorsi strampalati senza osare interromperlo. Inutile dire che, conoscendolo dai tempi di Hogwarts, oramai il Tragott le risultava piuttosto prevedibile - per quanto prevedibile potesse essere uno come lui. Poco, a dir la verità, ma c'era da dire che Nicole avesse sviluppato un certo occhio per i comportamenti umani: deformazione professionale.
    «Ma tornando alle cose importanti» e neppure per un istante la psicomaga credette di star arrivando davvero al punto della questione, ma mormorò lo stesso un «mh» partecipe, rannicchiando le gambe al petto e seguendo con lo sguardo il bibliotecario. «di sicuro non riguardava me. Vero? Perché giuro che ho fatto il bravo e non ho mangiato il tuo panino, quello messo al terzo ripiano del frigo. Mi sono portato il pranzo da casa l’ultima volta che sono sceso ai Laboratori» «ti ricordo che sono una psicomaga syl: so quando menti» no, era che semplicemente glielo aveva visto fare, ma preferiva che l'altro la credesse con qualche strano super potere nascosto piuttosto. «ma non sono una che porta rancore» e gli sorrise, reclinando la testa indietro fino a poggiarla alla spalliera del divano. «a questo punto mi viene da pensare che hai qualcosa per me. Tipo—informazioni? O test da svolgere? Non un mazzo di fiori, che mi avrebbero sicuramente fatto piacere» «non ne hai proprio idea, vero?» si spostò una ciocca di capelli dal viso, socchiudendo gli occhi per entrare in contatto empatico con Sylvester e dare una calmata alla sua iperattività: non che si illudeva potesse davvero funzionare, ma tanto valeva provarci. «Ti perdono solo perché oggi mi è arrivato Spyro e sono in hype. Ma hai visto la nuova grafica!? Io boh. Scioccato. Tutti i d r a g h e t t i diversi! Awww» «syl, sicuro che tu non voglia chiedermi niente?» a parte della grafica di Spyro, chiaramente «tipo com'è andata l'ultima seduta con brandy?» gli suggerì, risollevando il capo per incrociare le iridi altrui «perché, lo sai, ho un segreto professionale da mantenere ma, essendo tu legalmente il suo tutore, c'è un numero limitato di informazioni che mi è consentito fornirti» perché lo capiva che, per un Sylvester appena ventenne, fare da padre a due ragazzini doveva esser stato difficile - ma erano passati anni ormai e, ad un certo punto, l'ex-Grifondoro avrebbe dovuto farsi una ragione del fatto che, malgrado tutto, avesse fatto del suo meglio con loro.
    They used to sing about the birds and the bees.
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
  14. .
    'Cause I might break if you're gonna die, not by mistake.
    14.12.1989
    ex-ravenclaw
    psychowizard
    emphaty
    rebel
    with a cause
    nicole
    rivera
    sheet
    pensieve
    aesthetic
    headphones
    «syl» soffiò più delicatamente possibile, avvicinando le labbra all'orecchio del Tragott. Attese qualche istante, osservando con una certa apprensione prima l'orologio appeso alla parete, poi le palpebre ancora chiuse del bibliotecario. «syl» ripeté ancora, un po' più forte, poggiando una mano sulla spalla del moro e scuotendolo lievemente, ottenendo solo un lieve mugugno come risposta. Sbuffò contrariata, battendo nervosamente il piede sul pavimento ed incrociando le braccia al petto, scrutando l'ex-Grifondoro con aria sempre più severa. Si allungò oltre il divano letto, ove giaceva beato Sylvester, per poter raggiungere la parete e staccare via un pezzo di scotch rimasto lì dalla sera precedente. Rimase per qualche istante a fissare l'alone rimasto sul muro, salvo poi costringersi a distogliere lo sguardo, ingollando quel sapore amaro che le veniva alla bocca ogni volta che qualcosa le appariva fuori posto. Un tempo era peggio di così, una volta sarebbe rimasta per minuti interi con le iridi intrappolate su quella futile eppure dolorosa visione, il cuore a batterle furiosamente in petto ed il respiro mozzato, le gambe improvvisamente cedevoli. Ma quella Nicole, col tempo, non aveva fatto che sbiadirsi, lasciando posto ad una donna se non più forte, un po' meno spezzata. Aveva cominciato a farci l'abitudine, che le cose non sempre potessero incastrarsi nel giusto tassello, che a volte il mondo era un gran casino e lei, nel suo piccolo, poteva solo starlo a guardare, ma c'era un po' di quel caos che, alla fine, aveva persino imparato ad amare. La sua famiglia per esempio, Stiles, che di regolare aveva ben poco, ma che non avrebbe scambiato per nessun'altra; quello che aveva costruito con Sinclair, a cui non sapeva ancora dare un nome e che, in fondo, di certo aveva poco, ma che riusciva sempre a farle dimenticare tutto ciò che di brutto esisteva all'infuori del loro piccolo nucleo protetto; e persino «SYLVESTER» a cui poi voleva bene, ma che prima o poi avrebbe certamente ucciso in un delirio d'ocd. Ora, appurato che la sua voce soave fosse finalmente riuscita a svegliarlo, avevano ancora talmente tante cose da fare che dovette socchiudere le palpebre per qualche istante Nicole, contare fino a dieci, e ritrovare un briciolo di calma. «scusa, non riuscivo a svegliarti» mormorò poi, passandogli la tazza di caffè che gli aveva preparato ed indicandogli la stanza con un cenno del capo «c'è ancora un gran casino» afferrò un lembo del proprio abito con entrambe le mani, stropicciandolo nervosamente e abbassando nuovamente lo sguardo sul Tragott. Forse proporre la propria casa come location per la festa di Marcellius non era stata la migliore delle idee, così come mettere alla prova così precocemente i suoi progressi con la questione del disturbo ossessivo compulsivo, ma voleva così tanto fare qualcosa per Mgk e, al contempo, dare l'occasione di divertirsi agli stranieri di cui lei e Sylvester avevano preso ad occuparsi dopo la battaglia nei sotterranei di Hogwarts, che non aveva neppure avuto cuore di rifiutarsi. Ma era presto, troppo presto, e i palloncini accasciati sul tavolo del salotto... «è stata una gran figata» le aveva detto Marcellius prima di andare via con Sinclair, ed era raro che il ragazzo le rivolgesse davvero la parola, specie in termini positivi - perciò Nicole sapeva che, alla fine, ne era valsa la pena. «posso occuparmene dopo» mormorò, più verso sé stessa che verso il bibliotecario, e «posso occuparmene dopo» ripeté ancora, annuendo appena e raccogliendo la tazza vuota dalle mani di Syl. «riesci a fare una doccia veloce? non voglio fare tardi» e non voglio restare un altro istante in mezzo a questo disordine, ma questo evitò di dirlo.

    Accavallò le gambe sotto al tavolo, puntellando con la matita sul foglio dinanzi a sé ed ascoltando in silenzio i commenti dei presenti. L'avevo già detto quanto Nicole fosse una persona terribilmente precisa? E aveva preso appunti, ascoltando uno per uno i pareri degli altri, prima d'azzardarsi anche solo a formulare un'idea. Incrociò lo sguardo della Beech alla fine, rivolgendole un piccolo sorriso prima di prendere la parola in coda al suo discorso.
    «le perplessità di mitchell sono legittime e, proprio perché siamo quattro gatti, non possiamo permetterci di correre rischi e lasciare entrare chiunque solo nella necessità di far numero» abbassò lo sguardo sui propri appunti: dare una possibilità «ma escludere tutti quanti a prescindere mi sembra estremo, oltre che poco furbo, perciò sono d'accordo nel dire che dovremmo almeno dare una possibilità ai nuovi arrivati che hanno mostrato interesse ad entrare a far parte della resistenza, interrogandoli o sottoponendoli ad una prova di fiducia, ed ovviamente escludendoli dalle informazioni più sensibili almeno per i primi tempi» altro punto: oblivion «richiedere una modifica selettiva dei ricordi potrebbe in effetti essere un buon compromesso a mio parere, e ci eviterebbe di dover ricorrere ad una vera e propria cancellazione - a nessuno piacciono i vuoti di memoria» new number, who dis? «per quanto riguarda il dover sospendere la ricerca, ecco, non so quanto possa essere saggio» si spostò una ciocca di capelli biondi dal viso: doveva al più presto rifare la tinta, li odiava già «se in tutto questo tempo non abbiamo ottenuto risultati, potrebbe volerci ancora parecchio per giungere ad un risultato e, ad un certo punto, sappiamo che il problema diventerà estremamente rilevante, tanto da non poterlo più ignorare» e la vita era ancora una delle sue priorità, malgrado spesso non sembrasse così «perciò, sebbene comprenda che oggi vi siano questioni di una certa importanza, credo che interrompere del tutto il lavoro dei ricercatori non sia una buona idea» e spostò lo sguardo prima su Jaden, poi su Maeve «rallentarlo, ottimizzare le risorse così da non dover spendere tutte le energie ed il tempo soltanto nella ricerca, sì, ma eliminarlo» e scosse il capo, stringendosi nelle spalle «e non credo che la proposta di syl sia così assurda. Voglio dire, sono la prima a respingere categoricamente qualunque studio medico su soggetti non consenzienti» war flashbacks «ma se qualcuno si mostrasse disponibile a farlo, e se la ricerca non fosse eccessivamente invasiva, conoscere qualcosa in più sul collegamento dei sopravvissuti con abbadon non mi sembra una cattiva idea, e potrebbe risolvere in parte anche il problema dell'allontanamento dei redivivi, che potrebbero rendersi utili senza dover necessariamente abbandonare la loro preziosa partecipazione a questa causa» e sottolineò quel preziosa, scoccando un'occhiata comprensiva alla Weasley «indubbiamente useremmo cautela, e cercheremmo di non attirare in alcun modo l'attenzione di abbadon, né tanto meno di ingannarlo - sembra ingenuamente ottimistico anche a me - ma ci limiteremmo a capirne di più, per il loro bene e per un'utilità collettiva. Per il resto, io mi rendo disponibile ad occupare qualunque ruolo sia necessario, nei limiti delle mie competenze ovviamente, che sia tra gli addestratori o tra gli strateghi o tra i tuttofare» lasciò andare la matita, ed incrociò le mani dinanzi a sé «abbiamo già una vaga idea di dove spostare il quartier generale?» non a casa sua magari, ne aveva già avuto fin troppo.
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco



    In realtà volevo scrivere di più, ma è da un mese che il mio cervello vive solo nell'ansia della partenza, perciò ho buttato giù cose a caso dai!!
  15. .
    sheet
    pensieve
    aesthetic
    headphones
    ginger hair
    green eyes
    1.78
    "The forest that once was green, was colored black by those killing machines."
    - of monsters and men
    «hai finito? se vuoi posso -» darti una mano, ma la sua voce si spense prima che potesse completare la frase. Ultimamente era così: faticava a mettere insieme le parole, come se ciascuna le costasse un'immensa fatica. Però continuava a provarci Nicole, un po' arrancando e sentendosi morire ad ogni passo, ma andava avanti come se il mondo fosse stato sempre lo stesso, come se non ci fossero state guerre, o ferite, o perdite. Come se, in fondo, un prima non fosse mai esistito, come se ogni cosa fosse rimasta immutata, un buco allo stomaco impossibile da richiudere ma che, sforzandosi di non pensare, diventava un po' più sopportabile. Dall'altro lato della port un «no» secco, deciso, che non ammetteva repliche. E Nicole arretrò di un passo, calando lo sguardo sul pavimento per seguire la trama delle mattonelle ed imporsi di non restarci male, neanche un po', perché non aveva senso. Si morse un labbro, e ricordò a sé stessa che quello non era suo figlio, che averlo preso sotto la sua protezione non significava che mgk le dovesse qualcosa, che anzi aveva il diritto di odiare lei, di odiare Sin e di odiare chiunque altro quel giorno si trovasse ai sotterranei perché anche lui, lì sotto, aveva perso qualcuno. E, in un silenzioso sospiro, si era già allontanata la Rivera, lasciandosi scivolare sulla poltrona del salotto e chiedendosi se vi fosse una scappatoia per restare a casa, per non dover tornare ad Hogwarts - non così presto. Lo aveva detto a Sin, glielo aveva ripetuto più e più volte, incapace di aggiungere altro: non così presto. Ma neanche lui poteva far niente - nient'altro che non fosse stringerla, con quella rassegnazione che oramai era diventata parte di entrambi, e un po' di tutti, ma che almeno le ricordava che no, non era sola ad affrontarlo. Non stavolta. E magari era più semplice così, indiscutibilmente lo era, ma restava comunque difficile, tanto difficile da mozzarle il fiato ogni volta che qualcosa, anche la più piccola, contribuiva a ricordarglielo. A ricordargli che l'aveva perso. Stiles.
    «nicole?» sollevò la testa con uno scatto, il suo nome a salvarla da quell'abisso da cui, lo sapeva, uscire sarebbe stato più complicato della volta precedente, e di quella prima ancora. Posò le iridi chiare su Marcellius e, senza accorgersene neanche, le sue labbra s'incresparono in un leggero sorriso. Forse era diventata debole, forse lo era sempre stata ma, senza sapere neppure come, aveva cominciato a provare una certa tenerezza nei confronti di quel ragazzo che, alla fine, con lei non condivideva niente, tanto meno il sangue - eppure, a volte, non riusciva a non sentirlo quasi come un figlio. Uno un po' cresciuto, e certo con parecchi problemi da risolvere, eppure gli voleva già bene come se lo fosse davvero. Forse era solo colpa di quel suo disperato bisogno di famiglia, o forse era del tutto impazzita. «stai benis -» «non so come si allaccia questo affare» le parò il braccio ad un palmo dal naso, mostrandole il polsino sbottonato della camicia. E Nicole sorrise ancora, sentendosi persino un po' in colpa nel farlo - come osava sorridere, ora che suo fratello non c'era più a farlo con lei? - ma si mise ugualmente ad armeggiare col bottoncino, sollevando poi soddisfatta il capo verso Marcellius. Con le labbra piegate in una leggera smorfia, mgk pareva sinceramente a disagio, come fosse in piena lotta con sé stesso. «grazie» borbottò alla fine, spostando lo sguardo oltre la spalla di Nicole. E lei non disse niente, non osò farlo. Si limitò ad alzarsi, ad accennargli alla porta con un cenno del capo ed a prendere l'ennesimo profondo respiro: forse poteva farcela per un'altra sera. Forse.

    Posò una mano sul braccio di Sin, stringendo tra le dita la stoffa del suo vestito e bloccandosi per un istante, esitando dal proseguire. Il fatto era che, sì, aveva continuato a lavorare e ad uscire di casa e, suo malgrado, a vivere, ma di lì a credere di poter affrontare una festa nel luogo in cui ogni cosa era cambiata, circondata da occhi screziati dal suo stesso dolore, occhi che le avrebbero costantemente ricordato ciò che lei si sforzava da settimane di dimenticare - era pretendere troppo. Aveva passato quel mese occupandosi degli altri, cercando di pesare il meno possibile alle persone che tenevano a lei, di sembrare forte, ma la verità era che non sentiva di esserlo, neanche un po'. A volte guardava Sin e si chiedeva se fosse reale, se non si trattasse di un delirio allucinogeno provocato dal trauma dell'ennesima perdita. Vedete, il fatto era che lei non credeva di meritarselo. L'istinto, probabilmente per via dell'abitudine, non faceva che suggerirle di fuggire, di tornare a isolarsi come aveva fatto fino ad un anno prima, di rifiutarsi di accettare l'ironia della sorte che continuava a toglierle e a darle senza alcun apparente criterio logico. Eppure, per una volta, Nicole non gli stava dando ascolto. Non perché fosse facile, o perché cercasse di dimostrare al mondo di poterlo fare, ma perché lo voleva. Perché continuare a vedere Sin era l'unica cosa che avesse mai davvero voluto per sé stessa negli ultimi, quanti?, dieci anni.
    Che poi, a pensarci, era un po' assurdo. Nicole aveva questa specie d'ossessione per l'ordine, lascito degli anni passati tra la polvere dell'orfanotrofio ed il caos dei laboratori, e viveva nella costante ricerca di equilibrio, di stabilità. Secondo questo principio, l'assenza di confini in quella relazione - se così poteva definirsi - con l'idrocineta avrebbe dovuto quanto meno spaventarla, se non ineluttabilmente allontanarla. Invece le andava bene così. Per questo, alla fine, gli rivolse un debole sorriso e lo lasciò andare, affondando le mani nella borsa alla ricerca di qualcosa. Ne tirò fuori una piccola bottiglia di vetro, il liquido color caramello a riflettere le luci del castello. Marcellius, al suo fianco, sollevò un sopracciglio. «penso che tu ti sia fatto un'idea completamente sbagliata di me» ed ingollò un sorso di rum, passando poi la bottiglia all'Hansen. Era una maledetta festa? Tanto valeva bere.

    Appena un paio di sorsi, ed era già brilla.
    Magari il fatto che avesse iniziato ben prima di arrivare al castello aveva di per sé contribuito, ma un tempo avrebbe resistito molto più di così. Non era mai stato un vizio o una dipendenza, ma l'aveva aiutata più di una volta a superare i momenti peggiori - momenti come quello, per intenderci. Era più facile sorridere con quel lieve ottundimento ad annebbiarle la mente, parlare di roba assolutamente priva di senso con Syl come aveva già fatto centinaia d'altre volte prima, lasciare un bacio veloce sulle labbra di Sin e pentirsene l'istante dopo, ma sorridere ancora. Ma poi c'era la voce di Mitchell, difficile da ignorare mentre snocciolava informazioni su informazioni, sforzandosi di sorridere come se fosse davvero tutto normale, e con lui c'era il ricordo di Marcus, ancor più difficile da tralasciare. E c'era Jeremy, che era difficile da non individuare con quei dannati capelli ossigenati, e non che Nicole volesse evitarlo - solo che Jeremy significava Stiles, e Hogwarts non era la jeep di suo fratello, e lì non era il caso di lasciarsi andare. «non è abbastanza forte» commentò, posando lo sguardo sulla bottiglia di rum ormai quasi vuota. E la stava ancora fissando, quando scese il buio. «o magari sì?» soffiò, cercando istintivamente Sin vicino a sé. «yeah» sì, era decisamente forte, o non avrebbe saputo spiegare il altro modo - quello. Non provava rabbia nei confronti di Abbadon, non rancore, non disprezzo; era solo la stessa, placida rassegnazione. Era finita un'era, ne sarebbe cominciata un'altra, ma alla fine ci sarebbe sempre stato qualcuno a muovere le fila di quel mondo che, alla fine, giusto non era mai stato. E sarebbero sempre stati loro a perdere. Loro, non Vasilov, per cui la morte era stata troppo poco, non Abbadon, che si prendeva gioco del loro dolore come fosse stato polvere. E se la sua esibizione non fosse stata sufficiente, ciò che venne dopo non lasciò a Nicole alcun dubbio: doveva essere davvero tanto ubriaca.
    Stavolta cercò consapevolmente lo sguardo di Jeremy, perché ormai ci aveva fatto l'abitudine a crollare col Milkobitch. E avrebbe voluto raggiungerlo, davvero, dirsi che l'ex-tassorosso in quell'istante avesse più bisogno di lei di quanto non ne avesse Sin, o Mitchell, o...
    «ho finito il rum» e non si era neanche accorta di come fosse accaduto, ma era ben conscia di non essere in grado di muovere un solo passo. Non verso Jeremy, non certo verso il palco. Non verso Stiles. «ho... finito il rum» mormorò ancora, dando le spalle a tutto il resto e sventolando la bottiglia vuota sotto al naso dell'Hansen. Le bastava fissare lo sguardo su di lui, fingere che fosse tutto come sempre, non lasciarsi illudere - e sarebbe andata bene, doveva andare bene.
    RAVENCLAW | 1989's
    WIZARD | EMPHATY
    REBEL
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