I don't know where it's taking me and that's (not) fine

jane + nicole

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    jane
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    darko
    Chissà se quell’ansia da prestazione, mista all’usuale livello basic di angoscia esistenziale ogni qual volta era necessario uscire dalla propria comfort zone, era quello che provavano le ragazze quando bussavano alla porta del consultorio per ammettere di aver fatto una cazzata. Avrebbe quasi (quasi) preferito fosse quello il motivo della sua visita al San Mungo, Jane Darko, piuttosto che ritrovarsi ad ammettere di essere…a corto di risposte – ecco, l’aveva detto. Una situazione del tutto nuova per la sedicenne, avvezza ad ignorare qualunque questione alla quale non fosse in grado di mettere un punto. Evitava le responsabilità beandosi del fatto di essere giovane, rotolando nella propria ignoranza con lo spirito da gen z del tanto il mondo finirà prima che mi sarà richiesto di fare qualcosa di utile alla società. Spoiler: malgrado effettivamente Jane lo credesse, come diceva il vecchio detto mentre il tirocinio si avvicinava sentivo anche molto freddo il cielo si oscuri.
    Perché sì, signori miei: era quello il motivo che aveva spinto la cinica, indifferente, leggermente inquietante Jane Darko a recarsi in ospedale. Non l’aveva detto né a Fitz né a Narah, quasi che mostrare di avere effettivamente un problema potesse sminuire l’idea che le amiche avevano di lei - POTENTEH, INVINCIBILE (tratto dalle headcanon di Jane, fatele causa). Loro sembravano così sicure di chi essere, chi voler diventare; Gesù Cirsto, perfino Narah Bloodworth (nArAh bLoOdWoRtH) aveva le idee più chiare di lei: poteva esistere qualcosa di più umiliante al mondo?
    Sospirò calando maggiormente il cappuccio sui capelli corvini, le dita intrecciate nella tasca anteriore della felpa. Aveva pensato di parlarne con Eugene, ma poi quell’ingrato di suo fratello (fratello; non riusciva neanche a stupirsene, Jane, che l’aveva trovato semplice d’accettare quanto respirare: aveva perso i ricordi, ma certe memorie s’intrecciavano al sangue e ad ogni maledetto respiro) aveva deciso di fare salto di carriera, e diventare insegnante: duh. Fra tutti gli adulti (nessuno) con cui un adolescente avrebbe voluto confidarsi, i docenti non arrivavano neanche alla base della piramide confidenziale. Sembravano…più adulti, degli altri. Non avrebbe saputo spiegarlo in modo logico, ma la Darko semplicemente non poteva bussare alla porta di Euge, o del prof Henderson, narrando loro di non sapere cosa fare della propria vita. Non importava quanto le piacessero, o che si sentisse abbastanza a suo agio con loro da rivelare di Gabriel slash Fergie slash chiamami come vuoi tanto non mi giro. Trovava più semplice confidare di non credere d’avere un genere fisso, di sentirsi sé stessa sia come Jane che come Gabe (e di cambiare sesso con un assente ciclo mestruale OLè), piuttosto che ammettere di essere……..confusa.
    Terribile. Inaccettabile.
    Entrò al San Mungo in modalità punk terrorista evitando accuratamente gli sguardi di infermieri e pazienti, calpestando il pavimento in linoleum con pestoni che avevano tutto di personale, e nulla di lasciato al caso. Non poteva avere problemi normali tipo boh, l’eiaculazione precoce o il bisogno di una lavanda vaginale? NO, doveva per forza – per forza! – avere problemi da…adulto. Il solo pensiero, le contorceva le budella.
    A mali estremi, estreme rotture di coglioni. Si affacciò nel corridoio degli psicomaghi quasi sperando di trovarlo deserto, ma ahimè quel giorno tutti (tutti) avevano deciso di andare a lavoro: ma non scioperavano mai? Non avevano dei cantieri da guardare, delle leghe da conquistare, o biscotti per i bambini poveri da cucinare? Spinse con la lingua sul palato, chiudendo gli occhi in un respiro finalizzato a raccogliere tutto il proprio chi in Forza da usare per compiere quell’ultimo, poco catartico, passo. Perfino da quella distanza, riusciva a cogliere la targhetta sulla porta.
    Nicole Rivera.
    Ok. Se Narah era riuscita a bombare e Fitz era sopravissuta sedici anni senza farsi uccidere, poteva farcela.
    Bussò – con poca decisione, ma bussò.
    Magari non c’era. Magari era troppo impegnata a pomiciare con l’Hansen per sentirla bussare. Magari -
    «ciaaaao» come non detto. Con la mano, disegnò un semi cerchio nell’aria come un essere umano qualunque impegnato a salutare una forma aliena particolarmente disturbante, costringendo però la bocca in quello che doveva perlomeno apparire come un sorriso. Aveva funzionato? No. «sono jane darko, ho chiamato per…» curvò gli angoli delle labbra verso il basso, guardandosi rapida attorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno. Le sue amiche avevano la pessima abitudine di seguirla, forse convinte avesse una vita nascosta come Hanna Montana o le totally spies.
    «…cose e si iniziava promettenti.
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    nicole marie rivera
    psychowizard | empathy | 1989's
    Da grande, Nicole Rivera avrebbe voluto fare la bibliotecaria. Avrebbe amato ogni singolo momento del suo lavoro, circondata dai libri e da quella che era sempre stata la sua più grande passione: Storia della Magia. Una di quelle materie che non piacevano un granché a nessuno, ma che lei seguiva da sempre con una certa passione, sin da quando aveva per la prima volta messo piede nel mondo magico. Con un po' più di fiducia in sé stessa, forse, avrebbe persino potuto prendere in considerazione l'idea di insegnarla ma - chi vogliamo prendere in giro? A Nicole i giovani facevano paura persino quando ne faceva parte ella stessa e adesso, sulla soglia dei trent'anni, la sua percezione degli adolescenti si era persino fatta più terrificante. Con un mgk in casa una settimana sì e l'altra pure, poi, la situazione era inevitabilmente peggiorata. Un po' lo rimpiangeva, talvolta, quel progetto di vita che i Laboratori avevano spazzato via insieme a tutto il resto, perché ancora convinta di poter vivere bene solo al riparo dietro a decine e decine di scaffali stracolmi, ma non si pentiva della scelta che aveva fatto. Aveva smesso di credere nella storia nell'istante in cui aveva compreso come questa non fosse altro che un mucchio di stronzate inventate dal Regime per tener buona la gente e, dal momento in cui aveva acquisito quel suo nuovo potere, aveva deciso che piangersi addosso non l'avrebbe mai portata da nessuna parte. E se il fato aveva voluto così, se davvero avrebbe dovuto imparare a convivere con l'idea di aver perso per sempre la propria magia - allora, tanto valeva usarlo per qualcosa di buono.
    La psicomagia.
    Non ci sapeva fare con le persone Nicole, e a malapena comprendeva sé stessa, ma voleva sforzarsi di essere migliore, di essere utile, di dare un senso a quell'esistenza che ormai da troppo tempo sentiva aver perso di valore. E aveva iniziato a piacerle, in fondo, quella professione, anche se c'erano giorni in cui la paura di non esserne all'altezza la schiacciava come un peso troppo grande da portare, ed in quei giorni camminava su e giù per il proprio studio e pregava che nessuno bussasse, che nessuno cercasse il suo aiuto perché, semplicemente, credeva di non essere in grado di poterlo dare. In quei giorni - «ciaaaao».
    Si era fermata all'improvviso la Rivera, giusto al centro della stanza, trattenendo il respiro per percepire quello della persona che aveva bussato alla sua porta, forse sperando di aver sentito male. Spoiler: aveva sentito bene. E per questo, nonostante tutto, si era passata una mano fra i capelli e aveva mormorato un sottile «forza» a sé stessa prima d'indossare il migliore sorriso di cui era capace e andare ad aprire, beccandosi il suddetto saluto pieno di voglia di vivere da millenial. «ciao, posso aiutarti?» rispose semplicemente, melliflua, come se non avesse davvero vagliato l'opzione di rispondere con un 'yo' come gli aveva insegnato mgk - forse avrebbe dovuto farlo?? «sono jane darko, ho chiamato per… cose.» «cose» ripeté, annuendo con una certa convinzione come se, in qualità di Psicomaga, comprendesse chiaramente ciò di cui l'altra stesse parlando. Ma, indovinate cosa? Non ne aveva idea. E non le pareva un granché farlo notare ma, d'altra parte, neppure rischiare di fallire miseramente come avrebbe certamente fatto fingendo, perciò s'azzardò semplicemente ad aprire un po' più la porta e farle cenno d'entrare, indicandole la poltrona in fondo alla stanza e seguendola a sua volta per potervisi accomodare di fronte. «parliamo di cose allora - jane? posso chiamarti jane?» posò le iridi chiare sulla Darko, cercando di farsi un'idea su cosa potesse effettivamente volere da lei «non è sempre così scontato» spiegò, piegando le labbra in un leggero sorriso «sai, i dissociativi -» perché riusciva ad essere sempre un disagio? Ventotto anni di vita, e ancora non riusciva a darsi una sola buona ragione. «ad ogni modo» si riprese, schiarendosi la voce e accavallando le gambe dinanzi a sé per ritrovare un minimo di professionalità «prego, sono tutta orecchi».
    Millennium kids, that all wanna die, Something that I've heard a million times in my life: Generation why.
     
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    jane
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    darko
    Tipico di Jane Darko trovare, nella mano allungata a caos nella buia oscurità della sua vita, trovare l'ennesimo caso umano. D'altronde, chi meglio di uno dei soggetti che era solita studiare con interesse (semi) scientifico, poteva aiutarla a confrontarsi con i suoi dilemmi esistenziali? Erano sempre /loro/ a illuminarla; al contrario di un qualunque altro essere umano degno di quel nome, si sentì più a suo agio, Jane, nel notare il nervosismo della psicomaga. Un sorriso sghembo e piatto curvò lento le labbra sottili dell'elettrocineta, le mani immerse nella tasca anteriore della felpa. «jane, gabe, fergie - scegli dal mazzo» non c'era nulla di confortante nel sorriso di Jane, ma neanche di volontariamente provocatore. Che fosse la strega a interpretare le parole della Vega, tanto un po' dissociativa aveva realmente temuto di esserlo. Non era stato facile abituarsi ad essere sia Jane, che Gabe e Fergie, apparentemente tre persone che nulla avevano a che fare l'una con l'altra, ma allo stesso tempo era stato...naturale. Non era cambiato nulla, per jane-gabe-fergie: sempre di loro si trattava. Non si sentiva un...genere, e non era la sua forma fisica a definirla. Era una cinica Darko, un fittizio Gabriel, ed un dimentico Fergie Jackson tutto insieme.
    Non aveva importanza possedere un pene o una vagina, se tanto non avevi alcuna intenzione di usarli *dito alla tempia* per il resto davvero non comprendeva dove potesse sussistere la differenza.
    «quello che fi fa sentire a tuo agio, funziona per me» how the tables had turn. Si strinse nelle spalle, perfettamente a suo agio nell'essere l'adulto della situazione. Era sempre stata più vecchia della sua età, più diversa dai suoi compagni; era quella strana, Jane Darko.
    Eppure, non era quello il problema che l'aveva spinta fino al San Mango (nda: grazie Lillo, lo terrò. Ora è canon San mango), dato che a Jane fare l'outsider era sempre piaciuto fin troppo. «ok, vado al punto» gulp. Abbassò lo sguardo sulla rigonfia tasca della felpa, sopracciglia corvine corrucciate. Difficile che le mancassero le parole per esprimersi, ma non impossibile; quello era uno di quei rari momenti in cui Jane capiva l'ansia esistenziale di Nah.
    La sola idea di essere patetica quanto la Bloodworth (❤) la convinse infine ad aprire bocca.«non so cosa voglia fare da grande. Cioè, essendo babbana non è che abbia mai avuto molte possibilità, in questo mondo» quel nuovo universo /aperto/ alle diversità, la confondeva più del ghetto nazi. «ed onestamente, non ho mai pensato di vivere abbastanza da dovermene preoccupare» ancora spallucce, perché le verità di Jane, per quanto scomode, erano sempre dati di fatto, e non c'era nulla di cui essere imbarazzati in un dato di fatto. Il bello della concretezza, uh. «non esiste tipo...boh, un magico test attitudinale?» che cazzo, avevano delle fuckin scope volanti e si spostavano tramite camini, non le pareva di chiedere molto.

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