Posts written by [a]telès

  1. .
    isaac lovecraft
    It's not worth it, it's not working
    You wanted it to be picture-perfect
    It's not over
    You don't have to throw it away
    «ma come hai fatto a ridurti così.»
    Deglutì impercettibilmente, chinando il capo fino ad osservare il braccio rotto attaccato al collo dalla fascia – più per fuggire lo sguardo di Sharyn, che non per constatare le condizioni dei traumi fisici della guerra. Serrò l'interno delle labbra nella morsa dei suoi stessi denti, dopo essersi reso conto di aver aperto bocca per rispondere, ma senza avere alcuna idea di cosa dire.
    Non aveva problemi a sostenere il contatto visivo della ragazza, anzi: nonostante tutto, e nonostante lui, avrebbe potuto restare a guardare gli occhi azzurri di lei senza mai distogliere l'attenzione per ore intere – perdersi nell'acqua limpida di quel lago, farsi trascinare nelle sue profondità dal mulinello di sfumature più torbide, e non dire assolutamente una parola. Non il dolore, né il senso di colpa o tantomeno la consapevolezza di averlo fatto per lei, riuscivano ad impedirgli di volerla cercare e rimanere vincolato a quel punto fisso. Poteva sopportarlo, ma non era giusto lo facesse anche lei; il disagio doveva essere tutto del Lovecraft, era un maestro in materia, non voleva che ci si sentisse lei.
    «io... uh...» soprattutto, non aveva intenzione di farle vedere quanto quel quesito fosse difficile da reggere. Da analizzare, razionalizzare, e scindere il contesto dal contenuto.
    Come aveva fatto a ridursi così era una domanda che si poneva ogni fottuto giorno che il karma decideva di porlo ancora davanti allo specchio, ma nulla riguardava gli scontri e tutto le iridi castane – e il viso pallido e scavato, i capelli scompigliati e le occhiaie pronunciate di chi la notte aveva smesso di dormire più di un'ora senza svegliarsi madido di sudore e panico – che ricambiavano il suo sguardo. Ma non lo sapeva, Isaac, come avesse fatto a ridursi così; non sapeva, come avesse fatto a ridursi così come, esattamente. Cos'era cambiato, cosa aveva fatto – perché.
    «mi è caduta addosso un po' di stonehenge.» aveva ponderato l'idea di rispondere altro, ma la sardonica (e spesso falsa) battuta del "avresti dovuto vedere l'altro" gli era morta in gola ancora prima che potesse prendere forma: non desiderava che Sharyn vedesse com'era ridotta Bells, e se avesse potuto se lo sarebbe risparmiato anche lui. «c'è a chi è andata peggio.» faceva male, certo, ma (aveva un Dominic crocerossina come amico) era stato decisamente fortunato a cavarsela solo con un paio di fratture: bastava guardarsi intorno, in quella tenda.
    Più che altro, l'ex corvonero avrebbe voluto stendersi ed approfittare di stanchezza e lievi traumi cranici per farsi una bella dormita (poco sana, ma probabilmente duratura).
    «davvero, ma che diavolo è successo» accennò una mezza risata, andandosi a sedere sul bordo del primo lettino libero: non aveva idea di quanto la Winston sapesse, ma la scelta delle parole era davvero ironica. «un casino.» breve e sintetico, ma quanto più efficace possibile: spiegare quanto visto e vissuto nella radura britannica, dopotutto, gli sembrava abbastanza complicato.
    Da dove poteva partire? Dalla gente catapultata dal nulla? Dalla voragine? Dai loro conoscenti uccisi e posseduti, o da quelli trasformati in special con uno schiocco di dita?
    Si passò la mano sana sul viso, le dita a premere sulle palpebre chiuse per cercare invano di cancellare molte delle immagini ancora fresche dalla memoria. «sono felice tu non ci fossi.» sospirò soltanto, incapace di trovare le parole giuste in quel momento. «tu stai...» deglutì, iridi scure a cercare – ancora, e per sempre – quelle chiare di Sharyn. «sì insomma... come stai?»
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    26 y.o.
    pavor
    tryhard
  2. .
    isaac lovecraft
    mahyem teddiursa tryhard
    I won't just survive
    Oh, you will see me thrive
    Can't write my story
    I'm beyond the archetype
    «e quindi. gli affari vanno così male?» sollevò un sopracciglio, spostando lo sguardo dalla sala del Captain Platinum che andava pian piano riempiendosi al viso di suo fratello, incontrandone gli occhi chiari. «no?» non nascose la punta di fastidio ed offesa nella voce, ed anche un pizzico di inattesa incertezza, il solito che in fondo era da sempre abitudine provare confrontandosi con Reese: lo adorava nonostante fosse un infame di prima categoria, ed era avvezzo ai suoi modi ruvidi e grezzi, ma ogni volta che ci parlava si sentiva in torto di qualcosa – ed a ragione, se soltanto pensandoci bene avesse potuto comprenderne il perché anziché ricevere soltanto immagini sfocate e suoni distorti; senso di colpa, disagio, ma per cosa?
    Il maggiore era un cliente abituale, sapeva che le cose lì andassero bene: come osava insinuare che fossero ridotti tanto male da aver bisogno di quello per ritirare su il locale. Ma, soprattutto: «cos'hai contro le feste a tema, scusa?» enfatizzò la domanda sistemando la collana di fiori colorati sopra la maglietta bianca, le rughe tra le sopracciglia a farsi più pronunciate.
    Una domanda abbastanza retorica, in realtà: sapeva bene cosa avesse da ridire – le persone, i colori, la gioia, la musica, la vita, tutto. Era un po' come avere un Dissennatore a chiedere (anzi, a pretendere: quanto avrebbe voluto non essere il proprietario del locale e potergli liberamente lanciare quel doppio whiskey in faccia) da bere al bancone, ma non poteva certo pretendere che tutti gli avventori fossero simpatici e con un briciolo di voglia di esistere su quel pianeta.
    Al contrario suo, sebbene non avesse messo mano all'organizzazione se non sistemando il locale e maledicendo Niamh per essersi presa i giorni di ferie proprio in quel periodo, Isaac era entusiasta: ammetteva che fosse una scelta bizzarra quella di fare un party hawaiano nel bel mezzo della grigia Londra magica, ma ne aveva visti di più assurdi; dopo la guerra, poi, forse quella era la cosa meno strana che si potesse decidere di fare.
    «potresti smettere di insozzarmi il bar con la tua negatività?» ci mettevano tanto impegno, lui e la Barrow, a mantenere le giuste vibes lì dentro. Versò il whiskey al ballerino del Lilum, sorridendogli prima di tornare sul Withpotatoes. «abbiamo già jay per quello.» un innegabile dato di fatto: chissà dov'era il Matthews, tra l'altro. Avevano tutti deciso di lasciarlo da solo ad affrontare una festa? Ok, poteva accettarlo. Non era più giovane come ai tempi dei festini clandestini ad Hogwarts, ma poteva comunque farcela.
    Schioccò la lingua sul palato, servendo sia Reese che l'altro ragazzo – che... aveva una faccia conosciuta, forse, chi poteva dirlo –, prima di rendersi conto del nuovo ingresso.
    «invece di lagnarti, mi sostituisci un attimo?» e prima che potesse rifiutarsi, saltò oltre il bancone posandogli il canovaccio sulla spalla e lasciandogli un buffetto sulla guancia. «grazie bro ti vu bi.»
    Tra le tante persone che aveva pensato di vedere varcare la soglia del Cap, non si era aspettato di vedere proprio Elwyn Huxley. Non poté negare, avvicinandosi a lui e distanziandosi dalla folla, di esserne felice – sorriso a trentadue denti, volto rilassato, un bicchiere di vino perché non era certo di cosa piacesse all'allenatore ma era abbastanza sicuro che tra queste non rientrasse lo stare in mezzo a un sacco di gente.
    «che ci fai da queste parti?» domandò, porgendogli il calice. «prima che tu me lo chieda: no, non ho mandato io gli inviti.» il che non era nemmeno troppo strano: era una festa immaginava pseudo-privata, era normale che fossero le organizzatrici a mandarli. Quel che suscitava interesse era quanto poco sembravano conoscersi tutti fra di loro, o il fatto che anche allo stesso Isaac fosse stato formalmente chiesto di restare. «mi fa piacere tu ci sia.» gli diede una pacca sulla spalla, cercando di nascondere l'imbarazzo di quel gesto nella piega delle labbra. Che fosse felice, era vero: era pur sempre suo fratello; era contento andasse a trovarlo spesso e volentieri quella merdina secca di un Reese, come poteva non esserlo se ad entrare nel bar era Elwyn?
    Il fatto era che fosse proprio Elwyn fucking Huxley. Aveva bisogno di un manuale per sapere come approcciarsi correttamente, come legare con lui, e dubitava che in quel momento della vita potesse andare a chiedere a Bells un aiuto.
    15.03.1997
    bartender
    deatheater
    rise
    katy perry
  3. .
    gifs25 y.o.ravenisaac lovecraft
    currently playing
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    The cab
    So, tell me I'm outta my mind, give me a sign
    Take it one step at a time
    I know it's gonna be fine, open your eyes
    Shut up and give it a try
    «lo sai bro, mi casa es tu casa» seduto al tavolo della cucina Isaac annuì, colpevole e leggero al tempo stesso, sollevando un timido angolo della bocca nel cercare lo sguardo dello Stilinski.
    Aveva passato tanto, troppo tempo senza vederlo praticamente ogni giorno, anche soltanto per una mera cazzata da condividere con lui, che aveva avuto il terrore di averlo perso. Non letteralmente, quello era già successo: il mese di giugno di quattro anni prima era stato indubbiamente tra i periodi più duri della sua vita, se non direttamente il peggiore – insieme al funerale di April e Nathan, alla scomparsa di Gemes e Darden –; scoprire che il suo migliore amico fosse stato ucciso, e che non aveva nemmeno potuto dirgli addio come avrebbe voluto e dovuto, superava ogni rottura e litigio con Sharyn, ogni sopruso che aveva reso la sua infanzia un vero inferno in terra. Ma emotivamente? In maniera del tutto logica, sapeva che il suo fosse un pensiero stupido: niente avrebbe mai potuto cambiare ciò che provava per lo psicomago, tutto quello che avevano passato insieme, nemmeno quelle continue emicranie e scatti su cui non aveva alcun controllo; e avrebbe potuto tranquillamente mettere la mano sul fuoco riguardo al fatto che lo stesso si potesse dire del ragazzo preso a convincere telepaticamente il tostapane a non fargli prendere un accidente, malgrado quanto stesse passando da quattro anni a quella parte.
    Irrazionalmente, era tutto un altro paio di maniche – perché si rendeva conto ci fosse qualcosa di rotto in sé, e che anche gli occhi ambrati dell’altro riflettevano una spaccatura nel profondo della sua anima, e non poteva non temere che il tempo passato distanti avesse smussato quei bordi frastagliati che si erano ritrovati. Erano sempre riusciti ad incastrarsi perfettamente, premendo i pezzi di un puzzle dai tasselli già rovinati con una naturalezza che mai aveva creduto, o anche solo sperato, di trovare in un’altra persona: la sola idea di non poter avere più il suo migliore amico bastava ad annebbiare ogni lume della ragione fino a farlo diventare un pesante dubbio a spingere sulle spalle ogni giorno un poco di più.
    Ma guardandolo, in quel momento, si rese conto che il problema più grande che avevano fosse l’essere cresciuti: orribile, sconsigliato, avrebbe obbligato i suoi figli a non farlo mai; ma oltre a quello che comportava il divenire adulti, tutti i cambiamenti che quel fiume in piena apportava rompendo e levigando argini che si pensava (stupidamente) non avrebbero mai ceduto all’azione corrosiva del tempo, fu felice di constatare che – che fosse tutto normale, no?
    Laddove di normale non c’era assolutamente un cazzo, certo.
    Si sentiva come ogni volta che aveva raggiunto la cucina dopo Stiles, o tutte quelle in cui lo aveva aspettato fuori dal dormitorio dei Tassorosso, o quando si erano tenuti il posto a vicenda per le lezioni: che se ci fosse stato qualcosa che non andava, avrebbero trovato un modo per risolverla – anche senza fare assolutamente nulla in merito.
    Lo lesse in ogni movimento, in ogni piega del volto o sopracciglio arcuato, nel tono della voce, che non ci fosse motivo di scusarsi per essere lì quella mattina: il problema era sentire comunque la necessità di farlo, pur rendendosi conto di quanto fosse stupido da parte sua.
    Istintivamente (mollò la fetta di pane ancor prima di prenderla, vedendolo bruciare dall’interno) si alzò in piedi, invitandolo ad avvicinarsi così che potesse aiutarlo a soffiare e rendere meno incandescente quel buongiorno dei campioni.
    «sei ancora ubriaco? ci conosciamo da – quindici anni?» il Lovecraft impallidì, lo sguardo castano a perdersi in un punto dell’orizzonte imperscrutabile ed irraggiungibile. Dopo aver ragionato brevemente sull’atrocità della vita e dello scorrere del tempo, riportò gli occhi sull’altro. «scusa se te lo dico, ma tu sei quello ubriaco se pensi sia stata una buona idea dirlo ad alta voce.» no, davvero. Isaac era effettivamente ancora (parecchio) succube dei fumi dell’alcol della sera precedente, e non pensava ci fosse alcun bisogno di rispondere a quella domanda; ma pure lui. Pure lui. Forse la sobrietà faceva male come sostenevano tutti – tutti: gli alcolisti.
    Convennero sul non pensarci.
    «ho fatto notti molto più insonni, e per molto meno. anzi, abbiamo: ti dirò solo due parole.» «pokemon go.» rispose all’unisono, allargando la piega delle labbra mentre provava nuovamente ad avvicinare le dita al toast nella vaga speranza di non bruciarsi.
    Non si bruciò, e tanto gli bastò ad allungarsi (piano, la testa girava un po’ troppo per fare scatti improvvisi) per afferrare la confettura sul tavolo e spalmarcela sopra. «no davvero isaac, ma che cazzo dici.» si strinse nelle spalle, addentando la colazione e concentrando tutto il proprio interesse sulla stessa. «no, lo so, è che…» un sacco di cose, alle quali non sapeva dare una forma: le stesse per cui aveva lasciato Sharyn, in fin dei conti – ragioni che non avevano un senso al di fuori della testa del Lovecraft, ma che lì dentro si aggrovigliavano come un gomitolo di lana. «forse sono ancora ubriaco.» avrebbe di certo spiegato una marea di cose.
    Tra cui il motivo per cui aveva posto la domanda successiva.
    «pensi di aver dimenticato dominic allo zoo?» «cosa? no, l’ho riportato a –» alzò lo sguardo appena in tempo per notare il bagliore in quello dello Stilinski, e non poté evitare la smorfia al limite del divertito a premere sul naso arricciato e le labbra incurvate. «oh, andiamo!» ancora con quella storia. Non sarebbe stato lui a scendere di più nel discorso: sapeva che tra i due non corresse buon sangue, e volendo bene ad entrambi non riusciva ancora a capire perché non riuscissero a lasciarsi qualsiasi cosa fosse successa alle spalle. «no, chiedevo perché… mh…» come dirlo senza sembrare pazzo a vedere un fottuto animale magico appollaiato nella loro stessa stanza? «se hai adottato uno snorton non me lo hai mai detto, ecco. quindi ho pensato che… quello lì… potevo averlo rubato al carrow’s?» e come se nulla fosse, glielo indicò.
    E non sapeva se sperare di avere le allucinazioni, o che anche Stiles lo vedesse.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
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    CITAZIONE
    Kieran viveva la vita alla giornata.
    Beh, viveva.
    Lei prendeva tutti sul letto.
    Era imbarazzata? Si. Ma l’avrebbe superato, ckme aveva superato molte ckseZx x. Beh certo he voleva vedere Hold quando voleva, anche in più modi di uno, se glielo avesse permesso. Vabbè più aveva i suoi pensieri, uno si chiede quali? Pensiero. Normali. Assolutamente normali da persona. xhE pensava. E si, le aveva rubar una maglia. Cos’ era di male? Niente.

    grazie blondi delle perle ubriache
  5. .
    isaac lovecraft
    Like a sledgehammer to a disco ball
    Crushing all my low Ache it 'til you make it
    I think I've been going through it
    And I've been putting your name to it
    Non pensarci troppo.
    Indugiò davanti alla tenda medica dell’accampamento – uno, due, dieci minuti. Sguardo fisso sulla struttura di fortuna, apatico e distante nello studiarne ciascun dettaglio in maniera analitica: il colore verde militare; le pieghe del poliestere e del cotone, smosse da un vento placido o dal continuo andirivieni di soldati e personale medico; le chiazze di sangue, secco o fresco che fosse, che davano un tocco personale all’erba e alla terra sotto i suoi piedi; i fili di fumo sullo sfondo di un Inghilterra, di un mondo, deturpata dalla guerra cui non aveva voluto opporsi – a cui non avrebbe dovuto opporsi, a cui non aveva saputo opporsi –; il cielo ormai terso, pulito dalla coltre di pece e cenere che aveva minacciato tempesta, ed aveva portato devastazione; le poco rade barelle portate fuori dall’uscio, coperte di teli di fortuna laddove da vedere non ci fosse più niente per nessuno, se non per chi le persone ivi nascoste – forse – le stesse aspettando a casa.
    Il silenzio assordante. Quel fischio placido e continuo a ronzare da un orecchio all’altro, ovattando qualsiasi suono che non provenisse dalla sua testa; e rimbombava, più del cuore placido a colpire lo sterno o della pressione sul braccio che rischiava di farlo svenire da un momento all’altro.
    Non pensarci troppo: lo aveva detto a Dominic in tempi meno sospetti di una battaglia che, il Lovecraft, non aveva mai potuto lontanamente immaginare sarebbe finita in quella maniera; continuava a ripeterselo da solo, respiro lento e denti stretti, mentre testarda la memoria andava a rimbalzare sui corpi piovuti dal cielo, sulla scossa, sulla faglia – e sulla nube oscura a possedere gli special, sulle piante a germogliare sulle gambe dei maghi, sulla mano che aveva inutilmente teso verso Bells, e verso Arci, e verso un po’ tutti quanti perché non gliene era fregato un cazzo di vincere la battaglia: non così, non in quel momento.
    Era impraticabile, quel mantra, e più persisteva nel canticchiarlo come una nenia e meno sembrava voler attecchire. Perché che avessero mandato a puttane tutto quanto era ovvio, innegabile, ed Isaac lo aveva capito – troppo tardi, ma lo aveva capito. Non sarebbe cambiato comunque nulla: le ragioni che lo avevano spinto a stare da quella parte del conflitto surclassavano quelle che lo avrebbero portato a schierarsi nel battaglione degli sconfitti, e solo l’idea di potersi dover scontrare contro Stiles, il suo migliore amico, così come aveva fatto con la Dallaire era una di queste.
    Ma lo aveva capito, e sapeva fosse giusto facesse male – ma non riusciva a comprendere il perché facesse così male.
    Perché lo aveva fatto quando il cuore di Wren, Moka, Sinclair e Justin si era fermato – un dolore alla bocca dello stomaco, immagini confuse e sfocate ed insignificanti a susseguirsi come un carosello di notte; ricordi che non dovevano essere incastrati nei meandri della mente, ma che erano perdurati tra i battiti del cuore, e che non avevano forma ma solo – insieme a quello degli altri; quando la terra aveva reclamato la magia degli altri – ed aveva sentito che avrebbe dovuto essere lì anche lui, che una parte di lui era pronta a fare il salto su quel buco nero al centro di Stonehenge per dire ci fosse anche lui tra chi si ribellava.
    Si era detto che fosse perché, in ventisei anni di vita, non aveva mai vinto un bel niente. Mai un successo, mai una conquista; soltanto sconfitte e perdite, una dopo l’altra, e lui a riderne sopra come se gli avessero appena raccontato la più divertente delle barzellette. Che non si aspettava la vittoria lasciasse quel sapore ramato sul palato.
    Quando entrò nel tendone, lo fece continuando quella litania – non pensarci troppo. Doveva ripeterselo passando davanti ai corpi svenuti, a quelli che i macchinari magici suggerivano non ce l’avrebbero fatta, a chi aveva da curare solo graffio; doveva ripeterselo, perché era fottutamente vivo.
    Lo era Isaac, Dominic; Hamish, Roxie e Finn; Bells, Arci; lo erano tutti – a quale prezzo, era qualcosa cui avrebbero pensato poi.
    La era «sharyn.»
    Rimase immobile lì, dove gli occhi castani avevano incontrato quelli chiari della Winston; lì, il braccio rotto stretto al busto e tenuto insieme da una fasciatura improvvisata negli ultimi istanti prima della fine.
    Lì, dove aveva capito – aveva sempre saputo – che avrebbe potuto vincere qualsiasi cosa, e sarebbe sempre stata una sconfitta se non poteva avere lei.
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    26 y.o.
    pavor
    tryhard
  6. .
    Aveva chiuso gli occhi, Isaac Lovecraft, ed inspirato molto profondamente; quindi contato fino a dieci, venti, sarebbe anche arrivato a cento se ne avesse avuto il tempo materiale, prima di espirare quanto più silenziosamente possibile. Quando riaprì gli occhi, però, voleva ancora spaccare la testa al ragazzo che aveva davanti; cercò di nascondere il sentimento dietro un sorriso tirato, ma non era certo della sua riuscita.
    Non che gli interessasse poi più di tanto.
    Odiare le persone era un qualcosa che all’ex corvonero era sempre risultata difficile: aveva bisogno di un torto importante anche soltanto per guardare in cagnesco un altro essere umano, di base. Forse era vero che negli ultimi tempi tendesse ad ingigantire un po’ le situazioni e le proprie reazioni in merito, ma non così tanto da detestare qualcuno a prima vista.
    Osmond Abney era l’eccezione alla sua regola, evidentemente – che già soltanto per il nome meritava di essere preso a sberle in faccia ripetutamente.
    Non aveva problemi con gente di rango più alto del suo, per quanto avesse sempre prediletto essere il capo di sé stesso; aveva problemi con gli spacconi che già avevano avuto una promozione e che si credevano più in gamba di lui. Il segugio che gli aveva appena dato una pacca sul sedere e che gli aveva detto «i grandi hanno finito, raccogliete pure le briciole» rientrava tranquillamente nella categoria. Era uscito da Hogwarts a malapena da un paio di anni, e già si permetteva di fare il gradasso con così tanta facilità.
    In quei venti secondi di meditazione profonda, e dato che il Ministero non lo avrebbe ufficialmente approvato, immaginò come sarebbe stato bello trasfigurarlo in un burattino di legno ed usarlo come ornamento in ufficio: immaginava che molti altri colleghi avrebbero apprezzato l’iniziativa. Un’immagine che lo aiutò a mantenere la calma fino a quando non fu uscito dalla casa.
    Non disse ad alta voce quanto morisse dalla voglia di picchiarlo, ma la sua collega doveva averlo percepito perché gli posò una mano sulla spalla e la strinse molto forte. C’era anche da ammettere che colpire qualcosa che non fosse un sacco da boxe sarebbe stato molto terapeutico in quel periodo della sua vita: non poteva continuare a bere per non pensare a Sharyn, già aveva ecceduto i limiti del suo fegato più volte.
    Certo, non aveva pensato che perlustrare la casa del ribelle alla ricerca di ultimi indizi – letteralmente le briciole lasciate loro dai segugi – avrebbe aiutato in quel senso. «lovecraft, io ho finito. andiamo?» digrignò i denti, già dimentico dell’Abney probabilmente già a chilometri di distanza, le nocche a farsi bianche per la forza con cui stava stringendo la spalliera della poltrona. «lovecraft?» alzò lo sguardo, celere a nascondere la fotografia nella tasca della giacca. «ancora a pensare a come uccidere osmond?» che, in realtà… Sbuffò una risata, massaggiandosi le tempie nel vano tentativo di far rientrare l’emicrania a premere contro le pareti della scatola cranica. «sempre.»

    Continuò a rigirarsi la fotografia tra le dita – confuso, intorpidito, arrabbiato. Non riusciva a capire perché una persona di cui non sapeva nulla, un ribelle perlopiù, dovesse avere quella stampa tra decine di altre in un cassetto della scrivania; non riusciva a capire cosa significasse.
    Chiamare suo fratello non era stata la prima cosa che aveva fatto una volta finito il proprio turno – si era preso tutto il tempo del mondo per valutare quanto potesse essere utile quell’immagine, o se sarebbe stato meglio buttarla nel fuoco ed ignorare la sua esistenza; era stato male, gettato sul divano come un sacco dell’immondizia e con le mani tra i capelli, che stupidamente cercavano di contenere pressanti martellate e fastidiosi giramenti di testa; aveva camminato, e camminato, e camminato. Di certo, però, era stata l’unica cosa sensata che avrebbe potuto fare.
    Chiuse gli occhi, gettando la testa all’indietro e respirando l’aria pulita del boschetto. Non si aspettava di veder arrivare Reese. Lo sperava, e non solo per chiedergli se sapesse dare delucidazioni; tutto sommato, quella era l’ultima delle sue preoccupazioni. Era sparito per mesi interi senza che nessuno sapesse che fine avesse fatto, e quando era tornato – dopo essere finito in un cazzo di laboratorio – lo aveva fatto senza un fiato; aveva dovuto scoprirlo per caso, il Lovecraft, che era sano e salvo. Maledetto infame, ma gli voleva bene così.
    La tentazione di piombargli in casa, o di placcarlo al ministero chiudendolo in una stanza per sapere come stesse, era comunque una valida opzione casomai non si fosse presentato.
    isaac
    lovecraft

    A psych ward napkin
    changed the life I tried to kill
    With three words
    let it burn
    26 | 1997 | salem, ma
    2043's | deatheater
    pavor && bartender
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    «... e questo è quanto.» concluse con assoluta convinzione la propria arringa, battendo il bicchierino ormai vuoto sul bancone come fosse il martelletto di un giudice. Invitò con l'indice il ragazzo dall'altra parte del bancone a non lasciarlo così nemmeno per un altro secondo, e nessuno dei due parve curarsi delle palpebre pesanti del Lovecraft, o delle goti visibilmente arrossate nonostante le luci basse del locale: l'uno perché era troppo ubriaco per rendersi conto di dover porre un freno a quella nottata, l'altro per... qualche motivo che all'ex corvonero non andava affatto di approfondire. Di sicuro gli era capitato il peggior barman che quel pub avesse da offrirgli - di quelli che non avrebbero mai detto ad un cliente “magari è il caso di smetterla per stasera” pur di potergli spillare qualche galeone in più, e che per ogni cicchetto venduto ne versava uno anche per sé -, ma era esattamente ciò di cui aveva bisogno.
    «Cavolo, bro. Pesante gli sarebbe bastato avere un naso funzionante, a quel punto, per avere la certezza che il bro gli avesse fatto compagnia per buona parte della sbronza, ma i fumi della tequila avevano temporaneamente bruciato tutti i recettori del suo corpo, non solo quelli olfattivi; rimase con gli occhi cioccolato sul bicchierino, osservando il liquido ambrato che lento andava a riempirlo fino all'orlo, temendo che alzarli per incrociare qualsiasi sguardo lo avrebbe portato a svuotare buona parte di ciò che aveva nello stomaco su Dominic. O per terra, certo, ma quello avrebbe richiesto una prontezza di riflessi che non sentiva di possedere in quel momento; preferiva evitare e basta. Anche perché il Cavendish non gli sembrava molto nelle condizioni di sopportare una cosa del genere, o la vita in generale: non era certo si fosse spento, ma che avesse raggiunto quel livello di sbronza per cui si va in standby? Quello sì. Guardava fisso davanti a sé, gli occhi azzurri persi nel vuoto cosmico tra una bottiglia di Grey Goose e una di Fernet Branca, dondolando tutto il tronco con movimenti brevi ma non così lenti. Se non lo avesse accompagnato al bagno pochi secondi prima – suggerendo come ispirazione, nella propria personale ebrezza, metodi eccellenti per espellere tutto l’espellibile e recuperandogli un delizioso caffè salato –, avrebbe pensato che stesse per vomitare lì davanti a tutto il pub.
    Posò dunque il palmo della mano sullo shottino del biondo, troppo tardi per impedire a Nicolai (che sicuramente aveva un nome vero, ma per quella sera andava bene così) di mandarlo ancora più in tilt ma in tempo per impedirgli di berlo. Era un buon amico, Isaac Lovecraft, ed era felice che il nuovo responsabile di chirurgia al San Mungo avesse deciso di accompagnarlo – ufficialmente, per festeggiare l’imminente promozione dell'ex compagno di casata, dal momento che non era ancora riuscito a congratularsi con lui; ufficiosamente, perché necessitava di qualcuno che stesse con lui a bere fino a non ricordarsi il proprio nome senza doversi sentire una merda per i problemi d’alcolismo dell’altro: se avesse chiamato Stiles, gli avrebbe fatto solo del male –, ma non per questo avrebbe permesso che si riducesse ad un mocio con cui pulire i pavimenti del locale. Si strinse nelle spalle quando, indolente e sonnacchioso, si voltò per lanciargli un’occhiata confusa e offesa, dopo ch’ebbe trangugiato lo shot, ma non si dissero nient’altro. Troppo difficile articolare un discorso.
    Per questo motivo, quando Nicolai prese di nuovo la parola, evitò di rispondergli.
    «E perché non hai provato a perdonare il tradimento?»
    Piegò la testa con estrema calma, sorridendo ebbro e stanco, e trovando sul volto di Dom lo stesso cipiglio divertito. Se non che, di divertente, non ci fosse nulla. Nella piega sulle labbra del Lovecraft c’era un non detto che era impossibile da esprimere, senza dare spiegazioni che non avrebbero comunque chiarito la questione a nessuno dei tre: “non ci hai capito un cazzo”. Non poteva fargliene una colpa, chiaramente: né al barman, né a un Dominic al quale aveva provato a spiegare in altre parole, e con più lucidità, un discorso indecifrabile. Una storia assurda – così tanto che era difficile crederla vera, e forse era meglio che pensassero tutti fossero vaneggiamenti del corvonero.
    Perché ovviamente Sharyn non lo aveva tradito con Kovu, ma così aveva raccontato lui. A lei, ai suoi amici, alla sua famiglia; era stato l’unico modo che aveva trovato per non farle vivere quella vita di merda, e che pensassero tutti fosse impazzito.
    Non c’era nulla di più vero.
    O che pensassero quelle risate stessero a significare che aveva reputato il tradimento ingiustificabile ed imperdonabile: la convinzione di Isaac che fosse meglio così non sarebbe comunque cambiata.
    Ingurgitò il proprio shottino, sentendolo bruciare fin dentro l’anima, ed in uno sprint di ottimismo e vitalità si alzò, incoraggiando Dominic a fare lo stesso. Lasciò diversi galeoni – non troppi in più di quanto avrebbe dovuto pagare: poteva essere lercio, ma aveva comunque contato tutto ciò che l’aveva reso così e calcolato la mancia; una volta bartender, non si torna indietro – sul bancone, liquidando la questione con un «grazie della serata.» molto poco sentito prima di prendere a braccetto l’amico e trascinarselo via dal pub.
    Che pianse un po’ (tanto) non appena messo piede fuori dal locale, sentendo gravare sul petto tutto il peso di quell’eccessiva condivisione – che per uno stupido istante doveva aver creduto sarebbe stata terapeutica: non lo era stata –, sarebbe rimasto un segreto tra lui e Dio. E forse Dominic, al quale si era aggrappato prima di riportarlo a casa, ma viveva bene nella convinzione che la mattina seguente non si sarebbe nemmeno ricordato di essere uscito.

    Isaac Lovecraft, cadendo dal divano, qualche memoria ce l’aveva. Non tutte, ma era certo di aver accompagnato il Cavendish fino alla propria camera da letto prima di dileguarsi: dopo aver aspettato dieci minuti che infilasse la chiave nella toppa di casa, non poteva lasciarlo a sé stesso e sperare che non si addormentasse sui fornelli accesi.
    Poi, un’ora intera di vuoto. Poteva aver ucciso qualcuno, essersi fatto un bagno alle Maldive, aver perso tutti i propri averi in un casinò o scommettendo su lotte clandestine allo SpacoBot: non l’avrebbe mai scoperto. L’unica certezza era la chiamata alle quattro e mezza del mattino allo Stilinski, e non aveva nemmeno bisogno di sapere cosa gli avesse detto. Il sofà dal quale si era appena ammazzato sbattendo la testa a terra, d’altronde, era quello di casa del suo migliore amico.
    «Buongiorno!» cercò di sembrare meno in hangover di quanto non fosse, ma raggiungendo Stiles in cucina si accorse di essere sicuramente ancora ubriaco marcio e che fosse impossibile nasconderglielo: non solo per il passato del suo migliore amico, quanto per il loro. «Scusa se sono piombato a casa tua stanotte.» insomma, credeva di essere piombato lì. Era altrettanto probabile che fosse andato a raccattarlo da qualche parte. Si sedette al tavolo, premendo le mani sulla faccia. «So che -» hai già troppi cazzi per la testa di tuo, stai una merda, e sono il peggior migliore amico del mondo a romperti le palle con i miei drammi. «devi andare a lavorare, mi dispiace davvero bro.» cosa che avrebbe dovuto fare anche il Lovecraft, ma di certo non quel giorno. «Giuro che tolgo subito il disturbo.»
    Ma doveva togliersi un dubbio, prima.
    Un dubbio atroce, che aveva iniziato a farsi largo nella sua testa dal momento in cui era entrato in quella stanza, e con la coda dell’occhio aveva visto qualcosa. Sì che era diventato abbastanza paranoico negli ultimi anni, se ne rendeva conto, ma: «ti ho per caso detto qualcosa ieri sera? Tipo… mh… se sono stato al Carrow’s?» chiedeva.
    Perché gli era sembrato di aver visto uno Snorton appollaiato all’angolo della cucina, ma poteva tranquillamente sbagliarsi.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.


    Edited by [a]telès - 9/3/2023, 21:04
  8. .
    sacrificial-lamb.mp3
    friction
    - imagine dragons
    beat it
    - fall out boy
    all star
    - smash mouth
    isaac
    lovecraft
    (2043: teddy tryhard)
    sheet
    power
    aesthetic
    headphones


    28.01.2019 -- stiles
    12.12.2018 -- idem + au!shia + au!shane
    10.11.2018 -- elwyn
    02.05.2018 -- sharyn
    28.05.2016 -- sharyn
    25.03.2016 -- drake
    EV. 18.08.2016 -- matrimonio
    Q06. 22.03.2016 -- maeve
    Q06. 21.03.2016 -- blood in the writings
    Q06. 21.03.2016 -- leader
    Q06. 21.03.2016 -- ribelli
    17.02.2016 -- donnie
    EV. 01.09.2015 -- banchetto
    07.06.2015 -- sharyn
    EV. 06.06.2015 -- fairytale party
    09.05.2015 -- idem
    15.03.2015 -- dildo
    07.03.2015 -- gwendolyn
    L. 01.03.2015 -- incantesimi
    27.02.2015 -- lilith
    INC. 15.03.2010 -- stiles
    All my life I've been living in the fast lane Can't slow down I'm a rollin' freight train
    info
    parents: (2043) behan tryhard + maple walsh
    bros: idem withpotatoes + gemes hamilton + darden larson + mabel withpotatoes + (2043) elwyn huxley
    uncles: (2043) mehan tryhard + phoebe campbell + connor walsh
    grandad: (2043) phobos campbell
    spiritual mom: maeve winston
    cousins: (2043) william & niamh barrow + sersha & sunday & barrow bb
    otp: isharyn (sharyn winston)
    brotp: lovinski (stiles stilinski)
    other bffs: dominic cavendish + niamh barrow
    allies: ribelli fes (kovu, alistair)
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    Edited by jic. - 9/3/2023, 13:16
  9. .
    nickname: [a]telès
    gruppo: mangiamorte
    link in firma? dfkasjfal
  10. .
    HTML
    </li><li>[URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=57388749]isaac lovecraft[/URL]

    MANGIAMORTE
  11. .
    personaggio:
    HTML
    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=57388749]isaac lovecraft[/URL]

    scuola: hogwarts
    casata: corvonero
    ripetente? no
    anno di nascita: 1997
    nato dopo settembre? no
  12. .
    personaggio:
    HTML
    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=57388749]isaac lovecraft[/URL] - <b>aquila cuneata</b>

    razza: --
    abilità innata (max 1): --
    abilità appresa (max 2, o 1+1): Animagus
  13. .
    HTML
    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=57388749]isaac lovecraft[/URL]

    - comproprietario captain platinum

    arriverà la role di prova per pavor segugio, prima o poi
  14. .
    jack falahee isaac lovecraft scheda pg

    HTML
    <span class="pv-m">jack falahee</span> isaac lovecraft [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=57388749][color=#124072] scheda pg[/color][/URL]


    è stato molto divertente il momento in cui con alessia ci siamo accorti di aver utilizzato nuovamente l'unico neurone contemporaneamente. prima o poi questa cosa finirà, ma evidentemente non è questo il giorno.
  15. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    ex ravenclawpavor
    isaac
    lovecraft
    «Scusatemi,» aveva detto semplicemente, lanciando un'occhiata di confusione al Crawford prima di sfiorare con un morbido bacio la testa dorata della sua ragazza. «torno subito, ok?» appena un sussurro quello del Lovecraft, bisbigliato alla pavor con un cipiglio vagamente allusivo ad inarcare le sopracciglia scure, per poi lasciare i due a loro stessi e dirigersi verso luoghi a lui più consoni per quel momento.
    Non aveva bisogno di dire altro a Sharyn, consapevole che avrebbe perfettamente compreso il velato “non agitarti” nascosto a fior di labbra, in bella vista. Perché lo sapeva, senza il bisogno che lei dicesse alcunché, che fosse alquanto indispettita dalla presenza dell'ex leader dei segugi ministeriali lì, in casa loro - l'aveva sentita vibrare tra le proprie braccia nel momento in cui si erano Materializzati in soggiorno, così forte che una bottiglia di spumante shakerato per dieci minuti buoni sarebbe esplosa meno clamorosamente della corvonero una volta stappata -, e sinceramente avrebbe preferito evitare qualsiasi tipo di inconveniente tra Kovu e la propria fidanzata. Avrebbe mentito ad entrambi, prima ancora che a se stesso, nel caso avesse detto che quell'incursione imprevista non aveva disturbato anche lui. Voleva bene ad Urijah, e per quanto fosse burbero, anaffettivo, borderline tra psicopatia e sociopatia, gli piaceva; ma c'erano dei paletti, delle linee spesse tracciate a differenziare gli spazi entro i quali uno come lui poteva muoversi, e quelli per i quali aveva bisogno di, quantomeno, chiedere. Di certo non si sarebbe messo a discutere con l'uomo - e non soltanto perché provasse un pizzico di timore reverenziale, ma anche per il fatto che non amasse avere alterchi davanti alla Winston -, ma non poteva pretendere lei non si alterasse al suo posto. In fin dei conti non era uno Stiles: lui si che poteva infilarsi ovunque e quando ne aveva voglia, senza permesso e senza preavviso - ma era il suo migliore amico, avevano un figlio insieme ed avevano vinto alla lotteria; avevano dei trascorsi insieme, loro due. Così come non avrebbe fatto scalpore trovarsi un Marcus depresso sdraiato sul loro divano a guardarsi le repliche della terza stagione di Masterchef USA e commuoversi per la vittoria della prima chef cieca della competizione.
    E se glielo avesse chiesto, Kovu, di passare un po' di tempo con loro dopo il blitz alla libreria appena portato a termine, non era nemmeno certo gli avrebbe detto di sì. Okay, quasi sicuramente lo avrebbe fatto: gli faceva tenerezza, che poteva farci?, sempre solo e con quel muso lungo, e magari mettere sul tavolo ciò che avevano o non avevano trovato alla Lanterna Dorata sarebbe potuta essere una strategia per stare un passo avanti rispetto al nemico - ma non se la sentiva, era stanco. Le sue prospettive per quel pomeriggio erano di buttarsi sul letto con Sharyn e restare lì, fare qualcosa magari, e spegnere il cervello fino al giorno successivo.
    In quel momento però, anziché iniziare a fare gli aggiornamenti prima dell'arresto, aveva iniziato ad impallarsi, ad aprire pagine a caso, ad oscurarsi - ed era per quello che non aveva avuto tempo da perdere a chiedere perché si fosse agganciato a loro, prima di correre in bagno e chiudere la porta a chiave dietro di sé.

    La testa gli andava a fuoco - e sentiva come se il cervello volesse uscire dalla calotta cranica, premendo con forza sulle ossa e sbattendo violentemente per crearsi una via d'uscita; moriva dalla voglia di prendersela tra le mani e farle avere un incontro ravvicinato del primo tipo con le maioliche della toilette.
    Quando riaprì gli occhi, però, dolenti come se li avesse strizzati per minuti interi, era tutto passato. Quantomeno, se non considerava il fatto che l'orologio a parete suggeriva fosse passato più tempo di quanto pensava - o che fosse seduto affianco alla tazza, il gomito destro sulla tavoletta abbassata e la fronte poggiata sull'avambraccio, con in bocca il sapore aspro della propria bile, mentre fino a quelli che pensava fossero pochi secondi prima si trovava con le spalle contro il legno dell'entrata. O se isolava, cosa nella quale stava diventando sempre più bravo, quel metronomo che gli ticchettava metodico e preciso dentro le orecchie.
    Un mantra privo di vocaboli intellegibili. Una litania che non aveva memoria di aver mai appreso, ma che sembrava sempre funzionare - che, in una qualche mistica maniera, rendeva l'aria meno rarefatta ed i battiti nella cassa toracica meno spasmodici. Si prese qualche secondo, prima di tirare lo sciacquone ed alzarsi, dirigendosi poi al lavandino per darsi una rinfrescata. Degnò solo di uno sguardo rapido il proprio riflesso - ignorando il volto provato da quella sessione ravvicinata con il gabinetto, le ombre scure appena più marcate sotto gli occhi -, prima di aprire l'armadietto e lanciare due compresse sotto la lingua, nella speranza che potessero dargli una parvenza di vita una volta che ebbe messo nuovamente piede in soggiorno.

    «Cosa mi sono perso?» certamente, non un omicidio. Già era qualcosa vederli ancora entrambi vivi, senza bacchette sguainate o sangue a macchiare la moquette. Fece una piccola sosta nell'angolo della cucina, gli occhi chiari ad indugiare davanti al ripiano più in basso del frigo: mannaggia a Kovu e al suo alcolismo, non poteva nemmeno offrirgli una birra! Prese al volo il telefono, e fece per chiedere a Stiles se quella sera stessa gli andasse di andare in qualche pub con lui - ma anche lì, dovette fermarsi e proporre altro. Se con il Crawford aveva evitato di bere davanti a lui solo per la propria salute (non era certo che gli facesse benissimo, in quel momento), davanti allo Stilinski proprio non voleva: aveva fatto tanto, non sarebbe stato il Lovecraft a fargli venire nemmeno l'ombra di una minima voglia; sapeva fosse bravissimo, ma era anche consapevole che quella fosse una brutta bestia, e amava troppo lo psicomago per tentarlo così.
    Lanciò un succo di frutta al segugio, e dopo averne preso uno per sé andò a buttarsi sul divano, fin troppo esausto dalla vita per restare in piedi come gli altri due. «Di che chance parli, Shar?» l'unica cosa che aveva sentito tornando dal bagno, era quella: non che avresti una chance, ovvio. «Perché se parla di bowling sai che sono una schiappa, di chance ne avrebbe eccome.» sì, era la prima cosa che gli era venuta in mente. «Come in qualsiasi altro sport - tranne ping pong, lì sono una bestia!» o forse era semplicemente Darden ad essere più scarso di lui, l'unica persona con cui avesse mai giocato.
    Ad ogni modo: «Ma come mai sei qui?» ancora non l'aveva capito.
    Chissà se doveva davvero essere geloso.
    Hide your mind
    mystery and apprehension
    You will fade
    if you're falling for the bait
    Caught up in the fever
    now you're stuck in place
    thomston
    burning out
    argonaut ep
255 replies since 22/2/2015
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