Hogwarts will always be there to welcome you back home.

Banchetto di inizio anno (x gente)

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    cole sølv sicla
    you're a cut above the masses, you're a king you must believe
    death eater - 25 y.o. - pureblood - headmaster
    Gli occhi di tutti puntati contro non scalfivano affatto il sorriso compiaciuto sul volto del giovane Sicla, anzi. Tutti quei dipinti, tutti quei volti risultavano così familiari, anche se prima d’allora non avrebbe nemmeno osato sorridere in loro presenza. All’epoca, in veste di semplice studente, quando metteva piede in quell’ufficio in realtà non faceva nulla, Cole, probabilmente nemmeno li degnava di un qualche sguardo. Potersi considerare uno di loro, sapere che in futuro uno di quei quadri lo avrebbe ritratto, non faceva altro che amplificare quel suo piacere che varcando innumerevoli volte quella soglia aveva già provato, la spilla di prefetto prima e caposcuola in seguito ben fissa sul petto. Passò in rassegna ogni angolo di quella stanza, toccò ogni oggetto contenuto in essa, come se il solo tatto potesse aumentare il senso di potere che già solamente la carica poteva dare. Scorse il Pensatoio dietro le vetrate di un armadio: un oggetto affascinante che l’aveva sempre attratto ma al quale mai si era potuto avvicinare. Recluso, un artefatto potente e all’occorrenza pericoloso, dal quale l’allora preside Izra l’aveva più volte messo in guardia. E ora, ora era suo. Come, ormai, tutto in quella stanza, in quel Castello. Pretenzioso, forse, considerare l’intera scuola di sua proprietà, lo seppe riconoscere egli stesso mentre, trascinando le dita sulla scrivania dietro la quale si erano susseguiti innumerevoli maghi e streghe d’alto calibro. Prese posto sulla sedia dall’alto schienale, mentre quel ghigno lentamente sbiadiva, mentre le labbra si distendevano, mentre i gomiti si poggiavano sulla superficie di legno. Quel momento di pura soddisfazione personale continuava a vibrargli nelle ossa, lungo la pelle, eppure dietro quelle mani congiunte sulle quali si poggiavano le quelle sottili linee rosse non sembrava vi fosse nulla di tutto quell’entusiasmo. Apatico, così era stato più volte definito il primogenito dei Sicla dagli stessi genitori, dai fratelli, dai vari parenti; incapace di esternare alcuna emozione. A lui non interessava, come a nessuno di coloro che con tale appellativo avevano osato descrivere il carattere tendenzialmente piatto ed inespressivo dell’uomo, e sostanzialmente perché di apatia si trattava. Da sempre era stato abituato a focalizzarsi su obiettivi concreti lungi dal raggiungimento della mera soddisfazione personale, da sempre era stato abituato a scindere lavoro da piacere in due ambienti all’apparenza così distanti da loro, a non provare emozioni nell’ambito lavorativo se non una distaccata freddezza nei confronti delle mansioni da svolgere o a non lasciarsi abbindolare dal lusso momentaneo e passeggero di una notte di piacere, senza contare che gli insegnamenti ricevuti l’avevano portato a prediligere in maniera quasi inverosimile ed ossessiva il lavoro al piacere, raggiungendo un punto in cui era il solo lavoro l’unica cosa a procurargli piacere, se di quello si trattava. E così, apatico e calcolatore, lo sguardo di Cole Sølv Sicla si scontrava con quello dei suoi predecessori, studiandone l’espressione, cogliendone il cipiglio a volte scontroso, a volte fiero, a volte disgustato. Incontrò gli occhi di Albus Silente, lo storico preside di Hogwarts, dietro le lunghe dita affusolate congiunte tra loro: era astio, era disdegno, era ribrezzo quello che provava per colui che ora aveva il diritto di sedere laddove circa vent’anni prima era stato lui? Di sfuggita incontrò quello di Severus Piton, figura emblematica per il Governo quanto per la Storia Magica di quei tempi, figura dietro la quale diversi misteri irrisolti ancora si celavano. Studiò le iridi di Izra, la sua preside, colei che senza saperlo aveva contribuito così tanto nel raggiungimento di ogni fine che sin da giovane si era imposto. Liam Callaway lo scrutava da un grande quadro alla sua destra, fiero e superbo, e poco distante Ethienne Leroy, ultimo preside della Scuola di Magia e Stregoneria più prestigiosa di tutto il continente europeo, se non di tutto il globo, gli rivolgeva un sorriso. Cole si alzò, gettando un occhio sull’orologio che portava al polso e constatando che gli restavano pochi minuti per bearsi di quella pace, di quel suo nuovo ufficio prima che un nuovo anno scolastico iniziasse. Fece il giro della scrivania e si indirizzò verso la stessa porta dalla quale era entrato poco prima, sistemandosi il nodo della cravatta, impeccabilmente stretto attorno alla camicia bianca. Si lasciò alle spalle i numerosi volti dei presidi passati, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle e allacciando i bottoni della giacca scura mentre tra i corridoi del castello, lungo le scale, in tutte le sale, echeggiavano le voci fomentate dei nuovi studenti che avevano appena messo piede nella Sala d’Ingresso mentre gli altri, coloro che il primo anno l’avevano già vissuto, attendevano silenziosi nella Sala Grande.
    Raggiunse la Sala Grande senza troppi contrattempi e con altrettanta facilità raggiunse il tavolo alla fine della vasta stanza, dietro la quale erano già stipati i diversi professori che insegnavano in quella scuola e con i quali aveva condiviso alcuni anni di studi. Era un preside giovane, Cole Sicla, così come lo erano stati anche Callaway e Leroy, e comunque una figura del genere, nonostante potesse presentarsi autoritaria nelle movenze, negli atteggiamenti, non riusciva comunque ad incutere negli studenti quel giusto timore riverenziale che sapeva infondere un aspetto vetusto, una folta chioma di capelli ingrigiti dal tempo o un paio di occhiali consumati dall’uso costante, e fu per questo, secondo il non modesto parere dell’ex serpeverde, che nessuno si scompose vedendolo passare. O forse lo conoscevano, sapevano il suo nome, il suo ruolo in quella Sala –e in tutto il castello- ed erano molto bravi a nascondere qualsivoglia emozione il loro istinto gli dicesse di provare. Prese posto dove gli spettava di diritto, al centro e sulla più maestosa poltrona mentre gli studenti del primo anno venivano lentamente smistati nelle legittime casate, senza intavolare con nessuno alcuna conversazione: così come a Berlino, nell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale, non aveva molte intenzioni di instaurare rapporti con nessuno di loro che non fossero professionali. Gli unici che forse potevano ambire ad avere con il Preside un dialogo leggermente meno informale erano l’Icesprite e la Queen, per il semplice motivo che con i due aveva condiviso la casata per sei anni e sapeva per certo che i loro interessi fossero affini, nonostante con loro non avesse mai veramente parlato prima. Quando tutti furono al proprio posto Cole non esitò molto: si alzò dalla propria sedia, raggiungendo il leggio davanti al proprio tavolo mentre il chiacchiericcio degli studenti si faceva martellante e fin troppo rumoroso per i gusti dell’uomo. Estrasse la bacchetta dalla tasca dei pantaloni, sentendo l’olmo flessibile al tatto che fremeva, ammirando il bastoncino di legno di un marrone chiarissimo che stava palesemente chiedendo di essere usato. «Silencio» L’incantesimo si propagò nell’aria con la voce fin troppo pacata di Cole Sicla, mentre tutt’intorno niente fiatava, nulla faceva rumore se non il rimbombo contro le pareti delle panche che si trascinavano sul pavimento mosse dalle gambe irrequiete di giovani ormai non più chiassosi, bensì quieti come l’erano ad inizio serata. «Buonasera, studenti e docenti di Hogwarts» enunciò, riponendo la bacchetta da dove poco prima l’aveva prelevata. Pose le mani sui bordi del leggio, mentre lo sguardo indagatore percorreva le navate del posto. «Sono lieto di dare a voi tutti il bentornato in questo castello per il nuovo anno scolastico. A dir la verità, non esattamente a voi tutti, ma purtroppo abbiamo l’obbligo di accettare chiunque qui» Anche la feccia pensò, lanciando un’occhiata sfuggente al lato dove sapeva erano sistemati i babbani e facendo sì che le iridi lasciassero un segno su ogni studente di quelle cinque tavolate mentre scrutava ogni volto da lontano, dall’alto della sua nuova carica. «Ethienne Leroy, che è stato il Preside di questa scuola l’anno precedente, come molti di voi sapranno ha deciso di lasciare l’Ufficio, così il Ministero ha dovuto trovare un valido sostituto disposto a ricoprire questo seggio vacante. Il mio nome è Cole Sølv Sicla, attuale preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts» si presentò, scoprendo i denti in un sorriso che di affettuoso o incoraggiante non ne aveva neanche l’ombra. «Non sono un uomo di molte parole, imparerete a conoscermi -se sarete sfortunati- e a capire che alle parole preferisco i fatti, per cui vi informerò delle cose basilari, quello che vi serve sapere per tutto l’anno scolastico. Sono stati intensificati i sistemi di sorveglianza nel Castello, quindi vi sconsiglio di trasgredire le regole imposte, a meno che la Sala Torture ai vostri occhi non appaia come un idilliaco posto nel quale passare gran parte del tempo libero in compagnia di Erin Sicla e James Larrington, addetti a tale luogo. La Foresta Proibita, come suggerisce il nome, è inaccessibile se non si è accompagnati da un docente per ovvie ragioni che non starò qui a spiegarvi: confido nel vostro buonsenso, sempre che non agognate un biglietto gratuito per i Sotterranei. Il coprifuoco è alle ore 23.00: chiunque venisse sorpreso a vagare per i corridoio dopo quell’orario verrà punito. Il corpo docenti è il medesimo dello scorso anno: vi consiglio di seguire le lezioni, a meno che voi non abbiate un valido motivo per rimanere nel vostro dormitorio. Se dovesse presentarsi tale eventualità, siete pregati di avvisare in anticipo, altrimenti il vostro sarà considerato assenteismo ingiustificato, punibile a discrezione del professore. Personalmente, opto per le torture» commentò, infine, il proprio breve quanto significativo discorso. «Non è mia intenzione annoiarvi oltre» Né tantomeno quella di annoiarmi oltre. «Vi auguro un felice rientro a casa, sperando che i rapporti con tutti voi possano essere dei migliori. Impegnatevi in questo proposito la metà di quanto mi impegnerò io e potremmo andare d’accordo. Basterà osservare le regole, non è poi così difficile» Concluse, alzando gli angoli della bocca sornione ed allontanandosi dal leggio, raggiungendo poi la sedia dalla quale poc’anzi si era levato. «Che il banchetto abbia inizio!»
    01 september
    great hall

    ROLE CODE © EFFE


    Bentornati a casa!
    Ebbene sì, anche se in ritardo Hogwarts è pronta a dare il benvenuto a tutti voi, studenti e docenti, per l'inizio dell'anno scolastico 2015/2016!
    Le lezioni inizieranno come di consueto a Novembre, ma è tradizione del castello celebrare con una grande festa ogni evento che si rispetti, ed il ritorno di voi tutti è ovviamente un'occasione più che prelibata! Il banchetto di inizio anno di questo particolare anno riserba molte novità e sorprese: verranno annunciati nuovi docenti, nuove manovre nell'amministrazione e, in particolar modo, verrà promosso il progetto di solidarietà tra gli studenti maghi e streghe del castello e coloro i quali, in seguito a sfortunati eventi in laboratori istituiti dai ribelli, sono divenuti wizard o muggle con poteri speciali.
    Il ritardo del banchetto celebrativo, è garantito, verrà colmato dalle delizie che proporremo sulle vostre tavolate! Cosa aspetti a fare il tuo ingresso? Nuovi incontri ti aspettano e sorprendenti novità verranno annunciate! Noi non mancheremo! E tu?

    // OFF GDR
    Il banchetto di inizio anno è un po in ritardo, lo sappiamo, ma non è obbligatorio parteciparvi! Se vi va, potrete fare la vostra apparizione e dire che andate via in un unico post, ma se sceglierete di restare, statene certi, i vostri pg avranno succulenti scoop di cui dibattere! Il banchetto è ambientato il primo settembre, quindi antecedente alla Quest #05.
    CHI PUÒ PARTECIPARE?
    A questo banchetto potranno partecipare tutti: oltre che studenti (come già detto, sia muggle e wizard che maghi e streghe) e docenti con annessi assistenti, anche dipendenti ministeriali (a voi la scelta del perché o del come) o imbucati con giustificazioni valide on gdr (dai, chi non vorrebbe fare un saluto alla vecchia cara scuola magica?)!
    QUANDO CHIUDE L'EVENTO?
    Il banchetto chiuderà il 30 Novembre 2015, fino ad allora potrete scrivere tutte le volte che volete, o potrete anche non farlo: non è affatto obbligatorio! Ma, nel caso voi partecipaste per ogni post guadagnereste 2 PE che andranno al gruppo del personaggio postante!

    Bentornati ad Hogwarts, studenti!
    Divertitevi. Finché ci riuscite.

    EDIT: Hola amigos! Questa è la disposizione dei tavoli, e dei professori al tavolone. Nel tavolo ad angolo alla vostra destra *win more like guida turistica* tutti gli esperimenti, sia adulti che minorenni; nei tavoli rotondi a sinistra, tutti gli adulti (assistenti compresi).


    Edited by nymphomaniac - 9/11/2015, 00:17
     
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  2. Call me Lady Cinnamon
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    Edith Lagrange
    ❝ A thousand armies couldn't keep me out. ❞


    Sognava, un giorno, di svegliarsi e scoprire che tutta quella sua esistenza non era mai stata tale, ma solo un incubo dovuto ad un’intossicazione alimentare. Sperava, ogni giorno, che tutti i suoi errori non fossero mai accaduti e che per questo lei potesse smettere di rimpiangere ed assolversi. Desiderava, per il giorno dopo, sempre qualcosa che sapeva non si sarebbe verificato. Il pensionamento era un miraggio, la fine delle lotte, prima dello scoppio di una vera e propria guerra civile, solo l’illusione di una povera vecchia.
    Spesso si convinceva di meritarsi più di quello che la sorte le aveva dato: poche cose, come un paio d’anni trascorsi serenamente, magari un nuovo nipotino e il tempo per dedicarsi all’invenzione di qualche nuova pianta. Si rammentava poi, con dolore, delle vite che aveva tranciato, degli spiriti che aveva maledetto e di quell’incanto così oscuro e sanguinario che neppure la disperazione avrebbe dovuto permettere loro di lanciare. Erano stati stolti ed ora, si ritrovavano senz’anima.
    Si era chiesta a lungo quale sarebbe stata la sua fine, soprattutto dopo il decesso di Izra, fino a quando un giorno non si era recata ad Azkaban per conto del Ministero. “Una visita ai prigionieri! I media diffonderanno la notizia, servirà ad incutere timore ai Rivoltosi”, le avevano detto. Nessuno aveva avuto l’accortezza di anticiparle che sarebbe stata lei l’unica tanto spaventata da rischiare di collassare su se stessa. I Dissennatori infatti l’avevano accerchiata, nonostante gli ordini impartiti loro gli intimassero di non lasciare la guardia delle celle. Le si erano stretti attorno, fino a toccarla. Uno di loro si era avvicinato tanto da far incontrare i loro occhi o, meglio, quelli di lei e l’ammasso putrefatto che rimaneva nelle orbite della creatura. Le aveva toccato il viso con la sua mano scheletrica e ricoperta di croste purulente. Edith però non si era sentita svuotare dai pensieri felici, come si sarebbe aspettata. Avvertì solo distintamente un brivido gelido lungo la schiena e le sue parole, in quella lingua dannata ed antica con cui avevano lanciato l’Oblivion. «Sposerai il nostro vessillo».
    Sì sentì svenire, ma venne sorretta prima di cadere al suolo da uno dei secondini che si era fatto spazio, temerario e sconsiderato, tra tutti quei mantelli laceri e neri. A colpì di bacchetta e incanti dal candore rassicurante.
    Solo quel ricordo le bastò per avere un breve cedimento. Strinse con forza il leggio che aveva dinnanzi a sé e riprese a parlare. Il Capo degli Strateghi, Caden Jackson, le si avvicinò forse intenzionato a sorreggerla. Alzò solo leggermente la mano destra per fermarlo, poiché sapeva che quel segno di debolezza non era passato inosservato, non alle persone così attente ai particolari che aveva dinnanzi, e che se si fosse fatta aiutare nessuno l’avrebbe mai presa sul serio. Doveva essere un leader, vista la sua posizione, non un’anziana arteriosclerotica sul punto di spirare durante una frase lasciata sospesa.
    «Strateghi» riprese, con voce ferma «Il Ministro confida in voi per una soluzione. I nostri migliori Pavor continuano a portarvi informazioni, ma nessuna di essa si è fino ad ora dimostrata utile a stanare i Rivoltosi. Necessitiamo di una strategia d’attacco. Non possiamo più attendere barricandoci nelle nostre fortezze».
    Era la terza orazione che teneva quel giorno. Prima davanti all’esercito, con la Thorburn, poi con i Pavor e l’ausilio di Icesprite. Di comune accorto con la Bulstrode e Pratt si era deciso di puntare sullo spirito patriottico dei Ministeriali per spingerli a lavorare con ancora maggiore solerzia nelle loro indagini. La scelta di chi dovesse tenere quei comizi era ricaduta su di lei principalmente per il suo essere la più anziana della Vecchia Guardia ad essere ancora attiva. Incarnava la lotta per saldi principi e il fuoco inestinguibile della giustizia, le dissero. Poco importava se lei, in realtà, faticava a ritenersi anche solo una fiammella spazzata continuamente da folate di vento riottoso.
    Quando finalmente quell’omelia fu conclusa, Edith poté sedersi nel proprio ufficio per bere un sorso d’acqua. Guardando rapidamente l’orologio da polso seppe d’essere in ritardo per l’impegno successivo. Tentò di salutare rapidamente Jackson, che aveva insistito per accompagnarla fino alla sua scrivania, ma quello risultò irremovibile.
    «Grangie» le disse, con quel tono beffardo e quel soprannome un po’ insolente che solo lui poteva permettersi «Preferirei ti facessi accompagnare da uno dei nostri Pavor». Lo aveva guardato dall’alto in basso, colpita per essere arrivato a tanto.
    «Caden, caro, ti prego di portarmi ancora un briciolo del rispetto che merito. Non sono uno dei tuoi sottoposti» gli rispose «E sono certa che tua madre non sarebbe felice di sapere quante libertà ti prendi. Se non ricordo male ha lavorato molto sulla tua educazione».
    Quello, piccato e rosso in viso, chinò lo sguardo per qualche istante, prima di rialzarlo con una forte sicurezza negli occhi.
    «Mamma è preoccupata per te. Come lo sono io» disse «Sebbene la Bubu abbia insabbiato tutto, qualcuno di noi sa cosa è successo ad Azkaban e non possiamo fingere di non essere in pensiero».
    Lo intimò a tacere con un gesto della mano. «Va bene, finiscila. Quando eri un poppante con la passione per gli scacchi eri molto più divertente di adesso. Vammi a chiamare Joel Doe, mi accompagnerà lui».
    Aveva incontrato Thane, così si faceva appellare, anni prima, quando Izra glielo aveva presentato chiedendogli di mettere a sua disposizione le piante più velenose che aveva nella propria serra. Era un tipo educato e preparato, oltre che di bella presenza. Se proprio le volevano affibbiare un badante, riteneva giusto che egli fosse almeno un bell’uomo, così da non farla sfigurare.
    Giunse dopo pochi istanti e, assieme, si recarono fuori dalla Sede Ministeriale. L’uomo si offrì poi d’evitarle la fatica di una Smaterializzazione, eseguendone lui una Congiunta per entrambi e lei decise d’accettare. In fin dei conti, visto che era lì proprio per quello, perché non approfittarne?
    Arrivarono appena fuori dai confini di Hogwarts e, poi, tenendosi al braccio del giovane, si affrettarono lungo il sentiero che portava alla porta d’ingresso.
    «Come ti trovi con la Rosewood, Joel?» gli chiese dopo qualche passo, curiosa sì, ma principalmente desiderosa di fare conversazione. Non aveva mai perso il vizio di sfruttare ogni occasione per intessere relazioni.
    «Molto bene, signora Lagrange. La ringrazio per l’interessamento» le rispose quello, che possedeva ancora un’eccessiva formalità.
    «Pensi sia all’altezza della sua carica?» domandò ancora, sebbene Doe non fosse esattamente propenso alla conversazione.
    «Sicuramente» sentenziò infatti quello. Sintetico, certo, ma almeno sembrava sicuro di quanto stava affermando. Edith si limitò ad annuire, mentre garbatamente quello le teneva l’uscio aperto.
    Hogwarts, quella sera, era calda e festosa: nuovi studenti erano stati accolti e smistati nelle proprie casate, così come tanti Mutati si trovavano lì per la loro prima volta. Da qualche mese la cattedra di Erbologia le sembrava un impegno eccessivo, sebbene molto più gradevole di quello ministeriale. Apprezzava l’insegnamento, poiché le dava modo di guidare, sebbene con severità, menti giovani ancora in via di formazione, ma si rendeva conto che gli acciacchi cominciavano ad essere troppi. Forse non era più in grado di tenere una lezione e di porre nuove sfide.
    Quella sera, però, aveva delle certezze: lei era ancora la docente incaricata e, fino a prova contraria, lo sarebbe stata per tutto l’anno. Non poteva, quindi, mostrarsi debole. Non senza che gli studenti pensassero di poterla prevaricare.
    «Come mai c’è tutto questo silenzio, là dentro?» sentì chiedere Thane ad uno degli elfi delle cucine.
    «Il nuovo preside sta tenendo il discorso» rispose l’esserino indaffarato.
    Edith Lagrange si sfilò il soprabito. Indossava un semplice tubino nero, con delle scarpe rialzate un poco da un tacco elegante ed adatto alla sua età. Il trucco era leggero, ma deciso. Diede l’indumento scuro con cui si era riparata dal freddo all’elfo, affinché lo riponesse da qualche parte e si preparò a fare il proprio ingresso.
    Non aveva mai conosciuto di persona Cole Sicla fino a quel momento e perdersi le sue prime parole dall’alto del seggio del preside era stato un vero peccato. Tuttavia, se ne sarebbe fatta una ragione.
    Spinse le due ante con forza e lasciò che il rumore di quel gesto la anticipasse. Per farsi sentire, Sicla doveva aver lanciato un incantesimo insonorizzante sulla platea. Un metodo piuttosto brusco, ma che in effetti corrispondeva al profilo dell’uomo che le era stato recapitato nel suo ufficio.
    Mosse il primo passo, poi un secondo e lasciò che le porte le si richiudessero alle spalle. Non prestò attenzione a nessuno, né agli studenti né a Thane. Camminò fieramente, accompagnata dal rumore dei tacchi sul pavimento e dal suo incedere sicuro, lungo tutta la navata centrale fino ad arrivare dinnanzi al preside. Gli rivolse un sorriso e piegò leggermente di lato la sua testa. Nessuna referenza, nessun saluto formale. Del resto, lui stava ancora parlando. Salì i due scalini e individuò la sedia libera che le era stata riservata. Nel raggiungerla, posò una mano sulla spalla di Emily per salutarla.


    64 - Counselor - Mercilessly - scheda ()




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    #EdithDiva #ColeCiucciamiIlPolgy
     
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  3. #berqgvist
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    69yHRlo
    « scheda | 76 | ex-hufflepuff | neutrale filo-ribelle | prof di cdcm »
    Viktor guardò il cielo stellato. U no spettacolo emozionante, vedere tutte quelle stelle bianche come il latte, scintillanti. Scintillavano come gli occhi di Ephraim, il suo drago preferito. Scintillavano, piene di vita. La luna era parzialmente coperta da un velo di nuvole. Il giorno precedente c’era stata la luna piena, e per Viktor era stata distruttiva. Si era trasformato in Licantropo, e quella trasformazione gli aveva prosciugato completamente le energie. Non sopportava più di trasformarsi, nonostante i ripetuti “sto bene” riv olti al suo amico di una vita.
    Ora i suoi occhi tradivano una forte stanchezza, sì, ma anche preoccupazione. Gli era stata confermata la nuova identità del nuovo preside della scuola di Hogwarts. Cole Sicla. Già che fosse un Sicla non era una cosa buona, la loro cattiva reputazione era ben nota. I Sicla, purosangue da oltre dieci generazioni, forse anche oltre quindici, estremamente opulenti non solo di danaro ma anche di averi e terreni. Erin Silver Sicla era Torturatrice presso Hogwarts. Cole Sølv Sicla ne era il Preside.
    Vikotr non presagiva nulla di buono. Congiunse le mani dietro la schiena ed abbassò lo sguardo, pensieroso come suo solito. Si era prefisso un obiettivo: aiutare gli studenti di Hogwarts. C’erano ragazzi estremamente sensibili come Dakota, dall’animo ribelle come Raiden, schivi e taciturni come Shane, pieni di vita e allegri come Hope e… insomma, tanti altri. E lui si era promesso di proteggerli e aiutarli, non solo nello studio ma anche nella vita. Sospirò, sconsolato. La propensione alla violenza dei Sicla era ben conosciuta. Cole non sarebbe stato assolutamente da meno. Viktor prevedeva punizioni ingigantite, norme restrittive duplicati, sanzioni più severe.
    Viktor non lo pensava. Viktor ne era sicuro. Era stato pure suo insegnante, del resto, e aveva avuto modo di vedere quanto perverso fosse, quale reputazione si fosse costruito. Però era stato un bravo ragazzo, educato e cordiale con i professori, ma nulla di più. Se proprio doveva, salutava. E basta. Immaginava che anche in quel momento avrebbe tenuto distanze molto lunghe con professori e studenti, nonostante sarebbe stato Preside della scuola.
    Non era un buon luogo dove crescere. I Mondo Magico dei Mangiamorte non era un buon luogo dove crescere. Rialzò lo sguardo. Avrebbe fatto di tutto pur di rendere meno pesante lo stare in una scuola controllata e manipolata da un Governo oppressore.

    Sorrise alla Winston, versandole dell’Idromele nel suo calice. Aveva preso estremamente in simpatia Maeve, la quale cercava di farsi largo in quel luogo nel quale molti la additavano dicendo che era una favorita, che aveva comprato il preside, e molte altre cose. Cose a cui Viktor non credeva minimamente, poiché sapeva quanto brava fosse quella ragazza, e forte. Era un po’ il suo protettore. In tavola s’erano seduti quasi tutti, mancavano solo pochi professori. Mancavano, ad esempio, la Lagrange e la Bulstrode, che sarebbero dovute arrivare a breve. E proprio quando pensò ciò, fece il suo ingresso la Bulstrode, donna minuta ma dal portamento fiero ed elegante. Salutò tutti e si sedette al suo solito posto. Dopo qualche minuto, giunsero tutti gli studenti degli anni successivi.
    Viktor interruppe la conversazione intavolata con Maeve solo per alzare la mano e sorridere agli studenti che lo salutarono. Tutti presero posto sulle tavolate delle cloro case, lasciando vuoti i primi posti, destinati alle matricole. Qualche minuto più tardi la Queen si alzò e rimpicciolì gradualmente mentre la sua pelle diveniva lucida e verde. Terminata la trasformazione in serpente, la donna strisciò sul pavimento della Sala Grande. Malfoy si apprestò ad aprirle il portone per farla uscire. Sarebbe stata lei a dare il benvenuto agli studenti. E in quel momento fece il suo ingresso il Preside di Hogwarts.
    Guardandolo, Vikotr vide in lui il fu Cole Sicla. Era cambiato di poco. Schivo e taciturno, dal cipiglio severo. Sembrava un Mangiamorte ordinario, ma Viktor sapeva che celava un’anima perversa e piena di demoni. Rivolse uno sguardo ad Emily Bulstrode. Anche lei l’aveva avuto come studente. Vide che anche lei stava fissando il Preside, forse pensando la stessa cosa.
    Il brusio che pervadeva la Sala all’improvviso venne interrotto. Vikot spostò lo sguardo sulle due porte della Sala Grande, che vennero aperte. Entrarono studenti e studenti, e a capo di quel gruppo stava la Queen, temutissima insegnante di Pozioni. Fu letto l’elenco degli studenti, e ognuno di loro indossò per qualche secondo il Cappello Parlante, che declamava a mano a mano le varie casate. Viktor applaudiva ogni qualvolta che veniva pronunciato “Hufflepuff!”, in quanto Responsabile della casa giallo nera dei figli di Helga Hufflepuff, casa alla quale, a suo tempo, era appartenuto sir Berqgvist stesso.
    Finito lo Smistamento, il Preside si alzò. Fece il giro della tavolata per raggiungere il leggio, e lanciò un Silencio. Vikotr non batté cipiglio, ma pensò Cominciamo bene. Lui avrebbe usato un Sonorus su di sé, Sicla era molto più… diretto. Quel che voleva dire era chiaro: “qua comando io”. “Buonasera, studenti e docenti di Hogwarts”. Anche la sua voce era la stessa. Fredda, autoritaria. “Sono lieto di dare a voi tutti il bentornato in questo castello per il nuovo anno scolastico. A dir la verità, non esattamente a voi tutti, ma purtroppo abbiamo l’obbligo di accettare chiunque qui”. Vide con la coda dell’occhio la reazione di Maeve, e quella di Phobos, e quella di Arwen. Viktor non reagì, e rimase impassibile, lo sguardo serio fisso sul Preside. “Ethienne Leroy, che è stato il Preside di questa scuola l’anno precedente, come molti di voi sapranno ha deciso di lasciare l’Ufficio, così il Ministero ha dovuto trovare un valido sostituto disposto a ricoprire questo seggio vacante. Il mio nome è Cole Sølv Sicla, attuale preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts”. Viktor era dell’idea che avrebbe dovuto scegliere i professori tra i professori, e non il Ministero. “Non sono un uomo di molte parole, imparerete a conoscermi -se sarete sfortunati- e a capire che alle parole preferisco i fatti, per cui vi informerò delle cose basilari, quello che vi serve sapere per tutto l’anno scolastico”. Viktor posò lo sguardo su Thesan, Raiden, Oscar, August “Gas” e molti altri. Un invito perentorio e silenzioso al rigar dritto. “Il corpo docenti è il medesimo dello scorso anno: vi consiglio di seguire le lezioni, a meno che voi non abbiate un valido motivo per rimanere nel vostro dormitorio. Se dovesse presentarsi tale eventualità, siete pregati di avvisare in anticipo, altrimenti il vostro sarà considerato assenteismo ingiustificato, punibile a discrezione del professore. Personalmente, opto per le torture”, concluse il Preside. Viktor sperò che desse almeno un benvenuto o un spero che vi troverete bene. Non voleva che gli studenti fossero terrorizzati. “Vi auguro un felice rientro a casa, sperando che i rapporti con tutti voi possano essere dei migliori. Impegnatevi in questo proposito la metà di quanto mi impegnerò io e potremmo andare d’accordo. Basterà osservare le regole, non è poi così difficile”. Viktor annuì.
    Fissò la Sala, piena di maghi ed Esperimenti. Piena di un mondo nato dal sopruso e dalla violenza, ma che conservava al suo interno ancora qualche briciola di speranza e gioia. “Che il banchetto abbia inizio!”. Sul tavolo dei professori, così come sul tavolo degli studenti, apparvero le pietanze. A Viktor bastò osservare il sorriso e la meraviglia sui volti degli studenti per sorridere a sua volta. Accarezzandosi la lunga barba, osservò quello che c’era sul tavolo. Aveva la barba bianca, dello stesso colore della veste che portava. Sorridendo alla Undòmiel, le chiese gentilmente «Mi può passare il piatto del porridge, Ta’ri?», chiamandola con l’appellativo elfico che si riservava alla Regina, lingua che conoscevano solo lui e Arwen stessa. Proprio in quel momento fece il suo ingresso la Lagrange.
    sir Viktor Arne Berqgvist
    «La conoscenza è la sapienza che vola verso l'infinito» © psìche
     
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    ANJELIKA QUEEN ( ) - 26 - Potions Master - torturers Master - sociopathic
    « insatiable bitch shrouded in darkness »
    Le avevano consigliato di andare al San Mungo, fare quattro chiacchiere con una psicomaga forse l'avrebbe aiutata a risolvere molti dei problemi che l'affliggevano ma che lei, noncurante, continuava ad ignorare. Poteva far finta che non esistessero, poteva sotterrarli così come si fa con in cadavere ancora caldo. E poi, quando mai Anjelika Queen dava ascolto ai consigli altrui? Si versò da bere nel calice che sovrastava un sottobicchiere, accuratamente posto dinnanzi ai suoi occhi e con lo sguardo vagò sulla folla di studenti immersi nel chiacchiericcio. Poteva udire ogni loro parola, gli arrivava chiara ma distante, per lo più saluti calorosi, effimeri scambi d'affetto dopo mesi di separazione. Era tutto terribilmente noioso e snervante, tutti quei volti felici gli davano il voltastomaco. Poveri illusi, sorrise appena domandandosi come il riso potesse abbondare sul volto di alcuni, sorrise nel vedere che molti avevano ancora una speranza. Sorrideva perché sapeva che alla fine gran parte di loro il sorriso lo avrebbe perso, avrebbero capito infine che non valeva davvero la pena sorridere. Aveva già salutato il corpo Docenti, evitando accuratamente l'insegnante di Arti Oscure con cui ormai non aveva niente da spartire. Aveva finto tranquillità la Queen, senza mostrare alcun segno di squilibrio infondo.
    Le avevano consigliato di vedere una Psicomaga e lei aveva consigliato loro, gentilmente, di andare a farsi fottere. Perché in fondo avrebbe dovuto condividere i suoi problemi con un'altra persona? E poi esistevano problemi da condividere? No. Malfoy si avvicinò alla bancata degli insegnanti, avvisandola che il guardiacaccia con a seguito le matricole di quel nuovo anno in attesa di smistamento erano alle porte. Rispose all'uomo con un sorriso malizioso che avrebbe potuto significare un grazie, ma che in fondo non lo era, era già andata oltre, la Queen, il suo macabro pensiero avvolgeva le tenere vite di quegli studenti senza che loro lo sapessero, le sue unghie erano già conficcate nella loro carne fresca ed avrebbero avuto un ottimo benvenuto, di quelli che non si dimenticano. Avrebbero dovuto abituarsi in fretta a vivere al castello. Posò il calice che aveva in mano, e lentamente lasciò che il suo corpo facesse quel piccolo cambiamento che tanto amava. La sua pelle iniziò a diventare più squamosa, il suo corpo più flessibile, tubiforme di un diametro discreto. Il suo sorriso si trasformò presto in un sibilò, quando delicatamente si adagiò sulla sedia, per poi strisciare sotto la bancata e sul pavimento. Non era insolito vedere quella vipera aggirarsi per i corridoi del castello, quando assumeva quella forma Anjelika si muoveva più velocemente. Tutti sapevano che si trattava di lei, perché lei li aveva abituati a riconoscerla e chi ancora non ne era al corrente avrebbe fatto bene a riprendersi in fretta. Non aveva mai nascosto di essere profondamente egocentrica ed esibizionista, né di essere una perfetta primadonna desiderosa di rubare la scena a chiunque si mettesse sulla propria strada - e poi mangiarsi gli attori di quella stessa scena. Strisciò velocemente in mezzo alla navata ed oltre la sala, fino a raggiungere le scale d'ingresso sopra le quali sostavano un gruppo di studentelli spaventati. Erano carini agghindati con la loro divisa nuova ed i loro stupidi animaletti. Erano sicuramente carini, ma per Anjelika rappresentavano solo tanti corpicini da maltrattare, tante testoline che, in ogni caso, avrebbero dovuto imparare alla perfezione la sua materia. Uno studente in prima fila fece sfuggire il suo rospo, che ribelle balzò a terra, una ghiotta occasione da non farsi sfuggire e sulla quale la Queen si fiondò con le fauci aperte.
    Il sussulto degli studenti fu per lei pari ad una banda musicale, una bella colonna sonora fatta di sospiri di indignazione e terrore. Il piccolo che aveva perso il suo rospo, che adesso scendeva nell'esofago di Anjelika, era pietrificato, troppo spaventato anche solo per piangere. Così, come si era trasformata, riprese sembianze umane dinnanzi al gruppetto terrorizzato. Era vestita con un abito rosso di pizzo dai disegni floreali e semi trasparente in alcuni punti.
    Lo sguardo azzurro e glaciale, dalle lunghe ciglia nere, sbattè prepotentemente contro il ragazzino in lutto. Passò la lingua morbida sulle labbra rosse del colore del sangue, sopra le quali sentiva ancora il sapore del rospo che aveva divorato. La cerimonia di smistamento nelle vostre Case avrà inizio tra poco, seguitemi e non fiatate. Fece un passo verso l'ingresso della Sala, per poi rivoltarsi con il capo verso i bambini. E tenetevi stretti i vostri animaletti. Un ultimo sguardo ammiccante al ragazzino capofila e percorse al contrario la strada sopra la quale aveva strisciato, per portare i bambini in Sala grande. La cerimonia di smistamento fu divertente solo nei momenti in cui veniva pronunciato il nome di Serpeverde, dopotutto era la direttrice di quella casa e ci teneva che fosse sempre ricca di studenti capaci. Li guardava uno per uno, memorizzandoli in ogni dettaglio, con un sorriso fiero in volto.
    Quando la cerimonia terminò, il nuovo preside di Hogwarts prese parola ammutolendo tutti gli studenti ed Anjelika ascoltò le sue parole con sguardo attento sulla folla, apprezzando il modo in cui lui si poneva e la sua impostazione. Era stato un suo compagno di scuola, un degno Serpeverde ed Anjelika credeva che avrebbe apprezzato la sua presenza più di quanto avesse apprezzato quella di Leroy, nonostante fosse un gran bell'uomo non era mai esistita con lui una sintonia giusta.
    A discorso terminato, la cena ebbe inizio, ma lei aveva già cenato, che sfortuna.
    the heart is deceitful above all things,
     
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  5. nymphomaniac
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    erin silver sicla
    « YOU KNOW WHAT THEY SAy ABOUT THE CRAZY ONES? »
    torturer - 19 y.o. - pureblood - exslytherin - psycho
    « che c'è? » « è iniziato il banchetto, il nuovo preside ha preso il seggio vacante. » « leroy? » « non si è fatto vivo. » « chi è il nuovo tizio? » « ... » Il volto di James era imperscrutabile come sempre, ma per un secondo, per un solo breve attimo, sì tradì corrucciando appena le labbra quasi fosse disgustato. Erin, avvertentendo quell'ostilità, sentì immediatamente il disagio rabbioso esploderle nel ventre. « CHI? » « tuo fratello Cole. » Gli occhi della bionda brillarono d'odio, i denti si serrarono talmente stretti che se ne sentì lo stridio del graffiarsi l'un l'altro, e le mani, serrate a pugno lungo i fianchi, fremevano dalla voglia di posarsi attorno la gola di chiunque le capitasse a tiro, escluso l'unico che in quel momento lo era per davvero. Strattonò malamente James ed uscì dalla sala torture, prima che fosse troppo tardi.
    Mentre camminava svelta tra i corridoi vuoti del castello cercò di far mente locale, ma l'unica cosa che riusciva realmente a focalizzare era la sua rabbia. Cole era appositamente tornato dalla Germania per spalleggiare Vitani, Erin l'aveva sospettato quando era ritornato a casa, ma ora ne era certa; altrimenti perchè mai lasciare un posto prestigioso in un ministero? Vitani voleva Londra, non la Germania. Per questo Oberyn aveva mandato laggiù Cole, l'unico che pareva esser più soggetto alla manipolazione della madre, tra i giovani Sicla. Londra però, secondo i patti, spettava a lei ed Aaron. Ad ognuno il proprio campo di battaglia. Quell'invasione era stato di certo uno stratagemma architettato dalla madre, troppo ambiziosa per restar al suo posto.
    L'ex serpeverde non incrociò nessuno durante il suo tragitto. Ogni anno lei era l'unica, solitamente, ad esonerarsi completamente da quel genere di futili incontri celebrativi. Tutti gli altri, obbligati o meno che fossero, presenziavano. Fu per questo che, difatti, aperte le porte della sala grande trovò ogni volto più o meno noto all'interno di essa. In piedi, proprio difronte a dov'era appena comparsa lei, si ergeva fiero e solerte quel bastardo di un fratello. Ucciderlo? No, troppo facile sarebbe stato per Vitani, far ricadere poi unicamente su di lei la gravosa colpa della disgrazia del loro casato. Colpirlo? Se davvero era il nuovo preside di Hogwarts a chi avrebbe giovato quella scenata? I panni sporchi si lavano in famiglia. Non avrebbe dato spettacolo, non quella volta. Agli occhi del mondo i Sicla erano compatti e schierati come un patriottico esercito devoto alla causa. Fingere. Solo quello le era realmente concesso fare in quell'occasione. Avanzò dunque qualche passo e quando fu certa di aver su di lei lo sguardo di Cole gli sorrise, cauta che nulla trapelasse all'infuori di quello: un sorriso e niente più.
    Si era fiondata lì principalmente perchè non riusciva a crederci. Vitani aveva spesso trasgredito al volere di Oberyn facendo di testa sua, ma toglier Cole da dov'era stato messo per piazzarlo dove non era previsto fosse era davvero troppo, persino per lei. Sì, perchè Erin non credeva ai casi fortuiti e nemmeno alla casualità di quell'evento e sapeva che se Cole si era scomodato tanto da accettar quel ruolo, di certo non era per una paga mediocre rispetto a quella che percepiva al ministero tedesco o perchè fosse lauto della ghiotta opportunità di far da preside a una scuola che aveva detestato in gioventù. Sapeva che c'era un piano dietro e sapeva qual'era il fine. La cosa che la faceva imbestialire di più era che quel fine fosse stato raggiunto appieno. Vitani era riuscita ad attirare l'attenzione e ad infastir lei, come avrebbe infastidito Oberyn, una volta che fosse venuto a conoscenza del fatto.
    Quando il nuovo mirabolante preside terminò finalmente il suo blaterale, Erin fu la prima a batter le mani. In pochi secondi, il ritmo di quei clap sfociò in un crescendo che coinvolse il resto dei presenti, finchè non divenne applauso vero e proprio. Solo allora, approfittando del marasma, la bionda si mosse ancora, costeggiando questa volta il tavolo della sua ex casata per raggiungere quello dei professori dove sapeva si sarebbe accomodato anche Cole. Nel passare, seppur frettolosamente, incrociò lo sguardo di suo cugino Balth e nei suoi occhi non denotò alcun cenno di sorpresa. Come avrebbe potuto esser diversamente, d'altronde? Per quanto ne sapeva lui anche quello poteva far parte dei piani dei Sicla. Non era nulla più che l'ennesimo gradino per assaporar un'altra delizia al gusto di gloria e potere. Peccato che la portata era stata servita al commensale sbagliato. « Congratulazioni. Possiamo parlare? » Giunta alle spalle di suo fratello, Erin badò poco ai convenevoli e sporgendosi oltre un lato del suo scranno parlò a bassa voce, mantenendo per quanto le fu possibile un tono neutro, seppur sapesse già che lui avrebbe ad ogni modo notato le note graffianti della sua frustrazione. Come se poi non fosse bastata la velata stonatura della sua poco credibile flemma, strattonò anche la sedia per volger il giovane verso di lei ed incitarlo a seguirla, impaziente ed ancor dipinta in viso da quello stucchevole falso sorriso che l'aveva preceduta poc'anzi. Quando infine lui fece per alzarsi, Erin si avviò oltre quel tavolo e cercare un briciolo d'intimità, ma non prima d'aver porto con un quasi impercettibile cenno del capo i propri ossequi verso la professoressa Lagrange, ovvero forse l'unica altra donna esistente al mondo per cui Erin riserbava quella sorta di timorata reverenza.
    « nostro padre lo sa? » Non le piaceva girare attorno alle cose, non a lei. Per quanto la donna che l'aveva cresciuta fosse la regina delle cose non dette o celate dietro finissimi veli, Erin odiava sia l'una che l'altra cosa. Continuava a parlar con un tono basso e piatto, dacchè non avrebbero potuto lasciar la sala grande in quel momento neppure volendo ed Erin, di certo, non possedeva esattamente il tempra di qualcuno che pazientemente sa aspettare un tempo più propizio, ma fu incisiva, o almeno così credeva. In quell'unica domanda infondo, per quanto le riguardava, c'era già tutto ciò che Cole doveva sapere.
    Hai scelto il lato sbagliato.
    1/10/2015
    hogwarts

    ROLE SCHEME © EFFE


    Edited by nymphomaniac - 9/11/2015, 00:18
     
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  6. lèanan
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    leanan murray
    « IT'S ONLY AFTER WE'VE LOST EVERYTHING THAT WE'RE FREE TO DO ANYTHING »
    neutral - 23 y.o. - pureblood - ex ravenclaw - S.d.M. assistant
    Era appena trascorsa l'estate più inutile della sua esistenza, durante quei tre mesi in cui Hogwarts era rimasta chiusa egli non aveva fatto altro che leggere, leggere e leggere qualunque manuale sulla storia magica antica che si trovasse in circolazione. Non era uscito un granché se non per recarsi a fare colazione da solo o in biblioteca finché questa era aperta. Ed era proprio in biblioteca che Lea aveva conosciuto la rossa bibliotecaria, Kaylin Lewis. Lei era di poco più giovane del ragazzo, con un carattere simpatica e gentile, da quel poco che era riuscito a capire tra la giovane e il suo migliore amico Dimitar c'era del dolce. A proposito di Dimitar, era tanto che non lo vedeva. Non era mai successo che trascorresse così tanto tempo senza che i due si incrociassero ma, complice il periodi di vacanza estiva, i maghi non si erano più visti dalla chiusura dei cancelli del castello. Gli dispiaceva molto, sembrava che il rapporto che avesse con lui si stesse pian piano sgretolando, come se l'amicizia che li legava iniziasse a cedere dalle fondamenta. Dimitar aveva preso una piega sbagliata cacciandosi dentro agli affari loschi del dietro le quinte del Ministero. Il Murray aveva cercato di fermarlo ma invano, gli aveva ripetuto più di una volta di lasciar perdere i casini in cui si stava immergendo fino al collo, di non imboscarsi in quelle faccende ma l'altro sembrava non essere stato a sentirlo. Così lo aveva perso, o almeno la parte pessimista di Leana credeva questo.Gli dispiaceva ma ahimè lui più di cercare di convincerlo rompendogli le palle non poteva farlo e non aveva intenzione di perdere la sua vita a fare da genitore a qualcuno, nemmeno se quel qualcuno dovesse essere il tuo migliore amico, come in quel caso. Si erano persi, fine. Doveva solo non pensarci e smetterla di buttarsi giù in quel modo quando pensava a lui. Quell'estate aveva quindi deciso di annegare ogni pensiero nello studio. Aveva letto e riletto manuali sui draghi e le creature magiche, scartoffie burocratiche di altri tempi fino ad arrivare all'anno corrente. Non era stato un brutto periodo, forse un po' malinconico e descritto in un intorno di solitudine costante ma non un brutto periodo. In ogni caso la ripresa delle lezione non era stata per lui un cruccio, anzi, cambiare un po' quella routine che si era instaurata non gli avrebbe di certo fatto del male.
    Si trovava così in quella che era la sala grande, in anticipo come tutti e intento nell'attesa dell'entrata in stanza di colui che sarebbe stata la figura di maggior potere dentro la scuola: il nuovo preside. Leory aveva dato le dimissioni, Murray lo aveva saputo in anticipo facendo parte del consiglio dei professori in quanto assistente di Storia della Magia. stava seduto un anello di sedie più in basso rispetto a quello dei professori, in corrispondenza con Emily Bulstrode, sua mentore. Doveva esserci anche Dimitar tra le persone presenti in sala, Leanan lo cercò tra la folla ma non riuscì purtroppo a vederlo.
    Poi lui arrivò. Era giovane, sembrava avere la sua stessa età, massimo qualche anno in più del moro. Non aveva senso. Come era riuscita una persona così giovane ad impadronirsi di così tanto potere a quell'età? Biondo, capelli corti, ben impostato e di bell'aspetto, Leanan non si sarebbe mai definito omosessuale ma lo trovava decisamente attraente. Arrivò con fare altezzoso e, senza togliersi quell'espressione beffarda dal viso, lanciò un silencio che raffreddò completamente l'atmosfera della sala. Era un modo brusco e parecchio invasivo per chiedere di fare silenzio, Leanan ad esempio mai lo avrebbe usato per farsi ascoltare dai suoi studenti. Il nuovo preside a quanto pareva non era uno da mezze misure, era deciso e non esitava prima di fare quello che andava fatto. Aveva il pugno di ferro, Murray non credeva che quella fosse per forza una cosa negativa, anzi, se fosse servita affinché tutti rispettassero le regole lì dentro allora era bene così. "Ethienne Leroy, che è stato il Preside di questa scuola l’anno precedente, come molti di voi sapranno ha deciso di lasciare l’Ufficio, così il Ministero ha dovuto trovare un valido sostituto disposto a ricoprire questo seggio vacante. Il mio nome è Cole Sølv Sicla, attuale preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts" egli parlò, elegante e impostato come appariva. Al ragazzo brillarono gli occhi per un attimo: aveva capito finalmente chi egli fosse. Era un Sicla, e sarebbe bastato dire questo per descriverlo a pieno. La famiglia Sicla era conosciuta e temuta in tutto il regno magico, erano persone fredde, calcolatrici, che non guardavano in faccia nessuno prima di compiere qualsiasi mossa, quello che volevano lo ottenevano: erano fatti così. Avevano già una Sicla lì dentro, e non era un caso che ella fosse addetta al sovraintendere le torture in quel di Hogwarts. Lui doveva essere suo parente, a rischiare si poteva dire che potesse essere addirittura suo fratello. Un sorriso finto si disegnò sul viso di Leanan; quell'anno sarebbe stata dura, molto più dura di quanto avrebbe mai immaginato.
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    hogwarts

    ROLE SCHEME © EFFE


    Edited by nymphomaniac - 9/11/2015, 00:20
     
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    NATHANIEL K. HENDERSON ( ) - 24 - Bimbi special Master - dork
    « Conosco comodini più simpatici di te »
    Nathaniel applaudiva allegramente con un sorriso che sarebbe facilmente potuto passare per sfottò eppure non lo era, e intervallava gli scossoni della testa increduli a dei: «Bravoh! Bravoh!» davvero molto sentiti. Fra un po', si sarebbe messo anche a piangere.... ma non l'avrebbe fatto, perchè era un uomo adulto (era un adulto? Oddio, a 24 anni si sarebbe dovuto ritenere adulto? Ma neanche sapeva ancora pagarsi le bollete, in realtà, viveva acab e evadeva le imposte), e gli uomini adulti non piangono quando la loro otp diventa reale in un rewatch, e i pop corn per terra non erano lì perchè Nate li aveva tirati contro lo schermo quando quel personaggio bagasho aveva fatto una cosa bagasha, perchè, come dicevo, era un uomo adulto.
    In teoria Nathaniel, ormai più vicino ai 25 che ai 20 (#cheansia), avrebbe dovuto essere abbastanza sveglio e uomo da capire che era proprio giunta l'ora di spegnere la tv, pulire il macello dei pop corn e preparare armi e bagagli (armi? oddio, Qualcuno aveva permesso a Nate di avere in casa armi? Ma l'avete visto? si veste da pirata!) e partire alla volta di Hogwarts, ma sapere che lì non avrebbe avuto wifi e netflix a disposizione (netflix lol si certo Nathaniel era un pirata e la pirateria è un reato ma WHO CARES era gratis!) lo rendeva un po' a disagio. Quasi quanto sapere che avrebbe di nuovo dovuto fare i conti con la realtà e tipo con il fatto che sua sorella lo detestasse; ma quasi.
    Appena la puntata finì, portandosi via quel po' di gioia che gli aveva donato, Nate appoggiò la testa al muro dietro di sè sbuffando, occhi chiusi. Era così difficile essere lui (?), ed era così. Fottutamente. Difficile. Stare chiusi. In quel dannato. Appartamento.
    Oddio, era un bellissimo loft (in confronto alla stanzetta che gli avevano dato a Hogwarts, persino un loculo sarebbe stato più comodo), ma nonostante fossero passati i mesi non riusciva a farlo suo e a sentirsi come la gente di solito doveva sentirsi a "casa", e si chiese se fosse dovuto al silenzio regnante o cosa. Sicuramente a Cosa. Cosa bagasha. Quando sentiva quella parola, casa, il suo pensiero andava ad un luogo diverso, ad un salotto che non vedeva dal vivo da anni, a bambini che correvano fra le poltrone e una donna che lo prendeva in braccio e gli baciava la testolina, e non riusciva a ricollegarlo a nessun'altra abitazione che aveva avuto dopo; dannati traumi infantili.
    Si sentì assalire da una palla di pelo, che, seduta sulle sue gambe, pensò bene di mettergli la coda in faccia, e in particolare nel naso, e per un attimo si dimenticò che odiava quella vita sedentaria, avere un lavoro fisso in una sede fissa, e pensò solo che una sua "studentessa" (per la precisione una che poteva essere sua madre, ma viva le milf) era stata così gentile da regalargli un cucciolo di Kneazle, ed era una cosa un sacco divertente perchè per più di dieci anni non aveva potuto avere animali, giramondo com'era stato, e invece adesso in casa sua conviveva con addirittura due esserini pelosi, entrambi avuti gratis. «Sta' buono», borbottò al cucciolo a cui non aveva ancora dato un nome, accarezzandolo. «Fra un po' rivedrai la mamma», che ancora doveva possedere Wynne Winston. E Nathaniel avrebbe visto la sorella, e il cerchio si sarebbe chiuso #itsthecircleoflife.
    Aspettò che il "gatto" senza nome se ne andasse di sua spontanea volontà, prendendo il gesto come un segno del cielo, e finalmente si alzò, stiracchiandosi e andando a inscatolare le ultime cose per il "trasloco"... che erano poche, invero; a inizio estate neanche si era dato la pena di mettere le sue (già minime) cose ai loro posti, se non i libri a riempire gli scaffali che vuoti sapevano proprio di tristezza infinita. Le abitudini che si era preso nel viaggiare tanto e nello non stare nello stesso posto per più di poche settimane, come quella del viaggiare leggero e non disfare i bagagli erano dure a morire. Impilò gli scatoloni uno sull'altro, pronto a incantarli per renderli più comodi da trasportare, e si preparò per uscire.
    Chissà perchè era così scazzato dalla vita, Nathaniel: aveva avuto delle vacanze tutto sommato carine, non così brutte da piangersi addosso, ma neanche così fantasmagoriche da lamentarsi se stava per tornare al lavoro a Hogwarts.

    Cose positive: 1) aveva ritrovato Elijah, dato per morto e disperso tanto tempo prima, e aveva potuto tormentarlo come se non ci fosse un domani perchè ok, lo aveva sempre trattato male, ma davvero, gli voleva bene anche se non gli era facile esprimerlo; il ragazzo aveva perso la memoria, e questo da un lato era un bene, perchè così Nate poteva estromettere le cose peggiore e raccontargli solo di quanto se la spassassero, di quanto lui fosse un figo, e di quanti soldi Elijash gli dovesse #ops;
    2) Niente lavoro, uguale più tempo per cercare di riconquistare Jericho; non aveva ancora fatto breccia nel cuore dell'adolescente, ma ci era sempre più vicino (la ragazzina non poteva essere rimasta indifferente a quella torta stile Buddy Valastro a forma di Nathaniel con in mano una torta a forma di torta #wat).
    3) Aveva recuperato tutte le serie in cui era rimasto indietro.

    MAAA cose negative: 1) aveva ritrovato Elijah, ma lui non si ricordava chi Nate fosse, e sapeva della sua esistenza solo perchè aveva delle foto a dimostrarlo.
    2) Niente lavoro, uguale più tempo per ricordarsi che Jer lo detestava.
    3) ...no, niente. Non ci sono lati negativi nell'essere nerd. Però
    4) non aveva viaggiato.

    Quest'ultimo punto, in particolare, lo faceva soffrire come solo una cosa che fa soffrire può far soffrire (come una cosa importante che ha una certa importanza è importante #cit) (?). Si sentiva privato di qualcosa di essenziale, ma allo stesso tempo sapeva di dover restare, per lei. Se non l'avesse fatto, non avrebbe mai più avuto l'occasione di riallacciare i rapporti... non poteva andarsene di nuovo, non poteva lasciarla ora che aveva (forse?) bisogno di lui. Era il suo unico rimpianto, e l'unica cosa per cui avrebbe mai provato a fare ammenda (beh, ok, rimpiangeva anche di aver sprecato minuti preziosi del proprio tempo a stare ad ascoltare gente inutile, ma quelli purtroppo non poteva riaverli indietro).
    Altro sospiro molto melodrammatico, raccattò le proprie cose e pat pattò (?) Senza Nome, invitandolo a entrare nella gabbietta accanto a quella di J la coniglia assassina.
    «Si torna a Hogwarts», disse con un sorriso. Ma sì, alla fine, si divertiva di più con quei mostriciattoli difettosi che disoccupato a casa.

    • • •

    La presidenza (si dice così?) di quel Cole Sicla fu una sorpresa. Mangiucchiava la sua coscia di pollo bevendo il rum che si era rovesciato nel bicchiere dalla sua personale fiaschetta (poco, tranquilli, e lo reggeva bene), e nel mentre pensava (bizzarro, lo so). Non che a Nathaniel fossero mai interessate le corse per il potere, ma non sapeva che il preside Leroy fosse partito per le Bahamas, sebbene avesse saputo del suo repentino cambio di condotta nel corso dell'anno, e aveva comunque sempre pensato che il prossimo preside sarebbe stata la Lagrange, o l'uomo dei draghi, la Bulstrode, o chiunque altro avesse un'età superiore ai 30 anni (condizione evidentemente rara in quel mondo di assassinii e violenza)... e invece no: carne fresca, ancora. "Gna. Perchè non io? Io sono più bello". Ma soprattutto... Leroy? I mangiamorte l'avevano radiato dall'albo dei presidi giovani? Era morto? I Sicla, purosangue così famosi da essere conosciuti persino da un cazzomene come Nathaniel (e non solo perchè si era fatto la Sicla torturatrice ai tempi che furono) avevano forse fatto in modo di far salire uno dei loro sul prestigioso scranno di Hogwarts? Chi avevano pagato del ministero? A chi avevano leccato le scarpe? Bah, Nate non sapeva cosa pensarne.... quindi decise di non farsi troppi problemi, e accettare quello che era capitato; in fondo, poteva andare peggio. Poteva arrivare un preside -il cielo non volesse- hipster.
    Di per sè, non gli interessava che Leroy se ne fosse andato, ma quel Sicla aveva la faccia (e, in realtà, l'aveva fatto capire abbastanza chiaramente dalle parole) di uno che avrebbe reso a Nathaniel il lavoro difficile, e non gli avrebbe dato l'ufficio più grande che tanto sognava o l'aumento di cui aveva bisogno per comprarsi quei completi 800centeschi molto fiqui. Che bello, un razzista insensibile che probabilmente avrebbe trovato il modo di rendere impossibile la vita dei Modificati, obbligando l'intervento di Super Nathaniel per proteggere i più deboli che gli erano simpatici, come la sorella, Aveline, Jay... Nate sarebbe riuscito a mettersi nei guai, o poteva fare quello che dal ministero gli avevano detto di fare (aiutare a integrare quei bimbi special, ma non troppo, insegnare a gestire i poteri, ma non troppo) e acab? Solo il cielo avrebbe saputo dirlo, di sicuro in infermeria quell'anno avrebbero avuto più da fare del solito. Yeah!
    Lanciò uno sguardo verso i tavoli degli studenti, distribuendo occhiate distratte a ragazzi che aveva seguito di più e aveva imparato a conoscere e che, probabilmente, un po' lo odiavano (LOL SCHERZO OVVIO CHE LO AMAVANO ERA COSI' SIMPY TUTTI VORREBBERO NATE COME PROF). Sarebbe riuscito a farli arrivare tutti sani e salvi a fine anno? Ma sì, al massimo ne avrebbe persi un paio di quelli di cui non ricordava neanche i nomi per strada, perdite sopportabili... e dire che lui aveva iniziato ad apprezzarli davvero, alcuni di loro, quasi come apprezzava la loro cultura (ma questo, Sicla non avrebbe mai dovuto saperlo, come nessun altro professore quindi SHHH).
    Ad un certo punto alzò il calice, senza parlare a nessuno in particolare ma a chiunque del tavolo lo avrebbe ascoltato, e propose un brindisi. «Ad un anno pieno di sorprese, e al nostro nuovo e amatissimo preside, che come i precedenti non duri un anno per poi sparire misteriosamente o morire... e giuro, non è una minaccia». Rise da solo e prima che qualcuno potesse rispondere, mandò giù l'alcol rimasto allegramente. Ma sì, scialli, alla fine sarebbe andato tutto bene in un modo o nell'altro,
    the heart is deceitful above all things,


    E' un post così random che sto male a inviarlo. Ma voi mi perdonerete, perchè sono FABULOUS

    tumblr_n8casrhpfL1qjhdt7o3_500
    #puppyeyes



    Non parla con nessuno in particolare, ma propone un brindisi. Filatevelo #wat
     
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  8. wyvern.
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    balthazar wyvern
    I'm gonna find you and take it slowly
    Death Eater - 16 Y.O. - Slytherin - Pureblood - Sicla's
    Per molte ore furono solo lui, il borsone ancora ricolmo dei suoi oggetti personali e Trouble, il micio, troppo preso a gironzolare nella vuota vastità del sotterraneo Slytherin per prestargli attenzione. In un momento differente, avrebbe apprezzato quella grazia: quel fomentato era un genio felino del male con la passione per i complotti e Balthazar sembrava essere la sua vittima prediletta. Tuttavia, quel giorno, mentre attendeva che si facesse sera per il banchetto in Sala Grande, avrebbe gradito un po’ di compagnia. Il dormitorio, invece, doveva ancora riempirsi e faticava a farlo. Nessuno, a differenza sua, era arrivato con così largo anticipo ad Hogwarts. Ragionevolmente, tutti stavano cercando di godersi il più possibile le vacanze, prima di fare ritorno in quel luogo inospitale e reso ancora più oscuro dall’elezione del nuovo preside. Che il cognome Sicla incutesse timore al solo essere pronunciato era cosa nota e di certo non nuova a tutti i poveretti che avevano avuto il piacere di incontrare Erin nella Sala delle Torture. Il fatto, quindi, che ora uno di essi fosse addirittura divenuto la testa ordinatrice dell’intera scuola non poteva che essere una notizia foriera di presagi infausti. Lo comprendeva perfettamente. Non lo condivideva, però, probabilmente solo per il fatto che tutti costoro, gli imprecati a bassa voce, erano la sua famiglia e, di conseguenza, aveva maggiori informazioni per valutare quanto stava accadendo.
    Era stata sua zia Vitani a riferirgli quella notizia “con largo anticipo”, durante un brunch a cui lo aveva invitato. Balthazar sapeva perfettamente che quel pasto condiviso non era affatto una forma di cortesia, ma solo l’ennesimo tassello di un piano superiore, un castello di valutazioni e stime. Probabilmente stava testando la sua fedeltà – non alla famiglia, cosa che nessuno avrebbe mai messo in dubbio, ma alla sua persona, alla fazione “Cavendish” – oppure voleva solo divertirsi nel vederlo dibattersi, come un pesce lanciato contro uno scoglio, rimuginando su quale fosse il profilo adatto da tenere. La questione principale, in sostanza, era decidere se informare anche sua cugina Erin di quella svolta o non farlo. Nel primo caso, quella sarebbe probabilmente andata in escandescenza e certamente sua zia avrebbe saputo che la fuga di notizie proveniva dalla sua bocca; nel secondo, invece, se mai la torturatrice fosse venuta a scoprire di quanto le aveva taciuto, la sua ira si sarebbe abbattuta impietosa contro di lui. Era quasi certo che non sarebbe stato in grado d’evitarsi una visita guidata nello scantinato di James Larrington.
    Ritenne di poter sopportare il dolore. Sarebbe stato atroce, ma mai mortale: per quanto potesse apparire un ingenuo facilmente manovrabile, Balthazar sapeva perfettamente d’essere l’unico accesso alle ricchezze e al potere della famiglia paterna, così come era convinto che entrambi i suoi zii, avendolo in parte cresciuto, si sarebbero opposti in ogni modo possibile alla sua morte. In fin dei conti, infatti, tutti i suoi cugini non erano nient’altro che pedine nelle mani dei propri genitori. No, non sarebbe morto per mano loro. Del resto, neppure sua madre Reidun, ritenuta da tutti in maniera univoca quasi un’eretica, era stata assassinata. Avevano atteso, con pazienza, che la sua malattia la uccidesse.
    La verità taciuta, quella che si permetteva al massimo di lasciar proliferare nel retroscena dei suoi pensieri, era che quella novità gli piaceva. Per quanto amasse in maniera indistinta tutti i suoi famigliari, aveva sempre avuto una certa simpatia per Cole. Di nove anni più anziano, lo aveva sempre guardato con gli occhi un po’ sognanti del bambino che scopre l’affettività: Cole era più grande, più alto, più forte, più intelligente, più bello. Rammentava l’imbarazzo avvertito anche solo per un contatto fortuito, come lo sfiorarsi le mani nel passarsi qualcosa a tavola. Ricordava d’aver fatto incetta di tutto quel toccare, d’aver riposto con cura la memoria dell’abbraccio in cui era sprofondato all’indomani della morte di sua madre. Le lacrime sulle guance, poiché era ancora troppo piccolo per saperle mettere a tacere, il viso premuto contro il tessuto morbido della maglia di lui, la sua voce rassicurante e le braccia forti strette attorno al suo corpicino.
    Quell’abbraccio era stato così importante per lui da spingerlo a cercarlo ancora, in altre persone. Aveva bisogno di sentire chi lo circondava, Ty, il suo miglior amico là dentro, lo sapeva bene.
    Balth con gli anni aveva preso a ritenere questa sua infatuazione, tanto ingenua quanto assolutamente casta, la prima avvisaglia della sua omosessualità.
    Al di fuori di questi ricordi idilliaci, però, non vedeva Cole da diversi anni, poiché impegnato sul fronte tedesco, e nessuno dei due era più lo stesso. Proprio per questa ragione, nonostante lo desiderasse, evitò d’andarlo ad incontrare nel suo ufficio. Antepose la noia e il silenzio della Sala Comune all’amara scoperta della nuova persona che suo cugino era divenuto. Aveva per le mani solo qualche ricordo ed un’illusione, ma li preferiva di gran lunga alla delusione del trovare in lui solamente il delfino di Vitani.
    Rimase a letto, vestito sotto le coperte, in uno stato di tesa agitazione che non gli permetteva né di concentrarsi sulla lettura di un qualche libro né di dormire. In quel frangente, avrebbe voluto non essere solo. Non in tutto il dormitorio, ma tra quelle lenzuola. Un amplesso, anche scadente, lo avrebbe aiutato a togliersi dalla testa tutti quei pensieri. Meditò persino di raggiungere le cucine e cercare ospitalità tra gli Hufflepuff: non erano la compagnia che usualmente avrebbe frequentato, ma durante gli anni trascorsi lì nella scuola, aveva imparato a mettere a tacere la sua repulsione. Messosangue, Nati Babbani, Mutati, Hufflepuff. Alla fine, aveva avuto modo di chiacchierare con tutti coloro che non erano troppo spaventati dal suo cognome. Del resto, da quando sopravvivere non era poi così scontato all’interno di quell’edificio, molti degli odi tra Casate erano finiti in secondo piano.
    Quando mancavano due ore all’inizio della celebrazione, Balthazar cominciò a prepararsi. Si concesse una lunghissima doccia bollente e, poi, con movimenti oramai abitudinari, spiegò la sua divisa prima d’indossarla. Rifece un paio di volte il nodo alla cravatta, di modo che questo fosse perfetto e, poi, uscì in Sala Comune. Attese che la Direttrice, la temutissima Anjelika Queen, venisse a salutarli prima di recarsi al Lago per inquietare mortalmente le nuove reclute. Una tradizione oramai tanto radicata, in quella scuola, da potersi equiparare all’importanza degli addobbi sotto il periodo natalizio. Poi, seguendo qualche compagno più giovane, si recò verso la Sala Grande, dove sperava d’incontrare qualcuno con cui scambiare un paio di parole. Anche sua cugina Erin, in effetti, gli sarebbe andata bene, ma questa pareva troppo furibonda per poter emettere suoni senza sibilare come una vipera. Aveva bisogno fisico di qualcuno a cui chiedere stupidamente “come hai passato l’estate?”, fosse egli anche solo il Barone Sanguinario o il Frate Grasso.
    Cole, negli anni, era divenuto un uomo sintetico e freddo. Fu felice, dopo averne sentito il discorso inaugurale, di non avergli fatto visita: probabilmente lo avrebbe liquidato in un paio di minuti. Poiché pochi sembravano propensi alle chiacchiere, il giovane mise mano amaricato agli antipasti. Tanto valeva riempirsi almeno lo stomaco.
    September 1
    Great Hall

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    Edited by nymphomaniac - 9/11/2015, 00:20
     
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  9. Nox~
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    Roxenne Boyer ( ) - 16 - Grifondoro - Ribelle- Prefetto
    «Oh the river are sending to you a sign. »
    Lo sai che prima o poi dovrai alzarti da quel letto e andare a fare il tuo dovere nella sala grande? Risuonò per la terza volta la voce di Katie, una delle mie compagne di stanza. Era forse colei che teneva di più al mio comportamento verso il ruolo che mi era stato affidato, era un po’ la mamma delle ragazze grifondoro, caratterialmente. Aveva il volto dai tratti asiatici e lunghi capelli neri, scalati. Il mio viso era sprofondato nel cuscino da ormai tanto tempo che probabilmente le altre ragazze si chiedevano se io fossi morta e se Katie stesse parlando ad un cadavere. Quella giornata era terribilmente fredda e il riposino pomeridiano che ogni tanto mi concedevo, era stato il colpo basso per quella situazione. Alzarsi non era affatto facile e neanche abbandonare le coperte si poteva considerare una cosa da fare in cinque secondi. Diedi i miei segni di vita dopo che una delle ragazze andò ad urtare la gabbietta della mia puffola pigmea con il piede. Sbuffai grottescamente e sembrava quasi che dal letto stesse per uscire un mostro.
    Mi misi a sedere sul letto alzando la testa dal cuscino e guardando male la mia tunica appesa all’armadio. Potrei fingermi morta, o che un basilisco ha rubato una presunta sorella immaginaria e io devo andare a salvarla Girai lo sguardo verso Katie sapendo benissimamente che quelle scuse erano folli e non poche, magari un po’ di sarcasmo avrebbero alleviato la situazione Non funziona eh? Sbuffai scendendo dal letto.
    Fu divertente vedere come mi preparai in fretta rispetto alle ragazze, tralasciando il fatto che ero leggermente in ritardo. Fin da piccolina non ho mai curato esageratamente il mio aspetto, anche perché probabilmente non mi fregava più di tanto. Lasciai i capelli sciolti ed infilai la tunica mettendo la bacchetta in tasca (la portavo sempre) e attaccando il distintivo su una delle tasche. Uscii dal rifugio dei Grifondoro e percorsi con tutta calma il corridoio che portava alle scale. Sei in ritardo, sei in ritardo, sei in ritardo Mi suonò uno dei quadri che erano attaccati vicino ai muri. Se non fai silenzio ti appendo al contrario risposi sorridendo innocentemente continuando a camminare.
    Le scale erano vuote, probabilmente la maggior parte delle persone erano già nella sala grande a mangiare il loro tacchino e il loro solito sformato di patate. Mi dispiaceva in parte assistere allo spettacolo dello smistamento. Hogwarts non era come una volta e i bambini che speravano in magie favolose e in un clima gioioso, avrebbero dovuto ricredersi a breve. Continuavo a sperare che il nuovo preside fosse diverso, ma da anni ci avevo perso le speranze ricordandomi che era il ministro della magia a decidere a chi affidare il comando della scuola. Entrai nella sala grande mimetizzandomi con le calche di alunni del terzo anno che entravano per cenare. Tutti i prefetti quella serata dovevano essere a disposizione dei nuovi piccoli studenti, per domande varie o cose simili e dovevano rimanere in un punto ben visibile.
    Guardai molta gente entrare ma ad un certo punto mi sentii tirare il mantello. Ehi, senti…mia sorella è del secondo anno. Non la riesco a trovare..mi aiuti? Abbassai lo sguardo per vedere da dove proveniva la voce e notai che il bambino biondo che mi parlava era stato smistato nei grifondoro; era terribilmente basso ed innocente: sorrisi. Certamente, adesso vediamo dov’è Devo ammettere che per quanto mi applicassi a cercare la sorella della recluta, il tavolo dei professori attirava maggiormente il mio sguardo. Era tutto terribilmente..oscuro.
    the heart is deceitful above all things,
     
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  10. don't joke with icesprite
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    DAMIAN DAMNED ICESPRITE ( ) - 26 - Deatheater - Dark Arts Teacher - superpavor
    « HE IS DANCING IN THE DARK »
    Tutti gli insegnanti erano stati avvisati in anticipo della nuova elezione di Cole Solv Sicla nel ruolo di Preside. Lo ricordava chiaramente, quel ragazzino di quindici anni diventato Prefetto al quinto anno mentre Damian, diciassettenne, abbandonava scuola da Caposcuola. Ricordava che fosse molto bravo, in qualsiasi materia. Conosceva la sua famiglia di nome, perchè Sin da tenera età a Damian e Sarah erano stati insegnati i valori riguardanti la famiglia, e durante i pranzi spesso si nominavano fatti riguardanti le altre famiglie Purosangue: i Sicla erano tra queste. Forse per questo Damian non aveva mai evitato la presenza di Cole a scuola, per questo lo aveva sicuramente preso in simpatia, occupato poi a riversare il proprio disprezzo su coloro che non erano stati altrettanto fortunati riguardo al proprio sangue. Un atteggiamento vile e meschino senza dubbio, Damian lo sapeva riconoscere, ma era anche così che andava il mondo, ed il giovane Icesprite aveva la piena convinzione che una nascita privilegiata avrebbe dovuto mantenere quel privilegio anche durante la crescita. Icesprite era convinto che le idee di uguaglianza fossero sbagliate a prescindere, perché non era vero che il mondo fosse uguale per tutti, ed i babbani erano portatori di queste idee che stavano rischiando di mettere radici persino nel loro mondo magico. I pettegolezzi sulla scomparsa di Ethienne Leroy si erano presto diffusi a macchia d'olio nel corpo insegnate, e Damian per primo aveva avuto un unico rammaricato: non essere stato lui a toglierlo di mezzo, né il Governo. Appena varcata la soglia della Sala, si era reso conto di essere in largo anticipo, ma si sapeva che per Damian l'orario avesse una valenza relativa. Lui era in anticipo su tutto. Aveva la capacità di programmare alla perfezione le sue giornate tanto che riusciva a far avanzare persino del tempo libero, nonostante i numerosi impegni Ministeriali - ed adesso anche scolastici. Ma arrivare per primo aveva i suoi vantaggi, aveva potuto intrattenere interessanti conversazioni con chi come lui si era presentato in anticipo, aveva osservato i dipendenti del castello prendere posto nelle rispettive bancate, aveva assistito all'entrata di Lydia Hadaway con a seguito il gruppo di esperimenti ospitati al castello e si era soffermato su essi. Il suo pensiero aveva avuto modo di fare lunghi giri quell'estate, aveva riflettuto a lungo sull'importanza che avrebbe dovuto dare a babbani modificati e a maghi che avevano perso i propri poteri. In questo caso, per lui contava comunque il sangue alla nascita. Un mago Nato purosangue non perdeva la propria importanza solo perché un gruppo di pagliacci aveva voluto dimostrare di poter cambiare le carte in tavola. Alcuni di loro avevano persino poteri interessanti che potevano essere utili al Governo, per questo Icesprite era deciso ad essere clemente anche con gli esperimenti babbani che, grazie ai loro poteri interessanti, avessero deciso di intraprendere una carriera al Ministero. Questo pensiero era in parte dato da un altro pensiero ancora, ossia il fatto che il gruppo di esperimenti stesse diventando sempre più cospicuo, e non era un vantaggio, per lui, metterseli contro. Lo era invece convincerli di avere un'importanza che magari non avevano, così che si convertissero alla causa di un Ministero così clemente che chiedeva di essere aiutato nella caccia ai ribelli. Aveva preso posto all'estremità destra della bancata, facendo perfettamente caso al fatto che la professoressa di Pozioni avesse preso posto all'estremità sinistra, solo per provocarlo, probabilmente. Certo, non si aspettava di vederla andare a sedersi al suo fianco. Scosse la testa e sorrise amareggiato, versandosi da bere nel bicchiere e decidendo di non badare più a lei - o almeno non farlo dopo la sua esibizione strisciante in mezzo alla Sala. Sorrise tra sè. Tipico. In fondo, colei che si aspettava di vedere quella sera era un'altra donna. Sua cugina Idem per la precisione. Non aveva mancato di inviarle un Gufo una settimana prima, con tanto di invito alla cerimonia che, contava, sarebbe stata interessante. Era la cerimonia di apertura delle lezioni, una cerimonia di annunci importanti quindi chiunque avrebbe avuto la possibilità di parteciparvi, sempre con determinati limiti. Si era preoccupato di inviare un secondo Gufo a Idem quella mattina, ricordando quanto sua cugina a volte potesse essere distratta. Ma ci teneva ad averla lì, un po' perché non era solito vederla spesso, e gli avrebbe fatto piacere incontrarla. Un po' anche perché ...aveva qualcosa da chiederle.
    Dopo lo smistamento e dopo il discorso del Preside, la cena potè iniziare.
    the heart is deceitful above all things,
     
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  11. neverajoy
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    LUCY NEVERAJOY ( ) - 15 Y.O. - Hufflepuff, Prefect - neutral - #neverajoy
    « waiting for a sign, waiting for a smile »
    L'estate è strana. Sia prima che giunga, che dopo.
    Curioso. Passiamo mesi e mesi ad aspettare e quando il momento sembra ormai arrivato non riusciamo mai a godercelo appieno. La noia delle ultime settimane di lezione, la convinzione che il tempo che passa sia lungo e inesorabile, l'impossibilità di adottare un qualsiasi strumento per farlo scorrere rapidamente. Cancelleremmo molti istanti, nelle noiose giornate che precedono il mese di giugno. Guardando la nostra vita come una pellicola cinematografica, ci accorgeremmo di quante azioni inutili abbiamo commesso che avremmo potuto risparmiarci. Se un regista avesse dovuto dirigere un film così, si sarebbe arreso. Se il produttore avesse visto il lavoro ultimato, sarebbe deceduto dietro all'immensa roba da tagliare. Roba inutile, sempre tutta uguale. Passi il tempo a ripercorrere sempre le stesse azioni, convincendoti che la tua vita stia cambiando, quando in realtà non è così. Ti alzi da quello stesso letto, scosti le stesse lenzuola, indossi la stessa toga. Ti piazzi davanti ad un insieme di pergamene a caso, e lì resti, a fissarle per qualche minuto. In silenzio, in cerca di ispirazione. Poi guardi fuori, e ti accorgi che è già buio. Che hai perso un'altra giornata dietro alle stesse cose, senza interrogarti davvero su come potrebbe essere differente la tua vita, su come potrebbe cambiare se solo tu decidessi di farlo. Ti rinfili tra le stesse coperte, auto convincendoti che il giorno dopo rivivrai le stesse situazioni, commetterai gli stessi gesti. Non puoi pensarla diversamente, non hai prove che ti convincono del contrario. Il sole sorgerà, tu sarai sempre la stessa, e nulla sarà mutato. Compirai le stesse azioni, parlerai con le stesse persone, visiterai gli stessi luoghi. Sul finir di maggio, è sempre andato avanti così. Per gli studenti, in particolare. A detta dei professori, non dovrebbe esistere nulla all'infuori dello studio. Piazzare le proprie terga su una sedia e interagire solo con un paio di fogli ed una penna d'oca , l'unico fine ultimo. Cazzate, esistono mille altre cose nella vita. Eppure ci sforziamo di non considerarle, di non pensare fuori dal quadrato. Ci fa comodo non eccedere troppo, ma solo dopo ci rendiamo conto di quanto la situazione ci stia sfuggendo di mano. Molta gente ci chiama disperati, noi preferiamo definirci inquadrati. E' una generalizzazione, ma dopotutto non è affatto forzata. La naturalezza che la contraddistingue è manifesta. Le foglie ricrescono, i fiori lasciano posto ai succosi frutti, e le pergamene si sgretolano su di un banco per l'ultima volta. Nelle scuole americane, quelle Babbane, quelle comuni, si aspetta solamente lo squillo di una campanella. I rintocchi scorrono lenti sull'enorme orologio appeso al muro, gli sguardi son tutti concentrati lì. E poi quel rumore. Un boato esplode, i fogli volano, e ci si da appuntamento all'anno dopo. Tra i maghi, non accadeva così. Non vi era una campanella, non vi era un tabellone dove tener conto del tempo che trascorreva. I ragazzi avrebbero dovuto solo sperare nel buon senso del loro insegnante, che li lasciasse liberi prima della loro ultima lezione. Prima del banchetto di chiusura. Poi sarebbero saliti sul treno, e un soffio d'aria fresca li avrebbe raccolti. Stavano tornando a casa… si stavano avvicinando pedissequamente alla libertà. Stavano raggiungendo l'obiettivo prefissato durante tutto l'anno scolastico… le sospirate vacanze estive.
    Lucy Neverajoy era sempre stata una ragazza come tutte le altre. Una Purosangue. Era stata prelevata dalla bambinaia al suo arrivo al binario nonostante avesse ormai passato i quattordici anni, ed era stata riaccompagnata a casa per trascorrere le vacanze nella villa estiva. Ma quello era il primo anno che ad attenderla al binario non c'era sempre la stessa persona. Non una sconosciuta. Suo padre l'aveva aspettata con ansia, e vedendola scendere da quel treno si era commosso. Una lacrima era scivolata giù, lungo la guancia di Lucy, che per un momento sembrava tornata la piccola Lucinda di molti anni prima. Si era sentita bambina, anche solo per un secondo, concedendosi quel lungo abbraccio con la figura paterna. Bernard l'aveva stretta a sé, sussurrandole parole dolci, promettendole che quell'estate si sarebbero divertiti, che sarebbe andato tutto meglio.
    Lucy aveva ritrovato suo padre da poco. Troppo poco. Partire per Hogwarts l'aveva costretta a riallontanarsi da lui, spaventata, inorridita. Aveva temuto che in sua assenza sarebbe potuto succedere qualcos'altro, qualsiasi altra disgrazia non programmata. La paura, durante l'intero anno, di vedersi arrivare un gufo con cattive notizie, il terrore di perderlo ancora. Gli era rimasto solo lui, e sotto sotto era meglio così. Non le mancava sua madre. Non aveva pensato a lei per un solo secondo, in nove mesi di assenza da casa. Era morta da poco, ma quell'affetto mancato non sembrava averla scalfita affatto. Aveva trascorso l'estate nel modo migliore di tutti, stando accanto a suo padre. Ormai non aveva più bisogno delle sue cure, aveva passato il periodo peggiore, si era riguardato a dovere. Avevano molte cose da raccontarsi, e avevano avuto tutto il tempo per farlo in quei tre mesi. Tra le mura della villa Babalia, lontano dall'Inghilterra, si erano goduti tutto quello che era loro mancato in quegli anni. Andavano al mare, praticavano sport d'acqua, andavano a pesca. Cose che abitualmente fanno un padre ed una figlia. Cose normali, naturali, non costrette. Passato il periodo peggiore, era venuto tutto da sé. I tre mesi erano volati, e il primo di Settembre non era tardato ad arrivare. La Neverajoy avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a quei momenti, per convincersi che la sua vita sarebbe andata avanti solo grazie a quelli sprazzi di felicità con il suo “vecchio”. Ma non è sempre estate. Nè meteorologicamente parlando, né psicologicamente. Non si può aver sempre l'estate, dentro di sé. Prima o poi, l'inverno arriva. Gela tutto ciò che di più bello c'era stato prima, ti fa tornare alla vita reale, quella di tutti i giorni. Quella fatta di momenti negativi, di crisi, di situazioni apparentemente insuperabili. Bisogna solo convincersi che passeranno, che prima o poi avremo altri motivi per sorridere, che non è sempre tutto nero. Anche il bianco è un colore, e nonostante sia spesso invisibile, si possono coglierne le sfumature. Si può ammirare la luce di cui risplende, e abituarsi.
    E anche quel primo di Settembre, il grigio era arrivato. Neverajoy era salita di nuovo su quel treno, diretta verso nove mesi di noia, di abitudine. Entrare nel vagone, mollare la valigia… le era sembrato tutto così tremendamente uguale all'anno precedente. Gli stessi gesti, la stessa sensazione di vuoto. Quando era la sua bambinaia ad accompagnarla, era quasi contenta di partire. Sapeva che star lontano da casa era la soluzione migliore, sapeva che avrebbe sofferto per la vicinanza di sua madre, suo zio… la avrebbero distrutta. Annientata. Ridotta ad un'ameba inutile, che avrebbe camminato per casa come uno zombie senza un apparente motivo. Quando si era voltata, però, non era stata la sua bambinaia a guardarla con aria apprensiva, al di là del binario. Quella volta c'era suo padre lì, esattamente come tutti gli altri genitori, come aveva sempre sperato che accadesse da qualche anno a quella parte. E per la prima volta, si era ritrovata a sorridere.
    Mentre camminava per i corridoi diretta in Sala Grande, si ritrovò a domandarsi cosa aspettarsi da quel nuovo anno in arrivo. Aveva ascoltato voci di corridoio, ma per esperienza personale sapeva bene di non potersi basare su semplici pettegolezzi. Si vociferava di una sostituzione, ma tutti ignoravano di chi si trattasse. Dal canto suo, incedeva autoritaria, battendo il pavimento dei corridoi con sicurezza, e guardandosi intorno per accertarsi che fosse tutto nella norma. Da quando aveva ottenuto quella spilla, si sentiva meno indipendente all'interno di quella scuola. Avvertiva la responsabilità della carica ottenuta, e faceva di tutto per meritarsela. Si era vestita con poca accuratezza al di sotto della consueta toga che doveva indossare, dopotutto nessuno vi avrebbe guardato al di sotto. Nessuno lo aveva mai fatto prima d'ora, per cui perché preoccuparsi in quel momento? L'enorme portone della sala si stagliò di fronte ai suoi occhi, e dovette trattenersi dall'occupare il solito posto al tavolo della sua casata. Aveva delle responsabilità ora, e tra quelle anche essere a disposizione dei nuovi arrivati e soddisfare le lamentele e i dubbi. Era meglio che parlassero chiaro. Chi ancora non la conosceva non poteva esserne al corrente, ma la pazienza non era di certo tra le sue più conosciute virtù. Era curiosa di sapere quali piccoli cuccioli di tasso sarebbero stati sotto la sua protezione, e quali avrebbe senz'altro messo in punizione alla prima negligenza. Aveva buon occhio, e molto intuito per quel genere di cose. Non sarebbe stato difficile marchiare tutti alla prima occhiata, a meno che la sua vista non si fosse abbassata notevolmente durante l'anno trascorso. Si voltò verso il fondo della sala, e vide la sua collega della casata dei grifoni. Non ci aveva mai scambiato grosse parole, se non ad una delle prime riunioni tra Prefetti per conoscersi meglio. Una cosa che la rendeva fiera era l'esser capitata con la Cooper, avrebbero potuto fare le sfigate insieme o commettere divertenti sciocchezze insieme. No, quella toga parlava chiaro. Serietà d'ora in avanti, e basta. Ad ogni modo, si sorprese di non vederla già lì a controllare la situazione, avrebbe sperato di poterla trovare subito di modo da non sentirsi poco a suo agio. Dopotutto, era una tipa piuttosto silenziosa con i cosiddetti sconosciuti, e avere vicino Nicole avrebbe potuto aiutarla a non rimanere in silenzio metà del tempo.
    « Ehi Boyer. Passate bene le vacanze? » esordì, avvicinandosi a Roxenne Boyer che mostrava la sua spilla con elegante dolcezza. Lucy era molto diversa da lei, anche fisicamente. La grifa era una grifa perfetta. Capelli rossi, espressione fiera e sorridente, e un enorme sorriso a dipingerle in volto. Lucy Neverajoy, invece, era l'emblema assoluto del #neverajoy puro e semplice. Anonima, probabilmente. I lunghi capelli castani, quella sera, erano lasciati sciolti lungo le spalle, e le punte accarezzavano la superficie della spilla appuntata appena all'altezza del seno sinistro. Gli occhi cerulei erano l'unico punto di luce nel pallore del viso, le labbra una maschera di lieve freddezza appena accennate in un sorriso generato al solo scopo del saluto, e successivamente scomparso dal suo volto con la stessa velocità. Le mani, elegantemente giunte all'altezza del ventre, si intersecavano tra loro alla perfezione, strofinando le dita in un malcelato segno di acuto nervosismo. Rimase in silenzio, non spiccicò una parola. Prima di avvicinarsi alla Boyer, aveva ascoltato il discorso del nuovo preside, associando la fantomatica sostituzione a lui. Non aveva detto molto di sé, se non attuare un fervente terrorismo psicologico sulle nuove e vecchie reclute con una fermezza e una freddezza invidiabili. Gli uomini erano senz'altro molto più bravi a mascherare le loro emozioni, questo sarebbe stato sempre un punto a loro favore. L'aveva guardato accomodarsi con eleganza, chiedendosi da dove provenisse e quali innovazioni avesse in mente di regalare alla scuola. Cosa sarebbe cambiato, e cosa sarebbe rimasto uguale, quell'anno? Le domande erano parecchie, ma distogliendo lo sguardo da lui, l'aveva focalizzato sul tavolo degli insegnanti. Roxenne si occupava di un marmocchio del primo anno, mentre lei era totalmente distratta. I suoi occhi ricaddero sul corpo docenti, scrutando una per una delle figure che ormai conosceva da quattro anni. Interessante. Molto interessante.
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    idem withpotatoes ( ) - 22 - Hufflepuff - rebel's secretary - marshmallass
    « I was standing in the park wondering why frisbees got bigger as they get closer. Then it hit me.»
    Infilò la parte superiore del busto nell’armadio, uscendone con sopra il capo un cappello a tesa larga, un poncho messicano sopra le spalle sottili, ed un boa di piume gialle -«No, Nathan, non sono vere!»- avvolto attorno al braccio sinistro. Cominciò a roteare su sé stessa, mugolando appena con la voce rotta dalla disperazione, quindi prese a saltellare ciondolando le braccia nell’aria; di lì a poco trovò il ritmo ancestrale, ed i suoi arti si mossero da sé compiendo agili movimenti nell’aria a tempo di una canzone che solamente lei poteva udire. «Non so proprio cosa mettere, a saperlo mi affogavo nel nettare. Non sono un orsacchiotto, ma ho fatto un bel casotto. Ethos, mio giovane amico, perché non stai alzando neanche un dito? E questo è il mio pezzone, picchia come un mattone, da rapper avevo un futuro, ma ho preferito prenderla nel… ehilà, nonna» Si immobilizzò al centro della stanza, le dita ancora contorte nelle posizioni innaturale tipiche di tutti i rapper del basso ghetto, con un sorriso allegro sulle labbra. Nonna Seti, sull’uscio della porta, la squadrava con un cipiglio severo. Se Idem Withpotatoes fosse stata una Legilimens, avrebbe disapprovato quel linguaggio scurrile che tanto, troppo, spesso coloriva i pensieri di Seti: «Ma guarda sta cretina, si crede ballerina. Mio Morgan che ti ho fatto per avere questo strazio. E c’ho pure ‘na certa, che minchia penso in rima, Idem io ti odio sei proprio una…» Si inumidì con lentezza le labbra grinzose, sbattendo le spesse palpebre su due occhi troppo stanchi. «..culo?» Completò in tono asettico, senza neanche cercare di comprendere la nipote–aveva smesso anni prima. «Nonna!» La rimproverò Idem inspirando profondamente, poggiando i pugni chiusi sui propri fianchi mentre il cappello, scivolando in avanti, le oscurava la vista. «…modo più sicuro» La corresse, concludendo la sua solitaria battle rap mimando una pistola con le dita e soffiando sopra la canna ancora fumante. Pssssssssssssssssssss. «Stasera c’è il banchetto a Hogwarts. Mi ha invitato Damian!» Felice come la prima volta in cui aveva ricevuto la missiva, sentendosi la sfigatella della scuola invitata al ballo dal ragazzo più carino, nonché quaterback della squadra di football. Il fatto che il ragazzo più carino fosse suo cugino –dai, ma avete visto che begli occhioni? Era così fiera di lui, e della bella donnina che si era trovato!- non rendeva onore alla Withpotatoes: andare ad una festa con i parenti, era al livello più basso della scala gerarchica di ogni aspirante cheerleader. Certo che loro non avevano come cugino Damian Icesprite. Sua nonna soffiò una qualche imprecazione fra i denti, alzando lo sguardo ad un Dio che ancora credeva potesse salvarla da quell’esistenza. «Tuo cugino Icesprite, quello che pare sempre abbia una scopa nel culo? E tu ci vai anche? Dio, come ti ha cresciuto tua madre» La più giovane Withpotatoes aggrottò le sopracciglia, rabbuiandosi mentre gli angoli delle labbra si piegavano verso il basso. «Non è vero, nonna. Lo sai che è un brav’uomo, e lo sai che ci tengo. Perché devi sempre fare così?» Ed era sincera, quella domanda. Quell’interrogativo esigeva davvero una risposta, estesa ad un contesto più ampio del suo solo cugino. Sapeva che in molti mal giudicavano quella loro amicizia, per poi giustificarla con il mero legame di sangue. Probabilmente, Idem se ne rendeva conto, per Damian era davvero così. Ma lei, a quel ragazzo dal cipiglio sempre cinico, voleva un bene infinito e disinteressato, ed anche se non fossero stati parenti –cosa che spesso, probabilmente, Icesprite sperava- gliene avrebbe voluto. Idem era fatta così, che ci volevate fare. Nonna si addentrò nella stanza della giovane con un sospiro provato, prendendo il volto della nipote fra le mani mentre ella si toglieva il cappello, stringendolo al proprio petto come una bambina. «kochanie moje, lo dico per il tuo bene. È pericoloso» Nonna Seti era l’unica, fatta eccezione per Nathan, a sapere che Idem Withpotatoes era una ribelle. Non nel senso proprio del termine: Idem era un membro attivo –all’incirca- della Resistenza; suo cugino, Damian, era il Superpavor, indi il suo compito era stanare quelli come lei. Comprendeva la preoccupazione della nonna, ma… Non doveva per forza essere così, il mondo, diviso fra Mangiamorte e Ribelli. Perché avrebbe dovuto importarle la fazione del cugino? Ricordava ancora chiaramente quando, da bambini, giocavano insieme. Era qualcosa che andava al di là della parte del Mondo per il quale si combatteva: era affetto, e l’affetto non aveva uno schieramento. Sembrava l’unica a capirlo. E poi, c’era ancora tempo, tutto poteva cambiare. Bisognava solo crederci un po’ di più.
    E poi le aveva mandato ben due lettere, quindi doveva tenerci proprio tanto. credici Idem. Scosse il capo, stringendo le mani della nonna fra le proprie. «Ma è Damian, nonna» Rispose semplicemente, come se quello potesse bastare. In effetti, ad Idem Withpotatoes bastava. Seti dovette capirlo, perché con qualche ultimo bisbiglio in polacco, si dileguò, lasciandola di nuovo all’ardua scelta che la stava lacerando: cosa avrebbe dovuto indossare?
    Gli occhi azzurri, che più azzurri non si sarebbe potuto neanche a creare un nuovo colore wat, si posarono su… «Oh, sì» Si portò pollice ed indice al mento, assottigliando le palpebre con fare ammiccante a quello che, aveva appena deciso, sarebbe stato l’outfit della serata.

    Si abbassò la gonna, che infida continuava a risalire, e dopo un ultima sistemata alla camicia –voleva essere impeccabile, non poteva mica far fare brutta figura al professore di Arti Oscure!- fece il suo trionfale ingresso nella Sala Grande. Non entrava ad Hogwarts da anni, ed il cuore pareva scoppiargli nel petto dalla gioia di essere di nuovo fra quelle mura. Erano accadute cose brutte, cose molto brutte, ma anche tante cose belle, abbastanza da continuare a far sorridere Idem. Pareva in effetti che avesse un mezzo ictus, ma proprio non riusciva a cancellare l’espressione di pura felicità dai tratti delicati del suo volto. Aveva scelto per l’occasione, e per mimetizzarsi con la massa onde evitare di mettere a disagio i nuovi studenti, la vecchia divisa da Tassorosso di quando anche lei frequentava quella scuola. Le andava un po’ stretta, le maniche un po’ corte, ma non era cresciuta poi così tanto in quegli anni da non potersela più permettere. «Casa dolce casa» Bisbigliò fra sé, varcando la soglia della stanza. Era tutto come lo ricordava: i tavoloni delle casate, il grande tavolo al centro della Sala su cui sedevano gli insegnanti; di diverso c’era solamente un tavolo a lato, che occupava l’angolo destro, sulla quale erano seduti dei ragazzini dalla cravatta priva di alcun colore, i babbani?, ed i tavolini rotondi per gli ospiti. Idem, ti ricordi che ti sei presa l’incarico di proteggere uno di loro? Sì sì, quello alto così, con i capelli….castani….e gli occhi…. E si chiamava…. Beh di sicuro aveva un bellissimo nome, e di certo un bellissimo potere. Sapeva, lo sentiva, che se l’avesse visto l’avrebbe riconosciuto. Dopotutto era suo compito fare in modo che, non so, non venisse rapito da dei Plagiatori per essere trascinato in un Labirinto insieme ad altre decine di esperimenti.
    Così, per dire.
    Oh mio Dio, ma quante persone! C’era Viktor, l’uomo che aveva scritto quella cosa sui draghi –o forse erano cavie peruviane?- e ohmiodio c’era anche la Bulstrode! Noooo, ma guarda, pure i Sicla! Idem, te non conosci i Sicla. Ah no? Beh, guarda che faccino adorabile, non possono essere poi così male. Damian ed Anjelika, con suo disappunto, erano seduti l’uno all’opposto dell’altro. Suo cugino le aveva detto che fra loro era sorto qualche problema, senza specificare l’entità o il motivo, e che per quello avevano deciso di separarsi… La Withpotatoes però, come chiunque li avesse mai visti insieme, non credeva a quella pausa di riflessione. Era solo questione di tempo prima che si rendessero conto di aver sbagliato, e si riappacificassero. Agitò le braccia nell’aria per attirare l’attenzione di Icesprite, un largo sorriso a mostrare i denti odontoiatricamente (?) perfetti, e lo salutò calorosamente a distanza. Prese posto semi silenziosamente, continuando a lanciare occhiate alla popolazione del castello. C’era anche Nathaniel, ed anche lui al tavolone degli insegnanti! Stretto così fra loro, con quel sorriso sghembo ed ironico, non era affatto credibile come docente. Ma quanto era fiera di lui! E tutti i suoi compagni della Resistenza, Phobos Maeve e Arwen. Quanto erano belli tutti quanti, sembravano così… grandi. Poggiò i gomiti sul tavolo, lasciando ciondolare il capo sulle mani intrecciate fra loro, mentre con la coda dell’occhio osservava gli altri adulti seduti ai tavoli. Le labbra si spalancarono in una o di sorpresa, mentre Aaron Sales -proprio lui- prendeva posto proprio accanto a lei. Il Ministro della Magia. Come si salutava il Ministro? Si salutava, il Ministro? Ma quanto era gnocco, il Ministro? Drizzò la schiena cercando di darsi un contegno serio, rivolgendogli un rispettoso e secco cenno del capo. «Buonasera, Ministro» Disse con voce impostata e bassa, come un transessuale dei bassi fondi in cerca di coca, per poi schiarirsi la voce con non curanza passando la lingua sopra l’arcata superiore dei denti. Tentativo fallito, Radam, piano B. «Non ha la faccia da Ministro» If u know what i mean. No, cosa mean Idem?
    Non ne ho idea, ma spero che Aaron Sales meanga anche per me.
    «Buonasera, studenti e docenti di Hogwarts» Abbassò gli occhi sulla propria divisa, per poi rialzarli verso il biondino che aveva preso voce zittendo tutti loro. Doveva essere il nuovo preside, considerando che Leroy al momento era, uhm, impegnato. Storse le labbra, decidendo che sì, rientrava nella categoria studenti. Aveva ventidue anni, ma ehi! Non si era mai troppo vecchi per imparare. Era una studentessa di vita, Idem Withpotatoes. Quindi certo, il buonasera era riferito anche lei. Che uomo filosofico! «Sono lieto di dare a voi tutti il bentornato in questo castello per il nuovo anno scolastico. A dir la verità, non esattamente a voi tutti, ma purtroppo abbiamo l’obbligo di accettare chiunque qui» Aggrottò le sopracciglia, chinando lo sguardo ceruleo sul proprio piatto. Non era un comportamento molto carino, quello, nonostante Idem non capisse a cosa, o meglio chi, si stesse riferendo. In ogni caso non era appropriato da parte di un Preside, o qualunque essere umano, rendere pubblici i propri dissapori personali. Magari era solo arrabbiato, sicuramente sotto pressione. Dopotutto era il suo primo giorno di lavoro, doveva farsi accettare da tutti… sì, sicuramente era nervosismo, non era cattivo. Sembrava molto severo, ma dopotutto era quello che ci si aspettava da chiunque occupasse quel ruolo. Non significava che fosse una brutta persona. In quel momento fece il suo ingresso qualcun altro, Edith Lagrange!, e Idem non potè fare a meno di osservare il suo incedere elegante verso la sedia che, di diritto, le spettava al tavolo dei professori. Tornò a guardare il proprio tavolo, rendendosi conto che una delle sedie prima vuote ora era occupata. Quando era arrivato? Thane, you’re a ninja. Spalancò leggermente gli occhi -«Non mi sono spaventata, no, me l’aspettavo»- rivolgendo un cordiale cenno di saluto ed un sorriso anche a lui. Rivolse un’ultima occhiata contenta anche a Lien: lavoravano –quasi?- insieme al San Mungo, ma era difficile che si ricordasse di Idem considerando che lei era una donna importante –e Idem, si sapeva, era Idem.
    Era proprio al tavolo dei grandi.
    «Colsolv Sicla» Ripetè, quando il preside ebbe finito il discorso. Avrebbe pensato che fosse un nome buffo, se solo non si fosse chiamata Idem Withpotatoes. «Sembra carino!» Si strinse innocentemente nelle spalle, gli occhi a cuoricino ormai puntati sulle prelibatezza che stavano prendendo forma davanti a lei. A casa WP nessuno era in grado di cucinare un pasto decente, quanto le erano mancati gli Elfi Domestici di Hogwarts? «Oh mio Dio, cibo. Io amo il cibo» Sussurrò più a sé stessa che ai propri commensali, afferrando la forchetta. Voleva augurare loro buon appetito, ma il bon ton diceva che fosse kitsch. Augurargli di non soffocarsi con la cena non sembrava altrettanto bello, quindi preferì tacere. Nonna Seti sarebbe stata fiera di lei.
    the heart is deceitful above all things,


    Edited by idem! #wat - 9/11/2015, 19:25
     
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    jericho karma lowell ( ) - 16 - (Gryffindor) - sfiga addicted - telepathic
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    Strinse così forte le palpebre, ma senza chiudere gli occhi, che il dolore alla testa da tenue che era si fece martellante, ritmico. Eppure non si arrese, continuando a puntare i due fanali blu su Aveline. Le avevano dato un potere, la telepatia, e come il suo caro fratellone cercava di insegnarle al castello, con scarsi risultati, doveva imparare ad usarlo. Premette i denti fra loro, concentrandosi solo sulla sua rossa amica. Un solo pensiero, doveva convincerla solo di una cosa: «noi non vogliamo andare al banchetto» La dolce rossa, però, sapeva essere piuttosto tenace quando voleva. Non sembrava, con quello sguardo spesso chino e le gote leggermente imporporate, delicata come il primo fiore primaverile. Le sue radici però erano piantate così a fondo nel terreno, che probabilmente la loro punta sfiorava il nucleo bollente della Terra. «Jericho… » Un sospiro frustrato uscì dalle labbra della giovane Lowell, che testardamente si rigirò nel letto affondando la faccia nel cuscino. «Pss dre ch st male» Bofonchiò con la bocca premuta contro il tessuto, cercando appiglio in qualsiasi cosa le potesse impedire di andare al banchetto di inizio anno. C’erano mille motivi per il quale Jericho Karma Lowell non voleva presenziare all’evento, ma analizziamoli con ordine:
    1. Sarebbe stato il primo anno nel quale non sedeva alla tavolata dei Grifondoro, e per quanto fosse sempre rimasta sullo sfondo, per quanti pochi amici avesse, era comunque la sua casata. Quei colori, volenti o nolenti, le erano appartenuti. I suoi compagni erano stati la sua famiglia. Sì che aveva stretto amicizia solo con due persone, ma non si poteva mica avere tutto dalla vita.
    2. Nathaniel Henderson. Le bastava vederlo a lezione, non v’era alcuna necessità di prolungare quell’agonia. Perché proprio lui, fra tutti i maghi del mondo, aveva preso quella cattedra? Non aveva, non so, una qualche isola da conquistare nel Pacifico? Era così bravo a partire per l’avventura senza mai fare ritorno. La cosa positiva era che, magari, anche quell’anno aveva deciso di non tornare, rimanendo a farsi sventagliare con foglie di palma da due Haitiane, privandola della sua ingombrante presenza.
    3. Killian, detto Jack, Hades. L’unica persona in grado di farla sentire più leggera con un sorriso, e che con quello stesso sorriso riusciva a farla sprofondare quasi al livello delle radici di Aveline. L’unico che riuscisse a farla stare bene tanto quanto la faceva stare male. Ma cos’era quella roba? È amore, sciocchina! Ma vattela a pija n’er culo. Non avrebbe dovuto essere così, Jericho se ne rendeva conto. Non avrebbe dovuto essere così… Merlino, non c’erano parole per descriverlo, perlomeno non parole di cui Jer era a conoscenza. Il solo pensiero di quegli occhi scuri, le stringeva il petto in una piacevole morsa che le impediva di respirare come Morgana comandava, obbligandola a trattenere il fiato per dare una giustificazione a quel senso di soffocamento. Direte voi, beh, non è una novità che Jericho sia innamorata di Jack. Purtroppo, o fortunatamente?, si trascinava dietro quel fardello da anni, quando ancora non sapeva dare un nome a quell’emozione sotto pelle. Il fatto era un altro, scavalcando perfino il problema sisterzoned: Jericho non era più Jericho. Era… come aveva detto di chiamarsi, a Jack? Non lo ricordava neanche più. Ricordava di aver voluto cercare un nome figo, e di aver infine optato per il classico nomignolo che qualcuno di non troppo fantasioso affibbiava al proprio cane. Forse l’aveva letto su una bustina di zucchero, o qualcosa del genere. Moka. Moka Donuts. «Ma chiamami Starbucks.» E vi giuro, l’aveva detto davvero. Ma perché aveva fatto una cosa del genere? Che razza di nome era? Hades le aveva perfino creduto. Inutile, del Corvonero aveva ben poco, gliel’aveva sempre detto.
    4. Persone, troppe persone, e Jericho ancora non controllava il suo potere. Sarebbe stata sommersa da ondate di pensieri di sconosciuti, e purtroppo anche di conosciuti, che le avrebbero affollato la mente di idee non sue, nomi non suoi, voci che non le appartenevano. Era una sensazione opprimente, ed il solo pensiero di dover entrare volontariamente nella tana del lupo, non la attizzava particolarmente.
    5. Persone, troppe persone. Senza contare il problema citato precedentemente, alla Lowell le persone non erano mai piaciute. Non perché facessero qualcosa di particolare… semplicemente erano lì, respiravano, dicevano cose. Lei quelle cose non le aveva mai capite. Ballare, bere? Ma chi, io? Lasciatemi netflix, gelato, e una coperta. Sbronzatevi anche per me, ciauan. (ah, se solo avesse saputo l’ironia della situazione: con il fratellone, Nate, avrebbe davvero potuto vivere una vita del genere).
    6. Nathaniel. Jack. Jericho Karma non più tanto Lowell.
    Alla fine dei fatti, il problema principale risiedeva proprio nella sedicenne. Per quanto potesse girarci attorno, cercando di dare la colpa a questo o quell’altro, il vero nodo al pettine era proprio ella stessa: era andata volontariamente nei Laboratori, seppur non sapendo a cosa stesse andando incontro; era lei che, malgrado tutto, ancora non riusciva ad accettare Nate nella sua vita; era lei che, con Jack, aveva mandato tutto a meretrici; era lei che non riusciva a controllare quel potere, e sempre lei che mai era stata in grado di rapportarsi alle persone.
    «Se non vieni te, non vado neanche io» Quello era giocare sporco, e doveva saperlo anche la Jodene. Dietro quelle iridi chiarissime, ve lo dice una che legge nel pensiero, si nascondeva una mente malvagia. Perché per Jer, Aveline era l’unica persona per la quale valeva la pena, indipendentemente dalla frase da associare al valere la pena. Era l’unica che le impedisse di impazzire, fosse per quel suo modo sempre gentile ma mai invadente di starle vicino, fosse per quel sorriso timido che tanto la faceva sentire meno sbagliata. Fosse perché, in fondo, avevano paura delle stesse cose. «Ma tu vuoi andarci» Rispose la Lowell, poggiandosi sui gomiti per poter guardare la ragazza in faccia. Come avrebbe fatto l’anno dopo senza di lei, a Different Lodge? Aveline, per favore, fingiti più piccola e rimani con me. Lei si strinse nelle spalle, ma Jericho sapeva la verità, e non perché l’aveva letta nei suoi pensieri. Lo sapeva perché erano amiche. «Posso indossare il mantello dell’invisibilità?» Rassegnata, ma con l’ombra di un sorriso sulle labbra carnose.
    Perché con Aveline Jodene, Jericho riusciva a sentirsi normale. Un’adolescente che odiava il mondo, si sentiva incompresa, ed aveva problemi con il suo ragazzo. Non la bambina dalle mani imbrattate di sangue, che alzava occhi innocenti su un sorriso che d’innocente non aveva più nulla; non la bambina che guardava Bran mentre veniva portato via, non quella le cui urla del padre continuavano a tenerla sveglia la notte; che seduta sul portico attendeva che Nate tornasse. Era solo… Jer. Tristemente Jer, attira sfiga Jer, ma pur sempre Jer. Non avrebbe potuto fuggire per sempre.
    …. Forse. O forse era meglio non sfidarla.

    Si disse che, magari, non sarebbe andata così male. Avrebbe potuto rivedere Charlotte, Devon, o Al, Donnie, Mackenzie. Girava addirittura voce che Nobuo avesse preso un posto d’assistente al castello, ma era difficile credere che ad Hogwarts avessero assunto uno speciale, abbastanza da essere ritenuto improbabile da Jer. Per carità, che Nobuo spaccasse culi era palese, ed i suoi ex compagni non sarebbero che stati fortunati ad averlo, ma… era ancora Hogwarts, ed il fatto che vantassero tolleranza non significava che stessero accettando quelli come lei, di certo non come pari. Aveva sperato, fino all’ultimo che Nate non ci fosse. Invece eccolo lì, seduto al tavolo principale con quell’espressione vagamente divertita che la Lowell avrebbe voluto affogare nel porridge. Aveva sperato anche che l’assistente di Nate, Lydia, rimanesse al loro tavolo. Infantilmente avrebbe voluto stringerle la mano, implorarla che si prendesse cura di loro. C’erano troppi occhi sugli Esperimenti, e la divisa grigia cominciava a soffocarla. Nessun mago si sarebbe curato di loro, ed ancorata al passato da strega, Jericho voleva disperatamente essere accettata. Eppure, se nessun bacchetta munito si schierava dal lato degli Speciali, era difficile che qualcuno si degnasse mai di prenderli sul serio. Erano solo giocattoli, giocattoli rotti per di più. Non lo nascose il nuovo preside, con quel suo arrogante fare da puledro purosangue. Ricambiò l’occhiata generale dell’uomo con un sorriso ironico. Sarebbe sempre stato così, eh? E dire che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto rivoltare metà castello prima di essere scoperta. La telepatia, in fin dei conti, non era solo essere invasa dai pensieri altrui. E ricordiamocelo: Jer era pur sempre una Grifondoro, per quanto poco avesse potuto apparirlo negli anni al castello. Era ancora, sempre, guidata dall’orgoglio, quello stesso orgoglio che le parole di Cole Solwat Sicla stavano puntigliando tanto fastidiosamente. Bagasicla.
    Non cercò fra i tavoli i suoi vecchi amici, ben consapevole che non l’avrebbero riconosciuta. Riconobbe però Oscar, che volente o nolente –solo volente, chi vogliamo prendere in giro?- attirava l’attenzione su di sé come un elefante in una cristalleria. Di certo con la stessa grazia. Si morse l’interno della guancia, facendo scivolare gli occhi sui rosso oro. Erano stati casa sua, ma aveva perso anche quello. «Almeno si mangia bene» Biascicò, titillando l’arrosto con la punta della forchetta. Non aveva neanche voglia di mangiare. Odiava il banchetto d’inizio anno, ed odiava quei bambinetti irritanti che, felici, prendevano posto al tavolo che prima era appartenuto a lei. Con troppa foga accoltellò l’innocente fetta di carne nel suo piatto, l’arma del delitto piantata così in profondità da vibrare di energia repressa. Ops.

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  14. don't call my name
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    OSCAR "BLAZE" FRASER ( ) - 16 nell'animo - GRYFFINDOR - CATAFRATTO
    « Some of the greatest battles will be fought within the silent chambers of your own soul »

    Quell'estate Oscar aveva riniziato a respirare, finalmente dopo mesi, come se fosse rimasto troppo tempo in apnea ed avesse dimenticato che sensazione si provasse ad essere vivi. Tutto sembrava tornato al proprio posto, come un lento ricomporsi automatico e magico di un puzzle. Aveva passato un'estate ricca di sorprese, ed adesso colei che era stata protagonista indiscussa dei suoi pensieri, insieme a suo fratello, era seduta dinnanzi a lui sul treno per Hogwarts. Trovare una carrozza completamente libera era stata una benedizione ed Oscar l'aveva presa come segno del cielo - ma quale cielo, Oscar? Non hai visto che nubi? - Aveva preso posto là dentro, preoccupandosi di sistemare il proprio bagaglio e levarsi le scarpe(?). Aveva l'insano vizio di sdraiarsi sul sedile della carrozza mentre viaggiava, per comodità, certo. Ma quella volta ciò che voleva non era solo stare comodo, quanto occupare più spazio possibile per evitare compagnie indesiderate. Arabells al momento era una compagnia più che sufficiente. Persino Chris aveva preferito non stare chiuso con loro in carrozza - forse un po' perché era cosciente del fatto che Oscar avrebbe dato il meglio di sè levandosi le scarpe, e si sa, le scarpe di un giocatore di Quidditch devono puzzare per forza #wat, era stato previdente il giovane Corvonero! - Oscar sorrise tra sè a quel pensiero, mentre il suo piede munito di calzini bucati sulla punta stuzzicava il muro della parente di fronte. Quel sorriso svanì presto quando poi, naturalmente, gli venne da pensare che il comportamento del fratello era diventato molto comune ultimamente. Ci aveva fatto caso ogni giorno, al modo in cui si irrigidiva quando gli si avvicina e provava ad avere un contatto con lui, a tutte le volte in cui nel cuore della notte si alzava per andare a dormire al piano inferiore, non riuscendo a stare nel proprio letto, o a come non riuscisse a stare troppo a lungo in una stanza chiusa o in un luogo troppo stretto come quella carrozza, senza sentirsi soffocare. Storse appena le labbra in una smorfia, la tipica smorfia che veniva spontanea sulle labbra di Fraser ogni qualvolta provasse a sforzarsi per capire qualcosa - Si, l'80% del tempo. Si, un po' come fanno i cani quando gli parli -
    "Fraser biondo......." Lo sguardo di Bells gli punse una guancia.
    Ancora doveva abituarsi a quell'appellativo. Considerando che Blaze era stato biondo solo da neonato e che presto era diventato moro, si poteva capire che non fosse abituato ad essere chiamato "Biondo" Si voltò verso Bells, con il volto premuto contro il sedile del divanetto, sovra pensiero e con l'espressione più innocente del mondo - sicuramente non come qualcuno colpevole di aver fatto diventare la carrozza una camera a gas.
    "Quest'aria di rose mi mancava davvero. Grazie."
    Pff, e lui che aveva pensato che lo avesse chiamato per avere la sua attenzione #egocentrico perché non si sentiva particolarmente calcolata dentro quella carrozza. Infondo, da quando erano entrati lì nessuno dei due aveva aperto bocca, se non Blaze per un'espressione pienamente colorita quando aveva capito che poteva levarsi le scarpe. In fondo ...era solo Bells! Insomma, era come se fosse da solo no? Ma lei non la pensava allo stesso modo. Tant'è che scocciata, si alzò per aprire il finestrino. Lui allora si tirò su dal divanetto, e senza pensarci due volte la placcò letteralmente contro l'angolo della carrozza, circondandola con un braccio sulla vita e provando a baciarla. #marpions Non era molto delicato, Oscar, eppure ogni volta si assicurava che lei non si facesse male per i suoi modi non proprio garbati. Stai dicendo che i miei piedi puzzano? Eh? Merlino, era così felice di averla lì, così profondamente felice.
    "Oh, non potrei mai..." Ma si lasciava abbracciare e Blaze riuscì anche a vederla sorridere. Fu in quel momento che Raiden Norrey decise di fare la sua entrata trionfale nella carrozza, ululando qualcosa di non comprensibile al mondo non marinide. Ma perché urlava?
    Sei sordo? Troppa musica stecco! Si staccò lentamente dalla ragazza per salutare Raiden e chiedergli come avesse passato le vacanze. Almeno lui non si lamentava della sua puzza di piedi..... Ma era molesto.
    L'arrivo ad Hogwarts fu, come sempre, accompagnato da saluti, baci e abbracci vari che inghiottirono Oscar in un vortice senza fine fatto di schiamazzi e molestie con i compagni. Festeggiamento che venne interrotto subito dall'arrivo del Guardiacaccia che li minacciò tutti di crucio se non avessero smesso subito di parlare. Che bella Hogwarts. Che bello il diritto d'espressione in ogni forma. Presto arrivati all'ingresso del castello Blaze e Bells presero due strade diverse, perché il caposcuola Corvonero prese gli studenti di quella casata e Wayne raccolse tutti i Grifondoro per l'entrata in Sala Grande. Ci sarebbero state delle novità quell'anno, dicevano. Blaze sperava solo che non gli abolissero il Quidditch, per il resto potevano anche demolire la scuola. #why
    Ancora con le scarpe slacciate si trascinò in Sala insieme ai compagni per poi prendere posto alla propria bancata. Salutò tutti i suoi compagni, rivolgendo particolare attenzione alla prefetta Boyer, perché si sa, era sempre meglio tenersi buoni i Prefetti...
    Apprese presto che la novità riguardava il nuovo preside in carica, un certo Cole Sicla, che si premurò di silenziarli tutti così che potesse udirsi solo la sua voce. Quindi doveva ascoltarlo per forza. Nel mentre, nel mezzo del discorso fece ingresso la prof di Erbologia, che andò a prendere posto al tavolo degli insegnati. Una volta che il Preside ebbe finito il suo discorso, pronunciata l'ultima parola, così come si parte ad una gara di rally, gran parte dei Grifondoro iniziò una battaglia con il proprio piatto, non tutti però, Blaze e vicini di sicuro. Non importava la qualità del cibo, era un rito che si facesse la gara a chi si sfondasse di più a tavola. - ma come, non fate queste cose a casa vostra? Babbani. - Blaze non riuscì a vincere, un compagno lo battè sul tempo, ma questo non gli arrecò particolare dolore: si sarebbe rifatto il giorno dopo. Certo, vincere la gara di sfondamento IL PRIMO GIORNO di scuola, era diverso che vincerlo il secondo, ma se ne sarebbe fatto una ragione.
    the heart is deceitful above all things,


    L'intereresse di Blaze per il banchetto è commovente.


    Edited by shane is howling - 10/11/2015, 09:05
     
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  15. thorne.
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    lien thorne
    sometimes I lose myself in the fine line between truth and falsehood
    Neutral - 38 Y.O. - Dame Blanche - half-blood - Ex-Ravenclaw
    Era stata sveglia fin quasi le due del mattino, con un bicchiere di vino in una mano e la sua carta di credito nell’altra, in attesa che il momento giungesse. Si era seduta sul divano, tenendosi al caldo con una coperta di lana grigio scura e fissando immobile il suo portatile con un palese sguardo di sfida. Sebbene si fosse impegnata a lungo per sovrastare quell’infernale aggeggio babbano, dopo anni di pratica ancora quello le si rivoltava contro lanciandole addosso improvvise schermate nere e virus cibernetici. Eppure, finalmente, era giunta la loro resa dei conti: l’ennesima, ad essere sinceri, ma una tanto gloriosa da meritarsi un sovraccarico di pathos. In quel frangente, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, la compagnia teatrale di Broadway che si stava occupando del remake del musical “The color Purple” si approssimava a mettere online le prevendite per la prima. E lei, Lien Thorne, era intenzionata ad accaparrarsene un biglietto presso il settore migliore, conscia del fatto che avrebbe dovuto sborsare per esso fior di dollari. Conosceva il Bernard B Jacobs Theatre e sapeva dove fiondarsi per avere una visuale ottimale. Si era assicurata che la batteria del portatile non la abbandonasse e che la connessione ad internet non le facesse scherzi. Aveva ingurgitato molto tè per tenersi sveglia, dopo essersi concessa solo una cena leggera che non le causasse alcun abbiocco da stomaco pieno. La sua unica incognita rimaneva quel trabiccolo non magico che le stava innanzi, fronteggiandola con i suoi pixel e quella sfacciata tastiera retroilluminata. A qualche minuto dallo scattare dell’ora x, prese ad aggiornare con febbrile tensione la pagina web. Fino a quando non ebbe inizio la battaglia.
    Fu uno scontro armato terribile e molte furono le perdite che poterono poi contarsi: il numero eccessivo d’accessi aveva causato un pesante down del sito pochi istanti dopo che Lien ebbe effettuato il suo pagamento. Gridò vittoriosa, alzando il volume della musica – che ovviamente trasmetteva la colonna sonora del musical stesso – e celebrò l’evento con un balletto frenetico e ridicolo. Quella notte dormì uno dei sonni più pacifici della sua intera esistenza. Sorrideva, persino.

    Si era imposta d’essere positiva. È vero, l’attendeva una giornata lavorativa tutt’altro che semplice, ma alla fine di essa, dopo un rapido viaggio magico internazionale, avrebbe finalmente assistito alla prima per cui aveva comperato il proprio biglietto mesi prima. Avrebbe approfittato del fuso orario per un rapido pisolino, poi si sarebbe vestita con uno dei migliori abiti che aveva nel suo guardaroba – ovviamente comperato solo per l’occasione in una piccola boutique di Lione – e avrebbe assistito a quell’evento sapendo che la sua intera esistenza, per un paio d’ore soltanto, le sarebbe parsa notevolmente migliore. E se le sarebbe goduta, quella serata all’insegna di Broadway, perché riteneva di meritarsela. Lavorava tanto, strenuamente, mettendo il suo doppio impiego sempre prima della sua stessa persona. Si era conquistata quello svago, buon dio, e lo aveva fatto a suon di sedute e incantesimi della memoria.
    Per questo, quando il suo capo Michael De La Mort le aveva dato la lieta novella, quella mattina, aveva dovuto appellarsi ad una forza superiore per trattenersi dal togliersi una scarpa e lanciargliela in testa mentre usciva dal suo ufficio dandole le spalle. Quel figlio di una buona donna, sebbene lei con la sua puntualità fiscale gli avesse chiesto quella serata libera da oltre due mesi e lui gliel’avesse garantita affermando che non l’avrebbe disturbata nemmeno per una crisi di proporzioni epiche, aveva ufficialmente ritrattato. Mandando in malora il suo progetto e la sua serata di libertà.
    Il tutto perché ad Hogwarts, quella sera, si sarebbe tenuto il discorso inaugurale del nuovo preside – che già solo per questa privazione avrebbe odiato a prescindere, chiunque egli fosse – e il Ministro in persona aveva deciso di prendervi parte. La possibilità che ci fosse un attacco da parte dei ribelli era praticamente pari a zero, così come improbabile era che i suoi servigi fossero richiesti, ma il Consiglio aveva stabilito che fosse più prudente prendere qualche precauzione e nessuno, ad eccezione della sua persona, era libero da altri impegni lavorativi. “Vogliono te, sei la migliore”, le aveva detto il venduto, che probabilmente avrebbe passato la sua serata a bere in un pub scadente.
    «Mi rimborserai il biglietto» lo aveva informato guardandolo direttamente negli occhi «E mi prendo il resto della giornata libera. Inviami a casa l’invito per il Banchetto». Dicendo queste parole, era uscita dall’edificio con passo marziale, pronta a Schiantare il primo dannato Ministeriale che le avesse attraversato la strada.

    Tornata a casa, aveva aperto una nuova bottiglia. Sapeva che avrebbe potuto ribellarsi a quella decisione ingiusta nei suoi confronti, ma era anche a conoscenza del fatto che, se si fosse opposta, ciò avrebbe pesato sulla sua carriera. E il lavoro era l’unica cosa in cui realmente eccelleva. Non era stupida, sapeva che proprio questa era la sua debolezza e che su questa De La Mort aveva fatto leva.
    Quel giorno, si fece un lungo bagno, ascoltando della musica jazz. Per pranzo, chiamò il fedele ristorante cinese presso cui si rifocillava da anni ed ordinò poche pietanze, il giusto per un pasto frugale ed abbastanza equilibrato. Tentò di scacciare la rabbia meditando e facendo yoga, ma tutto ciò fu inutile: prima del tramonto si era già scolata tutto lo chardonnay.
    Nonostante ciò, fu in grado di mantenere un comportamento decoroso, persino quando un vecchio barbagianni si mise a picchiettare sulla sua finestra per recapitarle il biglietto d’oro con cui avrebbe potuto presenziare alla celebrazione. Il suo tour alla fantasmagorica fabbrica di cioccolato era in realtà solamente un modo per celebrare l’ennesima conquista di potere da parte di un Sicla, non esattamente la famiglia più simpatica che la Thorne aveva avuto modo di dover frequentare. Sicla e Thorne, infatti, correvano lungo due binari paralleli che non avevamo fortunatamente mai avuto modo di incrociarsi. Paralleli, per opposto modo di vedere le cose e di rapportarsi alla vita, perché se non fossero stati tali evitare uno scontro aperto sarebbe stato impossibile.
    Ad un paio d’ore dall’inizio della celebrazione, comunque, smise di opporsi e lasciò che il suo Io dominante, quello della donna in carriera, avesse accesso al suo corpo.

    Scelse un semplice abito a tubino lungo fino alle ginocchia e con le spalle coperte, stretto con accortezza in vita e arricchito sui lati con degli inserti in pizzo nero dal motivo floreale. Raccolse i capelli scuri in un’acconciatura semplice, così da scoprire gli orecchini di perla che aveva deciso d’indossare. Oltre ad essi, l’unico gioiello per cui aveva optato era il suo immancabile orologio. Ricorse, con una certa insofferenza, a dei tacchi molto alti per slanciare la sua figura minuta, poiché, anche se per lei sarebbe stato solamente un impiego come un altro, quel banchetto era pur sempre una festa. Afferrò la sua pochette e il soprabito e si preparò ad uscire di casa, così da poter raggiungere il primo luogo coperto alla vista dei suoi vicini Babbani per Smaterializzarsi. In poco tempo fu ad Hogwarts, molto prima dell’inizio della pomposa cerimonia.
    Erano passati molti anni dall’ultima volta in cui era entrata in quel luogo con addosso la divisa dei Ravenclaw, prima dell’Oblivion, e il Regime da allora si era stretto attorno a quell’istituzione con forza sempre maggiore e attuando un processo di completa alterazione. La Sala delle Torture, per esempio, era uno di quei metodi educativi che lei, in quanto psicomaga, stentava a comprendere. Era forse per questo motivo, per la rivoluzione di Izra, che fare visita alla sua vecchia scuola era divenuto per lei tanto sgradevole.
    Senza attendere che qualcuno l’accogliesse, si spinse nella Sala Grande, dove gli elfi domestici stavano ultimando i preparativi, e perlustrò la stanza: cercò qualche falla negli incanti di protezione, sebbene non fosse il suo compito, e trovò tutto perfettamente nella regola. Se mai ci fossero stati dei Ribelli, quella sera, essi sarebbero stati mescolati tra gli invitati. Un docente le domandò chi fosse e lei gli mostrò il proprio distintivo ministeriale.
    «Lien Thorne, obliviante. Molto piacere di conoscerla» gli disse.
    Dopo aver ottenuto il permesso di guardarsi in giro, salì fino alla Sala Comune della propria Casata, ma non vi entrò. Ispezionò qualche aula, parlò con qualche quadro – stupendosi di come anch’essi fossero stati soggiogati dalla magia della memoria – e si soffermò soprattutto con quelli che riteneva di fattura più pregiata. Infine, tornò dove era opportuno lei stesse: le era stato riservato un posto d’onore, nella medesima tavolata del Ministro. Fatta eccezione per qualche membro del corpo docente e qualche studente particolarmente solerte, era tra i primi. Nessun altro adulto l’aveva preceduta.
    Cercò il cartellino con il proprio nome sui due tavoli circolari e depose il soprabito sulla sedia corrispondente. Si tenne solamente la pochette, dove aveva riposto la bacchetta, e si appoggiò silenziosa al muro.
    Osservò ad una ad una ogni persona che varcò la porta della Sala Grande. Si era assicurata che sul petto le rilucesse la spilla dorata che la identificava come membro del Ministero: il suo sguardo era fermo e severo, assillante per giunta. Cercava una qualsiasi reazione che le desse modo di sospettare d’essere d’innanzi ad un membro della Resistenza. Infine, quando il Ministro arrivò, si mosse per salutarlo, come si aspettava da lei, sua inferiore in grado.
    «Buonasera» disse solamente, chinando leggermente la testa. Non gli avrebbe rivolta la parola, se lui non l’avesse fatto, ma si sarebbe ugualmente accomodata per tenergli compagnia. Nel caso in cui l’uomo avesse avuto di meglio da fare che conversare con lei, Lien si sarebbe semplicemente limitata a continuare ciò che aveva fatto fino a quell’istante: studiare i presenti.
    Presto, vennero raggiunti anche da una ragazza dolce e chiacchierona, il cui volto non le era nuovo. Per questo motivo e per l’implicita simpatia che era impossibile non nutrire a pelle verso quella giovane, le rivolse un sorriso. Durante il discorso del Sicla, con l’improvviso arrivo della Lagrange, un altro collega li raggiunse. Thane. Lien aveva già avuto modo di incontrarlo e di trarre a riguardo le proprie valutazione. Nel complesso era felice ci fosse qualcuno di più esperto di lei nel combattimento, nel caso in cui uno dei Rivoltosi lì presente decidesse di dare in escandescenze.
    «Oh mio Dio, cibo. Io amo il cibo», sentì dire alla ragazza.
    SEPTEMBER 1
    GREAT HALL

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