Posts written by checkmate™

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    Burn the pain, burn the lies, Burn the fear inside myself. And burn it all again, It's the right time to Escape this cage
    check vibe non doveva elaborare un cazzo, perché non c'era un cazzo da elaborare.
    si poteva dire che un momento così, un occasione come quella!, l'avesse aspettato per tutta la vita — due, a essere sinceri. c'era stato un tempo, uno più semplice, in cui il giovanissimo ché avrebbe trovato affascinante tutto quello: una piccola comunità che cercava di ripartire da zero, ogni singolo individuo pronto a fare la sua parte, un piccolo sacrificio per evitare un male insopportabile. i confini, nella mente corrotta del cheemy, si erano confusi in fretta.
    le linee, inizialmente ben visibili e definite, avevano sbavato il loro inchiostro trasformandosi in un disegno caotico e distruttivo, una macchia dopo l'altra a fondersi con la carta. convinto, nonostante tutto e fino all'ultimo istante, di aver venduto anima e innocenza per qualcosa che era senza sugli più grande: di lui, di loro.
    i piani del vibe erano decisamente più modesti.
    preferiva mantenersi umile pensando a se stesso, piuttosto che ad un bene superiore pronto a chiedere in cambio la sua libbra di carne. e tra dentro o fuori, era convinto avrebbe fatto poca differenza; non si lasciava indietro nulla, check. tranne forse un peso, quello che aveva gravato sul torace magro di un bambino facendo scricchiolare le costole e sulle spalle di un adulto artigliando pelle e carne — per la prima volta da quando ne aveva memoria, la voce lo aveva lasciato solo. era bastato un passo, e quando le onde concentriche di quella magia sconosciuta avevano travolto tutto e tutti, anche quei sussurri di fiele si erano dissolti.
    il suo personale torna a casa, ché.
    nel mondo esterno, quello che non gli apparteneva più, aveva lasciato soltanto delle briciole; così poco di se stesso, che le persone alle quali teneva se l'era ritrovate tutte al proprio fianco. buffo, a volerci trovare qualcosa da ridere, e più difficile capire cosa lo fosse di più: che fossero solo due, un'intera vita ridotta a suo fratello «pidocchio—» «lo so»
    e ad hans belby
    «non credevo potesse importarti.»
    «non volevo che buttassi via la tua vita, l'hai dimenticato?»
    o il fatto che per check fossero gia troppe.
    non aveva lasciato alcuno spazio a hold e justin perché potessero riempirlo, e alla fine il tempo gli aveva dato ragione: al cenno leggero di quella mano sollevata a mezz'aria, il vibe aveva risposto con la più totale indiffere nza, quasi non si aspettasse altro. non aveva nemmeno iniziato a considerarli parte della sua vita, ed erano già belli che andati.
    un problema in meno a cui pensare.
    aveva atteso un paio di giorni, persi ad esplorare la città sotto la bolla, un brulicante fermento di nuova vita nel quale ricominciare da zero; o dal punto stesso in cui aveva interrotto la propria. conscio, suo malgrado, di essere uno dei pochi a cui degli addii e delle conseguenze non poteva fregare una minchia di meno — aveva visto le lacrime, la disperazione, la consapevolezza farsi più nitida di secondo in secondo; il tradimento, l'odio e il rancore, l'accettazione in occhi lucidi e sguardi affranti.
    di tutto quello gli importava poco.
    le conseguenze per chi fosse rimasto a lottare nella bolla, sacrificio di sangue and all, gia un po di più..
    in fondo, quando finalmente aveva deciso di fare il primo passo, trovare hans non era stato difficile: sapeva come seguire gli spostamenti di qualcuno, check vibe, anche quando questo qualcuno avrebbe preferito scomparire dalla faccia della Terra.
    un bravo segugio, se così si può dire.
    la scelta del lago, d'altraparte, gli sembrava un pochino azzardata; nostalgica, quasi.
    «tranquillo, è tranquillo» non si sedette accanto al minore, rispettando il suo spazio. un paio di metri a distanziarli era quanto poteva concedergli, tutto considerato «ma agli squali ci hai pensato?» mantenne le iridi verde acqua rivolte alla superficie appena increspata, affondando le mani nelle tasche. il cielo, che sembrava stato dipinto con una tonalità di azzurro sbagliata (impercettibile, come la sensazione che dava guardarlo troppo a lungo: artificiale, falso quanto un sorriso di circostanza), mostrava già il profilo della luna, pallido e incompleto.
    aveva chiesto e gli era stato detto di non preoccuparsi.
    nel dubbio, check non lo faceva: se volevano studiare le reazioni di un licantropo durante la luna piena senza antilupo in circolo avevano solo che da chiedere.
    a quel punto piegò il capo, rivolgendo ad hans un'occhiata che non era di scuse, né tantomeno di compassione; qualunque cosa stesse passando il belby, check non aveva la pretesa di capirlo. poteva condividerlo, però — un cazzo di problema alla volta «perchè sei rimasto, hans» non era nemmeno una domanda, quasi un pensiero tra sé e sé lasciato rotolare sulle labbra con una studiata casualità. voleva sapere, voleva sempre sapere, ma non al punto da costringerlo ad aprire bocca per raccontarglielo.

    check
    vibe-bigh

    Burn the pain, burn the lies
    Burn the fear inside myself
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    That defines the world
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    barry: balestra
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali
    prendo i pe per: gruppo 4
    eddie moonariejoni peetzah
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    eddie: fucile a pompa
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    mago
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    prendo i pe per: gruppo psichiatria


    Edited by checkmate™ - 2/4/2024, 17:53
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    +20 fidelity febbraio
    +20 fidelity marzo
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    +20 fidelity febbraio
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    +20 fidelity febbraio
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    +20 fidelity febbraio
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    nickname: blank/space
    role attive: check (19.03)
    PE accumulati sulla carta fidelity: 20
    scheda livelli:

    [gruppo 3]
    ty, clay, check, moka

    nickname: blank/space
    role attive: bonus gigio(28.03)
    PE accumulati sulla carta fidelity: 20
    scheda livelli:
    [gruppo 4]
    ficus
  8. .
    jj gigio linguini
    05.03.2004
    milano, IT

    aveva smesso di fumare.
    una promessa a se stesso – e se ne faceva ben poche, gigio linguini: potendo scegliere, preferiva andare sul sicuro. una rob che pensa di iscriversi alla bet con mezzo post già scritto, per dire; e anche lì, sempre a valutare i pro e i contro, calcolo delle probabilità.
    sapeva di avere tutte le carte in tavola per vincere la sua guerra contro la nicotina, riducendo il bisogno spasmodico di infilarsi una sigaretta tra le labbra a mero gesto meccanico cui poteva facilmente trovare un'alternativa. No, pervertiti, non nel senso che la soluzione era mettersi altro in bocca (unless… ciao swag). Era la mente, che doveva occupare: il primo giorno come tirocinante al san mungo aveva concesso al milanese un piccolo assaggio di ciò che lo aspettava; il primo come guaritore era stato sufficiente a risucchiare tutto il tempo a sua disposizione, togliendogli anche quei cinque minuti di pausa cool che era solito prendersi tra una lezione e l’altra. Pochi mesi, innumerevoli feriti e morti dopo, e l’idea di intossicarsi i polmoni gli era completamente passata dalla mente. In compenso aveva iniziato a farsi strada con insistenza quella di darsi al crack, terribile ma non meno affascinante soluzione
    aveva smesso di fumare.
    nonostante tutto.
    un pensiero fugace, rapido quanto il battito d'ali di una farfalla che causa l'uragano dalla parte opposta del mondo — il tempo di estrarre il pacchetto dal taschino della divisa, e si era già volatilizzato. una volta stretta la decima sigaretta della giornata tra le labbra, di quel pensiero non era rimasta traccia «giornata di merda, eh? » per qualche motivo, sentiva di non dover specificare: il gonfiore che si andava accentuando sul volto di Baltasar raccontava una storia già sentita; ai dettagli ci avevano pensato le urla provenienti dal corridoio, e il bisbigliare concitato dei suoi colleghi a sfiorargli le orecchie.
    fosse stata la fine di un turno normale, con già quasi tre ore di straordinario non pagato sulle spalle, l'incedere di gigio lo avrebbe portato direttamente all'uscita del SanMungo senza nemmeno passare dal via — così com'era, camice da lavare e crocs ai piedi, pacchetto completo. aveva imparato a considerare normali un sacco di cose, il linguini; non ne andava fiero, ma lo accettava per puro, istintivo spirito di sopravvivenza. le decine, forse centinaia, di feriti giunti all'ospedale durante la guerra - un flusso continuo che non si era fermato nemmeno una volta decretata la fine - aveva cambiato le prospettive dell'italiano su cosa potesse o non potesse.
    poteva fare del suo meglio, sempre, ogni fottuto giorno.
    non poteva salvare tutti, e restituire la vita a chi l'aveva persa prima ancora di finire tra le sue mani.
    poteva rivolgere a balt un sorriso stanco, ma sincero, lasciare che il fumo si unisse a quello soffiato dal ragazzino mentre prendeva posto accanto a lui.
    non poteva indorare la pillola, anche se una bugia era forse quello di cui il monrique pensava di volere — l'avrebbe meritata, una prospettiva più rosea sul futuro, ma era della verità che aveva bisogno.
    «con il tempo non diventa più facile. ma imparerai a gestire anche le loro emozioni, oltre alle tue» indicò il suo volto tumefatto disegnando una virgola a mezz'aria con la sigaretta, un sopracciglio appena inarcato «non puoi farti usare come pungiball ogni volta» una scelta di parole non casuale, quella di gigio. perché poteva anche essere alla sua prima esperienza, il Tassorosso, ma di certo non sarebbe stata l'ultima: lo aspettavano centinaia di battaglie perse, altrettante famiglie con un dolore insopportabile sulle spalle e nessuna valvola di sfogo. lasciarsi prendere a pugni non sembrava affatto una soluzione a lungo termine «devi stabilire dei confini, o lo faranno loro per te» gli venne improvvisamente da ridere, ma si trattenne.
    l'isteria che sentiva crescere nel petto, risalendo lungo le corde vocali, avrebbe finito per spaventare balt invece che rassicurarlo. strinse la sigaretta accesa tra le labbra, piegato in avanti con entrambi i palmi premuti sugli occhi: ogni tanto, senza preavviso, la consapevolezza di quanto stava accadendo attorno a loro lo colpiva come una mazzata sui denti — confini, aveva detto. quelli che lui stesso non era riuscito a mettere tra sé e la sua famiglia, finendo per perdere il sonno all'idea di averli perduti. quei bastardi. quei pirla maledetti. li odiava, gigio, per essere spariti senza lasciare tracce; si odiava, per non aver impedito a giacomino di ficcarsi in una strada senza uscita, che ovviamente si era rivelata fatale «mi dispiace per Trisha. la conoscevi?» fu rapido a scacciare i propri pensieri dalla testa, utilizzando il nome della ragazza morta come un talismano; egoista da parte sua, probabilmente, ma non gli importava.
    e continuò a fissare il cemento sotto i loro piedi, il mento appoggiato alla mano destra, iridi cerulee venate di stanchezza a cercare segni premonitori nei mozziconi spenti che qualche incivile aveva lasciato cadere per terra. alla faccia della transizione ecologica.

    former slyth
    healer, sanmungo
    deatheaterclan linguini🇮🇹, ⚽sad boy hour

    It's been a couple months
    That's just about enough time
    For me to stop crying
    when I look at all the pictures
  9. .
    allora, alla fine mi sono decisa a votare l'opzione 1.

    CITAZIONE
    cioè bonding time, sharing trauma and all

    di base la motivazione è questa: mi piace l'idea di mantenere sempre gli stessi compagni di sventura, più del fatto di poter portare molti pg. anche perché so dj non averne così tanti disposti a morire 🙏 e poi mi conosco, scrivere troppe personalità diverse mi disorienta, finisco per rimanere superficiale con tutti e invece mi piace approfondire (dolore. terrore. paura. rabbia. risentimento. già detto dolore?) i sentimenti e i legami di ciascuno.
  10. .
    check vibe-bigh
    29.02.2003
    frankfurt, DE

    era sempre piacevole fare conversazione con Hans.
    in passato aveva avuto diverse occasioni per apprezzare la parlantina poco sciolta dello special, lì dove i silenzi riempivano ogni spazio con un rumore statico di sottofondo e lasciavano che il non detto dicesse tutto. ma dal primo momento in cui si erano visti, dentro quello stanzino minuscolo che sembrava più un ripostiglio, check aveva fatto del cavargli di bocca un frammento di verità alla volta la sua missione personale.
    non poteva semplicemente concedere all'altro di tenersi dentro i propri pensieri accettando non volesse condividerli con (lui) il mondo, no; doveva scavare, spinto e provocato nel farlo proprio dalla testardaggine con cui Hans tendeva a chiudersi in se stesso. più si accartocciava, proteggendo la parte più esposta di sé, più il vibe si sentiva in dovere di affondare le unghie e i denti per scoprire cosa ci fosse di così importante — di così terribile, da salvaguardare.
    senza rendersi conto, pur avendo le prove davanti agli occhi, che a suo modo faceva esattamente la stessa cosa: un meccanismo di difesa vecchio come il mondo stesso, ma al quale check aveva modificato gli ingranaggi. invece che ritirarsi, nascondendo agli altri lo spicchio di verità più intima e impronunciabile per tenerlo tra le costole, lui mostrava le zanne e attaccava. premeva, schiacciava, cercava i muri e ci sbatteva contro le persone, non in a kinky way.
    non gli era mai importato abbastanza, per quello.
    o per qualunque altra cosa.
    i risultati stavano tutti li, nella sua compostezza di fronte alla sorella scomparsa nel nulla; nel sopracciglio corvino appena sollevato, quando era giunta la notizia che Justin fosse morto e tornato in vita. non aveva concesso loro il lusso di una seconda occasione, ma nella barriera eretta a propria protezione non c'era nulla di personale. semmai, e qui inizia la parte contorta, il contrario: il fatto che check si fosse dato la pena di tenere entrambi a debita distanza dimostrava la prepotenza con cui, senza fare assolutamente nulla, Dustin e Harold rischiavano di insinuarsi sotto la pelle. era il sangue, quello che scorreva nelle loro vene e li aveva tenuti insieme quando il mondo attorno era crollato inghiottendoli — se la storia amava ripetersi, aveva certo modi peculiari per farlo.
    «c'era molta gente» annuì, distratto. il muso del cane gli premeva contro l'interno della mano aperta, cercando una carezza in più da quello che probabilmente riconosceva a tratti come un suo simile; più animale che persona, check vibe, poco ma sicuro «si, ho letto» una leggera stretta di spalle, a chiudere la questione. non era per quello, accusarlo di qualcosa, che aveva tirato in ballo l'argomento: non rientrava nella schiera di persone decise a linciare i testimoni solo per essersi allontanati dall'hotel finché ne avevano avuto l'occasione. al loro posto probabilmente avrebbe fatto lo stesso. sollevò il capo solo quando Hans concluse la frase, iridi verde acqua a sondare il volto dell'altro alla ricerca di una risposta che già conosceva «e di cosa, hans? di essere ancora qui?» vivo, tangibile, non disperso chissà dove.
    fece quasi per aggiungerne un'altra di domanda — cosa pensavi di poter fare rimanendo?
    ma le labbra rimasero saggiamente incollate tra loro.
    faceva sorridere e riflettere che di fronte a chiunque altro il custode avrebbe rincarato la dose senza porsi alcun problema etico o morale; la sua ricerca spasmodica della verità sarebbe bastata da sola a strizzare il belby come uno straccio bagnato, fino a non lasciare nemmeno una goccia. una replica fedele del loro primo incontro.
    check però a quel pensiero non sorrise.
    lo faceva sentire strano, e vulnerabile. e debole. di nuovo dritto sulle gambe, con Orion a dargli un'ultima annusata prima di concentrarsi su qualcosa molto più interessante nella porzione di erba accanto alla panchina, per qualche istante il ventunenne si limitò ad osservare Hans in religioso silenzio. faceva parte del loro rapporto frammentato, quello studio quasi clinico delle espressioni dell'altro quando le parole trovavano la forza di venire espresse a voce. proprio perché non erano abituati, e tra le righe rimaneva un mondo sommerso impossibile da ignorare.
    ma poteva sempre provarci.
    «non sapevo nemmeno che fosse sparita» la questione non era quanto fossero legati — o se non lo fossero affatto: dieci giorni nell'au social di check erano un misero granello di sabbia nella vastità dell'oceano. aveva preso pause ben più lunghe tra un'interazione umana e l'altra, soprattutto considerato che nel mezzo gli toccava subire la tortura degli studenti sempre tra i piedi. poi, che una volta saputo con certezza hold si fosse volatilizzata, il custode sarebbe intervenuto per cercarla, quello era un altro paio di maniche.
    anche Hans era un altro paio di maniche.
    per lui, check vibe aveva un risposta pronta sulla punta della lingua. ricacciata in gola con tanta forza da costringerlo ad inghiottire l'aria densa attorno a loro.
    troppo densa.
    «stavo-» non aveva il dono della preveggenza, ma una natura scomoda a premere sotto la pelle sì: un battito in più nel petto, un brivido alla base della nuca; le narici dilatate nel percepire odori che forse nemmeno esistevano. elettricità statica. istintivamente, diede le spalle al belby puntando le iridi acquamarina su un punto accanto a loro che sapeva essere vuoto. non lo era più.
    non chiese se aveva bisogno di aiuto.
    non tentò nemmeno un passo nella sua direzione.
    per un istante i loro sguardi si incrociarono, ma gli occhi del giovane erano rivolti altrove — nostalgia, rammarico, terrore, serenità.
    quando cadde, invece di fare un passo avanti check indietreggiò: fino a raggiungere Hans, il braccio destro leggermente sollevato dal fianco come a voler bloccare qualunque tentativo dell'empatico di intervenire. perché lo sapevano entrambi, che non c'era più niente da fare, e l'arrivo dei cacciatori subito dopo rafforzava l'idea del farsi i fatti propri per campare cent'anni.
    non disse nulla, finché non si ritrovarono di nuovo soli «un normale pomeriggio al parco» fu l'unico commento che abbandonò le labbra del ventunenne, mentre gli occhi chiari cercavano sui volti delle persone a spasso un segnale qualunque di preoccupazione o morboso interesse, senza trovarlo. una piccola parentesi di ordinaria follia, tutto li.

    keeper
    former durmstrang
    21halfbloodwerewolfpretend idgaf

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    you've lost your mind
    crossed the line, crossed the line
  11. .
    check vibe-bigh
    29.02.2003
    frankfurt, DE

    era da un po, ormai, che check non si riconosceva più.
    non tanto guardando la propria immagine riflesse nello specchio, dove gli occhi verdi continuavano a ricambiare il suo sguardo con quella punta di rammarico che non era mai riuscito a spiegarsi. aveva un anno in più, ma nessuno sarebbe stato in grado di dirlo: la stesse espressione tesa, i muscoli a guizzare come scariche elettriche allena sotto la superficie della pelle. una rabbia trattenuta a languire come le ceneri di un falò ormai spento — ma non del tutto.
    ci aveva fatto l'abitudine, il vibe.
    era riuscito persino a conviverci, perché che alternative aveva? impazzire, forse; seguire quella voce dal profondo della foresta una volta per tutte, lasciandosi alle spalle cose che si ostinava a credere di non volere.
    non era quello, a renderlo un estraneo.
    ma la paura.
    il peggior sintomo di una malattia che li stava debilitante, gli toglieva forza e concentrazione.
    il timore, del tutto insensato e ingiustificabile, di aver mostrato troppo; una volta permesso ad Hans di aprire la porta si era fottutamente dimenticato di richiederla. e con la corrente, attraverso quello spiraglio era passato di tutto: sentimenti sempre più difficili da ricacciare giù in gola, desiderio, persino preoccupazione.
    dieci giorni.
    di nuovo.
    la missione di salvataggio alla quale non aveva partecipato.
    perchè non poteva.
    Harold, che spariva nel nulla insieme ad un cazzo di edificio in cemento armato, finestre porte letti fondamenta e tutto il fottuto circo.
    si era detto che non gli importava così tanto.
    quel coglione del belby, sempre a cacciarsi in qualche guaio — li conosceva tutti, check, dal primo all'ultimo; mesi e mesi ad evitare il minore, ma senza mai perderlo di vista. un altro esempio che faceva di lui un perfetto sconosciuto: non era mai scappato dalla verità, il ventunenne. mai nella vita. si faceva vanto di saperla affrontare meno degli altri, al punto da renderla quasi in gioco.
    una sfida, che aveva smesso improvvisamente di vincere.
    lo aveva capito aprendo gli occhi sulle assi marcescenti della stamberga, con la pelle nuda e troppo calda graffiata dal legno grezzo. ci era passato così tante volte da perdere il conto, nudo e vulnerabile in quei primi istanti dove la confusione si mescolava alla consapevolezza — istintivo, guardarsi intorno e aspettarsi il peggio. sangue, che non fosse scordato dalla sua stessa pelle spaccata e ricomposta.
    lo aveva capito, di aver perso, quando la figura di Hans rannicchiato sulla poltrona aveva invaso il suo campo visivo; gli occhi chiusi, il respiro pesante. così vicino, una mano mollemente abbandonata a sfiorare il pavimento, da far credere si fosse addormentato così — sentiva ancora quelle dita premere piano dietro le orecchie, check. scivolare lungo il muso, arrischiarsi sulla coda e le zampe.
    purtroppo, cristosignore, ricordava anche quanto successo prima.
    più di tutto, forse, era stato un attimo di debolezza che anche volendo non poteva attribuire alla luna. il potere di renderlo qualcun altro, quello check non gliel'aveva mai concesso.
    «posso?» teneva entrambe le mani in tasca, il vibe, ma riuscì comunque a indicare Orion con un cenno del capo. nemmeno tentò di fingere fosse passato per caso, che quell'incontro stesse avvenendo per caso: con loro due non funzionava così. c'era sempre un motivo, una spinta dall'alto, la ricerca di qualcosa che evidentemente entrambi avevano le loro belle difficoltà a identificare. lo aveva seguito? certo. dopo un silenzio radio durato così tanto che sarebbe stato logico aver dimenticato l'ultima cosa detta; non era così, non per check. ricordava perfettamente di aver guardato l'altro negli occhi, il mento leggermente sollevato a mostrare una sicurezza che non provava più, e avergli chiesto scusa.
    di aver perso il controllo, per essere andato un po troppo oltre.
    dando la colpa al momento, alla situazione peculiare, mentendo.
    e poi chi era il coglione?
    [mood in the background: 👉]
    non attese una risposta che sapeva sarebbe potuta essere negativa — avrebbe dovuto. accucciandosi sui talloni, spinse la mano destra in direzione dell'animale, lasciandogli però il dovuto spazio. come aveva fatto Hans durante quella notte, peccando di una fiducia infine ricambiata. poteva mordere quelle dita tese, perché l'istinto nemmeno cento dosi di antilupo potevano sopprimerlo, ma aveva preferito lasciarsi accarezzare. toccare, guardare, conoscere. non era certo di poter fare altrettanto in forma umana, il vibe «lo capisco, se preferisci che me ne vado» sollevò le iridi verde acqua sull'empatico solo una volta, quasi a cercare la risposta sul suo volto prima che aprisse bocca.
    qualcosa, l'esperienza forse, gli suggeriva che poteva benissimo non farlo.
    e tornò ad osservare Orion, perché in fondo era un codardo come tutti quelli che aveva preso per il culo fino a quel momento; con il cane non aveva bisogno di esprimersi a parole. verità o menzogna, smettevano entrambe di contare qualcosa: rimaneva solo ciò che l'animale riusciva a percepire, vibrazioni sottili tra i polpastrelli di check e i nervi sensibili sotto la pelle spessa. tra bestie, poi, era anche più facile capirsi.
    «è scomparsa anche mia sorella» aveva sentito voci, il custode. sui rapimenti, su coloro che erano andati a salvare le persone sequestrate; racconti confusi di combattimenti, braccia mozzate, gente drogata che girava su se stessa e colpiva gente a caso senza riuscire a fermarsi.
    sapeva che qualcuno aveva deciso di rimanere.
    altri semplicemente se n'erano andati.
    una quarantina di persone scomparse senza lasciare traccia, e tutto ciò che rimaneva erano i racconti surreali di chi in quell'hotel ce li aveva lasciati — senza guardarsi indietro.
    solo allora lo guardò, le labbra tese su una domanda che non era ancora pronto a fargli. non pensava nemmeno che potesse importargli qualcosa di Harold, figurarsi mostrare preoccupazione per qualcuno che in fondo non conosceva: erano estranei con una goccia di sangue in comune a scorrere nelle vene, niente di più.
    fosse scomparso anche Dustin sarebbero stati tutti più felici.
    giusto?
    giusto.

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  12. .
    whotupac hamilton-baudelaire
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    infosweet sixteen
    info2043! + criminal

    «pacman, senti—»
    iniziava sempre così.
    con quelle guanciotte a farsi rosse rosse, le spalle da rugbista piegate in avanti nel tentativo di rendersi più piccolo; ci provava sempre, quel cucciolo di labrador, a diminuire la distanza tra loro. inconsciamente, di questo Tupac ne era più che convinto.
    gli toccava sempre fare la prima mossa, allungare una mano e afferrare more per il colletto della maglietta trascinandoselo addosso, saltargli sulla schiena cogliendo l'altro di sorpresa per vedere se nonostante lo spavento avrebbe sostenuto il suo peso. lì dove il peetzah-bolton si tendeva verso di lui nella solita, teneramente comica ricerca del contatto che ancora dopo un anno aveva un retrogusto di sbagliato, Tupac hamilton-baudelaire prendeva e tirava e rubava, senza mai chiedere il permesso.
    o scusa, se è per questo.
    «dimmi titties, ti ascolto» non così vero, dopotutto. aveva lo sguardo rivolto altrove, il sedicenne, iridi a sfiorare lo specchio d'acqua che si stendeva a pochi passi da loro. avevano lo stesso colore del mare, quegli occhi lì, ma nessuna tempesta a smuoverne i bordi, privati della serenità che solo la totale assenza di onde poteva regalare. avrebbero dovuto essere azzurri, e non lo erano; avrebbero dovuto essere verdi, e non lo erano.
    avrebbero dovuto essere limpidi, e non lo erano.
    il nero della pupilla che si mangiava tutto il resto voleva solo dare l'esempio — una riproduzione in piccola scala di quanto succedesse altrove, nella sua testa. dove le voci masticavano i pensieri, rendendo il ragazzino dipendente alla loro presenza: li trovava e rimaneva in ascolto per ore, scavando nei luoghi più intimi e segreti come un profanatore di tombe. non alla ricerca specifica del dolore o del rimorso, ma capace di farne tesoro quando vi si imbatteva per caso, quasi fossero il grammo più puro di cocaina in commercio.
    qualcuno gli aveva detto che non ci stava tanto con la testa, e Tupac si era piegato in due dalle risate.
    la verità aveva sempre avuto un che di divertente, finché l'occasione permetteva di fare qualcosa a riguardo — un pugno, un calcio, facce spaccate sui marciapiedi e denti sputati sul cemento (quelli degli altri, ma anche i suoi: non viveva risparmiando se stesso lo special). o ficcare di testa bambinetti nei cassettoni dell'immondizia, perchè no; un passatempo al quale aveva dovuto rinunciare per il fottuto mantenimento dello status quo.
    e allora 'fanculo i genitori, am i right? la famiglia, un peso sopravvalutato: erano morti, quasi tutti, e buonanotte al cesso. Frederick e Annie avevano i loro bambini normali a cui badare, cosa se ne facevano di un adolescente ingestibile con un potere pericoloso, uno che teneva agli altri tanto quanto aveva in considerazione la propria vita (affatto)? aveva provato ad insinuarsi nella loro quotidianità, si era sforzato di giocare al bravo figlio — senza riuscirci.
    non sapeva nemmeno da che parte iniziare, tupac.
    era più facile cercare di eliminare i diretti concorrenti, piuttosto che farsi voler bene; conosceva il sapore dell'affetto perché se ne era cibato prendendo a manciate direttamente dai piatti dei loro ricordi, ma non l'aveva mai provato sulla sua pelle.
    e poi, oltre a tutti i pensieri densi come catrame gettato in un pozzo senza fondo, c'era lui. a guardarlo con quegli occhioni scuri da cerbiatto, la preoccupazione palpabile sul viso ricoperto di lentiggini. erano tutti preoccupati che potesse portarlo con sé su una strada accidentata e senza uscita, e avevano ragione: egoista come pochi al mondo, il telepate non avrebbe mai mollato la presa su more delivery peetzah-bolton. a costo di trascinarlo sul fondo, per il gusto di tenerselo vicino ancora un altro po'. «i proprietari sono d'accordo, vero?»
    dovette alzare il mento per incontrare lo sguardo del diciassettenne; un sacrificio che era disposto a compiere, ad esclusivo beneficio del maggiore. lenti batti di ciglia incredibilmente scure a sfiorare gli zigomi, e un sorriso morbido dipinto sulle labbra: nessuno avrebbe mai scommesso sulla vera natura dell'hamilton, dovendolo giudicare solo dall'aspetto esteriore. ma ciò che era davvero stava proprio li, in piedi a pochi passi da una piscina, sul vialetto lastricato della casa occupata senza chiedere il permesso. il fatto che more sapesse, e continuasse comunque a chiedere, era uno dei motivi per cui Tupac aveva scelto il mago come ossessione principale dalla quale lasciarsi consumare — era l'unico modo reale in cui sapesse amare qualcuno.
    rovinandogli la vita.
    «certo che sono d'accordo, per chi mi hai preso» il tono offeso da solo sarebbe bastato, ma lo special decise di strafare: spingendo in fuori il labbro inferiore, gli angoli della bocca piegati verso il basso sotto il peso delle insinuazioni. Condivisibili e assolutamente reali, ma questo non stava a tupac confermarlo; lui doveva solo fingersi il bravo ragazzo che non era, e more continuare imperterrito a credere che, in fondo, lo fosse davvero. capito? Una polpetta «eddai, titties! Cerca di rilassarti, vuoi? almeno oggi cristo santo» gli diede un buffetto sul bicipite, tornando a sorridere raggiante, quegli occhi che sarebbero dovuti essere chiari e limpidi già rivolti altrove «oh, arrivano»
    i suoi ospiti.
    I suoi amici per la pelle (gli altri sfigati tornati dal futuro che come lui non ricordavano un cazzo di niente).
    Il suo spaccino di fiducia (vuoi essere tu?) 🙏🙏🙏
    qualche volto conosciuto e molti altri che tupac era certo di non aver mai visto in vita sua; capitava, quando invece di un invito come le persone normali, pubblicizzavi il tuo compleanno nella casetta in piscina con volantini a tappezzare vicoli e locali di londra. Non gli importava chi sarebbe stato presente, quanto più che le persone fossero tante: più facile scappare e confondersi tra la folla, una volta arrivati gli sbirri.
    Ma di questo parleremo dopo con calma.
    «ohi, cazzoni, non dimenticate il cocktail di benvenuto» si rivolse a quelli che già conosceva, ma l’invito spassionato valeva per tutti; c’era un tavolo di plastica in giardino, e il biondo lo indicò a braccia aperte: il sopracitato drink consisteva in una caraffa piena fino all’orlo di qualcosa che odorava di fragola e antigelo, da versarsi rigorosamente ognuno per conto suo in uno dei bicchieri usa e getta lasciati affianco «tra—» diede una rapida occhiata allo schermo del telefono, prima di lascia cadere l’oggetto nel prato «venti minuti, mezz’ora al massimo arriverà la torta» insomma, quelli erano i tempi che ci metteva la polizia babbana ad attivarsi dopo aver ricevuto una soffiata «nel frattempo fate un po’ quello che volete. C’è la piscina, c’è da bere, potete prendervi un souvenir in casa»
    tanto mica era roba sua.


    We don't deal with outsiders very well
    They say newcomers have a certain smell
    You have trust issues, not to mention
    They say they can smell your intentions
    when9 june 2048
    london, UKwhere
    boarddidn't get caught
    heathens
    twenty one pilots


    allora. Il post in sé è inutile, potete anche saltare i pippotti (esistenziali) di tupacchino e leggere direttamente qui:
    - gli inviti per la festa di tup erano dei volantini che ha appeso in posti random a londra, quindi oltre alle persone che lo conoscono (più che altro bimbi 2043au) può partecipare letteralmente chiunque, sbizzarritevi (no vecchi, no perditempo).
    - l’indirizzo è quello di una villetta alla periferia di londra, con giardino e piscina. Se non avete il costume va bene lo stesso, per tupac se vi tuffate nudi o vestiti non fa differenza
    - c’è un tavolo in giardino con una caraffa che contiene del punch fatto in casa (degno erede della benza di spaco), e bottiglie varie (roba povera, quindi occhio allo stomaco): se volete qui si può fare come agli eventi, e per ogni bicchiere che il vostro pg beve si tira un dado10 in chat per vedere quanto ci si ubriaca!
    - cercasi spaccino
    - la situazione AU, tasto dolente. So solo che è il 9 giugno 2048, e se vi serve per calcolare l’età del vostro pg posso dirvi che chi ha partecipato alla missione (stiamo parlando di qualche anno fa, tempi oscuri) si è perso 15 anni nel mezzo. Nessuno si ricorda di abby, damnatio memoria, special e maghi vivono più o meno in sintonia con eguale trattamento (calci in bocca) e in questa versione del nostro mondo i pavor hanno lasciato spazio agli auror (grazie freme per il recap perché non ricordavo assolutamente nulla)
    - tupac sarebbe au!bucky, poi se volete altre info (tipo se ha mai rubato soldi al vostro pg) contattatemi pure su telegram così pensiamo a cose <3
    - e basta credo, qualunque idea abbiate per la festa (gioco della bottiglia everyone??????) sono sempre ben accette! Volevo anche fare la playlist ma al momento sto morendo, magari domani la creo così ciascuno può mettere la sua canzone 🙏
  13. .
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    louder than the voices in me
    something to believe

    per quello che poteva ricordare, aveva sempre convissuto con la rabbia, check. il sentimento, non la malattia — anche se a volte sembravano esattamente la stessa cosa: un virus capace di insinuarsi sotto pelle e contaminare il sangue, attaccare le cellule e lasciarle in vita al solo scopo di nutrirsene.
    una furia non cieca, che era sempre riuscito a tenere sotto controllo.
    non ne conosceva l'origine, ma ogni elemento che si aggiungeva ad alimentarla gli era ormai familiare; poteva tenerla a bada, lasciare che si sfogasse solo all'interno di situazioni studiate e contenute: farla pagare a quelli che importunavano suo fratello, ma era solo un esempio. la verità era che lasciarla ribollire tra le costole creava meno danni che liberarsene una volta per tutte.
    ammesso fosse possibile.
    Hans, però, non gli era così familiare.
    i tasti che andava a premere, senza nemmeno rendersene conto, non li aveva mai toccati nessuno.
    «Era inevitabile.»
    in silenzio, le spalle rilassate e la schiena piegata in avanti, check si era limitato ad ascoltare. anche se diceva cazzate, il fatto stesso che stesse parlando meritava in cambio un tentativo di ascolto. e avrebbe continuato a provare, il ventenne, nonostante la sensazione di avere un palloncino al posto del cervello, e le voci a sovrapporsi sussurrandogli all'orecchio che è quasi ora. aveva preso un respiro profondo, e poi un altro, per scacciare dalla testa chi non era mai stato il benvenuto, e lasciare ad Hans quel poco che rimaneva della sua attenzione.
    ma non era bastato ad evitare quello.
    il tasto che non avrebbe dovuto premere.
    «Non credevo potesse importarti.»
    e dillo, Hans.
    dillo che vuoi essere picchiato.
    era stato lì, in quel momento preciso, che la luna aveva preso il sopravvento.
    lei, ed il ritmico pulsare malato che apparteneva a qualcos'altrofagli male, ripetevano; ancora e ancora, alternandosi come i battiti stessi del cuore, accelerando senza lasciargli scampo. era quella, la rabbia che check vibe cercava sempre di trattenere. ne riconosceva il gusto sulla punta della lingua, la sensazione di acido e bile a marchiare la gola; familiare, ma non nei tempi e nei modi. perché li, in una notte di luna piena e ad un passo dalla trasformazione, non se lo poteva permettere di sbroccare.
    eppure.
    «Mi hai chiesto come mi sento ora, e sento. Tutto. Troppo.»
    inspirò.
    inghiottendo l'aria a piccoli bocconi, le dita a stringersi così forte sulla stoffa della coperta consunta da sbiancare le nocche.
    «Almeno una volta al giorno mi domando se ne sia valsa la pena, o se sia in grado di resistere.»
    lo sapeva, in una parte che andava via via spegnendosi del cervello, che quello sarebbe stato il momento adatto per fare la persona adulta, badger™, e mettere Hans di fronte al fatto che sì, poteva farcela. forse persino offrirsi di aiutarlo a rimanere in riga, tenerlo sotto controllo. ma nella testa del vibe c'era ormai spazio per un unico pensiero: erano i denti, ed era la fame, ed era il bisogno di mordere e strappare; ed era non credevo potesse importarti.
    diede tempo ad Hans di raccontare, perché anche volendo non avrebbe potuto interromperlo. la fatica che gli stava costando non aggredire lo special, la conoscevano solo check e dio. e chissà se l' aveva notata, il belby, la tensione dei muscoli e ogni fibra del corpo ad irrigidirsi; il verde pallido delle iridi divorato inesorabilmente dalla pupilla. raddrizzò la schiena, i piedi nudi a premere sul pavimento in legno grezzo «Spero di non averlo reso più complicato.» oh, bubi hans «non ne hai idea»
    ma ci pensate? una reazione così (melodrammatica) drastica, solo per un dubbio. che persino check avrebbe trovato lecito, se solo avesse ragionato come un essere umano, invece di elaborare le emozioni nello stesso modo di un animale in trappola — ferale.
    un briciolo di lucidità in più, e delle dimenticanze del belby se ne sarebbe semplicemente fatto una ragione: erano passati mesi, dopo tutto. una frase pronunciata al vento che il minore in piena crisi di astinenza aveva avuto tutto il diritto di non ascoltare nemmeno. ma non era lucido, check. adesso, quello strafatto era lui; e quanta fatica aveva richiesto quella manciata di parole per essere formulata ad alta voce, quanta aria troppo simile a sabbia masticata e inghiottita. un solo pensiero, aggrovigliato nell'unico angolo di cervello che la pozione antilupo gli concedeva ancora di usare.
    scese dal divano rovinato, ma non rimase a lungo in piedi.
    gli si accucciò di fronte, incurante della coperta lasciata indietro: si erano già trovati in una situazione simile, troppa pelle esposta e nessun interesse ad esplorarla. anche volendo, non avrebbe potuto fare niente per togliere lo special da un possibile imbarazzo — se la sentiva bruciare addosso, il sangue a ribollire appena sotto la superficie. una febbre, malsana, che cercava in tutti i modi di spurgare, trovare la via per uscire dal suo organismo. niente coccole nella tenda come un jacob e una bella swan finta addormentata: fuoco contro fuoco, per una volta «sei un coglione» si doveva dire, e si è detto.
    così vicino, adesso, da poter notare i dettagli che, nella testarda necessità di mantenere le distanze, si era sempre perso: una manciata di lentiggini a cavallo del naso, il tocco quasi impercettibile di grigio nell'azzurro dell'iride «non volevo che buttassi via la tua vita, l'hai dimenticato?» non tentò nemmeno di trattenere il ringhio sordo a risalire dalla gola, la mano destra già sollevata ad afferrare Hans per il bavero della maglia — uno scatto convulso delle dita sulla stoffa dettato dal puro bisogno istintivo di essere violento; la disperazione, quella, check non poteva concedersi di vederla «avrei preferito che non mi importasse. sarebbe stato più semplice»
    si erano ripromessi la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità giusto?
    non che in quelle condizioni il vibe fosse in grado di inventare balle convincenti.
    mosse la testa in avanti, piegandosi leggermente di lato, la fronte bollente a trovare un piccolo spazio nell'incavo della sua spalla; con l'impulso di mordere trattenuto a stento, perché la palla ha detto 'moderati, cazzo': la bocca sulla pelle la premette solo il tempo che bastava a ricalibrare battito e respiro, l'istante necessario a capire che non sarebbe servito.
    «devi allontanarti adesso» ma la presa sulla maglia si fece più forte.
    per rendere più chiaro un messaggio che a voce poteva venire frainteso «non voglio che tu te ne vada» se rob avesse un penny per ogni volta che un suo pg si è trovato in una situazione simile, con varie sfumature di disperazione a tingerne i bordi, adesso avrebbe tre penny; che non è molto, ma è strano sia successo tre volte — sottoni del cazzo «ma ho bisogno che stai indietro» ogni parola costò a check lo sforzo infernale di pronunciarla correttamente, come un ubriaco (e perché proprio elisa) che tenta di spiegare la sua visione del mondo nel bel mezzo della notte. raddrizzò la schiena, separandosi da Hans e lasciando per ultima la stretta che ancora li teneva uniti.
    avrebbe voluto dirgli che si sbagliava.
    non poteva fidarsi di lui.
    ma non lo fece.
    aveva più di duecento ossa pronte a spezzarsi e ricomporsi, check; il sapore metallico del sangue che già gli riempiva la bocca, lì dove i denti sarebbero cresciuti spaccando le gengive. lo aspettava il dolore, quello più puro e terribile, diventato nel tempo un conforto e una sconfitta. non poteva promettere di non fargli del male, ma per qualche ragione
    assurda,
    illogica

    bastava ci credesse lui.

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  14. .
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    PE accumulati sulla carta fidelity: 20
    scheda livelli:
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    jay, euge, murphy, barry

    [gruppo 2]
    mehan, marcus, eddie, joni

    [gruppo 3]
    ty, clay, check, moka
  15. .
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    «non sono venuto qui per riflettere»
    oh, com'era stato bravo il vibe ad ignorare quella semplice risposta. che diceva tutto, e non diceva niente, a meno di non volerci ricamare sopra un significato che nella realtà probabilmente nemmeno esisteva.
    non era il tipo, check.
    preferiva tenere i piedi ben piantati a terra, piuttosto che fantasticare; era un estimatore della verità, per quanto spesso dolorosa, perché a quella ci si poteva preparare — farsi trascinare in un au delulu voleva dire essere colti alla sprovvista dal dolore, non avere nemmeno il tempo di pensare a reazione e contromossa.
    ma non era un giorno come gli altri, quello.
    non una sera come le altre.
    e, per quanto ammetterlo anche solo con se stesso gli creasse un fastidioso peso proprio al centro della cassa toracica, nemmeno Hans era una persona come le altre.
    tenne le iridi verde acqua fisse sullo spicchio di luna appena visibile, così pallida e brillante da imprimersi come a fuoco nella retina: se avesse chiuso gli occhi, di questo ne era certo, avrebbe continuato a vederla attraverso le palpebre, un miraggio nel deserto che in realtà era la peggiore delle trappole. «ingannevole, bugiarda.» aveva solo iniziato a raschiare la superficie, Hans. abbastanza perché il vibe tornasse a dedicargli la propria attenzione, distogliendo lo sguardo dalla finestra — era ancora in grado di farlo, ma non per molto «a modo suo racconta la verità. una che nessuno vorrebbe sentire» fu tentato di aggiungere altro, ma qualunque pensiero fosse riuscito a formulare gli morì sulla punta della lingua. non era facile mettere insieme le parole giuste, quando ogni rumore si faceva ovattato, i suoni e gli odori più acuti e pungenti, la testa svuotata da tutti i cazzo di pesi del mondo. registrò l'avvicinarsi del belby, check, e reagì istintivamente raddrizzando la schiena, le gambe ad incrociarsi sotto la coperta che teneva ancora stretta in grembo.
    allerta.
    guardingo, come solo un animale selvatico e ferito poteva essere, privato delle sue abituali difese e per questo esposto, vulnerabile; pericoloso.
    si erano già trovati in una situazione simile, check e hans, schegge di vetro infranto a fare da contorno al loro secondo incontro, ma la disperazione del ventenne in quel caso non aveva intaccato il suo autocontrollo. ora, la possibilità di fare del male al minore era concreta e reale — ma valeva anche il fottuto contrario: se solo hans avesse voluto, avrebbe potuto affondare il coltello nella ferita e rigirare la lama. non esistevano filtri che il custode fosse in grado di sfruttare, ora che l'influenza della luna piena e della pozione antilupo stava raggiungendo il culmine.
    si chiese, distrattamente, se il belby si fosse reso conto di quanto ogni sua reazione sarebbe stata lenta, inutile, un tentativo nemmeno troppo ostinato di proteggere se stesso «Puoi chiedere se vuoi.» ed eccola li, la risposta. non aveva nemmeno estratto il coltello, hans, come check era convinto chiunque altro avrebbe fatto.
    batté lentamente le palpebre, registrando solo in modo inconscio quanto fosse faticoso tenere aperti gli occhi e le mani ferme: si sentiva spinto in avanti, il vibe, compresso e tirato dal desiderio di sporgersi e farsi più vicino. perché non sentiva un cazzo di quello che diceva il pirocineta (ma check, e i sensi ipersviluppati? eh), MICA PER ALTRO «credo che nessuna delle mie domande avrebbe senso, a questo punto» era passato troppo tempo, non erano affari suoi, e una in particolare non avrebbe trovato ragione d'essere nemmeno se l'avesse posta il giorno stesso in cui hans era andato in overdose: perchè non sei venuto da me.
    ma che cristo di domanda era.
    scosse leggermente la testa, rivolto al ragazzo ma anche a se stesso, scacciando quel pensiero che per mesi gli aveva bussato nella scatola cranica come un tarlo; non abbastanza forte da costringerlo a fare qualcosa in proposito, però. si era informato sulle condizioni del pirocineta, quando quei due minuti di battito assente erano diventati di dominio quasi pubblico (dai figurati se mood non l'ha saputo in qualche modo.), ma il coraggio si tornare di fronte alla loro finestra mica lo aveva trovato. era un grande estimatore della verità, check vibe, ma evidentemente non quando questa riguardava loro due «ma puoi sempre dirmi come ti senti ora» lo osservò da sotto le ciglia corvine, la testa leggermente reclinata di lato per ovviare alla differenza di altezza. sentì ancora una volta l'invito a sedersi sul divano malmesso risalirgli su per la gola, e come pochi minuti prima lo ricacciò indietro inghiottendo aria che sembrava non bastare mai.
    «perchè sei venuto qui, hans?» questa volta si sporse davvero, i gomiti a premere contro le ginocchia, entrambi i pugni chiusi sotto il mento «avrei potuto—» il pensiero prese forma nella testa di check, ma le labbra rimasero sigillate.
    capirlo
    fermarti
    aiutarti
    .
    neanche quello aveva senso.
    conosceva una sola modalità, check vibe, e a quella si era attenuto quando, dopo San valentino, aveva bussato alla porta di Dustin con l'unica richiesta (civile, discreta, con nessun sottointeso di minaccia da leggere tra le righe) di non procurare più la roba al belby. non sapeva funzionare altrimenti, e i risultati si vedevano «manca poco» una lieve stretta nelle spalle, le iridi verdi incapaci di abbandonare la figura del pirocineta: preferiva concentrarsi su di lui, a quel punto, piuttosto che ascoltare tutto il resto: la luna, a baciargli la schiena nuda, una voce orribilmente familiare dal profondo della foresta, i propri intrusive thoughts da strafatto.
    hhh.

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
49 replies since 27/3/2022
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