If I had it all I'd be dead in a week, if I had my way I'd be king for a day

KaRiAtIdE-fail!!!1!!11 - yomo-pewpew

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    Per quanto non sia più una rarità, ahimè, notare malati e moribondi sul ciglio della strada, abbandonati a se stessi, oramai anche - e soprattutto - nel mondo babbano, ciò che il destino riserva per kariatide questa volta è inaspettato. Curioso e, per certi versi, intrigante. Ma yomo, che passa per caso da quelle parti, non può saperlo: ciò che sa, ciò che vede, è una la figura di kariatide accucciata a terra, le dita tremolanti strette attorno al braccio di un uomo moribondo, il volto chino come a voler leggere qualcosa. E quando si avvicina - vuoi per curiosità, vuoi per accertarsi che vada tutto bene, vuoi per aiutare... - anche yomo legge ciò che sta leggendo kari: delle coordinate. E a quel punto l'uomo raccoglie le ultime energie rimaste, occhi spalancati; stringe la presa sulla maglia di kari e vi sussurra, vi prega, di andare.
    Dove? Beh, ma nel punto indicato dalle coordinate, ovviamente.
    KaRiAtIdE-fail!!!1!!11
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    Non è che Thor odiasse la politica. Il fatto è che non ci capiva nulla. E gliene importava ancora meno.
    E le andava bene così.
    O almeno, così era stato per i precedenti diciotto anni della sua vita.
    Anche se non aveva voluto riconoscerlo prima, qualche avvisaglia, in realtà, c’era stata anche prima, soprattutto quando si era trovata, suo malgrado, davanti a ingiustizie che persino un cieco sarebbe riuscito a vedere. Come quella volta, in quel locale, quando suo fratello Fred aveva cercato di spiare dei fintamente rispettabili purosangue che confabulavano. Se già allora il mondo era sbagliato e faceva schifo, pieno com’era di odio e discriminazioni, adesso non solo si era arrivati alla follia più totale, ma la si era completamente superata.
    Thor poteva fingere che tutto andasse bene quanto voleva, ma stavolta non sarebbe bastato.
    Non dopo la guerra.
    Se n’era tenuta lontana, un po’ per scelta, un po’ per costrizione, ripetendosi che tutto si sarebbe sistemato, che le cose sarebbero tornate allo statu quo. Ma tante persone erano morte e il mondo aveva fatto una capriola, portando tutto, e tutti i rimasti, a testa in giù.
    E in effetti si sentiva proprio così, quel giorno, camminando per Hogsmeade. Le lezioni erano finite e da lì a poco avrebbe dovuto sostenere i M.A.G.O. (send help pls): quale migliore rimedio all’ansia se non un giretto per la via più losca del villaggio magico? Aveva una missione, oltretutto: trovare le goccine di Roberta, quelle con le quali, secondo Joni, sarebbe andato tutto per il meglio. Non sapeva, allora, che sarebbero servite a non farle mordere i personaggi del Cluedo vivente (cosa? Cosa); credeva solo che potessero essere un buon rimedio per l’ansia che, volente o nolente, cominciava a farsi sempre più fastidiosa.
    Ma non erano solo i M.A.G.O. il problema. Era… tutto. Dall’idea (terribile) che presto avrebbero cominciato a ritenerla una persona adulta (a meno che non la segassero alla maturità per la sua incapacità, cosa molto probabile – tratto da una storia vera) al mondo devastato dalla guerra in cui era costretta a vivere. Per non parlare del nuovo statu quo.
    Non era mai stata una persona ansiosa, né desiderava diventarlo. Eppure, adesso, quella paura così sottile da risultare invisibile la accompagnava sempre, coprendola come una seconda pelle. Le serrava la gola e le faceva pizzicare gli occhi.
    Ecco perché aveva bisogno delle goccine.
    E perché, quando vide quell’uomo addossato al muro di mattoni, in un angolo se possibile ancora più losco di tutto il resto della vita, sentì le budella contorcersi e non poté fare a meno di avvicinarsi. Per quanto ferale e violenta, non era cattiva, Thor. Era lavativa e menefreghista, ma non riusciva, e non voleva, chiudere gli occhi davanti alla sofferenza altrui.
    Invece di attraversare la strada per salire sul marciapiede opposto ed evitarlo, continuò per quello in cui si trovava a passo spedito, fino a raggiungere l’uomo. Sembrava proprio messo male… Dopo aver preso un respiro gli si accucciò accanto. «Salve. Si sente bene?», cominciò con solo una punta di esitazione nella voce. Sebbene non le piacesse l’idea che si sapesse in giro, perché ne andava della sua reputazione di bestia, a Thor piaceva aiutare gli altri. Era più forte di lei, le veniva naturale. Tuttavia, di solito il suo raggio d’azione era molto limitato e ristretto a persone conosciute, e fidate. Approcciarsi a uno sconosciuto era nuovo e… intrigante, a suo modo.
    Arrossì, sentendosi in colpa per quel pensiero. Non voleva aiutare l’uomo per sentirsi bene lei, ma per… aiutarlo, appunto. «Posso fare qualcosa per lei?»
    Lo vide muovere le labbra, ma non sentì nulla. Con un brivido si avvicinò un po’ di più, invitandolo con un cenno a ripetersi. Di nuovo l’uomo parlò, o meglio, ci provò, ma Thor non capì niente una seconda volta. Lui sembrò infervorarsi, ma poi si spense ancora di più, motivo per cui, spaventata, la tassorosso gli afferrò un polso, le dita che tremavano, per accertarsi di sentire ancora il battito. Era lì. Flebilissimo, ma c’era. «Sign-» Si interruppe, riuscendo finalmente a cogliere qualcosa. Erano… numeri? Parlava di gradi… quindi temperature? No, quello era un punto cardinale… Inavvertitamente gli strinse il polso più forte, comprendendo.
    Erano coordinate.
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    curioso.
    addirittura intrigante.
    se il Fato avesse messo meh nella terribile condizione di trovare per primo il moribondo, probabilmente quelle due parole sarebbero state le ultime a passare per la testa del ragazzo. aveva affrontato una guerra, mehan tryhard, eppure era ancora capace di farsi prendere dal panico per cose che si potevano risolvere mantenendo i nervi saldi — non proprio il suo punto forte.
    e certo non in quel periodo così delicato.
    perché non sapeva cosa cazzo fare, e se questa condizione normalmente non gli aveva mai creato problemi, ora che riguardava i suoi migliori amici il ventunenne ne avvertiva tutto il dannato peso sul petto: nemmeno (inserire numero imprecisato qui) sane sessioni di skin care in compagnia di erin erano riuscite a sciogliere un nodo già così intricato da far pensare che fosse ormai tardi. tardi per riprendere da dove avevano lasciato, ma anche per ricominciare.
    lo aveva letto negli occhi chiari di Halley, ritrovandosi quasi ad annegare in un mare di tristezza e rassegnazione che gli aveva tolto momentaneamente il fiato.
    lo aveva percepito nel tono di voce asciutto con il quale hunter aveva dichiarato la sua intenzione di andarsene, il più lontano possibile, e la sensazione di venire colpito in faccia da ogni singola parola era stata più che reale. tangibile.
    aveva fatto qualcosa per impedirlo? no.
    perché era stato anche lui sul campo, dalla parte opposta; e di parole, quando servivano davvero, non ne aveva trovata nemmeno una. per quanto potesse sembrare coraggioso e sfrontato nelle situazioni più rischiose, mehan rimaneva quello che nel cuore in fondo era sempre stato: un codardo.
    «thor?» forse, se non avesse riconosciuto la ragazzina china sul corpo, non si sarebbe avvicinato ulteriormente. Gli ultimi avvenimenti avevano insegnato al tryhard una legge non scritta che, con tutta probabilità, avrebbe dovuto imparare molti anni prima: chi pensa per sé campa cent'anni. se la teneva chiusa nel petto, nascosta tra le costole, da dove non potesse affiorare ogni volta che si guardava allo specchio; odiava, seppur incapace di ammetterlo ad alta voce, non riconoscere il cento per cento di se stesso nell'immagine che la superficie riflettente gli restituiva. Qualcosa non andava negli occhi nocciola, la linea delle labbra sottili sempre un po' troppo piatta e tirata — avrebbe volentieri dato tutta la colpa alla guerra, ai milioni (milioni, cristodio) di morti, al suo migliore amico che aveva tentato di uccidersi già una decina di volte senza rendersi conto, mannaggialaputtanahunter, quanto dolore provocasse negli altri invece che a se stesso.
    Ma la verità era che, in primis, gli mancava suo fratello.
    Tremendamente, come un arto strappato via dal corpo del quale ancora si sente la presenza fantasma: avvertiva il prurito, mehan, ma non c'era niente da grattare.
    E non poteva dirglielo, perchè Behan stava bene lì dove stava: lontano dall'orrore, dalle lacrime, dalla morte. al sicuro «hai bisogno di aiu-» la mano destra del ventunenne, istintivamente avvolta attorno alla bacchetta, ricadde lentamente lungo il fianco mentre si sporgeva oltre la schiena china della tassorosso e, alla fine, registrava anche la presenza del moribondo. Un uomo come tanti, portato allo stremo, a malapena in grado di parlare «e' ferito? » chiese direttamente a thor, prima di accucciarsi a mezzo metro dalla ragazza, le dita di nuovo a sfiorare la superficie lignea del catalizzatore: oltre alla lezione sul farsi i cazzi propri, quei tempi oscuri gliene avevano insegnata una seconda, altrettanto fondamentale.
    fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
    «signore, è stato aggredito? Riesce a parlare?» per poco, quando l'altro aprì gli occhi, inghiottendo un infinitesimale quantità di ossigeno, mehan non si capottò all'indietro. Se quello era già il momento per piangere, era fucking pronto. Ma l'uomo non era uno zombie carnivoro pronto a mangiargli il cervello (porzione scarsa, amico mio), e dalla gola gli uscì solo un borbottio rantolante e colmo di fatica: abbastanza importante, però, da consumare le sue ultime energie per ripetere quanto già sussurrato a thor, e mettere entrambi al corrente del segreto che, con tutta probabilità, aveva rischiato di portarsi nella tomba.
    Anche perchè, un attimo dopo, era morto.
    Si, scusa saretta, palla ha deciso così.
    «ma mannaggia alla-» portò entrambe le mani a premere contro la bocca, il tryhard, soffocando l'impropero contro i palmi prima di usare i polpastrelli per cercare il battito sotto il mento. non sentiva niente, semicit. «ma cosa è successo? Dobbiamo chiamare qualcuno, portarlo al san mungo.. tu hai capito cos'ha detto?» dopotutto, thor era arrivata sulla scena prima di lui, magari aveva una vaga idea del pasticcio nel quale si erano andati a ficcare.


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    Thor non aveva mai riflettuto sulla sua condizione. Anzi, per certi versi non se n’era mai davvero resa conto. Per lei era normale essere una privilegiata. D’altronde, come avrebbe potuto essere altrimenti? Non ci era solo cresciuta, in quelle condizioni. Ci era proprio nata. Fin dal suo primo respiro, nulla era mai stato realmente difficile, per lei. Certo, a parte le lezioni, tanto quelle impartite a Hogwarts quanto quelle di buone maniere a casa, da MamaLama, e i noiosissimi e insensati eventi a cui, fin dalla più tenera età, i suoi l’avevano costretta a partecipare. Eventi dell’alta società, naturalmente, che a un occhio esterno sarebbero apparsi come l’ennesima riprova del suo status di privilegiata, ma che per lei erano solo interminabili torture infarcite di falsità.
    Persino gli insegnamenti dei suoi fratelli, in particolar modo Friday, non le avevano del tutto aperto gli occhi. O meglio, razionalmente Thor capiva, perché era stupida, sì, ma non fino a quel punto, ma, indolente com’era, la parte più irrazionale – e dunque preponderante – di sé era rimasta per lo più impermeabile a quella consapevolezza. Anche perché che colpa ne aveva lei, se era nata in una famiglia ricca e purosangue? Se aveva passato ogni istante della sua vita coccolata e protetta, per non dire viziata, come alle volte le faceva notare Sandy, tra tutti gli agi e le comodità? Se il resto del mondo era rimasto qualcosa di lontano, che non la riguardava davvero?
    Ma poi aveva cominciato a capire.
    I suoi amici che venivano presi di mira. I fischi a Kaz la prima volta che era salito sulla sua scopa modificata, l’istintiva necessità delle furie di non lasciare mai solo lo special, per quella non detta paura che potesse succedergli qualcosa.
    E poi tutto era precipitato nel caos e nella distruzione più totali.
    La guerra.
    Negli occhi sempre più vitrei dell’uomo, Thor vide riflesso il suo privilegio. Se non fosse stata tanto fortunata, su quel marciapiede avrebbe potuto esserci lei. Cosa aveva fatto per meritare la vita che aveva? Assolutamente nulla.
    Sentendosi chiamare, in un primo momento pensò fosse solamente la voce della sua coscienza, finalmente risvegliatasi da quel torpore lungo quasi due decenni. Ma di solito non aveva quel suono. Assomigliava di più ai borbottii di Joni, o alle urla di Dylan. Alle volte assumeva la melodia delicata di Sana, o il fare esagitato di Kaz.
    «hai bisogno di aiu-»
    «Sì, io non…», rispose d’istinto, trovando infine la forza per girare appena il capo e intravedere un viso sì conosciuto, ma che non scorgeva così spesso. «Meh, non so cos’abbia, non… »
    «è ferito?»
    Sospirò e strinse le labbra, tornando a guardare l’uomo, il cui sguardo era sempre più assente. «Non lo so… Ha cercato di dirmi qualcosa, ma non sono riuscita a capire… Forse…»
    Agitata, lasciò che anche il ragazzo provasse a domandare qualcosa all’uomo, senza però ottenere nuovamente risposta. Istante dopo istante, l’agitazione si tramutò nella rabbia che la contraddistingueva. C’era qualcosa di diverso, in realtà, rispetto al solito. Qualcosa che nelle ultime settimane non aveva fatto che acuirsi, facendole provare uno sconforto che, fino a quel momento, non aveva mai conosciuto.
    Thor si sentiva impotente.
    Sapere di non poter fare niente, di essere inutile, la dilaniava dentro. A cosa serviva essere lì, far parte del mondo, se non era capace di rendersi utile?
    La mano stretta intorno al polso dell’uomo, lo sentì ripetere quei numeri. Come avesse fatto a pensare alle coordinate non lo comprese, ma sentiva che doveva trattarsi di quello. Anche se probabilmente non avrebbe risposto, per l’ennesima volta, era pronta a subissarlo di domande.
    «Cazzo.»
    «ma mannaggia alla-»
    «È morto.»
    O forse no, visto il suo constatare l’ovvio.
    Rimase immobile, continuando a stringere quel pezzo di carne ormai immobile. La sua mente registrò solo di sfuggita le dita di Mehan sfiorare il collo dell’uomo. Non aveva mai visto una persona morta. Non davvero, almeno. Le lezioni a Hogwarts l’avevano posta svariate volte in quella situazione, ma non era mai stato reale. Nemmeno quando era mancata la bisnonna De Thirteenth, non tanti anni prima, l’aveva vista. I suoi genitori non avevano voluto che entrasse a vederla, e lei, stranamente, non si era opposta.
    «È morto», ripeté, stavolta con tono più basso, e ancora più laconica di poco prima.
    Non era da lei farsi prendere dal panico. E neanche provare qualcosa, al di fuori della furia cieca. Non era da lei sentirsi così totalmente annullata… e sconvolta.
    «ma cosa è successo? Dobbiamo chiamare qualcuno, portarlo al san mungo.. tu hai capito cos'ha detto?»
    Rendendosi conto di stare ancora toccando quella pelle che, instante dopo istante, diventava sempre più fredda, Thor lasciò andare la presa, stringendosi le cosce con le mani con così tanta forza da farsi quasi male. «Non lo so.» Di nuovo quel senso di impotenza. «Passavo di qui e… l’ho visto. Ho pensato che stesse male, che potesse avere bisogno di aiuto… Ma non ha risposto a nessuna delle mie domande, come delle tue.» Faticava a riconoscere la sua stessa voce. «Quei numeri…» Si voltò verso il Tryhard, faticando a mettere a fuoco i suoi occhi scuri, dato che i propri parevano offuscati da qualcosa. Qualcosa di fin troppo simile alle lacrime. «Sembravano… coordinate? Forse vuole… voleva… che andassimo da qualche parte…?»
    Sapeva che era una pessima idea.
    Ecco perché non sarebbe riuscita a togliersela dalla testa.
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    «È morto» i muscoli del viso cedettero, e mehan poté soltanto abbassare lo sguardo sulla propria mano. anche se già lo sapeva, anche se i polpastrelli non avevano percepito alcun battito, la constatazione dell'inevitabile lo prese comunque in contropiede. non disse nulla, limitando i propri movimenti al ritrarre le dita ora chiuse a pugno: sentiva il gelo della pelle ormai priva di vita arrampicarsi sulla sua, anche se si trattava solo di una sensazione — il corpo dell'uomo era ancora caldo «non possiamo lasciarlo qui» banale, scontato, un filo di voce più roca del solito a graffiare la gola.
    avrebbe voluto stare peggio, mehan.
    sentirsi morire a sua volta, provare lo shock che era previsto una persona normale provasse di fronte ad un uomo appena morto.
    ma aveva visto il sangue. ossa spezzate. espressioni contorte dal dolore e dalla disperazione. aveva guardato persone aggirarsi come zombie con ferite che nessuno avrebbe mai potuto curare, in attesa della fine — una fine solitaria, perché non avevano più nessuno con cui condividerla. parte di quel sangue lo aveva versato lui; quelle ossa, aveva contribuito a spezzarle; il dolore, lo aveva visto riflesso negli occhi di chi gli stava di fronte, nemici per un giorno, senza nemmeno sapere le ragioni.
    si era convinto non ce ne fossero, meh.
    il che rendeva tutto più semplice e, al contempo, più terrificante.
    fece per alzarsi, le dita della mancina ancora strette attorno alla bacchetta. l'intenzione, almeno quella iniziale, era di smaterializzarsi con il corpo fino al San Mungo, pregare non facessero troppe domande. ma gli occhi chiari (e lucidi?) di Thor lo inchiodarono sul posto, a movimento iniziato «Quei numeri…» già, i numeri. non che il tryhard avesse volontariamente finto di non averli sentiti per evitare di doverci pensare, figurarsi. «Sembravano… coordinate? Forse vuole… voleva… che andassimo da qualche parte…?» mehan non era moka, quindi non poteva sospirare e bestemmiare insieme, ma almeno la prima cosa se la concesse.
    aria calda soffiata tra i denti fino a svuotare i polmoni, un secondo di troppo prima di incamerare altro ossigeno. sembrava tanto un modo facile per cacciarsi in qualche casino, e probabilmente lo era; alle parole della de13 il venti... non ricordo quanti anni ha chiuse gli occhi, le palpebre improvvisamente pesanti. avrebbe potuto fare un'altra strada, svoltare a quell'angolo precedente invece che continuare dritto, farsi convincere a passare da Madama Piediburro per salutare Erin pur sapendo che avrebbe finito con attirare l'attenzione della ragazza ad ogni occasione buona, e gli altri clienti lo avrebbero un po odiato. per quello non ci era andato — posso passare a trovarla a casa dopo il lavoro, si era detto. prendendo la stessa strada, continuando dritto, ritrovandosi con un cadavere tra le mani.
    «thor.. sinceramente non penso che sia nostro compito—» aveva riaperto gli occhi, e tentato di dipingere sul volto l'espressione che avrebbe avuto un qualunque adult badger degno di questo nome di fronte ad una ragazzina. era più grande, seppur di pochi anni, e gli toccava questo ingrato compito: a lui, capito? mehan barolo tryhard, che se lasciato unsupervised rapiva i fidanzati degli amici e li teneva in ostaggio per interrogarli. ma dovette bloccarsi, il resto della frase a morire sulla punta della lingua.
    perché lo sguardo di Thor era più risoluto del suo.
    non che ci volesse molto.
    [sospiro doppio]
    «ok, ok va bene. almeno cerchiamo di capire dove sia questo fantomatico posto. vorrei evitare di ritrovarmi in Colombia» anche se... mettere su una piantagione di coca.. insomma aveva sicuramente qualcosa su cui riflettere. prese il telefono dalla tasca della giacca, santo sia il 5G e i babbani che l'avevano scoperto (inventato??? non era certo di come funzionassero certe cose, meh. a lui bastava poter entrare su Instagram e guardare i video di tiktok con i cuccioli), pronto a trascrivere le coordinate non appena la rossa gliele avesse dettate «credo anche che dovremmo scrivere due righe da lasciare insieme... al corpo, spiegando cos'è successo» once a lawful neutral— quello, insomma.

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    «non possiamo lasciarlo qui»
    Thor fissò Mehan, faticando ad associare ai suoni un significato. Perché sapeva che il ragazzo aveva ragione. «Sì.» Ma sapeva anche di avere paura.
    Non era una persona cattiva, Thor, e non voleva neanche che gli altri la ritenessero tale. Una bestia, questo sempre. Qualcuno di cui avere, appunto, paura, ancora di più. Ma cattiva… paradossalmente, in un modo o nell’altro, andava contro la sua stessa natura. Era pronta e, anzi, vogliosa di fare male, solo a gesti e mai a parole, eppure la realtà era che lei, le persone, desiderava proteggerle.
    E allora perché adesso aveva paura?
    Perché si sentiva cattiva?
    Sapeva che Meh aveva ragione e che non potevano lasciare quello sconosciuto lì, morto, ma le gambe le formicolavano dalla voglia di fuggire il più lontano possibile. Voleva togliersi quell’immagine dagli occhi, dimenticare quest’ultimo tassello insieme a tutto il resto del quadro. Quel quadro che, giorno dopo giorno, si faceva sempre più grande, tanto che ormai era impossibile distinguerne i lati. Non era più un quadro, ma la realtà. Un mondo dilaniato dalla guerra, dall’odio, dalla morte.
    Sentì Mehan muoversi e d’istinto voltò il capo a guardarlo, sospirando mentalmente appena sollevata all’idea di non avere più davanti il viso immobile dell’uomo. Non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma sperava, anzi, desiderava con tutto il cuore che il Tryhard prendesse la situazione in mano e si comportasse da adulto della situazione quale era. Thor non era una scaricabarile, ma per tutta la vita era sempre stata abituata a non essere mai lei quella adulta e, ancora peggio, responsabile. Certo, di recente Friday aveva cercato di aprirle gli occhi e di farle capire che era arrivato il momento di quantomeno tentare di comportarsi da persona vagamente funzionale, ma il cambiamento aveva bisogno di tempo per attecchire. Anche perché Thor non voleva essere adulta. Non si sentiva pronta.
    E infatti, invece di fare quello che un adulto responsabile e normale avrebbe fatto, ovvero chiamare i soccorsi e accompagnare l’uomo – il cadavere – al San Mungo, la tassorosso si buttò sulla cosa più stupida e insensata che poté ricavare da quella macabra situazione: le coordinate.
    Al sospiro di Meh avrebbe potuto, anzi, dovuto, ritrattare, ma la sua paura della morte, e dell’età adulta, e della responsabilità, rinsaldarono ancora di più dentro di lei quella convinzione.
    «Magari… anzi, di sicuro è il suo ultimo desiderio…»
    «thor.. sinceramente non penso che sia nostro compito—»
    «È il minimo che possiamo fare, dato che…» Nonostante gli occhi lucidi, il suo sguardo era fermo, proprio come il suo tono. Tuttavia, le ultime parole si persero sulle sue labbra, in un non detto che non aveva davvero bisogno di essere espresso.
    Trattenne il respiro, inavvertitamente, vedendo invece Mehan fare l’esatto opposto. Quando rilasciò il fiato, questo rischiò di sembrare pericolosamente simile a una mezza risata. La Colombia. Perché no. Non che avesse un’idea precisa di dove fosse, ma magari, laggiù, la guerra non era arrivata così tanto. Con un piccolo cenno del capo, sorrise appena e chiuse gli occhi, concentrandosi per ricordare la sfilza di numeri. Peccato però che dietro le palpebre comparve subito la figura innaturalmente immobile dell’uomo, con ancora stampata nello sguardo quell’aria sconvolta. Deglutì a fatica il groppo che subito le era risalito in gola e si schiarì la voce, dettando ancora a occhi chiusi i numeri a Meh. «Forse troveremo la sua famiglia…?», concluse, socchiudendo piano le palpebre, per poi strofinarsele in modo da eliminare ogni traccia che potesse far pensare che lei era sul punto di piangere.
    «credo anche che dovremmo scrivere due righe da lasciare insieme... al corpo, spiegando cos'è successo»
    Stavolta fu lei a sospirare e a tirare fuori il telefono. «C’è un modo più… veloce.» Strinse forte le labbra, ripentendosi mentalmente di potercela fare. Dylan e Giacomino le avevano aperto un mondo, spiegandole i segreti della tecnologia babbana. Era tutto assurdo e decisamente magico, ma non era il momento di farsi delle domande. Si rialzò in piedi e tese una mano al Tryhard per aiutarlo a fare lo stesso: sapeva che dopo una certa età le ginocchia non erano più quelle di una volta. «Tu cerca di capire dove… dove portano quelle. Io…» Sospirò ancora, e fece partire una chiamata anonima.
    Non era brava come Kaz a dissimulare la propria voce, ma era comunque passabile. E dovette ripetersi ancora e ancora che era come uno di quei vecchi film gialli che Giacomino li aveva costretti a vedere.
    Cosa c’era di più adulto del fare una soffiata anonima al San Mungo sul ritrovamento di un cadavere?
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    Scusa, non so più scrivere e non ha senso.

    E ti ho smollato la patata bollente (gnam gnam) delle coordinate, da brava non adult badger quale sono.
     
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    non è che a mehan non piacesse l'avventura.
    era sempre stato il tipo di ragazzino che, con la giusta spinta sulla schiena, si sarebbe buttato a capofitto in qualunque casino; spesso incurante delle conseguenze, o dei pericoli. ma, appunto, doveva esserci la spinta: non una motivazione in sé, un obiettivo, il raggiungimento di un ideale — era stato il primo a sollevare dubbi e tirarsi indietro, quando amalie shephard era scomparsa insieme a troppi altri, e erin aveva preso sulle sue spalle il peso di qualcosa che andava oltre l'immaginazione di tutti loro.
    all'epoca, aveva giustificato se stesso ricordando al mondo di avere solo sedici anni.
    una famiglia della quale non voleva rischiare l'incolumità.
    erano diventate molto in fretta scuse banali, scontate, il frutto malato della paura. e allora cosa lo aveva convinto, alla fine? hunter. nicky. halley. suo fratello. le lacrime sul volto di erin mentre stringeva convulsamente a sé un altrettanto terrorizzato scott chipmunk. erano loro, la sua spinta — a leap or faith, direbbe qualcuno. senza gli amici, senza la sua famiglia a trascinarlo in un salto nel vuoto ad occhi chiusi, mehan tryhard tentava sempre di rimanere in bilico sul bordo, appeso ad un filo invisibile ma resistente. «È il minimo che possiamo fare, dato che…» rimase in silenzio, attendendo la fine scontata di una frase che Thor non sembrava in grado di pronunciare. non la forzò: avrebbe voluto dirle che non lo avevano ucciso loro, e trovare un uomo morente non implicava essere automaticamente in debito di qualcosa, ma tenne comunque le labbra sigillate. premute così forte una contro l'altra da arrivare a sbiancarle.
    non che al resto del viso fosse rimasta alcuna traccia di colore.
    prese il telefono tra le mani perché sembrava più facile che guardare negli occhi la ragazza, e con qualche tentennamento dovuto al lieve tremolio impacciato delle dita riuscì finalmente a digitare le coordinate. niente Colombia, per i nostri gemelli del destino «è un posto in Francia che non so pronunciare.» abbasso la toxic masculinity, mehan ammetteva sempre le proprie mancanze. ruotò lo schermo verso Thor, mentre quest'ultima era già impegnata in una telefonata che l'ex Grifondoro si era sin dal principio rifiutato anche solo di elaborare (mica per niente aveva proposto di lasciare un biglietto, eh), così che anche lei potesse leggere lo scioglilingua offerto da magigoogle maps: Chenonceaux. ma un nome normale questi mangialumache no?
    attese pazientemente
    vibrando a frequenze altissime
    che la de13 chiudesse la comunicazione, prima di stringersi nelle spalle e offrirle una mano aperta «ascolta, Thor. andiamo, chiediamo un po in giro, e torniamo. se sento anche solo odore di pericolo ti trascino indietro, siamo d'accordo? » non aveva idea di quello che avrebbero trovato una volta giunti a destinazione. su quello, le informazioni date da internet non erano di aiuto: gran parte del territorio transalpino portava ancora i segni della guerra, città completamente rase al suolo e piccole comunità di sopravvissuti ai quali fare domande poteva rivelarsi una scelta sbagliata. non il momento o il luogo migliore per farsi tirare in mezzo ad un altro casino, e il tryhard aveva tutta l'intenzione di evitare il peggio fin quando gli fosse stato possibile.
    attese un cenno positivo da parte della rossa, prima di annuire a sua volta e stringere le dita intrecciandole a quelle di lei.
    chiuse gli occhi, immaginando dietro le palpebre un paesaggio che non aveva mai visto davvero, rughe profonde a scavare nella fronte per l'intensa concentrazione: avrebbe potuto lasciare che si smaterializzasse da sola, la l'ultima cosa che voleva era giungere a destinazione e non trovarsi Thor al fianco.

    [stacchetto tattico]
    [BONJOUR MOTHERFUCKERS]
    [ho dimenticato di dire che controlla i documenti dell'uomo per sapere almeno come si chiama, dai saretta pensaci tu]

    «sembra quasi che il. tempo si sia fermato» non era quello, lo scenario che meh si aspettava di trovare. Chenonceaux, con i suoi 363 abitanti censiti e le minuscole casette tipiche della Loira (???), sembrava essere uscita da una favola per bambini: l'orrore e la distruzione, per qualche inspiegabile motivo, l'avevano completamente ignorata passando oltre. non aveva ancora lasciato andare la mano di Thor, e tutto considerato andava anche bene così «è irreale, non trovi?» allungando il collo, il corpo sporto in avanti sulle punte dei piedi, poteva vedere in lontananza quella che doveva essere l'unica vera attrazione del luogo — il fucking castello di chenonceau.
    quasi sprezzante, nel modo in cui si era mantenuto inviolato, ogni pietra perfettamente al suo posto.
    molte opere più famose non avevano avuto la stessa, sfacciata fortuna.
    per quanto ne sapeva mehan, alcune città nessuno si era preso la briga di ricostruirle, lasciando fantasmi di cemento e legno e mattoni circondati da altrettante anime sepolte in cimiteri di fortuna; aveva letto, di sfuggita e senza mai più riaprire l'articolo, che per molti dei corpi sotterrati non era stato possibile nemmeno trovare un nome. nessuno avrebbe saputo che erano li, sotto tombe anonime e due metri di terra. l'idea di aver contribuito a mandarci qualcuno, in quelle fosse a cielo aperto, scavava costantemente tra le costole del ventunenne, graffiando con le unghie per penetrare la barriera che si era costruito intorno al cuore quando dalla decisione di partecipare agli scontri aveva capito di non poter più tornare indietro.
    «dobbiamo trovare qualcuno e chiedere—» diede una rapida occhiata attorno a sé, iridi cioccolato ad accarezzare le viuzze completamente deserte, le finestre delle case basse quasi tutte chiuse «ammesso ci siano ancora delle persone» a giudicare dall'ordine e dalla pulizia, si sarebbe detto di si. poi, che avrebbero avuto voglia di parlare con loro, o dove minchia fossero finiti tutti, quelli erano altre paia di maniche.

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    gets tremendously upset by trivial things

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    Thursday De Thirteenth
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    Con una freddezza e ancora di più con una calma che su Thursday De Thirteenth appariva del tutto illogica e irreale, l’ex tassorosso spiegò a chi le rispose all’altro capo del telefono l’accaduto. Avrebbe persino potuto passare pe professionale. Per adulta. Descrisse le condizioni dell’uomo, l’esatto svolgersi degli eventi e diede precise indicazioni sul luogo. Lei, che era in grado di perdersi persino all’interno della tenuta dei De Thirteenth, sebbene ci abitasse da praticamente tutta la vita. L’unico posto in cui non si perdeva, fatta eccezione per il campo da quidditch, era Hogwarts. E l’appartamento delle gemelle a Londra, ma lì era impossibile farlo, visto quanto era piccolo.
    Riattaccò il telefono prima che la voce dall’altro lato potesse chiederle ragguagli sulla sua identità, lo sguardo concentrato su Mehan e ben lontano dal corpo accasciato a meno di due passi dai loro piedi. Poco prima le stava dicendo qualcosa su un luogo impronunciabile: si sporse verso il telefono che le stava avvicinando e tentò di leggere. Strinse le palpebre, cercando di decifrare quel nome, le lezioni che di francese che i suoi avevano cercato di farle prendere totalmente buttate alle ortiche (un po’ come i vari insegnanti privati, che erano scappati uno dopo l’altro sostenendo di non voler più avere a che fare con quel demonio dai capelli rossi). «Certo che i francesi non ci provano neanche per sbaglio, a non essere anche solo vagamente sopportabili», brontolò, arrendendosi all’evidenza di non poter riuscire in nessun modo a leggere quel maledetto nome. Era un modo come un altro, quello, per cercare di allontanare da sé il terrore e il dolore per quello che era appena sucesso.
    Ma tutto si vanificò quando staccò gli occhi dallo schermo e tornò a puntarli su Meh, che le stava porgendo una mano e… stava sostenendo la sua proposta? Sollevò appena le sopracciglia sorpresa, non esattamente abituata a essere lei a dettare legge, dato che preferiva essere la mina vagante della situazione, anche se subito si rabbuiò per quel finale. «Non sono una bambina, Meh», gli fece notare con una smorfia che, naturalmente, creava tutto l’effetto contrario. Quante volte aveva sputato quelle parole in faccia ai suoi fratelli? E quante volte loro le avevano fatto notare che, con quell’espressione, sembrava esattamente una bambina? Il successivo: «Grazie», le uscì dalle labbra in un soffio quasi inudibile, accompagnato da un improvviso bruciore delle guance e delle orecchie. Si affrettò ad affossarlo riprendendo a parlare risoluta: «L’odore di pericolo è ovunque, che ci piaccia o no. Lo sento anche ora». Ed era vero, purtroppo. Sentiva odore di pericolo… e di morte.
    Gli afferrò la mano senza fare domande e senza esitazione, ma solo dopo essersi tuffata sull’uomo cantandosi mentalmente una delle stupide canzoni k-pop tanto amate da Dylan, come se quel motivetto allegro cantato da bei faccini potesse proteggerla dalla realtà. Non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia nemmeno attraverso la telecamera del telefono, mentre scattava qualche fotografia frettolosa ai documenti che, poi, gli lasciò ben in vista sul petto, per quando sarebbero arrivati i soccorsi. Continuando a gridarsi le parole in musica nelle orecchie cercò di convincersi che non aveva appena profanato un cadavere, che non aveva toccato di nuovo un corpo morto, una persona che forse era lì, senza vita, anche per colpa sua, si raddrizzò, e afferrò la mano di Mehan. Era calda, tremante, viva.

    «sembra quasi che il. tempo si sia fermato»
    «Ed è tutto così… bello C’era un’altra parola che le frullava in testa, o meglio, un concetto, che però non riuscì a esprimere ad alta voce. Meh, in ogni caso, aveva completamente ragione. Lì il tempo sembrava non essere trascorso. Non solo quello da quando erano state costruite tutte le deliziose casette e il castello che sorgeva dall’acqua, ma anche quello più recente. «Com’è possibile che qui…? La guerra…?» Di nuovo, Thor non riuscì a trovare le parole. Istintivamente strinse la mano di Mehan, sorprendendosi che fosse ancora lì, le dita intrecciate alle sue, ma non la lasciò andare. Perché adesso, insieme alla paura, insieme alla colpa, c’era qualcos’altro.
    «Irreale! Ecco!», concordò, alzando appena la voce e tornando a dargli una stretta. Era la parola che cercava! No, anzi, ci andava vicina. «Sì, è irreale e… innaturale Rabbrividì, continuando a guardarsi intorno, perché quello spettacolo era indubbiamente bellissimo, ma c’era qualcosa che non andava. Anzi, decisamente più di qualcosa. «C’è calma.»
    «dobbiamo trovare qualcuno e chiedere—»
    «Troppa calma.»
    «ammesso ci siano ancora delle persone»
    «Dove sono gli abitanti?»
    Sospirò e smise di guardare in giro, per girare il capo e lanciare un’occhiata all’ex grifondoro. «È inquietantissimo, cazzo», ammise quasi in un ringhio, tornando a rabbrividire. «Se qui non si è combattuto… non dovrebbe essere un posto sicuro? Magari ci sono incantesimi potentissimi che hanno protetto tutto e tutti…» Non aveva senso, eppure ne aveva. «Lui… si chiamava Zin… Zined…» Sbuffò, non riuscendo minimamente a pronunciare quel nome, e con la mano libera tirò fuori il telefono dai jeans, mostrando a Meh la foto che aveva scattato al documento dell’uomo e che recitava Zinedine Pacesoir. «Pacesoir», ripeté, con una pronuncia sballatissima e stentata, arricciando le labbra.
    Quel posto era bellissimo e irreale e inquietante e deserto e… «Ehi, guarda lì!» Indicò quella che aveva tutta l’aria di essere una casetta di legno. «Per informazioni, tirare», lesse e, facendolo, senza lasciargli andare la mano, si trascinò dietro Mehan.
    Non si chiese perché fosse riuscita a capirlo e, dunque, perché fosse scritto in inglese. Non lo ritenne strano o sospetto.
    Non colse nemmeno la reference, perché era una bestia e non aveva visto IL film.
    Tirò.
    hufflepuff
    2005
    red fury
    This Is Me TryingTaylor Swift</td
     
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