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    obliviontober 2023 settimana 2 // mini prompt: "luna"

    06zITwWrnVhSLJ


    il rosso sangue è perché nel frattempo avevo davanti gli occhi la partita e volevo piangere, ciao zia scusa è andata così bacini a fred e a te smack

    (textures: cypher-s, ravenorlov &&alkindii)
  2. .
    guadalupe garcia ramos
    fotogragia#101
    semilla de odio sembraste y odio brotó del corazón;
    tú solo fuiste el culpable que en mi naciera el rencor.
    La guerra aveva innescato micce in tutto il mondo e situazioni come quella in cui si ritrovava Guadalupe in quel momento erano ormai molto frequenti, non solo a Londra – magica e non; la differenza non c'era più – ma ovunque.
    Non si sentiva nella posizione di condannare i non magici, ma non era nemmeno una grande loro ammiratrice di quei tempi: poteva capire da dove nascesse il loro malcontento e cosa ci fosse dietro le loro reazioni a dir poco esagerate, ma non poteva comunque dire di supportare il modo in cui si stavano ribellando: non capivano che non sarebbe bastato, che non avrebbe portato a nulla se non ad altre rappresaglie, altre guerre, altra morte?
    Tentare di farglielo capire sarebbe stato inutile, chiusi nel loro odio e incapaci di vedere oltre. Lupe avrebbe affrontato quella situazione come affrontava la vita: con la mente lucida, con le parole e con la solita imperturbabilità. Era pronta a far dialogare anche quel branco di animali feroci – perché non erano altro, belve messe alle strette dalle azioni e dalle scelte di altri – anche a costo di doverlo fare con le brutte maniere.
    L'idea di avere una spettatrice, una possibile incognita, non le piaceva. Strinse la presa intorno alla tracolla e alzò il mento con aria sicura. «sono certa che nessuno di loro voglia farsi del male.» asserì, ponendo enfasi sulle proprie parole, sicura che avrebbero capito l'antifona: dopotutto, fino a prova contraria, era lei quella armata di una bacchetta, e solo degli stolti avrebbero portato delle armi da fuoco ad uno scontro magico.
    O dei disperati.
    Ma poi che modo era quello: definirli “rissosi” non era il modo per far sbollire il gruppo, o calmare gli animi. Fece un cenno alla signorina, e strinse le labbra in una piega severa. «la ringrazio, ma non ce n'è davvero bisogno.» più una sfida rivolta agli aggressori, che non una rassicurazione per la sconosciuta: non c'era un minimo accenno di paura nello sguardo scuro che Guadalupe puntò sul gruppo.
    «uccidono per molto meno»
    Vero, purtroppo: le esecuzioni pubbliche erano divenute sempre più frequenti, e molto di rado di ritagliava del tempo per dei processi giusti e imparziali. La ragazza aveva ragione, ma forse ricordare ai babbani quanto poco riguardo avessero i maghi per le loro vite non era forse l'argomentazione migliore per convincerli a desistere.
    «se proprio volete fare rivoluzione o morire, è inutile mettersi nei guai con persone a caso per strada che magari non c'entrano niente o che potrebbero addirittura aver combattuto per almeno provare a salvarvi»
    Un tentativo valoroso e valido, quello della mora, ma forse non necessario: Guadalupe non era molto convinta che parole del genere avrebbero fatto breccia nell'odio e nel furore del gruppo. Non c'era peggior sordo di chi non voleva saperne di ascoltare, e i babbani avevano sofferto troppo per poter chiedere loro di prestare ancora attenzione. La disperazione non conosceva limiti, e soprattutto non lasciava spazio alla razionalità o alla lucidità.
    «sul serio, señorita, non penso sia una buona idea–» uno dei babbani fu più veloce di Lupe, e tagliò corto le sue raccomandazioni: con un movimento lesto, si avvicinò minaccioso alla ragazza e alzò un'arma contro di lei, a giudicare dal riflesso scintillante sulla superficie metallica, doveva essere una spranga o una lunga lama. Bene, ma non benissimo.
    «e le nostre famiglie, centravano forse qualcosa? tutte le persone uccise nelle loro case, strappate via da figli e genitori e amici–» la voce dell'uomo, bassa e roca, trasmetteva tutta l'ira che si poteva leggere anche nel suo sguardo. Lupe lo riconobbe come lo sguardo di qualcuno che aveva perso tutto, tranne una ragione per combattere e cercare, per quanto possibile, una vendetta; non avrebbe portato un sonno tranquillo, ma almeno un po' di pace in un cuore dilaniato e sofferente.
    Come avrebbero detto alcuni suoi colleghi: cool motive, still murder. O tentato, in quel caso.
    «la colpa è vostra. di tutti quanti.» lo vide agitare l'arma e, per la prima volta da quando era stata accerchiata, Lupe portò la propria mano a cercare il catalizzatore nascosto nella tasca della giacca.
    Non voleva arrivare alla violenza, ma non sarebbe rimasta con le mani in mano, o in disparte, e avrebbe tentato di contenere gli aggressori al meglio delle sue capacità se ce ne fosse stato il bisogno.
    26.01.96
    teacher
    toxicologist
    semilla de odio
    saffy martinez
  3. .
    guadalupe garcia ramos
    fotogragia#101
    semilla de odio sembraste y odio brotó del corazón;
    tú solo fuiste el culpable que en mi naciera el rencor.
    Era una persona tendenzialmente pacifica, Guadalupe Garcìa Ramos.
    Era una donna paziente.
    Era una studiosa, era riflessiva e calma, era pacata; non perdeva facilmente le staffe, né con gli studenti né con Franklyn Daniels — anche se il pirocineta riusciva a mettere a dura prova il suo autocontrollo nella maggior parte delle occasioni, ma nulla che la professoressa non potesse superare con uno sguardo duro e un’espressione serrata.
    Non erano molte le cose in grado di scuoterla, o di preoccuparla; viveva una vita molto serena, che non aveva mai contemplato incidenti e intoppi, poiché organizzata fino all’ultimo dettaglio in una tabella di marcia che Guadalupe seguiva attentamente, con dedizione, e alla lettera. Tutta la sua vita era basata sulla metodologia e sull’ordine; il caos non era previsto, e anzi, era fortemente condannato dalla Ramos. Non poteva tollerarlo, non poteva accettarlo.
    Eppure, in quegli ultimi mesi, nel mondo non c’era altro se non quello: disordine, e follia.
    Se n’era resa conto subito, sin dal primo momento, da quel discorso pronunciato nella piazza di Hogsmeade e trasmesso in tutto il mondo: le parole di Abbadon avevano fatto germogliare un seme che era stato piantato fin troppo tempo prima, e che avrebbe portato solo caos e scompiglio. Di quello, Guadalupe, ne era stata certa sin da subito; aveva alzato gli occhi sui suoi colleghi, riuniti in fretta all’inizio del comunicato, e l’aveva saputo.
    Da quel momento in poi, non si sarebbe più tornati indietro.
    Tutti erano stati chiamati a fare una scelta, a schierarsi, e anche se il buon senso suggeriva loro di scegliere Abbadon per ovvi motivi, Guadalupe sapeva che non poteva essere quella la scelta migliore. Non quella volta. Lei credeva nel governo mangiamorte e nella politica, credeva in Kimiko Oshiro e aveva accettato la sua posizione nel momento in cui aveva deciso di rimanere in pianta stabile in Inghilterra — ma non poteva accettare che fosse Seth a salire al potere.
    Come potevano farlo gli altri?
    Non avevano studiato la storia? Non sapevano che i dittatori erano dittatori in qualsiasi forma, babbana, magica o special? Come potevano supportare il folle piano di Abbadon? Guadalupe non negava che alcune argomentazioni dello Special fossero convincenti, e persino lei poteva ammettere di trovarle affascinanti e perché no, una novità dietro la quale schierarsi… ma non al prezzo di ciò che sarebbe costato al mondo intero. C’erano modi meno violenti per convincere i babbani; e se la storia insegnava che solo i conflitti risolvevano le cose, beh, allora nessuno aveva mai davvero capito affondo alcun conflitto mondiale. Perché non si poteva rompere quel circolo vizioso di guerra e morte e distruzione e, semplicemente, dialogare come le persone mature? Perché doveva sempre prevalere una posizione piuttosto che un’altra, portando ad anni e anni di malumori e popolazioni amareggiate e nascita di gruppi anarchici ribelli: non vedevano come tutto si ripetesse alla stessa maniera ogni volta? Ogni. Santissima. Volta?
    Non era un’ingenua, Guadalupe, sapeva bene che parlare non fosse sufficiente; che la razza umana fosse difettosa e avara ed egoista e complicata e testarda e per natura insoddisfatta — ma non rimaneva un buon motivo per voler spazzare via un’intera porzione di mondo. Quello che i babbani avevano fatto ai maghi per secoli non giustificava quello che Seth avrebbe fatto, di lì a poche settimane, ai babbani stessi.
    E sì, era la stessa cosa che i maghi avevano fatto agli special, se ne rendeva conto, ma come già detto: ripetere continuamente la storia non avrebbe mai portato a veri cambiamenti. Mai.
    Non poteva certamente essere l’unica al mondo a pensarla così, no?
    Si meravigliava di come molte delle sue conoscenze fossero state pronte a imbracciare le armi, a sguainare le bacchette, e a partire per morire in nome… di chi, esattamente? Di cosa? Di un megalomane che non assicurava alcuna protezione alla specie magica? Lo sapevano tutti che Abbadon non fosse il fan numero uno di maghi e streghe purosangue; che li vedesse come una macchia, come la rovina della società, come la base della piramide sociale; che la sua unica premura fossero gli special, i suoi figli. Come potevano credere, quindi, che quella guerra avrebbe portato a qualcosa di buono per tutti colori i quali non avessero magia diversa nelle vene? Come potevano averci creduto — averci sperato?
    C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui Abbadon riusciva ad ammaliare la gente e a convincere le folle a smuovere mari e monti per la sua causa; qualcosa che la mente razionale, cinica e fredda, di Guadalupe non aveva voluto accettare.
    Non poteva.
    E ora che il danno era fatto, che la guerra era stata conclusa e vinta, ora era il tempo di tirare le somme e contare i danni. Impossibile correre ai ripari, oramai; molti di quelli che erano scesi in campo seguendo le parole di incoraggiamento di Seth, se ne erano pentiti. Molti erano stati beccati a sussurrare piano che non ne valeva la pena, non ne era mai valsa la pena, non quando a perdere la vita erano stati fratelli e sorelle, amici e amanti, genitori e figli — da ambo i lati.
    Alla stupidità - e alla fragilità - umana non c’era mai fine, si ritrovò a pensare ancora una volta Lupe. Anche quello, l’aveva sempre saputo. Ma era bello potersene rendere conto ogni giorno di più: le permetteva di tirare un sospiro di sollievo e pensare che, dopotutto, non era cambiato proprio tutto.
    Solo che le cose erano cambiate, e lo vedeva tutti i giorni a scuola; lo vedeva tutti i giorni al San Mungo; e lo vedeva nei negozi, nelle piazze, nelle strade. C’erano special e maghi e babbani che percorrevano vie mescolandosi tra loro; e i maghi avevano preso il controllo di governi babbani e di infrastrutture, stavano pian piano conquistando tutto quello che la guerra non era riuscita a toccare, perché troppo delicato per essere preso con la forza, troppo delicato.
    E intanto il mondo andava avanti, le lezioni erano riprese, il ballo era stato organizzato, e le attività commerciali riaperte; si fingeva che non ci fosse mai stata nessuna Guerra della Primavera Magica, ma nessuno era davvero in grado di ignorare tutte le cose che erano, di fatto, mutate.
    Gli sguardi delle persone, ad esempio; sempre più ostili, sempre più indisponente. Lupe li vedeva ogni volta che attraversava Londra per raggiungere il San Mungo — ormai non più nascosto agli occhi dei babbani, ma imponente nella sua immutabilità. Erano sguardi che, di solito, Guadalupe evitava perché il conflitto era una cosa che preferiva tenere per pochi intimi; e, solitamente, circoscritto alla camera da letto: Ginevra Linguini era l’unica persona con cui Guadalupe decideva volontariamente di ingaggiare contrasti verbali, scontri tra intelletti. Perciò, anche quel giorno, aveva tenuto la testa alta e le spalle dritte quando alcuni babbani avevano rivolto dei commenti sprezzanti nella sua direzione, senza cedere all’istinto infantile di informali che anche lei non godeva più di una posizione rinomata, non se ne erano forse resi conto? In quanto mezzosangue era appena un gradino sopra i purosangue, ma non bastava per essere all’altezza in quel nuovo ordine delle cose.
    Dunque, perché non prendevano le loro lingue biforcute e le loro parole di odio, e non se ne andavano altrove, da qualche altra parte dove forse qualcuno li avrebbe ascoltati e accontentati?
    Perché se era uno scontro che cercavano, non l’avrebbero trovato nella guaritrice.
    Senza deviare dal suo cammino (non si sarebbe fatta intimorire da un gruppo di babbani arrabbiati e fuori di testa), Lupe continuò verso la propria metà — fermandosi solo quando il gruppo, ormai troppo vicino, la accerchiò e iniziò a chiederle se fosse sorda, se fosse stupida, se non avesse capito che stavano parlando con lei.
    «volevo farvi un favore e non ingaggiare in simili scenate,» li informò, stringendo la tracolla della borsa che poggiava sulla spalla destra, «quindi vi sarei grata se poteste fare lo sforzo di non mettervi in ridicolo da soli, e lasciarmi passare.» Non si sarebbe messa ad urlare, non avrebbe chiesto aiuto: non aveva paura, aveva affrontato bulli per tutta la vita e ne era uscita sempre a testa alta e più forte di prima.
    «questo atteggiamento non risolverà i vostri problemi» e nemmeno i suoi.
    E, anzi, le avrebbe fatto fare tardi a lavoro.
    «con permiso» Non era troppo contraria all’idea di prenderne uno o due a spallate, pur di farsi strada. E lo avrebbe anche fatto, se solo non avesse incontrato lo sguardo di un’altra persona, poco distante dal gruppo, che la osservava di rimando. Qualsiasi fossero i suoi pensieri in quel momento, Lupe decise di informare la persona sconosciuta che «non ne vale la pena», onde evitare che decidesse di percorrere la via meno matura e ingaggiare una colluttazione con i babbani.
    26.01.96
    teacher
    toxicologist
    semilla de odio
    saffy martinez
  4. .
    guadalupe garcía ramos
    Quatro pasos quiero acordarme
    Quatro pasos ya sé
    Tu me quisiste, yo te quise
    Cinco pasos ya sin perderme
    Tanto me alejé
    Cinco pasos y te perdoné


    1996 ✧ erbology teacher ✧ toxicologist
    ¿Y cuándo volverás?
    (Surtout ne m'attends pas)
    ¿Cuando volverás?
    (J'ai fait le premier pas)
    ¿Cuando volverás?
    Un día o jamás
    «come il lievito madre e i peperoni sott’olio, a ognuno le proprie metafore no?»
    Sbuffò una risata leggera, annuendo. «Claro, come il lievito madre e i peperoni sott'olio.» Se le piante erano la comfort zone di Lupe, e vivaio (per rimanere in tema) più frequente da cui attingeva per metafore di ogni genere, quello riguardante la cucina del Bel Paese era senza dubbio l'essenza stessa di Gin. In un primo momento Guadalupe aveva trovato molto peculiare (per non dire strambo) i continui riferimenti a cibo e condimenti da parte dell'italiana, ma col tempo aveva capito che fossero parte del corredo genetico, come la fede calcistica e l'orientamento politico; erano anche quelli tutti piccoli tasselli che, una volta messi insieme, davano forma all'opera d'arte che era Ginevra Linguini.
    Solo a guardarla, e a specchiarsi negli occhi chiari della minore, certe volte Guadalupe faticava a rendersi conto di come avesse potuto avere così tanta fortuna da incontrare precisamente ciò di cui aveva avuto bisogno, nel momento stesso in cui l'aveva necessitato; una qualsiasi altra persona, pur nello stesso spazio fisico e temporale, non avrebbe smosso le acque nella maniera in cui aveva fatto Gin, e non avrebbe dato vita all'effetto farfalla, se così vogliamo, che era stata in grado di scatenare la proprietaria del bar.
    «ma ne vale la pena, sono d’accordo»
    Lupe strinse leggermente la mano di Gin, ancora stretta alla sua, per dimostrare che la pensasse davvero anche lei allo stesso modo, prima di lasciarla libera di sciogliere la presa e giocare distrattamente con le dita, accarezzando il palmo e i polpastrelli e l'interno del polso, tutti gesti che, una carezza alla volta, uccidevano la professoressa — che tentò ugualmente di rimanere stoica e non far leggere il minimo accenno di cedimento sul volto serio e giovane.
    Non era brava con le parole, non quando non aveva qualcosa da spiegare o delle analisi da comunicare o dei sintomi da descrivere; c'era un motivo se Lupe aveva scelto, per tutta la vita, come unica compagnia libri e piante — ed era che questi fornissero tutto ciò di cui la donna avesse bisogno, senza mai pretendere nulla in cambio, se non un po' di cura e amore che Lupe era più che disposta a concedere.
    Ma le persone? Erano tutto un altro paio di maniche.
    Guadalupe non era fatta per i fragili rapporti interpersonali, e lo dimostrava il fatto che avesse pochissime conoscenze, e ancora meno persone che potesse definire amici — quei pochi che aveva, poi, erano la definizione stessa di casi umani, ed era stato forse proprio quello ad intrigare (e a far cedere) la donna. Solo personalità di un certo tipo (brillanti, particolari, anche un può fuori di testa...) potevano sperare di far breccia nel carattere selettivo della messicana; e solo una porzione di questi poteva sperare di rimanere.
    Ginevra era una di quelle, e la fortunata, in quel caso, era Guadalupe. Se ne rendeva conto ogni singolo minuto passato con la minore, a ridere per le sue lamentele quotidiane, o a storcere il naso all'ennesima maliziosa presa in giro nei suoi confronti.
    Era solo giusto che, dunque, lei ricambiasse il favore di tanto in tanto.
    «forse non dovresti usare questo tono con me qui dentro, dietro al bancone ci sono almeno due miei cugini e fin quando non vi sbrigherete a promuoverli la sfida che potrei proporti potrebbe non piacerti» Arricciò il naso, le labbra cremisi a prendere una piega tirata, meno divertita di qualche istante prima. «sto contando i giorni che ci separano dalla fine dell'anno» le confessò, spingendosi in avanti con i gomiti sul tavolo, «ti offenderesti molto se qualcuno di loro non arrivasse a festeggiare Pasqua?» chiedeva, perché le sue piantine carnivore era da un po' che non assaggiavano nulla di diverso da topolini e insetti, e alcuni sostenevano che la carne umana le rinvigorisse parecchio — era tentata ogni giorno di provare questa teoria, usando un Linguini qualsiasi come vittima sacrificale. Ammorbidì l'espressione, le labbra a piegarsi nuovamente in un sorriso. «scherzo» forse. Magari non del tutto. «ci pensi, solo qualche mese e niente più Linguini in giro a bighellonare per i corridoi» sembrava quasi un sogno, che nessuno la svegliasse! E sì, aveva sempre detto che non avrebbe parlato male, di fronte a Gin, dei suoi cugini ma ogni tanto andava detto — e avrebbe potuto essere molto più cattiva di così!
    Ma Gin aveva ragione: c'erano almeno un paio di Linguini sempre in agguato lì al bar, e non voleva rischiare di ricevere una sfida che poi non avrebbe potuto permettersi di accettare; purtroppo era ancora fermamente convinta che non fosse una buona idea uscire allo scoperto con ancora così tanti parenti dell'italiana tra gli studenti della Ramos. Ma, se il cielo e le intenzioni dei Linguini ancora studenti, fossero stati dalla loro parte, nel giro di qualche mese avrebbero potuto finalmente dare a quella relazione una connotazione diversa, e smetterla di nascondersi da occhi indiscreti.
    Ma per il momento, era meglio di no.
    «quindi se proprio vuoi conoscere il tuo regalo puoi accettare questa sfida al buio e con riserva per quando il momento sarà più opportuno, o puoi provare a convincermi qui ed ora che le enchilladas siano meglio delle lasagne»
    Finse di pensarci qualche istante, un dito a picchiettare contro il mento, soppesando le due alternative. «credevo avessimo deciso che sono sullo stesso livello» o così ricordava di quel battibecco quando, ubriache di cibo, sesso e anche un (bel) po' di vino, erano finite con l'accettare che, ciascuno a modo suo, entrambi i piatti fossero da considerarsi patrimonio dell'umanità. «ma sai cosa? accetto la sfida al buio» quei mesi in compagnia di Ginevra l'avevano ormai temprata: era pronta a tutto. «ma non lo faccio solo per il regalo» lo faceva anche perché, sotto sotto, un po' masochista lo era e il brivido dell'ignoto, e di una sfida accettata a scatola chiusa, davano nuova vita ad un'esistenza altrimenti spenta, e arida — tanto per rimanere in tema di metafore.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  5. .

    guada
    lupe
    garcía ramos


    • deatheater
    • twenty-six
    • toxicologist
    • erbology teacher
    Se la cartomante le fosse stata più simpatica, con ogni probabilità Lupe al «ma se mi succede qualcosa non riceverà alcun pagamento» di William, avrebbe fatto segno alla donna di non preoccuparsi: se fosse successo qualcosa al Barrow, ci avrebbe pensato lei in prima persona a pagarla profumatamente.
    Cosa?
    Sì, avete letto benissimo.
    Doveva ammetterlo: perdere il Barrow sarebbe stato triste, con il Daniels che ormai faceva security altrove (.) e passava sempre meno tempo ad Hogwarts, Lupe si era ritrovata a dover fare affidamento quasi esclusivamente sulla presenza dell’altro biondo, e una sua improvvisa sparizione avrebbe significato una grande perdita per gli esperimenti settimanali della Ramos — ma sarebbe sopravvissuta.
    Abbassò lo sguardo scuro su William, osservandolo mentre allungava la mano verso il mazzo di tarocchi e — ma pensa: le carte erano davvero stregate, e la ciarlatana facilitava davvero il passaggio ad un diverso piano atrale. Chi l’avrebbe mai detto.
    «hai visto lup-AAA???»
    «Sì, purtroppo ho visto.» Il tono di voce era fin troppo calmo, quasi da brividi nella sua freddezza; Lupe se ne stava in piedi dietro al Barrow, ancora e sempre, le braccia incrociate al petto e l’aria di chi era pronta a maledire l’intero albero genealogico di qualcuno. E perché proprio quello di William Barrow. «Ho visto benissimo.» Oh, se aveva visto: lei era lì mentre William posava i polpastrelli sulla prima carta stregata; era lì, con le mani sulle spalle del maggiore, pronta a criticare silenziosamente qualsiasi lettura avesse ricevuto.
    Era lì quando era stato spedito chissà dove proprio dagli stessi tarocchi stregati.
    Sciolse le braccia e le lasciò ricadere lungo i fianchi, guardandosi intorno. «Dove siamo finiti?» No, sul serio: dov’erano? Ad occhio e croce le sembrava di essere ancora ad Hogsmeade, sebbene non fossero più certamente nel tendone della cartomante. Beh, almeno quello era positivo.... «Per inciso: è colpa tua», e delle sue stupide idee. «Dovevo lasciarti entrare da solo— il mercato nero degli organi non era poi male, come ipotesi.» Potremmo stare qui a parlare di quanto “non lo avrebbe mai fatto perché vuole bene a Will” ma la verità è che Lupe lo avrebbe fatto; e rifatto. Se aveva scelto di accompagnare il Barrow all’interno della tenda, e accettare così tutte le dannate conseguenze, era solo perché ogni tanto decideva di dare retta alla voce nella sua mente che si raccomandava, con un tono di voce spaventosamente simile a quello delle sue zie, di provare a fare qualcosa di diverso per una volta — magari il risultato l’avrebbe sorpresa.
    Oh, in quella situazione lo aveva fatto di certo: in negativo.
    Borbottò qualche parola in uno spagnolo così stretto che dubitava Will l’avrebbe compresa, ma alla fine tornò a prestare attenzione al ragazzo. «Se adesso esce fuori qualcuno per derubarci o ucciderci, ti offro come vittima sacrificale.» Lo minacciò, chinandosi leggermente per afferrare il catalizzatore infilato nello stivale di pelle marrone. Bacchetta che poi puntò contro William, con fare ammonitore. «Barrow avvisato, mezzo salvato.» E, così dicendo, castò un Lumos per illuminare la via, nella speranza di ritrovare in fretta quella per il castello.
    Senza ulteriori intoppi, per inciso. Chiedeva troppo?
    Avrebbero potuto smaterializzarsi, certo, ma poi la role finisce e non so eli cosa voglia fare, quindi passeggiatina sia.

  6. .
    guadalupe garcía ramos
    Quatro pasos quiero acordarme
    Quatro pasos ya sé
    Tu me quisiste, yo te quise
    Cinco pasos ya sin perderme
    Tanto me alejé
    Cinco pasos y te perdoné


    1996 ✧ erbology teacher ✧ toxicologist
    ¿Y cuándo volverás?
    (Surtout ne m'attends pas)
    ¿Cuando volverás?
    (J'ai fait le premier pas)
    ¿Cuando volverás?
    Un día o jamás
    Erano tante le cose che Guadalupe aveva dovuto ammettere, nel corso di quell'ultimo anno e mezzo, di non sapere riguardo se stessa. O, per meglio dire, le cose che aveva male interpretato. Che non aveva capito.
    Era sempre stata convinta che il suo scarso interesse nei confronti sia di relazioni amorose che degli uomini più in generale fosse dipeso da una mancanza di tempo, più che di attrazione, che sentiva di poter dedicare a impegni simili; che non aver mai cercato la compagnia di coetanei, nemmeno quando tutte le sue compagne non sembravano fisicamente in grado di stare da sole, si potesse spiegare in maniera molto semplice con poche parole: “ho progetti più grandi, per il futuro” — quel “che pensare a mettere su famiglia” sempre taciuto, non per evitare occhiate piene di compassione da parte degli altri, ma perché non reputava fossero affari di nessuno se non suoi.
    E il concetto di famiglia, poi, per i Ramos era sempre stato qualcosa di così poco concreto che Lupe non lo aveva mai assimilato davvero — o, perlomeno, ne aveva visto, analizzato e compreso solo le parti peggiori: non la desiderava, una famiglia, non se nel giro di quindici anni avrebbe poi finito col seguire le orme di sua mamma e abbandonarla. Non voleva il rancore di nessuno, alle sue spalle; peggio ancora, non voleva doversi fermare a riflettere sul perché non provasse senso di colpa alcuno per ciò che aveva fatto.
    Non voleva diventare una seconda Maricruz.
    E sapeva purtroppo che somigliava a sua madre in quell'aspetto ancor più che in tutti gli altri.
    E che dire, poi, delle due donne che l'avevano cresciuta: le sue zie, il cui unico amore era racchiuso nelle pareti a vetri delle serre di Castelobruxo, erano state modello di vita per Lupe in così tanti aspetti che, guardandosi allo specchio, non riusciva a non vedere l'influenza delle due Ramos nel proprio sguardo, nei gesti e nelle passioni — ma non l'avevano di certo aiutata a capire come fidarsi di qualcuno. Come aprirsi al mondo e lasciare che altri esseri umani entrassero nella sua vita sotto un aspetto ben diverso di quello amichevole o lavorativo. Come amare, e farsi amare in risposta.
    Perciò no, quando aveva conosciuto Ginevra Linguini, due estati prima, Guadalupe non aveva avuto alcuna idea di quello che l'incontro apparentemente casuale ed effimero nel museo, avrebbe significato per lei.
    Per entrambe, certo, ma soprattutto per lei.
    Aveva capito tante cose di sé a partire da quel momento, specchiandosi negli occhi vispi dell'italiana, che era anche difficile tenerne il conto; tante cose che, cadendo in fila e trovando il loro giusto posto, incastrandosi nella complicata ma perfettamente collaudata macchina che era Guadalupe Maria Soledad García Ramos, spiegavano molto di lei.
    Occhi che, dunque, Lupe incontrava sempre con un misto di reverenza e sfida, quasi volesse invitarli a dirle altro, a farle capire qualcosa in più, qualcosa di nuovo, ad ogni sguardo rubato o concesso. Per questo motivo non si fece trovare impreparata quando, non senza un pizzico di malizia Made in Gin, la minore la sfidò con un «non funziona in questo modo, non è mica così facile».
    Le sorrise, placida, la curva delle labbra cremisi ad ampliarsi leggermente. Aveva imparato ad accorgesene. Ma d’altronde, a chi piacevano le cose facili? Di certo non a Guadalupe. Il modo in cui Ginevra sapeva sempre, esattamente quali tasti pigiare per suscitare in lei qualcosa era davvero impressionante.
    Degno di nota.
    E rispettava quel sentimento che negli ultimi tempi la professoressa aveva sentito nascere dentro e con il quale stava ancora cercando di venire a patti. Sostenne lo sguardo di Gin quando la definì “boomer” – non aveva tutti i torti, infondo – senza cadere nel tranello: era vero, Guadalupe non utilizzava nemmeno le emoji perché era quel genere di boomer. «Sai che preferisco una telefonata,» le rispose, con semplicità e una scrollata di spalle, aggiungendo subito dopo «o un incontro di persona. Non mi dispiace tornare anche tutti i giorni, questo locale, in effetti, è delizioso Il locale, e anche la proprietaria. Ma Lupe non era per quel genere di osservazioni esternate a voce, e preferiva tenerle per sé.
    Alla fine, l’importante era che avesse avuto successo nel suo intento, non importava il come: Ginevra era libera e Lupe poteva donarle il regalo di Natale che aveva comperato per lei.
    Far rimane Ginevra Linguini senza parole non era un compito facile, bastava chiedere a chiunque conoscesse la special per sapere che era così.
    Lupe ci era appena riuscita. Franklyn le avrebbe detto, non tanto scherzosamente, di segnarlo nel suo calendario di achievements personali. Chissà, forse lo avrebbe fatto più in la, ma per il momento voleva solo godersi l’espressione sul volto della giovane e bearsene. Non perché avesse vinto qualche stupido premio, ma perché era stata lei a suscitarla — con un gesto che, ad onor del vero, aveva stupito forse più la stessa messicana che l’altra.
    E dovette goderselo veramente quel momento, senza perdere nemmeno un guizzo dello sguardo o una vibrazione nell’aria, perché veloce com’era arrivato, sparì.
    Ginevra era pur sempre Ginevra.
    «ah beh, sarà in ottima compagnia, anche i miei cugini non hanno ancora affrontato la fase adolescenziale» su quello erano completamente d'accordo: attualmente insegnava a cinque di loro e alcuni li avrebbe collocati ancora in quella infantile. Ma erano pur sempre Linguini e, in quanto parenti della padrona di casa, Lupe temeva di non avere pieno diritto di insultarli. Peccato. Gin non si rifrenava di certo dal farlo ma, ancora una volta, erano parenti suoi, non di Lupe — il cielo solo sapeva quante cose dicesse su suo fratello, la messicana!
    Non si mosse, ma nemmeno irrigidì le spalle, quando la minore si avvicinò per lasciare un bacio all’angolo delle labbra, in un gesto chiaramente provocatorio e per nulla casuale. Così come lasciò che le prendesse la mano tra le proprie, e la stringesse un po’ a sé, ringraziandola. Il bar era poco affollato, ma non vuoto, eppure Lupe riuscì comunque a non lasciare che il pensiero di essere tra la gente la privasse di quel momento solo loro. Non era particolarmente fan delle effusioni in pubblico, ma Gin era rimasta sul discreto e la professoressa lo apprezzava.
    (Nonostante l’avesse stuzzicava volontariamente con quel bacio poco casto e puro.)
    O con quelle inaspettate parole in una lingua che non era né l’inglese, né l’italiano, ma aveva un suono che, seppur non sciolto e perfetto, la riportava comunque a casa. «gracias mi amor, yo soy muuy feliz»
    Far sorridere Guadalupe era difficile almeno quanto far rimanere senza parole Ginevra; ma in quel momento, sotto lo sguardo pieno di affetto dell’italiana, la docente di Erbologia si permise di sciorgliesi un po’; di mostrare i denti bianchi tra le labbra dischiuse, di ammorbidire lo sguardo e regalare un sorriso sincero alla sua amata.
    Sì, proprio così. Era la verità.
    «Prego Ricambiò il gesto, pronunciando quelle due sillabe in una lingua che le era poco familiare ma non sconosciuta; e non aggiunse altro, non per paura di sbagliare ma perch non c’era molto altro da dire. Non a parole, comunque. A gesti, Lupe strinse appena la presa sulla mano di Gin per farle capire che era contenta avesse apprezzato.
    «potrei insegnargli a dire culo così le nostre conversazioni sarebbero divertenti e familiari» Un’altra risata, stavolta meno dolce e più sfacciata, lasciò le labbra della prof. «Non ne dubito, cielito «ma forse qualche cliente potrebbe offendersi, ci penserò» «Non c’è fretta, ci vorrà un po’ prima che sbocci definitivamente.» Osservò la piantina non ancora germogliata del tutto, e il suo sorriso si fece un po’ più serio. «Tutte le cose belle impiegano tempo per nascere,» pensierosa, alzò lo sguardo verso Ginevra e terminò, «ma vale la pena aspettare.» Lei aveva atteso anche troppo, ed era felice di osservare i primi frutti di ciò che aveva inavvertitamente seminato nel proprio giardino.
    Li stringeva tra le mani in quel preciso momento.
    E a proposito di stringere, e di mani. Lo stava facendo; stringeva già il suo regalo — di Natale, e non solo. Ma, ancora una volta, non l’avrebbe detto ad alta voce. «significa che dovrai sudare un po’ per riceverlo, allora» «ah sì?» inarcò un sopracciglio, ricambiando l’aria di sfida della minore, «e vediamo, cosa dovrò fare? qual’è il gioco? la sfida d’altronde: non ce n’era sempre una, tra loro?!
    I give it all my oxygen,
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  7. .
    guadalupe garcía ramos
    Quatro pasos quiero acordarme
    Quatro pasos ya sé
    Tu me quisiste, yo te quise
    Cinco pasos ya sin perderme
    Tanto me alejé
    Cinco pasos y te perdoné


    1996 ✧ erbology teacher ✧ toxicologist
    ¿Y cuándo volverás?
    (Surtout ne m'attends pas)
    ¿Cuando volverás?
    (J'ai fait le premier pas)
    ¿Cuando volverás?
    Un día o jamás
    «signor Linguini.»
    Spoiler: non era il signor Linguini, ma la sua adorabile e polemica cugina.
    Oh, okay.
    L’espressione sul viso di Lupe non mutò, se non per farsi appena meno ostile; uno spiraglio di sorriso a curvare verso l’alto le labbra carnose. C'era chi si salutava con un ciao, e chi con un:
    «sembra… un culo»
    A ciascuno la propria otp.
    Anche imbacuccata come una eschimese, a quelle parole Lupe non avrebbe potuto non riconoscere la Linguini; la giornata della professoressa, suo malgrado, era appena migliorata.
    Il sorriso leggero le piegò un po’ di più le labbra, mentre lo sguardo scuro si posava con interesse sul viso arrossato dell'italiana, e prendeva nota della sua espressione maliziosa, della luce vispa negli occhi, del sorriso di chi la sapeva lunga.
    Guadalupe María Soledad García Ramos non aveva mai perso nemmeno un battito di ciglia in più del necessario per osservare qualcuno in un'ottica che non fosse puramente per la scienza, ma da quando aveva conosciuto Ginerva Linguini tutto era cambiato.
    Lei per prima.
    E ora, sempre più spesso si ritrovava ad osservare l'italiana solo perché era piacevole farlo, senza un fine o senza elementi da studiare, annotare, comprendere — per quello, in realtà, aveva già fatto pratica nel tempo, e conosceva ogni centimetro del viso di Gin, ogni neo e la costellazione di lentiggini chiarissime, ogni espressione e il loro significato intrinseco.
    La preoccupava il modo in cui Ginevra fosse diventata familiare in quell'ultimo anno, ma era anche una sensaziona piacevole, che Guadalupe non sapeva ancora spiegare. Alle volte, preferiva non farlo — ma poi si ricordava chi era e cadeva nelle solite abitudini da donna di scienza, attenta ai dettagli e alle sfumature. Era così che andava avanti, e che dava un senso a tutto quanto.
    Si mantenne seria, spalle dritte e sguardo incollato in quello della mora, le mani ancora incrociate sul libro chiuso. «a meno che, ovviamente, tu non abbia un appuntamento con qualcuno, in quel caso…» In effetti no, non aveva un appuntamento.
    Non aveva nemmeno pensato di avvisare.
    Spesso, negli ultimi mesi, si era recata al Bar dello Sport con la mera scusa di avere voglia di un caffè che potesse esser definito tale, quando in realtà lo sapevano bene entrambe che si recava lì per stare in compagnia di Ginevra — anche perché, Lupe beveva principalmente .
    Quindi si limitò a stringersi nelle spalle, un «non saprei, sei libera?» fin troppo audace per la solita Guadalupe García Ramos che tutti conoscevano, ma non di certo una novità per l'italiana, che aveva avuto modo di conoscere una Lupe ben diversa da quella che si mostrava a scuola, ma non per questo meno reale. Anzi. Sentiva di aver iniziato ad essere onesta con se stessa solo di recente, la prof. «C'è qualche argomento particolare su cui vorresti discutere Dal momento che, nove volte su dieci, i loro incontri finivano sempre in quel modo; la sua naturale predisposizione al dibattito era l'aspetto di Ginevra che aveva catturato l'attenzione della guaritrice in primo luogo, e anche ciò che la faceva tornare sempre lì per averne ancora, e ancora.
    Prevedere cosa avrebbe detto la Linguini era impossibile.
    Ma non sempre: Guadalupe aveva pur sempre in classe cinque dei suoi numerosi cugini, stava pian piano iniziando a capire come funzionava la mente italiana. Accentuò il sorriso, ricambiando quello di Gin. «Oh... pensi che la proprietaria del locale sarebbe d'accordo?» Per quanto appartarsi con lei fosse incredibilmente allettante, Lupe decise di indicarle la sedia libera di fronte a sé. «Non sono la persona adatta per interagire con altri clienti,» una confessione che non avrebbe sorpreso nessuno, men che meno Ginevra, «ma posso fare un'eccezione per te.» Ne aveva fatte molte, da quando la conosceva.
    Una volta accomodatasi, avrebbe fatto cenno alla ragazza di attendere un secondo — e se non si fosse seduta, l'avrebbe fatto comunque, indice a mezz'aria, impegnata a trafugrare con una mano in una borsetta di tela che aveva portato con sé.
    «Buon Natale»
    Poteva non essere una festività rilevante per la messicana, ma sapeva quanto Gin vi fosse legata, e Lupe conservava ancora con cura le piantine che la minore le aveva regalato l'anno precedente; ricambiare il gesto, quel Natale, era stato naturale, istintivo.
    Mise sul tavolo un vasetto, un piccolo seme a germogliare proprio nel mezzo.
    «È un baby groot,» spiegò, perché “il multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco”, cit.
    «Una volta sbocciato, assumerà delle fattezze umanoidi e sarà in grado di capire e farsi capire pur dicendo una sola parola. Sta a te decidere quale sia...» Gin, an intellectual: ipotesi.
    Si strinse poi nelle spalle, spingendo il vasetto in direzione della special. «Puoi tenerlo al negozio, non ha bisogno di particolari attenzioni se non di un po' di compagnia. E acqua, per crescere forte e sano. Al bar si troverà benissimo... Ma occhio alla fase adolescenziale,» fece una smorfia preoccupata, «non sarà una passeggiata. Tendono a sviluppare un bel caratterino.» Per usare un eufemismo; e lei, con gli adolescenti, aveva a che farci tutti i giorni.
    Che poi — non stava cercando di hintare inavvertitamente all'adozione o niente di simile, giuro, oddio ora che ci pensava forse poteva essere fraintendibile.
    Solo Ginevra Linguini era in grado di farle rimettere in discussione qualsiasi cosa; anche se stessa. Non aveva la più pallida idea di come ci riuscisse.
    Abbassò lo sguardo, Guadalupe, e si nascose dietro la tazza di tè.
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    CITAZIONE
    18) [ON] un vasetto con terra e un seme che sta germogliando. questo seme, passata una notte... diventa una specie di piccolo umanoide. Hai adottato un baby groot! (dice solo una parola - a tua scelta - ma è senziente)
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    guadalupe garcía ramos
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    Essere da soli a natale è triste.
    Un memo, quello, che non era giunto alla docente di Erbologia — e che comunque lei non avrebbe condiviso: triste era vedere gli alunni sprecare il loro (esiguo, c'è da dirlo) potenziale in favore di attività ludiche di dubbia natura; triste era il taglio di capelli di suo fratello, che ci teneva comunque moltissimo a metterlo in mostra nonostante fosse ridicolo; triste era la perseveranza con cui sua zia continuava a chiederle se si fosse fatta degli amici in Inghilterra (non il motivo, quello, per cui si era trasferita dall'altra parte dell'oceano), se si trovasse bene (nelle serre o in laboratorio stava benissimo, grazie tante), se fosse felice (in che termini si misurava la felicità?).
    Passare il Natale (o qualsiasi altro periodo) da soli non era triste; per lei era la normalità.
    Nella sua solitudine, Guadalupe, sapeva starci; non le dispiaceva, non le pesava; le capiva, lei, le persone sole. Le aveva sempre invidiate, prese a modello, in qualche modo; quando era da solo, l'essere umano tendeva immancabilmente ad essere se stesso, ad essere reale, vero. Era in compagnia di altri che metteva su maschere e modificava il proprio atteggiamento, nella speranza forse di mescolarsi a loro e di diventare parte di qualcosa.
    La guaritrice non aveva mai sentito il bisogno di appartenere a nulla o a nessuno e non avrebbe di certo iniziato adesso; c'era solamente lei, un'isola incontaminata e selvaggia che faceva capolino al centro di una distesa calma di acqua salata, alla quale, tuttavia, in pochi cercavano di arrivare, nonostante le condizioni del mare non fossero (o, almeno, non sembrassero) avverse; forse perché con le sue coste alte e frastagliate, l'assenza di spiaggia o di sentieri percorribili, dava l'aria di essere poco ospitale — beh, era così.
    In pochi avevano scelto volontariamente di incrociare il suo cammino, fare dietrofront e camminare insieme a lei; erano ancora meno le persone a cui Guadalupe aveva dato l'opportunità di farlo, quelle per cui si era concessa di modificare la propria andatura per adeguarla alla loro.
    Aveva concesso abbastanza, più di quanto avesse creduto possibile, ma nonostante tutto sentiva ancora di essere, laddove contava veramente, una persona sola.
    Non c'era nulla di male in quello: solo chi non sapeva stare con se stesso temeva la solitudine.
    Nei suoi atteggiamenti pacati e nello sguardo serio, si specchiava tutta la perfetta conoscenza che Guadalupe aveva di sé, l'enorme riguardo che aveva nei propri confronti. Teneva troppo alle sue ambizioni per potersi permettere di dedicare del tempo ad altro; non era capace di coltivare qualcosa come le relazioni, ironicamente (ma indubbiamente) arida per quanto riguardava quel particolare aspetto dell'esistenza umana.
    Faceva ridere e riflettere.
    La solitudine era un prezzo che Lupe era disposta a pagare, comunque, pur di arrivare alle proprie mete e ai propri obiettivi.
    Per di più, l'avrebbe pagata tre volte tanto se avesse avuto la certezza di sbarazzarsi di quella fastidiosa presenza che continuava a chiederle se volesse dell'altro tè o magari un caffè, un altro pasticciotto, un piatto di carbonara.
    Alzando gli occhi scuri e scrutando con attenzione il viso del Grifondoro insistente, Lupe pensò che la sua solitudine era una bendición se quella era l'alternativa.
    «No, signor Linguini,» Le parole a scivolare morbide sulla lingua, il viso sereno in netto contrasto con l'esasperazione che sentiva crescerle dentro: Romolo Linguini era un caso disperato e non aveva futuro nemmeno come cameriere. «Sono a posto così per il momento.» Vero, non c'era molto altro da fare al Bar dello Sport quando fuori imperversava una tempesta e il segnale satellitare faceva le bizze e la televisione non funzionava — ma quello era un problema del Linguini. Non di Guadalupe, armata di libro sulle piante autoctone del Sud Africa e un tè nero ancora caldo: per fortuna non andava mai da nessuna parte senza un buon libro.
    L'ultima cosa che aveva messo in conto, quel giorno, era di andare al bar e (non trovare Ginevra) rimanere bloccata lì per ore a causa del maltempo. Quella tempesta di ghiaccio e vento aveva colto di sorpresa sia lei che qualche altro cliente del bar — Lupe non si era soffermata a vedere chi (o quanti) fossero, preoccupata più di farsi gli affari suoi, cosa che avrebbero dovuto imparare a fare anche gli altri. Così, per dire.
    E, a questo proposito: «signor Linguini.» Ora c'era appena una punta di fastidio nel tono della professoressa, e sicuramente c'era risentimento nel gesto secco con cui chiuse il libro, o nella lentezza con cui incrociò le mani sulla copertina rigida. Alzò di nuovo lo sguardo, gesto che le costò estrema fatica e molto autocontrollo, per posarlo con decisione sullo studente — ma quando incrociò lo sguardo del “disturbatore”, non era il cheerleader rosso-oro.
    Guadalupe non avrebbe permesso ad qualcosa di cosi banale di dipingerle le gote di porpora, perciò rimase immobile a fissare la persona in piedi di fronte al tavolo occupato, senza provare la benché minima vergogna, né sentendosi mortificata. «Si?» Se l'avevano disturbata dai suoi studi dovevano avere un motivo molto più che valido.
    Se lo augurava (per loro).
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    CITAZIONE
    Essere da soli a natale è triste. Essere da soli a natale in un bar è ancora più triste. Essere da soli a natale in un bar ed intrappolati nel bel mezzo di una tempesta di neve è persino peggio.
    Ma sai cos’è veramente una tragedia? Essere intrappolati in un bar a natale assieme a PG.
  9. .

    guada
    lupe
    garcía ramos


    • deatheater
    • twenty-six
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    • erbology teacher
    Pur notando William annuire, Lupe non riuscì a trattenere un sospiro leggero: era chiaro, cristallino, che qualsiasi cosa avesse detto in quel frangente non sarebbe stata registrata dall’altro. Perciò rimase in silenzio, conservando la ramanzina e i “te lo avevo detto” per un altro momento.
    Seguì il Barrow oltre il tendone del circo - perché si trattava chiaramente di quello - attenta a dove metteva i piedi, riuscendo a vedere ben poco nell’oscurità che regnava all’interno: le candele messe lì per fare atmosfera e infinocchiare i creduloni non aiutavano assolutamente a distinguere i contorni dell’arredamento, né a vedere se ci fossero ostacoli sul cammino. Guadalupe maledì in spagnolo il suo amico, con una serie di insulti sibillati tra denti stretti. «È una perdita di tempo,» incalzò, richiamando l’attenzione di Will con una leggera spallata. La ragazza davanti a loro non sembrava essere molto più grande di Ginevra, e di certo non aveva l’aria della cartomante esperta.
    Guadalupe roteò gli occhi verso una nuova dimensione astrale.
    «Hai davvero soldi da buttare in ciarlatane del genere, William?» sussurrato al suo orecchio, ma nemmeno troppo perché voleva fosse chiaro che lei non ci credeva minimamente e non avrebbe finto il contrario per non ferire l’ego di quella venditrice ambulante da strapazzo. «no es que una niña.» Un po’ per rispondere alla domanda silenziosa di Will (avevano passato abbastanza tempo insieme da riuscire a decifrare persino gli sguardi — non che fosse così difficile capire il Barrow, dopotutto) e un po’ per sottolineare il fatto che non poteva davvero volere così tanto una lettura di carte da una ragazzina uscita ieri da scuola. Sorvolò sul “giovane” perché era così assurdo che nemmeno Lupe sapeva da che parte iniziare per commentarlo.
    La domanda di Will su chi fosse Nilufar palesava anche quella non espressa della professoressa, che al più si limitò a inarcare un sopracciglio in maniera eloquente: era qualcuno di cui non aveva mai sentito parlare, avrebbe dovuto? Qualcosa le diceva di no, ma non si poteva mai dire.
    Lupe non si accomodò, rimanendo in piedi dietro lo sgabello di William: qualcuno doveva pur fare l’adulto (sciettico.) responsabile e rimanere vigile. E perché proprio lei. E poi contava che, mettendo pressione all’amico in quel modo, in piedi alle sue spalle, con tutta l’ansia che quella posizione poteva comportare, avrebbero finito con l’andarsene in tempi brevissimi.
    A quel «tecnicamente potrei facilitare anche il passaggio al piano astrale, ma vi avverto che è un servizio costoso» la messicana diede un piccolo ed impercettibile colpo sulla nuca dell’altro, il primo silenzioso te lo avevo detto di una lunga serie: parlava chiaramente di volerli fare fuori, “passaggio al piano astrale” era solo una metafora. Gliene diede un altro quando rivolse le attenzioni su di lei, ma quella volta voleva dire “al piano astrale ti ci faccio finire io”.
    Sentendo gli occhi della ragazzina su di sé, Lupe drizzò la schiena. «Sono una donna di scienza.» Come se quello dicesse tutto; in effetti, lo faceva. Tornò a non dire nient’altro per un po', godendosi lo scambio tra fattucchiera e credulone.
    «O forse no Un invito implicito a smetterla, il suo, diretto al ragazzo: cosa c’era di così bello nel leggere le carte? Lo trova forse ancora più noioso e irrilevante del farsele leggere. Perché William doveva essere così maledettamente.... William?! «Sei venuto qui per farti leggere le tue, o sbaglio?» Ma la Signorina Vilmer non voleva sentire ragioni, e stava già pescando da sotto il tavolo un mazzo di tarocchi da allungare a Will.
    «I tarocchi sono personali, non posso lasciarti usare i miei.» Che sapeva molto di fregatura, erano forse truccati? Lupe arcuò ancora di più il sopracciglio alla spiegazione totalmente non richiesta e, per questo, ancor più sospetta. «Ma tengo un mazzo di riserva per le occorrezze, diciamo così.» Mh mh, credibile, assolutamente.
    Lupe incrociò le braccia al petto, notando l’insistenza di Vilmer che cercava di far prendere i tarocchi al Barrow. Magari erano stregati? Magari erano una passaporta verso l’inferno? Magari l’avrebbero trasfigurato in qualcosa da poter rivendere al mercato nero?
    Lupe sorrise impercettibilmente.
    «Dai William, accetta il mazzo che la signorina ti sta offrendo.» Così, per scienza ovviamente. Non aveva ancora cambiato idea sull’inutilità delle carte.

  10. .
    when & where
    20.01.96, el paso, tx
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    who
    (don't call her) lupe
    «il cuore della foresta»
    I ricordi di quella notte di ormai quasi un anno prima si erano andati via via sbiadendo, già mai del tutto limpidi, nemmeno al ritorno nella loro Hogwarts; erano state chiaramente memorie appartenute a Patrick Feeknas, e non a Guadalupe, che pure le aveva sentite pizzicare sulla pelle come se lo avessero fatto. Professori e ministeriali avevano convenuto che non fossero del tutto distinte le due cose: tutte le esperienze vissute quella notte erano appartenute agli studenti e allo staff della vecchia Hogwarts tanto quanto erano appartenute a tutti loro.
    Ma di tutto quello, a trecentocinquanta e rotti giorni di distanza, non rimaneva che una versione meno satura e più sfuocata, ricordi che si muovevano l’uno sull’altro fino a confondersi; la voce di un bambino ficcanaso che non piaceva a nessuno; i petali di una pianta che non aveva ragione di esistere - non lì e non in quel momento -; la luna calante alta sopra le loro teste che illuminava i sentieri della foresta; dei sonagli appesi ai rami dell’albero e un piccolo orto nascosto; una grotta e un incantesimo; una sensazione di terrore che attanagliava lo stomaco della professoressa oggi come allora.
    Le parole di una donna poi svanita nel nulla.
    Il cuore della foresta.
    Aveva creduto, in un primo momento, che la donna dai capelli corvini avesse inteso in senso letterale — per questo Lupe aveva fatto partire le sue ricerche da lì, dal punto più interno della foresta. Ma non aveva trovato nulla, non aveva trovato il centro: era troppo vasta la Foresta Proibita per avere un vero e proprio fulcro, e la Ramos dubitava si trovasse in prossimità dei confini del castello.
    Solo più tardi, mesi dopo, aveva riflettutto che potesse essere un gioco di parole; il “cuore” della foresta inteso come il punto dove qualcuno, o qualcosa più presumibilmente, era nascosto. Conservato. Ma saperlo - e non poteva nemmeno essere certa fosse quella la giusta spiegazione da attribuire a quelle parole - non aveva reso la ricerca meno complicata: i libri su cui Lupe era riuscita a mettere mano parlavano di rituali, congreghe, incontri magici e ogni sorta di ritrovo magico, in punti sparsi qua e la sulla mappa. Li aveva studiati a fondo tutti, ponendo su alcuni più attenzione di altri e soffermandosi con estrema cura su quelli che sembravano più plausibili. Aveva percorso ogni ettare della foresta armata di mappa, bacchetta e cervello, ricordando al meglio delle sue capacità i sentieri percorsi quella notte per trovare i ragazzi.
    Ricordava una grotta, il cammino che l’aveva condotta fino al gruppo — ma non ricordava da dove fosse partito il piccolo Pat: si trovava già in giro per la foresta, quando Guadalupe e il resto degli avventurieri avevano fatto irruzione nel suo tempo? Chi poteva dirlo. La grotta era la prima immagine nitida che Lupe aveva di quel giorno, e aveva passato mesi a cercare di ricollocarla nel loro tempo. Alla fine, l’ipotesi che fosse crollata secoli prima e, per questo ormai inaccessibile, aveva spento parte del suo ottimismo; ma non la voglia di arrivare fino infondo alla questione.
    Erano tornati indietro per la cura perché era esistita al tempo — ma non aveva senso.
    Qualsiasi fosse la ragione di quel viaggio, non poteva essere quella; troppo facile. Troppo perfetta. Credere che qualche forza metafisica avesse deciso di graziarli conducendoli proprio al momento esatto per mettere le mani sulle piante che poi, lavorate nella giusta maniera, avrebbero dato luce alla cura era fin troppo bello per essere vero. Guadalupe era certa che non lo fosse.
    Inoltre, non aveva ancora una risposta per la Domanda Zero: come aveva fatto quella pandemia a colpire Hogwarts, se in apparenza la causa scatenante era estinta da più di sei secoli? Non aveva senso. Nulla di quello aveva una spiegazione logica — o scientifica. Ma Lupe era ostinata, e avrebbe dato chiarezza al tutto.
    V’era anche l’ipotesi era che fosse successo tutto come doveva succedere e che il loro intervento esterno non avesse cambiato, di fatto, le sorti di una storia già scritta e destinata a compiersi in quel modo, e solo quello; ma allora, ancora una volta — perché.
    E come.
    Cosa – chi? – c’era dietro a tutto quello? Di certo non era stato un loro sbaglio, nessuno aveva inavvertitamente organizzato un rituale in grado di spedire l’intero corpo studentesco e lo staff indietro nel tempo; per di più c’era la questione degli ammalati, che non avevano vissuto nulla di tutto quello.
    Di nuovo: perché?
    Quale era la discriminante? Guadalupe aveva parlato con i contagiati, durante la loro convalescenza, mentre prendeva nota degli effetti post somministrazione della cura: alcuni avevano ammesso di non avere ricordi, di aver dormito (seppur male) per la maggior parte del tempo sonni tranquilli. Nello sguardo di altri aveva letto confusione e paura; Cavendish le aveva confessato di avere avuto “la più bizzarra delle esperienze” e di aver incontrato uno degli studenti, lì nel suo sogno — tale studente aveva contribuito solo con una scrollata di spalle e lo sguardo vuoto.
    Insomma: nessuno di loro era riuscito a fornire informazioni utili, e persino la biologia l’aveva delusa, non rivelandole alcunché. Avevano poche altre piste da poter seguire; per lo più erano nei libri di storia su cui Richard Quinn aveva cercato di mettere le mani per mesi. «credo di aver trovato qualcosa, Guadalupe.» E, finalmente, forse, le loro ricerche sarebbero state ripagate. «Informazioni su di una divinità dimenticata.»
    Portò lo sguardo scuro sul collega, sopracciglia aggrottate e labbra strette tra loro. Non ricordava di aver sentito nulla a riguardo, ma nelle grotte avevano avuto problemi più grandi: come trovare un riparo dalle pareti che venivano giù minacciando di seppellirli vivi.
    Forse l’avevano anche fatto, ma nei libri non si parlava di nulla del genere. Quell’avvenimento era stato eliminato, cancellato dalla memoria comune; se non l’avessero vissuto sulla propria pelle avrebbero potuto credere fosse stato un sogno anche loro.
    Ogni tanto Guadalupe si fermava a riflettere che forse avrebbe preferito fosse stato così.
    «forse niente che potrebbe interessare una donna di scienza come lei, temo.» Azzardò un mezzo sorriso che non raggiunse gli occhi, intenti a studiare le pagine del libro che Quinn le stava mostrando. «Arrivata a questo punto, mi interessa tutto Sì, persino paragrafi che parlavano di divinità ignorate, per qualche ragione, da secoli e secoli. «Di cosa si tratta?»
    Non mentiva quando diceva che oramai era disposta a tutto: persino lo stralcio di informazione più astratto che fossero riusciti a trovare avrebbe potuto essere qualcosa. «Ha per caso a che fare con “il cuore della foresta”?» Era un argomento di cui aveva già parlato con Richard, e con Mitchell prima che quest’ultimo partisse e lasciasse a loro le redini dell’indagine.
    Lupe indicò un punto sulla mappa.
    «Ho ristretto notevolmente il campo ma -» le costava fatica ammettere di non avere ancora nulla di concreto con cui contribuire, solo disegni di quella pianta tumorale che non avrebbe mai potuto dimenticare. E che sapeva benissimo fosse estinta.
    Ma anche la Viksoria era tecnicamente estinta, eppure Guadalupe aveva alcuni esemplari che da un anno crescevano nelle sue serre.
    Distolse lo sguardo e lo fece vagare sul gruppo intorno a loro: quelle che aveva creduto essere ricerche solitarie si erano rivelate, infine, un lavoro di squadra. Avrebbe potuto quasi farle piacere, quella consapevolezza, se non avesse avuto il sentore che tutta quella gente avrebbe ritardato la loro tabella di marcia o creato confusione non necessaria e problemi. «Ci sono ancora dei punti della foresta dove vorrei arrivare.» Li indicò sulla mappa, ben conscia di come dovesse apparire quel tentativo: disperato, un azzardo. Una possibilità remota. «Sono luoghi lontani da ogni sentiero, zone inesplorate da ormai troppo tempo, ma vale la pena fare un tentativo.» Non avrebbero trovato nulla, con ogni probabilità, ma almeno avrebbero potuto affermare di non aver lasciato nulla di intentato.
    Guadalupe
    García Ramos
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  11. .

    guada
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    «sai cos’ho scoperto?» Guadalupe temeva non le sarebbe interessato, ma non glielo disse. Anche perché non ne avrebbe avuto il modo: quello di William era, a tutti gli effetti, un monologo. «a quanto pare, se hai più di venticinque anni o usi le emoji quando messaggi sei considerato un boomer» buon per lei che non messaggiasse se non strettamente necessario, dunque.
    Un po' meno per lui, invece, stando alla reazione e al fatto che Lupe avesse testimoniato in prima persona all’abuso che l’altro faceva di emoji — manco fosse una pandi qualunque.
    Che poi, Lupe non aveva nemmeno idea di cosa volesse dire essere boomer, ma quello era un altro discorso, per un altro momento.
    [Quella mancanza in materia faceva di lei una boomer sessa, ma non poteva saperlo.]
    Annuì, poco interessata, osservando con la coda dell’occhio il ragazzo al suo fianco. «E dove avresti fatto questa illuminante scoperta?» Non che le interessasse davvero saperlo, era più una domanda con scopo scientifico: voleva capire fino a che livelli si spingesse la stupidaggine umana. William era il perfetto soggetto da studiare, in quel caso. Lui e Jekyll erano i suoi (topi da laboratorio) preferiti!
    «anche se più che boomer sono ultracentenario» Inarcò un sopracciglio, decidendo di soprassedere e andare avanti anche perché non so quanto sappiamo a riguardo. «fa schifo sta roba» motivo per cui Lupe, più giovane e allo stesso tempo più vecchia matura del Barrow, aveva saggiamente scelto un tè nero e non quelle schifezze zuccherine piene di grassi. «Chi è causa del suo mal...» pianga se stesso, cosa che lei era intenzionata a fare quel pomeriggio, per essersi lasciata convincere a fare un giro insieme al ragazzo, per le vie di Dark Street: con tutte le cose che aveva da fare, non poteva certo perdere tempo così.
    Ma William aveva insistito affinché si vedessero perché, secondo lui, “era passato troppo tempo dall’ultima volta” e la professoressa aveva seriamente tenuto le si presentasse a casa (o fuori dal castello.) senza preavviso; onde evitare la tragedia, aveva accettato di incontrarlo ad Hogsmeade.
    Quando vide il tendone e notò la figura di Will iniziare a vibrare di curiosità, la messicana sospirò e massaggiò le tempie: non aveva dubbi su cosa sarebbe successo di lì a poco: il Barrow si sarebbe voltato a guardarla con gli occhi da cucciolo, proponendo di entrare, e Lupe avrebbe dovuto infrangere i suoi sogni con un secco «no.»
    No, non era curiosa e no, non voleva entrare.
    Vedete? Non era lei il problema, erano gli altri che finivano sempre col metterla in posizionj scomode e dove avrebbe dovuto dar dimostrazione di tutta la sua poca flessibilità — che scritto così è davvero bruttissimo ed è per questo che lo lascerò. Scusa Lupe.
    «William, lo sai vero che non credo nei tarocchi?» A fatica credeva nella divinazione che era, a suo modo, una scienza, figurarsi se credeva nelle carte! «E non dovresti nemmeno tu.» Lo ammonì: era troppo buono e ingenuo per potersi permettere un lusso del genere, avrebbe finito col soffrire o fare qualche cavolata in nome del 'destino' che era stato letto per lui da un ciarlatano qualunque..
    Ma a quanto pareva non importava quello che Lupe dicesse o pensasse, perché Will la prese per un braccio e la trascinò all’interno del tendone. L'avrebbe fatto mangiare dalle sue piante carnivore. Era una promessa che si faceva spesso, quella — ma poi non la manteneva mai.
    «Se ti danno una botta in testa per tramortirti e rubarti gli organi, io me ne vado.» In Messico succedeva, e la Dark Street non era poi tanto lontana da quella realtà. «Ti ho avvisato.» Perché avrebbero dovuto prendere lui e non (anche) lei? Beh, perché Lupe era più intelligente e sarebbe fuggita via al primo segnale di pericolo, semplice.
    Che poi, cosa c’era di così curioso nel farsi leggere le carte? Cosa si aspettava di trovare, mh? Gli amanti? Perché da quel che il ragazzo le aveva accennato, quello era un terreno pericoloso da affrontare, in quel periodo. Quindi: per favore.
    Non era così che la Ramos aveva intenzione di passare quel poco tempo libero che si concedeva, una volta ogni due o tre mesi.
    Eppure.

  12. .
    when & where
    20.01.96, el paso, tx
    what
    erbology teacher
    who
    (don't call her) lupe
    A Guadalupe García Ramos piacevano le domande, ma solo quelle a cui riusciva a dare risposte.
    E gli eventi di Ottobre 2021 risultavano, dopo un anno, ancora sconosciuti alla professoressa di erbologia — che iniziava a perdere la pazienza. Una pazienza enorme e molto difficile da prosciugare (Jekyll aveva provato — e fallito! — innumerevoli volte, poteva confermare) ma che era scesa, negli ultimi dodici mesi, a minimi storici.
    Non c'era nulla di quanto studiato che avesse senso, o che filasse, o che avesse una spiegazione; perché a conti fatti di quello si trattava: di uno studio, il suo, dettagliato e costante, che procedeva da fin troppo tempo ormai e sembrava intenzionato a non portare da nessuna parte. Aveva studiato la malattia, aveva studiato i malati — soprattutto, aveva studiato gli immuni; nulla di quanto finito sotto le lenti del microscopio della Ramos aveva saputo darle spiegazioni logiche o che la soddisfacessero, nemmeno quando era riuscita poi a mettere mano sulla pianta estinta che aveva permesso a lei e Anjelika Queen di creare un antidoto e una cura.
    Esattamente un anno dopo, erano ancora lì: al punto di partenza senza più risposte di prima e con forse ancora più domande. Lei, di certo, ne aveva tantissime.
    Aveva studiato abbastanza di ogni cosa da sapere che quelli che di solito venivano considerati miti e legende avevano un fondo di verità bello solido; persino nella botanica si raccontavano storie di piante dalle proprietà inimitabili e in grado di compiere le magie più strabilianti — ma non aveva mai incontrato nulla di simile Per giunta, della ministeriale che, quel giorno, li aveva accolti nella grotta e rispediti avanti di sei secoli, non v’era più ombra. Lei, Mitchell e Richard l’avevano cercata — avevano indagato: si erano lanciati in una corsa contro il tempo per cercare di sfruttare ogni pista finché ancora calda, ma i loro sforzi non erano serviti a nulla.
    La parte peggiore, era che nessuno sapeva cosa raccontare ai ragazzi e al mondo — perché non c’era una risposta. Una storia era stata fabbricata da censori e giornalisti, e il ministero l’aveva rigirata a suo favore in tutte le salse, affinché quell’incidente venisse presto dimenticato e chiuso a chiave in un cassettino della memoria collettiva che nessuno avrebbe mai riaperto.
    E aveva funzionato.
    Chi prima, chi dopo, tutti avevano smesso di parlare di quell’esperienza e di fare domande; chi continuava, solitamente lo faceva con persone intime e a bassa voce. O, come lei, cercava risposte in solitaria; più una crociata personale, la sua.
    Erano circolate le voci più disparate, le congetture più strampalate, ma nessuna che potesse suonare credibile abbastanza da essere la verità; e Lupe, notoriamente conosciuta per essere una donna di scienza oltre che di magia, non era mai stata prona a credere all’incredibile o alle cose più assurde.
    “Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità”, era una citazione che le piaceva molto e che trovava calzasse a pennello in quella situazione.
    Non c’era nulla di probabile negli appunti che erano rimasti alla docente, tra ipotesi scartate e altre confutate dalla magia, dagli indizi e, soprattutto, dalla scienza. Ciò non voleva dire che fosse vicina a capire cosa fosse accaduto nell’ottobre precedente, o che fosse disposta a credere alle ipotesi che rimanevano.
    Voleva indagare, ancora e sempre alla continua ricerca della verità e delle soluzioni; a Lupe, il lavoro duro non era mai dispiaciuto — provate a chiedere a Kiel, sequestrato da tutta l’estate con l'intento di aiutarlo a studiare e passare tutti i controlli e i test per diventare Responsabile di Piano al San Mungo. O bastava semplicemente vedere la collezione di successi accademici che la messicana aveva collezionato in ventisei anni di vita; poteva peccare su tante cose, e di sicuro le mancavano amici o le capacità per farsene di tali, ma era caparbia e instancabile quando in ballo c’era la verità.
    E, dopo tutto quel tempo, la pretendeva.
    Per questo si era recata, per l’ennesima volta, nel cuore della foresta proibita, in una mano la bacchetta illuminata per farsi strada, nell’altra una mappa rovinata e piena di simboli e appunti che la Ramos aveva preso in quei mesi di ricerche e perlustrazioni: prima o poi avrebbe trovato il punto esatto in cui, in quel mistico viaggio nella Hogwarts del Quattrocento, avevano testimoniato atti indicibili e che ancora faticava a credere potessero esser veramente accaduti. Nella storia del castello non si era mai parlato di antichi rituali e sacrifici ad orrende piante velenose (e se lo diceva lei: erano brutte davvero). Nemmeno Quinn ne aveva saputo nulla.
    Lupe voleva andare più a fondo nella questione.
    Guadalupe
    García Ramos
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©


    INDAGINI !12!!1! DAI VI ASPETTO VENITECE. Scopriamo insieme cosa è successo sdfghj MI RAKK POST BREVI NON DELUDETEMI
  13. .
    i prompt avanzati dal random.obl!!
    dai usateli, c'è sempre l'obliviontober in corso DO IT FOR THE ZUCCHETTEEEEE

    CITAZIONE
    È notte, e A si trova in una casa abbandonata. It's all fun and games until B urla "non puoi essere qui, ti ho appena ucciso!" spezzando il silenzio.

    CITAZIONE
    Hai trovato un libro abbandonato su una panchina. Ne sfogli distrattamente qualche pagina, e quando provi a leggere qualche riga...ti accorgi che il (povero. sfortunato.) tizio che passava di lì per caso si immobilizza, e ti guarda confuso: complimenti, hai trovato Il Libro Del Burattino! Puoi far fare ciò che vuoi all'altra persona (prima, certo, devi renderti conto del Potere™) , vedi quanto approfittarne (nda: si va a culo chi sia chi. postate per primi se non volete vi rubino il ruolo desiderato!&!)
  14. .
    «pensa che i suoi colleghi non siano adatti all’insegnamento, quindi» Non sembrava una domanda — e infatti non lo era; eppure Lupe si ritrovò comunque a drizzare la schiena, il sorriso cordiale trattenuto a stento sulle labbra, pronta a dire la sua.
    Era lì per quello, no?
    «Alcuni sì, altri meno.» detto con tono pratico, oggettivo. «Non è una cosa che non abbia ripetuto loro più volte.» Lungi da Guadalupe nascondersi dietro atteggiamenti falsi o buonisti: era sincera anche quando la sua posizione andava in contrasto con quella altrui, o quando criticava apertamente atteggiamenti che non reputava consoni.
    E i suoi colleghi? Beh, alcuni di loro, era chiaro, promuovevano un tipo di insegnamento che la messicana non vedeva di buon occhio. Ai quali non era abituata. Troppo tolleranti, troppo simpatici, troppo gioviali nei modi e preoccupati di essere amiconi degli studenti; non era così che funzionavano le cose. Aveva sentito storie e leggende riguardo alcuni di loro che sperava vivamente fossero solo opere di fantasia. Ma non era ingenua.
    Lo sguardo scuro seguì la penna che indicava alcuni appunti sul taccuino della giornalista, ma lo rialzò presto tornando ad osservare il volto giovane che aveva dinnanzi, espressione seria e decisa, ferma nelle proprie posizioni.
    «“non somiglia alla vecchia hogwarts”, una in cui la docenza era occupata dalla generazione precedente;» Annuì con convinzione, mani ancora unite sul tavolo, in attesa che il tè appena arrivato si raffreddasse abbastanza da poter esser sorseggiato.
    La “generazione precedente” non era stata così male, infondo: aveva permesso a color che lo meritavano di puntare ad una carriera di successo e ottenere i riconoscimenti meritati; solo quelli che avevano fallito sotto la passata amministrazione la ritenevano un modello obsoleto e da rivedere.
    Aveva commesso degli errori, certo, premiando alle volte persone immeritevoli ma brave a fingere di essero — ma chi non ne faceva; errori di valutazione, di giudizio, che Lupe era comunque pronta a giustificare a favore di tutto il resto.
    Quella Hogwarts che aveva trovato al suo primissimo viaggio oltreoceano, così diversa sotto molti aspetti da Castelobruxo eppure allo stesso tempo ugualmente stimolante, l'aveva affascinata: Guadalupe apprezzava tutto ciò che costituiva una sfida a livello accademico e allo stesso tempo le permetteva di crescere come persona, e come cittadina.
    Londra poteva essere pure una novità, per lei, ma era decisa ad ambientarsi al meglio delle sue possibilità e dimostrare di essere una figura affidabile, nella società e sul lavoro.
    «“giovani lasciati a scorrazzare”, implica che qualcuno glielo permetta. la mancanza degli studenti di “essere ligi alle regole”, non è imputabile a loro quanto all’ambiente in cui vivono, ed in cui viene concesso di sgarrare - lo sanno tutti» Rimase in silenzio, e quello fu il suo assenso alle corrette parole della giovane. Era proprio così; le torture che impartivano agli studenti erano spesso per sadismo di alcuni colleghi, che non improntate alla corretta educazione dei giovani.
    Ancora: in certe occasioni non facevano che alimentare i comportamenti anticonformisti e maleducati; alcuni giovani le prendevamo come spunto per sottolineare un modus operandi sbagliato, corrotto. E Lupe, in parte, era d'accordo: non era la forza bruta a fare degli studenti delle persone migliore. Erano altri gli approcci, più severi e rigidi, che avrebbero dovuto impartire: ad esempio privarli di attività extracurricolari o uscite nel fine settimana laddove presentavano voti scadenti; non fingere di non sapere che girasse droga nei corridoi del castello — impossibile che nessuno fosse mai stato beccato, o punito con serie conseguenze.
    Persino quelli che aveva beccato lei nelle serre, e poi riportato a chi di dovere, erano stati poi lasciati andare con una semplice ramanzina (e la promessa di esser bocciati in Erbologia).
    C'era qualcosa di fondo che mancava. Una disciplina alla base del tutto.
    Le torture non erano il mezzo più efficace, era evidente.
    «sono i metodi a non piacerle? O loro come persone?» «I miei colleghi potranno confermarle che il nostro rapporto si limita esclusivamente a quello lavorativo; non posso dire di conoscerli abbastanza bene da poterli giudicare come persone Fece una pausa per assaggiare finalmente il tè. «Ma sì, sui metodi potrebbero lavorarci.» Eufemismo del secolo. Il tè, come aveva immaginato, era decente: c'era davvero poco margine di errore per sbagliare, ma era comunque sempre pronta al peggiore, la Ramos.
    «Pensa che il problema sia a monte nel preside ed il vice? Dopotutto, hanno più voce in capitolo rispetto agli altri sulle assunzioni al castello» «In alcune occasioni, Il problema veniva sempre dai vertici, e Lupe avrebbe mentito dicendo di avere stima per Leslie Chow, o che l'uomo le avesse fatto una buona impressioni in quell'anno di cattedra. Si strinse nelle spalle, posando la tazzina sul tavolo. «Mitchell Winston sembra una persona molto valida, pronto ad ascoltare e valutare eventuali problematiche interne, e bravo a trovare soluzioni.» Un po' meno a gestire gli studenti. Lei stessa aveva avuto difficoltà all'inizio, ma poi aveva trovato il giusto equilibrio per venirne a capo.
    C'era un ma inespresso nelle parole di Lupe, che rimase taciuto.
    Infondo, le libertà del corpo studentesco e le 'innovazioni' apportate al castello parlavano da sole.
    «perchè crede di essere migliore di loro?»
    Perché lo era.
    Più qualificata, più preparata; con più pergamene che attestassero i suoi successi accademici di quante ne avrebbero potuto contare i suoi colleghi sommando le proprie.
    Sulla carta, Guadalupe García Ramos era migliore di loro.
    Aveva meno esperienza a livello di insegnamento? Assolutamente sì, e non aveva mai progettato di finire a fare la docente; persino quando le era stata proposta la cattedra, l'aveva presa come un pretesto per ampliare le proprie conoscenze in un contesto nuovo rispetto a quello da cui proveniva, ma mai con la volontà di fare da badante ad adolescenti indisciplinati.
    Aveva poi scelto di rimanere perché le era parso giusto, da parte sua, fare tutto quanto il possibile per rendere Hogwarts nuovamente una scuola rispettabile. Era il suo dovere.
    Aveva sempre sostenuto che gli anni formativi della scuola fossero i più importanti, quelli decisivi, e ora voleva contribuire a rendere vere quelle parole.
    «Perché sono molto preparata nella mia materia, e perché provengo da una famiglia di educatori Eccola lì, la parola chiave. «Gli studenti hanno bisogno di essere educati. Di sapere, sin da giovani, che ogni loro azione ha delle conseguenze, e non sto parlando solo delle torture. Delle quali, per inciso, non sono una grande sostenitrice.» Riprese in mano la tazza, ed osservò Jane oltre il bordo di ceramica. «Devono rendersi conto che la vita adulta richiede responsabilità diverse, e le aspettative sulle nuove generazioni sono molto alte.» Pro e contro dei lasciti delle passate. «Fargli credere di poter essere liberi di fare ciò che vogliono è la cosa più sbagliata, secondo il mio parere. Le regole esistono per un motivo, e non è essere infrante come invece aveva letto su un murales ad Hogsmeade, poco tempo prima. «Lei non trova? Non la farebbe sentire più al sicuro sapere che i pavor di domani sono, a tutti gli effetti, persone affidabili e su cui poter contare?»
    *judges you in spanish*
    - guadalupe garcía ramos, 26
    now playing: proud
    what have you done today
    to make you feel prouder?
    Still so many answers I don't know,
    realize that to question is how we grow
  15. .
    Accennò appena un sorriso cortese in direzione della giovane, stringendole la mano con fermezza, scivolando poi sulla sedia libera di fronte la Darko.
    «se la fa sentire a suo agio, può darmi del tu» un cenno della mano, ancora intenta a piegare delicatamente il foulard che aveva tenuto in testa, rispose a quell'invito facendole capire che avrebbe preferito mantenere un tono formale, nonostante la location. D'altronde, Guadalupe tendeva a dare del lei anche ai suoi studenti, perciò non costituiva di certo una novità per la Guaritrice.
    La ringraziò con per il menù, osservandola ancora un istante prima di passare in rassegna tutte le voci, pur non leggendole: sapeva già che, in assenza di un buon caffè, avrebbe scelto un tè nero ― con il tè non si poteva sbagliare. Se fosse stata una persona diversa, più portata per le chiacchiere leggere e rompighiaccio, avrebbe informato la Darko che conosceva un posto dove il caffè era eccezionale, ma non le sembrava quello il momento più opportuno per fare pubblicità al negozio della sua... amica? Fidanzata? Chissà cos'erano, lei e Ginevra, a parte una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all'altro.
    Ma hey, avevano anche dei difetti.
    Chiuse il menù con un gesto secco, e vi posò sopra entrambe la mani, incrociando le dita fra loro; lo sguardo scuro puntato in quello azzurro ghiaccio della giornalista in erba.
    «le ho chiesto un’intervista perché è nuova nel panorama inglese, e mi interessava un punto di vista… fresco ed obiettivo.» obiettivo, diceva. Okay. «Mi interessa in particolar modo la dinamica con il corpo studentesco» a quello spunto di riflessione, rispose inarcando un sopracciglio e piegando impercettibilmente le labbra verso l'alto.
    Quanto tempo hai, Jane Darko?
    Soppesò la “confessione” della mora, senza accennare alla minima reazione, fatta eccezione per il sorriso educato sempre presente. Era nobile, di certo, l'intenzione di Jane, ma Lupe si domandava quanto si sarebbe rivelata poi anche utile.
    Intervistare lei, poi! Una mossa azzardata.
    Ma decise comunque di portare a termine il compito per cui era stata mandata lì da Winston.
    «Come ben saprà, Hogwarts offre percorsi di studi pensati appositamente per i maghi di domani.» e anche per gli special, ma a Lupe interessava già meno: non sarebbero stati di certo loro a ricoprire cariche di un certo spessore al ministero, in futuro. La sua era una delle poche materie che potevano frequentare, insieme ai compagni maghi e streghe, ma avrebbe mentito dicendo di trovarli particolarmente adeguati. E coloro i quali riuscivano con facilità a svolgere il proprio dovere, erano quasi sempre geocineti: partivano avvantaggiati.
    Evitò educatamente di esprimere a voce alta quei pensieri ― la ragazza che aveva di fronte, dopotutto, aveva frequentato vestendo i colori di Tibiavorio.
    Fece per argomentare la propria risposta, ma venne interrotta dall'arrivo di una cameriera pronta a prendere le loro ordinazioni. «Per me un tè nero.» Attese con pazienza che appuntasse la richiesta, portando di nuovo lo sguardo su Jane. «Lei prende altro, signorina Darko?»

    Risolta la questione ordinazione, Lupe riprese a parlare.
    «Devo ammettere che mi aspettavo una realtà diversa; ciò che ho trovato al mio arrivo al castello non coincideva esattamente con quanto sentito in giro; né somigliava alla Hogwarts che avevo conosciuto durante il mio breve soggiorno presso la scuola magica inglese.» Fece una pausa, decidendo poi di concedere a quella parentesi solo una breve e superficiale spiegazione, prima di continuare con l'argomento principale. «Sono stata ospite di Hogwarts per qualche mese, durante il mio quinto anno; io ed altri compagni eravamo qui per uno scambio culturale tra la vostra scuola e la nostra, Castelobruxo.» Fine, non c'era molto altro da dire al riguardo: Guadalupe aveva pochi ricordi, di quel periodo, che andassero oltre la banale frequentazione di lezioni. Non aveva fatto nuove amicizie, né esperienze che valesse la pena raccontare.
    «Immaginavo ― no, mi aspettavo un luogo più rigido e un corpo studentesco più ligio alle regole. Più serio E invece si era ritrovata a fare conti con sbarbatelli che credevano di poterla fare fessa, facendo irruzione nelle serre alla ricerca di piante da poter fumare; maghi e streghe con le divise sempre disordinate; animi ribelli e felici di guadagnarsi una gita in sala torture se era servito per innescare una insurrezione o una rissa tra maghi e special.
    Alcuni dei suoi colleghi sembravano pensarla come lei ― Hogwarts non sembrava più il collegio atto a formare i soldati del domani. Per lo meno, non così tanto come il ministero inglese declamava.
    Avevano addirittura aperto il Quidditch agli special! Quello, senza ombra di dubbio, aveva fatto storcere più di qualche nasino aristocratico e tradizionalista.
    «Diciamo che Hogwarts è cambiata, negli anni, stando ai racconti dei miei colleghi e al sentito dire. Dal canto mio, non sopporto la mediocrità.» E l'aveva fatto capire sin dal primo momento in cui gli studenti, di ogni anno, avevano messo piede nelle sue serre. «I giovani andrebbero spronati a dare il loro meglio, non lasciati a scorrazzare per i corridoi allo stato brado.» Ecco, qualcuno doveva pur dirlo.
    «Questo può citarlo nel suo articolo.» Incrociò le braccia al petto, schiena dritta e sguardo fiero: stava lavorando per Hogwarts e per il futuro della società inglese, avrebbero dovuto stringerle la mano e complimentarsi con lei!
    Non era neppure la sua società!!
    Non la pagavano abbastanza.
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    - guadalupe garcía ramos, 26
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