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ft. lupe

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    «callie...» Non che ci fosse bisogno di appellarla; dal tono dell’elettrocineta – esasperato, confuso, al contempo arrendevole - si poteva già dedurre chi fosse il soggetto dei suoi sospiri. Jane alzò lentamente, molto lentamente, lo sguardo verso il soffitto, dove la sua coinquilina le sorrideva senza una preoccupazione al mondo. La Jackson agitò la mano per salutarla, come se essere appesa alla parete del loro appartamento fosse una cosa perfettamente normale.
    La era, in effetti. Avevano avuto quella conversazione così tante volte, che la Darko neanche ci provava più. Infatti: «hai visto i miei occhiali?» non l’avrebbe rimproverata per essersi auto decretata lampadario di New Hovel (“così risparmiamo!!!”, e Jane era stata troppo Jane per dirle non sborsassero un centesimo, nel vivere in quelle topaie) ma avrebbe volentieri approfittato della visuale migliore per trovare le lenti scure.
    Pioveva, ma era troppo mainstream indossare gli occhiali da sole solo quando c’erano effettivamente dei raggi da cui proteggersi, e Jane Gabriel Darko, a cui essere stravagante piaceva un po’ troppo, ne indossava sempre un paio quando il cielo minacciava apocalisse. L’ombrello, al contrario, non aveva mai fatto parte del suo starter pack: se un cappuccio non bastava a proteggerla dalle precipitazioni, amen, si sarebbe bagnata. «QUELLI ROSSI?» La fu Vega ammiccò verso la quarta parete, un lieve sorriso sulle labbra sottili. «loro. Li vedi?» «SI!!!!» Tacque. Corrugò le sopracciglia, reclinando il capo per osservarla ed incitarla a dirle dove. Che da qualche parte ci fossero, era indubbio, ma la locazione specifica era difficile da individuare sotto gli infiniti strati di cose che le due ragazze lasciavano sempre in ogni dove. Non era neanche un caos ordinato, il loro. Era un miscuglio di oggettistica e attrezzi dalla dubbia natura poggiato ad occupare ogni superficie disponibile. La prima volta che Narah aveva messo piede nel loro appartamento, Jane aveva temuto svenisse; Fitz aveva fatto i complimenti per il character (continuando poi a blaterare storie sulla casa, inventandole una vita e predecessori e duh Jane non l’aveva davvero ascoltata, quindi chissà) e la Darko la aveva indicata dicendo alla Bloodworth che quello fosse l’esatto motivo per il quale la medium fosse la sua amica preferita. Comunque. «dove sono.» «SULLA TUA TESTA!!!» «sulla mia -» Jane sfiorò i capelli corvini con la punta delle dita, afferrando le asticelle dorate degli occhiali. «- testa, brava hai superato la prova» Non c’era nessuna prova, ma non avrebbe ammesso quella debolezza in favore della kinda nipotina dal futuro. Mai mostrare ai propri nemici che si stavano perdendo ingranaggi per strada.
    «proteggi il fortino mentre non ci sono» spinse gli occhiali alla radice del naso, ed abbandonò Callie e l’appartamento al loro destino.
    Un triste destino, probabilmente – ma magari, tornando, avrebbe scoperto che fossero spariti entrambi, e non solo il tetto sopra la loro testa. L’ottimismo era il profumo della vita.

    Inzuppò la ciambella al cioccolato nell’enorme tazza di caffè, addentando la pasta dolce ammorbidita dalla bevanda amara. Se vi steste chiedendo con quali soldi potesse permettersi un ordine da Red Velvet, la risposta era con quelli di qualcun altro, e tanto vi sarebbe dovuto bastare. Aveva un piede poggiato sulla seduta, la gamba rannicchiata contro il petto, e la testa poggiata sul ginocchio – l’immagine dell’annoiata, ma paziente, attesa di qualunque membro della comunità LGBTQ+. L’appuntamento non sarebbe stato che dopo un’ora, ed il suo largo anticipo era dato unicamente da due fattori: il primo, voleva prendere fiducia con il posto (il tavolo. I camerieri. Se stessa. Il menù. Il genere umano); il secondo, Guadalupe Garcia Ramos sembrava il tipo di persona da arrivare sempre prima rispetto all’orario richiesto, quindi voleva partire avvantaggiata.
    Dopo mesi di struggle, svegliandosi al suono di ragazzini che trillavano la fine della scuola, Jane Gabriel Darko aveva finalmente capito con quale pezzo avrebbe voluto fare il suo trionfale ingresso nel mondo della stampa: cosa si provasse a dover insegnare qualcosa a stupide, e testarde, tartarughe di terra bipedi. Un sogno. Una meraviglia. Chi meglio della non più troppo nuova arrivata in quel di Hogwarts? Il trauma dato dall’esperienza doveva ancora essere fresco, come una ferita che avesse finalmente il tempo estivo per cicatrizzarsi.
    Non vedeva l’ora.
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    non so cosa abbia scritto scusa . persone. cose
     
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    Per l'ennesima volta da quando avevano iniziato quella conversazione, una manciata di minuti prima, Guadalupe tornò a pizzicare il ponte nasale, stringendolo con forza tra due dita. Un sospiro pesante sfuggì dalle sue labbra, mentre pregava in spagnolo, con un filo di voce, di ricevere la forza necessaria ad affrontare tutto quello: la Ramos non perdeva mai la pazienza ma in alcune situazioni ci andava molto vicino. Come quel giorno.
    Immagazzinò aria a sufficienza con un secondo sospiro, e rialzò lo sguardo sul vicepreside Winston. «Devo proprio?» Non le piaceva essere ripetitiva, o fare domande che potessero essere ritenute sciocche, ma voleva accertarsi di avere effettivamente la possibilità di tirarsi fuori da quella situazione: non era la prima volta che le chiedevano di rilasciare un'intervista, però di solito era su argomenti che le stavano a cuore, come l'ultima scoperta in ambito scientifico, oppure relativi ai progressi su quanto stavano studiando nel reparto di Tossicologia del San Mungo.
    Dover parlare dell'istruzione magica inglese le sembrava una tortura.
    Forse era la punizione divina per aver minacciato (spesso tenendo fede alle sue parole) di avvelenare gli studenti che si fossero rivelati mediocri durante l'anno.
    Unì le mani in grembo, picchiettando con un dito sul proprio ginocchio, accavallato con grazia sull'altro. «Non si può mandare... non so, Jackson, ad esempio? Lui amerebbe parlare con i giornalisti.» O, in effetti, parlare e basta.
    Perché proprio io?, suggeriva il suo sguardo, ma era troppo fiera e sicura di sé per pronunciare quelle parole ad alta voce.
    Winston si strinse nelle spalle, e Lupe capì che non avrebbe ricevuto una risposta ― né avrebbe trovato il modo per sfilare via con grazia da quell'intervista in cui l'avevano incastrata senza il suo consenso.
    Sospirò, di nuovo.
    Era come vincere una discussione con Ginevra: praticamente impossibile. Con la sola differenza che (non era minimamente stimolante come sfidare l'italiana) contro Mitchell Winston avrebbe potuto vincere se non fosse stato il suo superiore, in quanto vicepreside; doveva purtroppo accettare quel compito e sperare che si rivelasse breve e indolore.
    «Ok, va bene.» Lo disse come se avesse avuto possibilità di rifiutare, poi. «Ma posso parlare anche dei recenti cambiamenti al San Mungo?»
    No, perché a nessuno interessava (men che meno a Jane Darko.), ma non era un segreto che a Lupe stesse molto più a cuore ciò che ruotava intorno alla struttura ospedaliera più di tutto il resto. Infondo era giunta in Inghilterra per studiare e ampliare le sue conoscenze in ambito scientifico-sanitario; era solo per circostante sfortunate che si era ritrovata a dover insegnare a bambini che non sapevano la differenza fra piante leggendarie e piante estinte.
    Ancora una volta, Winston si limitò ad osservarla e a stringere le labbra fra loro.
    Lupe lo prese come un ; un piccolo bonus per la fatica e il tempo perso.


    «Miss Darko?»
    All'appuntamento era giunta con largo anticipo ― perché sì, era quel genere di persona.
    Il Red Velvet era praticamente sconosciuto per lei, così come molti altri locali di Diagon Alley, Hogsmeade e dintorni; nell'anno e passa che aveva vissuto a Londra, aveva frequentato di rado posti che non fossero la scuola magica o l'ospedale o, più di recente, il Bar dello Sport ― cosa non si fa per le persone a cui si tiene! L'aveva trovato sin da subito troppo colorato e zuccheroso per i suoi gusti, ma aveva proseguito oltre la clientela radunata sull'entrata pronta a mettersi in fila per la cassa, e aveva cercato con lo sguardo la persona che doveva incontrare ― senza aspettarsi, in tutta onestà, di trovarla. Aveva gettato uno sguardo all'orologio da polso che indossava sempre sin da quando le zie glielo avevano regalato per il suo diciottesimo compleanno, giusto per controllare di non essere in ritardo, pur sapendo di non esserlo.
    Dopo essersi accertata di essere più che in perfetto orario, con i suoi abbondanti trenta minuti di anticipo, si era diretta verso la ragazza che aveva riconosciuto dalle descrizioni di Winston, e da una foto dell'annuario dell'anno precedente, e l'aveva avvicinata.
    Calò dalla testa il foulard che aveva legato morbidamente per evitare che i capelli, accuratamente piastrati solo il giorno prima, si gonfiassero per via dell'aria pregna di umidità e pioggia, e attese che la ragazza desse segni di vita (e che si pulisse le dita dalla glassa appiccicosa della ciambella), prima di allungare una mano e presentarsi. «Sono la professoressa Garcia Ramos.» E probabilmente la conosceva già, ma era buona educazione presentarsi. «Posso accomodarmi?» Anche se avrebbe preferito di gran lunga tenere quel colloquio nel suo ufficio dove, per lo meno, la tequila era a portata di mano. Nel frattempo che attendeva un cenno da parte della ragazza, ne approfittò per studiarne il viso e l'atteggiamento: capelli corvini, viso giovane e bello ma dall'espressione annoiata, occhi chiari che diedero l'impressione a Lupe di studiare, a loro volta, molto intensamente le persone.
    Il suo sesto senso le sussurrò che, con ogni probabilità, avrebbe finito con il trovarsi incastrata in domande scomode a cui avrebbe dovuto dare risposte vaghe ed evasive al punto giusto.
    Si pentiva già di aver detto di sì.
    Non vedeva l'ora di iniziare a parlare del San Mungo, terreno sul quale, per lo meno, si sentiva a suo agio ― povera Lupe, l'attendeva un lungo pomeriggio.
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    «Miss Darko?» Alzò lo sguardo dal taccuino alla donna, interrompendo il sorso di caffè per un sardonico mezzo sorriso. Miss? Miss? Come avrebbe voluto ci fossero Fitz e Nah con cui scambiare un’occhiata allusiva, sopracciglia sollevate ed un cenno con il capo: era una miss. E un mister, ma non era schizzinosa sulle scelte di genere che volevano affibbiarle, dato che l’uno valeva l’altro. Quel miss, lo percepì come un sua magnificenza, perché le probabilità che qualcuno si appellasse a lei in quel modo, erano le stesse.
    Miss.
    «senza fascia né corona. Né un discorso sulla pace nel mondo. Ma sì» era troppo pigra per alzarsi ed accogliere la Ramos, ma abbastanza adeguata alla civiltà da pulirsi le mani su un tovagliolo, ed offrila per stringere quella di lei. La stretta di Jane non sarebbe mai stata importante, malgrado sapesse cosa la psicologia dicesse di quel primo impatto. Non ci teneva a sottolineare la propria supremazia, se il prezzo era strizzare le nocche di uno sconosciuto, e più limitava il contatto umano, più era felice – una stretta molle e distratta che non dovette fare un’ottima impressione all’insegnante, ma d’altronde, Jane non era lì per la propria reputazione. «Sono la professoressa Garcia Ramos. Posso accomodarmi?» Le indicò la sedia con un ampio gesto del braccio, spostando il taccuino per farle posto. «deve, professoressagarciaramos» tutto attaccato, come persessinclairdellacasatadiserpeverde, come un titolo nobiliare. Ovviamente, non le disse che avrebbe potuto chiamarla Jane, miss Darko era troppo bello, ma provò comunque un informale «se la fa sentire a suo agio, può darmi del tu» accompagnato da una scrollata di spalle, perché per lei funzionava bene in entrambi i modi. «il caffè non è il migliore che abbia bevuto, ma i dolci valgono il loro prezzo» spinse il menù verso di lei, inzuppando nuovamente la ciambella nel caffè, come se avesse effettivamente pagato di tasca propria la sua consumazione.
    Passò la lingua sugli angoli delle labbra, così da eliminare eventuali briciole residue.
    Dato che non le piaceva navigare troppo a lungo fra i convenevoli, prese la penna – non aveva mai capito le piume. ma perchè. mica erano nel medioevo, buon dio, esistevano le bic – ed iniziò a scrivere la data su una pagina nuova. «le ho chiesto un’intervista perché è nuova nel panorama inglese, e mi interessava un punto di vista… fresco ed obiettivo. Mi interessa in particolar modo la dinamica con il corpo studentesco» visto? Era anche in grado di iniziare diplomaticamente, senza mettere subito a nudo quanto volesse solo il tea per rendere l’articolo interessante. C’era tempo durante l’intervista, per quello.
    Ed a tal proposito, mise le mani avanti – in senso figurato, e letterale. «non sono ancora una giornalista. Sto cercando il pezzo giusto con cui propormi ad una testata. Non voglio farlo con qualcosa che non mi interessa. Se non piace a me prima ancora che al pubblico, non vale la pena scriverlo» La osservò di sottecchi da sopra la plastica della tazza. «quindi» sorseggiò il caffè, ruotando gli occhi verso la porta e lasciando che capisse il sottinteso: poteva ancora scappare.

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    Accennò appena un sorriso cortese in direzione della giovane, stringendole la mano con fermezza, scivolando poi sulla sedia libera di fronte la Darko.
    «se la fa sentire a suo agio, può darmi del tu» un cenno della mano, ancora intenta a piegare delicatamente il foulard che aveva tenuto in testa, rispose a quell'invito facendole capire che avrebbe preferito mantenere un tono formale, nonostante la location. D'altronde, Guadalupe tendeva a dare del lei anche ai suoi studenti, perciò non costituiva di certo una novità per la Guaritrice.
    La ringraziò con per il menù, osservandola ancora un istante prima di passare in rassegna tutte le voci, pur non leggendole: sapeva già che, in assenza di un buon caffè, avrebbe scelto un tè nero ― con il tè non si poteva sbagliare. Se fosse stata una persona diversa, più portata per le chiacchiere leggere e rompighiaccio, avrebbe informato la Darko che conosceva un posto dove il caffè era eccezionale, ma non le sembrava quello il momento più opportuno per fare pubblicità al negozio della sua... amica? Fidanzata? Chissà cos'erano, lei e Ginevra, a parte una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all'altro.
    Ma hey, avevano anche dei difetti.
    Chiuse il menù con un gesto secco, e vi posò sopra entrambe la mani, incrociando le dita fra loro; lo sguardo scuro puntato in quello azzurro ghiaccio della giornalista in erba.
    «le ho chiesto un’intervista perché è nuova nel panorama inglese, e mi interessava un punto di vista… fresco ed obiettivo.» obiettivo, diceva. Okay. «Mi interessa in particolar modo la dinamica con il corpo studentesco» a quello spunto di riflessione, rispose inarcando un sopracciglio e piegando impercettibilmente le labbra verso l'alto.
    Quanto tempo hai, Jane Darko?
    Soppesò la “confessione” della mora, senza accennare alla minima reazione, fatta eccezione per il sorriso educato sempre presente. Era nobile, di certo, l'intenzione di Jane, ma Lupe si domandava quanto si sarebbe rivelata poi anche utile.
    Intervistare lei, poi! Una mossa azzardata.
    Ma decise comunque di portare a termine il compito per cui era stata mandata lì da Winston.
    «Come ben saprà, Hogwarts offre percorsi di studi pensati appositamente per i maghi di domani.» e anche per gli special, ma a Lupe interessava già meno: non sarebbero stati di certo loro a ricoprire cariche di un certo spessore al ministero, in futuro. La sua era una delle poche materie che potevano frequentare, insieme ai compagni maghi e streghe, ma avrebbe mentito dicendo di trovarli particolarmente adeguati. E coloro i quali riuscivano con facilità a svolgere il proprio dovere, erano quasi sempre geocineti: partivano avvantaggiati.
    Evitò educatamente di esprimere a voce alta quei pensieri ― la ragazza che aveva di fronte, dopotutto, aveva frequentato vestendo i colori di Tibiavorio.
    Fece per argomentare la propria risposta, ma venne interrotta dall'arrivo di una cameriera pronta a prendere le loro ordinazioni. «Per me un tè nero.» Attese con pazienza che appuntasse la richiesta, portando di nuovo lo sguardo su Jane. «Lei prende altro, signorina Darko?»

    Risolta la questione ordinazione, Lupe riprese a parlare.
    «Devo ammettere che mi aspettavo una realtà diversa; ciò che ho trovato al mio arrivo al castello non coincideva esattamente con quanto sentito in giro; né somigliava alla Hogwarts che avevo conosciuto durante il mio breve soggiorno presso la scuola magica inglese.» Fece una pausa, decidendo poi di concedere a quella parentesi solo una breve e superficiale spiegazione, prima di continuare con l'argomento principale. «Sono stata ospite di Hogwarts per qualche mese, durante il mio quinto anno; io ed altri compagni eravamo qui per uno scambio culturale tra la vostra scuola e la nostra, Castelobruxo.» Fine, non c'era molto altro da dire al riguardo: Guadalupe aveva pochi ricordi, di quel periodo, che andassero oltre la banale frequentazione di lezioni. Non aveva fatto nuove amicizie, né esperienze che valesse la pena raccontare.
    «Immaginavo ― no, mi aspettavo un luogo più rigido e un corpo studentesco più ligio alle regole. Più serio E invece si era ritrovata a fare conti con sbarbatelli che credevano di poterla fare fessa, facendo irruzione nelle serre alla ricerca di piante da poter fumare; maghi e streghe con le divise sempre disordinate; animi ribelli e felici di guadagnarsi una gita in sala torture se era servito per innescare una insurrezione o una rissa tra maghi e special.
    Alcuni dei suoi colleghi sembravano pensarla come lei ― Hogwarts non sembrava più il collegio atto a formare i soldati del domani. Per lo meno, non così tanto come il ministero inglese declamava.
    Avevano addirittura aperto il Quidditch agli special! Quello, senza ombra di dubbio, aveva fatto storcere più di qualche nasino aristocratico e tradizionalista.
    «Diciamo che Hogwarts è cambiata, negli anni, stando ai racconti dei miei colleghi e al sentito dire. Dal canto mio, non sopporto la mediocrità.» E l'aveva fatto capire sin dal primo momento in cui gli studenti, di ogni anno, avevano messo piede nelle sue serre. «I giovani andrebbero spronati a dare il loro meglio, non lasciati a scorrazzare per i corridoi allo stato brado.» Ecco, qualcuno doveva pur dirlo.
    «Questo può citarlo nel suo articolo.» Incrociò le braccia al petto, schiena dritta e sguardo fiero: stava lavorando per Hogwarts e per il futuro della società inglese, avrebbero dovuto stringerle la mano e complimentarsi con lei!
    Non era neppure la sua società!!
    Non la pagavano abbastanza.
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    «Devo ammettere che mi aspettavo una realtà diversa; ciò che ho trovato al mio arrivo al castello non coincideva esattamente con quanto sentito in giro; né somigliava alla Hogwarts che avevo conosciuto durante il mio breve soggiorno presso la scuola magica inglese.» Enunciato come un dato di fatto, quello fu l’inizio della fine. Jane aveva avuto solo una vaga idea di cosa cercare durante quell’intervista, su quale punto premere e cosa ne sarebbe uscito. Qualcosa di astratto ed appena accennato, una smussatura blu su una tela bianca. Una traccia da interpretare, certa che la sua interlocutrice le avrebbe lasciato briciole da seguire per completare l’opera. A Jane piaceva adattarsi, seguire il flusso, e non dare per scontato nulla - era abituata a non aspettarsi nulla, scegliendo di prendere quel che capitava come quello che aveva sempre desiderato sin dall’inizio. Malgrado il tono severo e piatto della donna non desse modo alla Darko di aggrapparsi all’implicito non detto, le sue parole bastarono a rendere gli appunti scribacchiati nel taccuino più orientati, diretti da qualche parte. Il dove, l’avrebbero scoperto insieme. «Immaginavo ― no, mi aspettavo un luogo più rigido e un corpo studentesco più ligio alle regole. Più serio.» Non sorrise, malgrado tutto di quanto appena pronunciato dalla Ramos la obbligasse moralmente a farlo; si chiese cosa ritenesse serio, per reputare che Hogwarts non lo fosse. Jane aveva cicatrici a dimostrare il contrario, ma la situazione stava diventando intrigante, e non avrebbe interrotto quel flusso per interventi non (ancora) necessari.
    «I giovani andrebbero spronati a dare il loro meglio, non lasciati a scorrazzare per i corridoi allo stato brado.» Ma pensa. Strinse l’interno del labbro inferiore fra i denti, rilasciandolo con un sospiro sonoro. «Questo può citarlo nel suo articolo.» Duh, ovviamente l’avrebbe fatto, visto che pareva essere la base di quello che la Darko iniziava ad avere un’idea dell’articolo che sarebbe stato. «pensa che i suoi colleghi non siano adatti all’insegnamento, quindi» non la pose come una domanda, perché non la era. Con la punta della penna, indicò i passaggi che interessavano la questione, leggendoli ad alta voce alla sua interlocutrice. « “non somiglia alla vecchia hogwarts”, una in cui la docenza era occupata dalla generazione precedente; “giovani lasciati a scorrazzare”, implica che qualcuno glielo permetta. la mancanza degli studenti di “essere ligi alle regole”, non è imputabile a loro quanto all’ambiente in cui vivono, ed in cui viene concesso di sgarrare - lo sanno tutti» Unì le mani sulla pergamena ancora umida d’inchiostro, spostando intensi – ma non giudicanti; non era quello il suo posto – occhi blu sulla professoressa. Non si aspettava una faida interna, ma sicuro ci avrebbe marciato sopra. «sono i metodi a non piacerle? O loro come persone? Pensa che il problema sia a monte nel preside ed il vice? Dopotutto, hanno più voce in capitolo rispetto agli altri sulle assunzioni al castello» un sorriso morbido ed angelico. «perchè crede di essere migliore di loro?»
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    «pensa che i suoi colleghi non siano adatti all’insegnamento, quindi» Non sembrava una domanda — e infatti non lo era; eppure Lupe si ritrovò comunque a drizzare la schiena, il sorriso cordiale trattenuto a stento sulle labbra, pronta a dire la sua.
    Era lì per quello, no?
    «Alcuni sì, altri meno.» detto con tono pratico, oggettivo. «Non è una cosa che non abbia ripetuto loro più volte.» Lungi da Guadalupe nascondersi dietro atteggiamenti falsi o buonisti: era sincera anche quando la sua posizione andava in contrasto con quella altrui, o quando criticava apertamente atteggiamenti che non reputava consoni.
    E i suoi colleghi? Beh, alcuni di loro, era chiaro, promuovevano un tipo di insegnamento che la messicana non vedeva di buon occhio. Ai quali non era abituata. Troppo tolleranti, troppo simpatici, troppo gioviali nei modi e preoccupati di essere amiconi degli studenti; non era così che funzionavano le cose. Aveva sentito storie e leggende riguardo alcuni di loro che sperava vivamente fossero solo opere di fantasia. Ma non era ingenua.
    Lo sguardo scuro seguì la penna che indicava alcuni appunti sul taccuino della giornalista, ma lo rialzò presto tornando ad osservare il volto giovane che aveva dinnanzi, espressione seria e decisa, ferma nelle proprie posizioni.
    «“non somiglia alla vecchia hogwarts”, una in cui la docenza era occupata dalla generazione precedente;» Annuì con convinzione, mani ancora unite sul tavolo, in attesa che il tè appena arrivato si raffreddasse abbastanza da poter esser sorseggiato.
    La “generazione precedente” non era stata così male, infondo: aveva permesso a color che lo meritavano di puntare ad una carriera di successo e ottenere i riconoscimenti meritati; solo quelli che avevano fallito sotto la passata amministrazione la ritenevano un modello obsoleto e da rivedere.
    Aveva commesso degli errori, certo, premiando alle volte persone immeritevoli ma brave a fingere di essero — ma chi non ne faceva; errori di valutazione, di giudizio, che Lupe era comunque pronta a giustificare a favore di tutto il resto.
    Quella Hogwarts che aveva trovato al suo primissimo viaggio oltreoceano, così diversa sotto molti aspetti da Castelobruxo eppure allo stesso tempo ugualmente stimolante, l'aveva affascinata: Guadalupe apprezzava tutto ciò che costituiva una sfida a livello accademico e allo stesso tempo le permetteva di crescere come persona, e come cittadina.
    Londra poteva essere pure una novità, per lei, ma era decisa ad ambientarsi al meglio delle sue possibilità e dimostrare di essere una figura affidabile, nella società e sul lavoro.
    «“giovani lasciati a scorrazzare”, implica che qualcuno glielo permetta. la mancanza degli studenti di “essere ligi alle regole”, non è imputabile a loro quanto all’ambiente in cui vivono, ed in cui viene concesso di sgarrare - lo sanno tutti» Rimase in silenzio, e quello fu il suo assenso alle corrette parole della giovane. Era proprio così; le torture che impartivano agli studenti erano spesso per sadismo di alcuni colleghi, che non improntate alla corretta educazione dei giovani.
    Ancora: in certe occasioni non facevano che alimentare i comportamenti anticonformisti e maleducati; alcuni giovani le prendevamo come spunto per sottolineare un modus operandi sbagliato, corrotto. E Lupe, in parte, era d'accordo: non era la forza bruta a fare degli studenti delle persone migliore. Erano altri gli approcci, più severi e rigidi, che avrebbero dovuto impartire: ad esempio privarli di attività extracurricolari o uscite nel fine settimana laddove presentavano voti scadenti; non fingere di non sapere che girasse droga nei corridoi del castello — impossibile che nessuno fosse mai stato beccato, o punito con serie conseguenze.
    Persino quelli che aveva beccato lei nelle serre, e poi riportato a chi di dovere, erano stati poi lasciati andare con una semplice ramanzina (e la promessa di esser bocciati in Erbologia).
    C'era qualcosa di fondo che mancava. Una disciplina alla base del tutto.
    Le torture non erano il mezzo più efficace, era evidente.
    «sono i metodi a non piacerle? O loro come persone?» «I miei colleghi potranno confermarle che il nostro rapporto si limita esclusivamente a quello lavorativo; non posso dire di conoscerli abbastanza bene da poterli giudicare come persone Fece una pausa per assaggiare finalmente il tè. «Ma sì, sui metodi potrebbero lavorarci.» Eufemismo del secolo. Il tè, come aveva immaginato, era decente: c'era davvero poco margine di errore per sbagliare, ma era comunque sempre pronta al peggiore, la Ramos.
    «Pensa che il problema sia a monte nel preside ed il vice? Dopotutto, hanno più voce in capitolo rispetto agli altri sulle assunzioni al castello» «In alcune occasioni, Il problema veniva sempre dai vertici, e Lupe avrebbe mentito dicendo di avere stima per Leslie Chow, o che l'uomo le avesse fatto una buona impressioni in quell'anno di cattedra. Si strinse nelle spalle, posando la tazzina sul tavolo. «Mitchell Winston sembra una persona molto valida, pronto ad ascoltare e valutare eventuali problematiche interne, e bravo a trovare soluzioni.» Un po' meno a gestire gli studenti. Lei stessa aveva avuto difficoltà all'inizio, ma poi aveva trovato il giusto equilibrio per venirne a capo.
    C'era un ma inespresso nelle parole di Lupe, che rimase taciuto.
    Infondo, le libertà del corpo studentesco e le 'innovazioni' apportate al castello parlavano da sole.
    «perchè crede di essere migliore di loro?»
    Perché lo era.
    Più qualificata, più preparata; con più pergamene che attestassero i suoi successi accademici di quante ne avrebbero potuto contare i suoi colleghi sommando le proprie.
    Sulla carta, Guadalupe García Ramos era migliore di loro.
    Aveva meno esperienza a livello di insegnamento? Assolutamente sì, e non aveva mai progettato di finire a fare la docente; persino quando le era stata proposta la cattedra, l'aveva presa come un pretesto per ampliare le proprie conoscenze in un contesto nuovo rispetto a quello da cui proveniva, ma mai con la volontà di fare da badante ad adolescenti indisciplinati.
    Aveva poi scelto di rimanere perché le era parso giusto, da parte sua, fare tutto quanto il possibile per rendere Hogwarts nuovamente una scuola rispettabile. Era il suo dovere.
    Aveva sempre sostenuto che gli anni formativi della scuola fossero i più importanti, quelli decisivi, e ora voleva contribuire a rendere vere quelle parole.
    «Perché sono molto preparata nella mia materia, e perché provengo da una famiglia di educatori Eccola lì, la parola chiave. «Gli studenti hanno bisogno di essere educati. Di sapere, sin da giovani, che ogni loro azione ha delle conseguenze, e non sto parlando solo delle torture. Delle quali, per inciso, non sono una grande sostenitrice.» Riprese in mano la tazza, ed osservò Jane oltre il bordo di ceramica. «Devono rendersi conto che la vita adulta richiede responsabilità diverse, e le aspettative sulle nuove generazioni sono molto alte.» Pro e contro dei lasciti delle passate. «Fargli credere di poter essere liberi di fare ciò che vogliono è la cosa più sbagliata, secondo il mio parere. Le regole esistono per un motivo, e non è essere infrante come invece aveva letto su un murales ad Hogsmeade, poco tempo prima. «Lei non trova? Non la farebbe sentire più al sicuro sapere che i pavor di domani sono, a tutti gli effetti, persone affidabili e su cui poter contare?»
    *judges you in spanish*
    - guadalupe garcía ramos, 26
    now playing: proud
    what have you done today
    to make you feel prouder?
    Still so many answers I don't know,
    realize that to question is how we grow
     
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    C’era molto da elaborare.
    Perfino Jane, pur ritenendosi una persona onesta, non era ruvida ed asciutta quanto l’insegnante davanti a lei, la cui – personale - sincerità era dura ed affilata. Forse non quanto un coltello, in quanto non intenzionato a fare del male; più indifferente, e comunque presente, quanto il bordo di un foglio di carta. Taglietti che non uccidevano, ma rompevano lo stesso il cazzo. Insomma, aveva tutte le carte in regola per essere una delle persone preferite di Jane Gabriel Darko.
    Non la era. Trovava l’assoluta e totale mancanza di umiltà della donna, vecchia e già sentita, anziché essere la boccata d’aria fresca che la sua preparazione millantava. L’espressione della Darko non lasciava intendere il proprio malcontento (non era una scelta, era sempre impassibile, macchiata appena di una sadica nota di divertimento) mentre appuntava qua e là qualche frase chiave, ma c’era tutto. Personale, probabilmente. Privo dell’oggettività di cui si era fatta emblema negli anni. C’era suo fratello, ad Hogwarts; c’era la madre di suo nipote. Non le importava che Lupe avesse ragione, perché pensare qualcosa era diverso dal dirlo ad una perfetta sconosciuta, conscia che quelle parole sarebbero finite (forse.) su un giornale a disposizione di tutti. Aveva creduto di essere lei quella priva d’empatia e tatto.
    Posò la penna sul taccuino, chiudendolo di fronte a sé. Aveva finito di prendere appunti.
    Sorrise alla mora – un sorriso piatto, ironico – e la osservò da sotto fitte ciglia scure.
    «forse gli studenti non sono gli unici a dover imparare che ogni azione ha delle conseguenze» Neanche alla Darko piaceva il preside di Hogwarts, e infatti non lavorava per lui. La Ramos, invece, aveva deciso di lavorare al castello, e sputare nel piatto in cui si mangiava non era mai la scelta più rispettabile. «crede di essere migliore dei suoi colleghi perché è preparata nella sua materia, lasciando implicito che loro non lo siano. Dice di provenire da una famiglia di educatori, eppure, dalle sue parole, non appare una persona intenzionata ad educare e formare, altrimenti applicherebbe le sue capacità superiori anche ai colleghi, aiutandoli a migliorare i loro metodi, anziché giudicarli.
    Sta anche suggerendo che i pavor di oggi, formati dai suoi colleghi e quelli precedenti, non siano adeguatamente preparati, il che comporta che secondo lei, il Ministero non sia in grado di fare una selezione. Magari non era quello che intendeva»
    fece spallucce. «ma è quello che si evince» infilò il taccuino in borsa, finendo la bevanda e posandola sul tavolo di fronte a sé. «e le dirò di più» infilò nuovamente gli occhiali da sole. «forse a scuola non mi hanno preparata a sufficienza sulla teoria, ma mi hanno insegnato a sopravvivere. L’unica cosa che mi fa sentire più sicura, è sapere di essermi diplomata prima che lei arrivasse ad insegnare» Le rivolse la metà d’un sorriso, portando una mano al cuore ed offrendole un mezzo inchino. «la ringrazio per il suo tempo, » citando una grande saggia (la vale.): «non ho più piacere di continuare questa conversazione.» lasciò un paio di spicci sul tavolo per pagare la consumazione di Lupe, perché era un gentiluomo. «baci stellari» Jane out.
    "can you please tell me if you're gay or trans"
    i'm open to all headcanons and interpretations
    jane g. darko, 19
    now playing: freak flag
    Nike advertisement, I just do it
    Reasons that they hate me
    are reasons that I love me


    dai dovevamo chiudere qualche role . BACINI LUPE SEI BELLISSIMA PERDONAMI .
     
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6 replies since 5/7/2022, 17:26   223 views
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