whatever remains, however improbable.

indagini 1400 | per tutti

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    A Guadalupe García Ramos piacevano le domande, ma solo quelle a cui riusciva a dare risposte.
    E gli eventi di Ottobre 2021 risultavano, dopo un anno, ancora sconosciuti alla professoressa di erbologia — che iniziava a perdere la pazienza. Una pazienza enorme e molto difficile da prosciugare (Jekyll aveva provato — e fallito! — innumerevoli volte, poteva confermare) ma che era scesa, negli ultimi dodici mesi, a minimi storici.
    Non c'era nulla di quanto studiato che avesse senso, o che filasse, o che avesse una spiegazione; perché a conti fatti di quello si trattava: di uno studio, il suo, dettagliato e costante, che procedeva da fin troppo tempo ormai e sembrava intenzionato a non portare da nessuna parte. Aveva studiato la malattia, aveva studiato i malati — soprattutto, aveva studiato gli immuni; nulla di quanto finito sotto le lenti del microscopio della Ramos aveva saputo darle spiegazioni logiche o che la soddisfacessero, nemmeno quando era riuscita poi a mettere mano sulla pianta estinta che aveva permesso a lei e Anjelika Queen di creare un antidoto e una cura.
    Esattamente un anno dopo, erano ancora lì: al punto di partenza senza più risposte di prima e con forse ancora più domande. Lei, di certo, ne aveva tantissime.
    Aveva studiato abbastanza di ogni cosa da sapere che quelli che di solito venivano considerati miti e legende avevano un fondo di verità bello solido; persino nella botanica si raccontavano storie di piante dalle proprietà inimitabili e in grado di compiere le magie più strabilianti — ma non aveva mai incontrato nulla di simile Per giunta, della ministeriale che, quel giorno, li aveva accolti nella grotta e rispediti avanti di sei secoli, non v’era più ombra. Lei, Mitchell e Richard l’avevano cercata — avevano indagato: si erano lanciati in una corsa contro il tempo per cercare di sfruttare ogni pista finché ancora calda, ma i loro sforzi non erano serviti a nulla.
    La parte peggiore, era che nessuno sapeva cosa raccontare ai ragazzi e al mondo — perché non c’era una risposta. Una storia era stata fabbricata da censori e giornalisti, e il ministero l’aveva rigirata a suo favore in tutte le salse, affinché quell’incidente venisse presto dimenticato e chiuso a chiave in un cassettino della memoria collettiva che nessuno avrebbe mai riaperto.
    E aveva funzionato.
    Chi prima, chi dopo, tutti avevano smesso di parlare di quell’esperienza e di fare domande; chi continuava, solitamente lo faceva con persone intime e a bassa voce. O, come lei, cercava risposte in solitaria; più una crociata personale, la sua.
    Erano circolate le voci più disparate, le congetture più strampalate, ma nessuna che potesse suonare credibile abbastanza da essere la verità; e Lupe, notoriamente conosciuta per essere una donna di scienza oltre che di magia, non era mai stata prona a credere all’incredibile o alle cose più assurde.
    “Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità”, era una citazione che le piaceva molto e che trovava calzasse a pennello in quella situazione.
    Non c’era nulla di probabile negli appunti che erano rimasti alla docente, tra ipotesi scartate e altre confutate dalla magia, dagli indizi e, soprattutto, dalla scienza. Ciò non voleva dire che fosse vicina a capire cosa fosse accaduto nell’ottobre precedente, o che fosse disposta a credere alle ipotesi che rimanevano.
    Voleva indagare, ancora e sempre alla continua ricerca della verità e delle soluzioni; a Lupe, il lavoro duro non era mai dispiaciuto — provate a chiedere a Kiel, sequestrato da tutta l’estate con l'intento di aiutarlo a studiare e passare tutti i controlli e i test per diventare Responsabile di Piano al San Mungo. O bastava semplicemente vedere la collezione di successi accademici che la messicana aveva collezionato in ventisei anni di vita; poteva peccare su tante cose, e di sicuro le mancavano amici o le capacità per farsene di tali, ma era caparbia e instancabile quando in ballo c’era la verità.
    E, dopo tutto quel tempo, la pretendeva.
    Per questo si era recata, per l’ennesima volta, nel cuore della foresta proibita, in una mano la bacchetta illuminata per farsi strada, nell’altra una mappa rovinata e piena di simboli e appunti che la Ramos aveva preso in quei mesi di ricerche e perlustrazioni: prima o poi avrebbe trovato il punto esatto in cui, in quel mistico viaggio nella Hogwarts del Quattrocento, avevano testimoniato atti indicibili e che ancora faticava a credere potessero esser veramente accaduti. Nella storia del castello non si era mai parlato di antichi rituali e sacrifici ad orrende piante velenose (e se lo diceva lei: erano brutte davvero). Nemmeno Quinn ne aveva saputo nulla.
    Lupe voleva andare più a fondo nella questione.
    Guadalupe
    García Ramos
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    INDAGINI !12!!1! DAI VI ASPETTO VENITECE. Scopriamo insieme cosa è successo sdfghj MI RAKK POST BREVI NON DELUDETEMI
     
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    8:12 a.m.

    «si prenda una giornata di riposo.»
    Passò una mano sulle venature dei libri adagiati sulla sua scrivania; copertine pesanti in un verde petrolio che si muoveva, come acqua, lungo tutta la superficie.
    Ottenerli era stato il peggior mal di testa della sua vita. Richieste di permessi su richieste di permessi: quelle pagine contenevano il genere di documenti che, nelle mani delle persone sbagliate, avrebbero potuto portare a una catena di bagni di sangue di cui nessuno, Hogwarts in primis, voleva essere responsabile. Era convinto avrebbero ricorso a un Voto Infrangibile, ma evidentemente avevano preferito la strada dell’incubo burocratico nella vana speranza, forse, che si arrendesse prima; incubo burocratico che era caduto, come spesso accadeva, principalmente sulle spalle di Nathan. Richard era stato al suo fianco per buona parte del processo – firmando pergamene e argomentando le sue teorie (revisionate, ovviamente, così da essere palatabili per il Ministero: erano stati chiari, d’altronde, quando avevano detto di voler risolvere la questione lontani da chi l’aveva subita) e stringendo mani –, ma non sarebbe realisticamente giunto ad alcuna conclusione senza il costante supporto del suo assistente.
    Racchiuse il palmo della mancina attorno al caffè; «è andato anche oltre le sue mansioni.»
    Era conscio, Dick, di essere un uomo difficile ed esigente: un difetto che si portava dietro in ogni aspetto della sua vita. Nathan, incredibilmente, non era ancora scappato a gambe levate. Addirittura si ricordava di portargli il caffè, piuttosto che sbattere una lettera di dimissioni sulla cattedra e imprecare fino al corridoio.
    Fece un ultimo cenno nella sua direzione; un silenzioso grazie, perché alle volte si sentiva troppo impacciato per tenere le spalle dritte come gli era stato insegnato e si chiudeva a riccio come un adolescente, e lo guardò chiudersi la porta dello studio alle spalle.
    A quel punto prese un sorso del caffè ancora bollente, e ammorbidì il nodo della cravatta prima di puntare la bacchetta contro i lucchetti che tenevano i tomi chiusi e pronunciare i vari – troppi – incanti di protezione che li rendevano altrimenti inaccessibili.
    Per lui non era stato solo ottobre. Un susseguirsi di eventi – Mitchell lo sapeva bene, perché erano stati spalla a spalla per tutto il tempo. Inspiegabili, perlopiù, come spesso accadeva con qualunque cosa riguardasse la magia: le menti più razionali scivolavano e fallivano, al cospetto del metafisico. Dick ci aveva provato lo stesso – e con lui, la docente di Erbologia e il vicepreside. E laddove la ricerca di Guadalupe si era soffermata principalmente sulla scienza, Richard aveva cercato le sue risposte nei libri. Trattati, pergamene distrutte, libri impolverati, almanacchi: le sue mani avevano sfiorato ogni carta, avevano percepito ogni vibrazione.
    Nulla era riuscito a sortire alcun tipo di risultato. Qualunque cosa si nascondesse alla base di tutta quella situazione, si nascondeva bene.
    Indossò, come suggeritogli dal curatore che aveva consegnato i libri tra le mani del Sykes, guanti isolanti – quindi aprì il primo volume, e prese a leggere.

    9:03 p.m.


    «non posso enfatizzare abbastanza quanto sia importante che tutti rispettino le semplici regole che ci siamo posti.»
    Rivolto a chiunque fosse presente in quel momento con loro. Lupe era già presa dalla sua mappa speciale, ma a Dick premeva evitare l’ennesima strage.
    «nessuno si allontana dal resto del gruppo da solo; nessuno disturba la foresta – che significa sussurrare e fare attenzione a non calpestare nulla, sia chiaro; nessuno fa cose di spontanea volontà senza prima consultarsi con gli altri, a meno che non si tratti di difesa urgente.»
    Solo allora raggiunse García Ramos: «credo di aver trovato qualcosa, Guadalupe.»
    Alzò la bacchetta davanti a sé, procedendo con passi lenti. Si piegò, invadendo appena lo spazio privato di Lupe – qualcosa per cui si sarebbe scusato in un momento migliore.
    «nulla di concreto – è ancora tutto molto, molto astratto nelle mie ricerche. Informazioni su di una divinità dimenticata.»
    Sbuffò una risata bassa. «forse niente che potrebbe interessare una donna di scienza come lei, temo.»
    richard
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    «il cuore della foresta»
    I ricordi di quella notte di ormai quasi un anno prima si erano andati via via sbiadendo, già mai del tutto limpidi, nemmeno al ritorno nella loro Hogwarts; erano state chiaramente memorie appartenute a Patrick Feeknas, e non a Guadalupe, che pure le aveva sentite pizzicare sulla pelle come se lo avessero fatto. Professori e ministeriali avevano convenuto che non fossero del tutto distinte le due cose: tutte le esperienze vissute quella notte erano appartenute agli studenti e allo staff della vecchia Hogwarts tanto quanto erano appartenute a tutti loro.
    Ma di tutto quello, a trecentocinquanta e rotti giorni di distanza, non rimaneva che una versione meno satura e più sfuocata, ricordi che si muovevano l’uno sull’altro fino a confondersi; la voce di un bambino ficcanaso che non piaceva a nessuno; i petali di una pianta che non aveva ragione di esistere - non lì e non in quel momento -; la luna calante alta sopra le loro teste che illuminava i sentieri della foresta; dei sonagli appesi ai rami dell’albero e un piccolo orto nascosto; una grotta e un incantesimo; una sensazione di terrore che attanagliava lo stomaco della professoressa oggi come allora.
    Le parole di una donna poi svanita nel nulla.
    Il cuore della foresta.
    Aveva creduto, in un primo momento, che la donna dai capelli corvini avesse inteso in senso letterale — per questo Lupe aveva fatto partire le sue ricerche da lì, dal punto più interno della foresta. Ma non aveva trovato nulla, non aveva trovato il centro: era troppo vasta la Foresta Proibita per avere un vero e proprio fulcro, e la Ramos dubitava si trovasse in prossimità dei confini del castello.
    Solo più tardi, mesi dopo, aveva riflettutto che potesse essere un gioco di parole; il “cuore” della foresta inteso come il punto dove qualcuno, o qualcosa più presumibilmente, era nascosto. Conservato. Ma saperlo - e non poteva nemmeno essere certa fosse quella la giusta spiegazione da attribuire a quelle parole - non aveva reso la ricerca meno complicata: i libri su cui Lupe era riuscita a mettere mano parlavano di rituali, congreghe, incontri magici e ogni sorta di ritrovo magico, in punti sparsi qua e la sulla mappa. Li aveva studiati a fondo tutti, ponendo su alcuni più attenzione di altri e soffermandosi con estrema cura su quelli che sembravano più plausibili. Aveva percorso ogni ettare della foresta armata di mappa, bacchetta e cervello, ricordando al meglio delle sue capacità i sentieri percorsi quella notte per trovare i ragazzi.
    Ricordava una grotta, il cammino che l’aveva condotta fino al gruppo — ma non ricordava da dove fosse partito il piccolo Pat: si trovava già in giro per la foresta, quando Guadalupe e il resto degli avventurieri avevano fatto irruzione nel suo tempo? Chi poteva dirlo. La grotta era la prima immagine nitida che Lupe aveva di quel giorno, e aveva passato mesi a cercare di ricollocarla nel loro tempo. Alla fine, l’ipotesi che fosse crollata secoli prima e, per questo ormai inaccessibile, aveva spento parte del suo ottimismo; ma non la voglia di arrivare fino infondo alla questione.
    Erano tornati indietro per la cura perché era esistita al tempo — ma non aveva senso.
    Qualsiasi fosse la ragione di quel viaggio, non poteva essere quella; troppo facile. Troppo perfetta. Credere che qualche forza metafisica avesse deciso di graziarli conducendoli proprio al momento esatto per mettere le mani sulle piante che poi, lavorate nella giusta maniera, avrebbero dato luce alla cura era fin troppo bello per essere vero. Guadalupe era certa che non lo fosse.
    Inoltre, non aveva ancora una risposta per la Domanda Zero: come aveva fatto quella pandemia a colpire Hogwarts, se in apparenza la causa scatenante era estinta da più di sei secoli? Non aveva senso. Nulla di quello aveva una spiegazione logica — o scientifica. Ma Lupe era ostinata, e avrebbe dato chiarezza al tutto.
    V’era anche l’ipotesi era che fosse successo tutto come doveva succedere e che il loro intervento esterno non avesse cambiato, di fatto, le sorti di una storia già scritta e destinata a compiersi in quel modo, e solo quello; ma allora, ancora una volta — perché.
    E come.
    Cosa – chi? – c’era dietro a tutto quello? Di certo non era stato un loro sbaglio, nessuno aveva inavvertitamente organizzato un rituale in grado di spedire l’intero corpo studentesco e lo staff indietro nel tempo; per di più c’era la questione degli ammalati, che non avevano vissuto nulla di tutto quello.
    Di nuovo: perché?
    Quale era la discriminante? Guadalupe aveva parlato con i contagiati, durante la loro convalescenza, mentre prendeva nota degli effetti post somministrazione della cura: alcuni avevano ammesso di non avere ricordi, di aver dormito (seppur male) per la maggior parte del tempo sonni tranquilli. Nello sguardo di altri aveva letto confusione e paura; Cavendish le aveva confessato di avere avuto “la più bizzarra delle esperienze” e di aver incontrato uno degli studenti, lì nel suo sogno — tale studente aveva contribuito solo con una scrollata di spalle e lo sguardo vuoto.
    Insomma: nessuno di loro era riuscito a fornire informazioni utili, e persino la biologia l’aveva delusa, non rivelandole alcunché. Avevano poche altre piste da poter seguire; per lo più erano nei libri di storia su cui Richard Quinn aveva cercato di mettere le mani per mesi. «credo di aver trovato qualcosa, Guadalupe.» E, finalmente, forse, le loro ricerche sarebbero state ripagate. «Informazioni su di una divinità dimenticata.»
    Portò lo sguardo scuro sul collega, sopracciglia aggrottate e labbra strette tra loro. Non ricordava di aver sentito nulla a riguardo, ma nelle grotte avevano avuto problemi più grandi: come trovare un riparo dalle pareti che venivano giù minacciando di seppellirli vivi.
    Forse l’avevano anche fatto, ma nei libri non si parlava di nulla del genere. Quell’avvenimento era stato eliminato, cancellato dalla memoria comune; se non l’avessero vissuto sulla propria pelle avrebbero potuto credere fosse stato un sogno anche loro.
    Ogni tanto Guadalupe si fermava a riflettere che forse avrebbe preferito fosse stato così.
    «forse niente che potrebbe interessare una donna di scienza come lei, temo.» Azzardò un mezzo sorriso che non raggiunse gli occhi, intenti a studiare le pagine del libro che Quinn le stava mostrando. «Arrivata a questo punto, mi interessa tutto Sì, persino paragrafi che parlavano di divinità ignorate, per qualche ragione, da secoli e secoli. «Di cosa si tratta?»
    Non mentiva quando diceva che oramai era disposta a tutto: persino lo stralcio di informazione più astratto che fossero riusciti a trovare avrebbe potuto essere qualcosa. «Ha per caso a che fare con “il cuore della foresta”?» Era un argomento di cui aveva già parlato con Richard, e con Mitchell prima che quest’ultimo partisse e lasciasse a loro le redini dell’indagine.
    Lupe indicò un punto sulla mappa.
    «Ho ristretto notevolmente il campo ma -» le costava fatica ammettere di non avere ancora nulla di concreto con cui contribuire, solo disegni di quella pianta tumorale che non avrebbe mai potuto dimenticare. E che sapeva benissimo fosse estinta.
    Ma anche la Viksoria era tecnicamente estinta, eppure Guadalupe aveva alcuni esemplari che da un anno crescevano nelle sue serre.
    Distolse lo sguardo e lo fece vagare sul gruppo intorno a loro: quelle che aveva creduto essere ricerche solitarie si erano rivelate, infine, un lavoro di squadra. Avrebbe potuto quasi farle piacere, quella consapevolezza, se non avesse avuto il sentore che tutta quella gente avrebbe ritardato la loro tabella di marcia o creato confusione non necessaria e problemi. «Ci sono ancora dei punti della foresta dove vorrei arrivare.» Li indicò sulla mappa, ben conscia di come dovesse apparire quel tentativo: disperato, un azzardo. Una possibilità remota. «Sono luoghi lontani da ogni sentiero, zone inesplorate da ormai troppo tempo, ma vale la pena fare un tentativo.» Non avrebbero trovato nulla, con ogni probabilità, ma almeno avrebbero potuto affermare di non aver lasciato nulla di intentato.
    Guadalupe
    García Ramos
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    «Tieni, e non perderlo»
    Dopo averlo placcato al termine di una partita, Arci aveva passato al giocatore di quidditch un foglio stropicciato. Confuso, Joey lesse di sfuggita le parole di quella che era stata la sua insegnante, alzando poi di nuovo lo sguardo sul panettiere. «Perchè la professoressa Garcia Ramos ti ha scritto un'autorizzazione a entrare nei territori di Hogwarts?»
    «Non a me» Arci picchiettò sul foglio. «A te. Vogliono indagare su quanto successo l'anno scorso nella foresta proibita, gli eventi misteriosi in cui siamo rimasti... coinvolti. Hanno organizzato un gruppo di ricerca, ma ho pensato non ti saresti però abbassato a chiederle un'autorizzazione per partecipare, così l'ho fatto io»
    «Perchè dovrei volerlo fare..?»
    «Perchè potresti essere utile? Perchè sei curioso?» Sollevò le sopracciglia «Perchè non vuoi finire di nuovo in un universo alternativo e sarebbe interessante scoprire cosa cazzo sta succedendo prima che succeda, per una volta?»
    Doveva ammetterlo, era vero. Farsi i fatti propri fino a quel momento era servito a ben poco, e nonostante i suoi tentativi di stare alla larga da qualsivoglia evento mistico, continuava a restare invischiato nelle puttanate dell'universo.
    «Verrai anche tu?»
    Arci scoppiò a ridere, alzando le mani in aria «Dio, no! Io non ho intenzione manco per il cazzo di rischiare di farmi un altro viaggio nel medioevo per due anni. Ho due nipoti a cui mostrare chi è lo zio più fiko, e Bells mi ucciderebbe se sparissi di nuovo» Joey non era particolarmente empatico, e non colse differenze nella voce del ragazzo o nella sua espressione - ma non voleva dire che non sapesse cosa aveva perso il Leroy durante Bodie e perchè avesse tanta paura di ritornare in un posto simile, nè che Bells avesse bisogno del suo migliore amico dopo la scomparsa del (Fraser e del) Milkobitch.
    «Ho la mia vita anche io» ribattè, ma un po' troppo in ritardo: Arci si era già girato, un braccio intorno alla spalla di Arabells a decantare la sua abilità con le palle.
    Tornò a guardare l'autorizzazione.
    Aveva una vita anche lui. Perchè metterla a rischio?




    Anche una volta nella foresta proibita, faticava a trovare La Risposta.
    Era andato, alla fine, mani in tasca (la destra stretta attorno alla bacchetta), scarpe per una volta diverse da quelle di tela bensì anfibi (tarocchi) comprati usati, cappuccio calato sulla testa sopra il berretto.
    Non si riteneva altruista, era quasi certo di non essere lì per evitar altri studenti finissero nella morsa di una setta del 1400, ma le alternative non sembravano comunque convincenti. Davvero il suo subconscio pensava fosse una buona idea andare nella tana del lupo, invece che continuare a scappare? O era solo un corvonero fatto e finito, desideroso di sapere che cazzo era successo l'anno precedente - e quello ancora prima? Se alcune cose che aveva visto, sentito, fossero collegate all'una o all'altra esperienza? Insomma, era anche giustificato dal volerci capire qualcosa: si era risvegliato da una presunta allucinazione con una pianta - e la volta prima con un foglietto minaccioso. Le allucinazioni non funzionavano così.
    Nel dubbio, c'era già aria di pentimento dentro di lui.
    Garcia Ramos e Quinn che cazzo se li erano portati dietro a fare quel branco di persone confuse, se tanto confabulavano fra loro? Carne da macello in caso di attacco? Esche? Non gli erano mai piaciute le figure di comando - e i professori non facevano eccezione. Neanche quando non erano più i suoi.
    Sbuffò, cercando di origliare il discorso mentre accelerava per avvicinarsi di più a loro.
    Che poi, non è che avesse da contribuire con cose intelligenti da dire eh, però già che era lì, almeno voleva sapere il piano d'azione.
    Sempre che ci fosse, ovvio.
    «Ci sono ancora dei punti della foresta dove vorrei arrivare.»
    E niente.
    Non rispose.
    Si guardò intorno: magari qualcosa avrebbe triggerato Tea a uscire allo scoperto e fargli ricordare qualcosa di interessante almeno su quella parte di storia, dentro di sè un filo di eccitazione nonostante la paura. Aveva sentito i professori parlare di una divinità, del cuore della foresta... qualcosa pensava di saperla, doveva solo impegnarsi (o forse no. Forse Joey non sa e via)
    joseph "joey" moonarie
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    questo post è inutile ovviamente, ma almeno posso dire che joey c'era.
    Boh si guarda intorno per vedere se ha lampi di genio (flashback da Tea (?))
     
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