Votes taken by or-nah.gif

  1. .
    whojamie hamilton
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & basta
    info28 y.o. + hunter
    infocronokinesis + 2118's vrs
    Era un territorio inesplorato, quello lì. Entrambi consapevoli, e circospetti, laddove un tempo lo era stato solo il cronocineta. Jamie Hamilton era stato guardingo tutta la sua vita nell’orbita di Will, ogni passo misurato al millimetro; perfino quelli troppo lunghi, non l’avevano fatto incespicare. Cauto nelle parole, nei sorrisi, negli sguardi più lunghi del dovuto posato sulle sue labbra, o il profilo della gola. Nel sangue sotto le unghie, e la violenza stipata fra ogni costola a tenere insieme lo sterno. Gli aveva concesso solo una parte, e gliel’aveva data tutta, e si era concesso solo una parte, sentendo la mancanza di tutto il resto ogni giorno. Anni passati a volere e non poter avere, ed a volere comunque perché era un gioco del cazzo di cui si era scritto le regole solo per masticarle: tenersi quella spina nel fianco gli aveva dato l’impressione di vivere per qualcosa. Un obiettivo, il premio alla fine della gara, uno stimolo ed un aggancio ad una realtà che troppo spesso sfilava davanti all’Hamilton come la tragedia di qualcun altro.
    Ma sarebbe stato troppo semplice se William Barrow fosse stato solo quello. Un qualcosa di cui riempirsi lo stomaco a fine giornata. Gli Hamilton del mondo nascevano affamati prima ancora che i denti bucassero le gengive, e quella fame la rendevano personale. Specifica. Jamie ed il suo digiuno forzato avevano avuto bisogno di qualcosa d’impossibile per contenere il vuoto allo stomaco, ed in una mensa scolastica qualsiasi, il dodicenne Hamilton aveva scelto il mago. Ossessivo, e compulsivo. Aveva mescolato le carte, le aveva offerte ad un giocatore ignaro, ed aveva aspettato il momento della vittoria senza mai ricordargli che fosse il suo turno, perché l’attesa era la parte più importante.
    No?
    «lo sai che non posso»
    Da ragazzino, Jamie non era stato così machiavellico. Era stato normale. Una passione smodata per il caos, ed il sorriso giusto per i guai, ma normale, con una sfida lanciata da sopra il piatto alla sorella, ed il bisogno di vincere sempre.
    Poi sua sorella era morta, e sua madre era morta, e Leonard aveva fatto del proprio meglio, ma il meglio di suo padre non era stato abbastanza. Si era scelto quell’ossessione , come chiodo a cui incastrarsi; quel Barrow che piaceva a tutti, come una giornata di sole nel gelo invernale. Non aveva smesso solo perché se n’era innamorato - quanto sarebbe stato banale - ed aveva piuttosto complicato tutto, perché i fili lineari piacevano solo a chi si dedicava al ricamo per la prima volta. Si era detto fosse solo una voglia, perché era un Hamilton, e non aveva fatto nulla in merito per anni, perché era Jamie, e non voleva perdere Will.
    Quello, aveva mandato tutto a puttane. L’inizio di una tragica fine. Una fottuta parodia, con il senno di poi.
    Lo sapeva?
    Guardò un punto fisso oltre le spalle di Will, stringendolo appena contro di sé. Sentendo il proprio cuore accelerare l’andatura, conscio che non fosse solo desiderio, e non fosse solo amore. Paura? Forse, anche se non aveva lo stesso preciso sapore del terrore – no. Sapeva più di qualcos’altro: la scelta di premere senza lasciare lividi. Di bisbigliare anziché gridare.
    Perchè poteva perderlo, e non solo metaforicamente. Jamie avrebbe potuto, avrebbe fottutamente potuto, prendere la bottiglia abbandonata sul tavolo, spaccarla contro il legno, e conficcarla nel torace del mago prima che chiunque degli ospiti potesse gridare l’allarme. Sparire prima che qualcuno potesse fare il suo nome. Posò lo sguardo sul vetro, il ricordo del sapore del sangue sul palato. Fisicamente, poteva. Mentalmente, poteva. Forse anche emotivamente, poteva - e sarebbe stata la scelta più semplice, anche se non la migliore. Toglierlo dall’equazione nel modo più permanente di tutti. Il contrario di un tatuaggio, e poi fosse fra Jamie e Dio.
    Ma non voleva, e volere era potere – o almeno, così narrava la leggenda. Avrebbe sempre scelto di stringerlo un po’ di meno, se significava mantenerlo in vita - non abbastanza da lasciarlo andare, che era la condanna di entrambi. Non sapeva che farsene, di una vita senza di lui. Non lo ricordava più, com’era stato.
    «perché non sarebbe la stessa cosa»
    E quindi. E quindi. Umettò le labbra, chiudendo gli occhi alla familiare - familiare, assurdo di per sé – sensazione delle dita di Will fra i capelli, il tepore dei polpastrelli sulla cute. Inconscio nell’offrirvi il proprio peso; spontaneo, cercare la gravità nel suo palmo. Respirò sulla sua tempia, soffiando aria sulla pelle. Abbassò anche lui la voce, perché quel genere di richiesta non era fatta per la luce del sole, o per esistere all’infuori del loro personale cosmo.
    «e se ti dicessi che non mi importa» solo alito caldo, senza timbro.
    «e ti dicessi che non dovrebbe importare neanche a te»
    Un per favore. Ed un andiamo.
    Se non poteva averlo né come compagno né come amico, come amante se lo sarebbe fatto bastare.
    Per un po’.
    L’avrebbe fatto bastare ad entrambi.
    Per un po’.
    «voglio averti come prima, e amarti senza doverti condividere con qualcun altro. non posso fare finta di niente»
    La rabbia, onnipresente rabbia, provò ad infiammarsi, perché ma che cazzo e vaffanculo e non lo vedi, non lo senti, non lo sai che non potrei mai essere di qualcun altro, ma respirò a bocca aperta e la mandò giù intera, rischiando di soffocarcisi. Era superfluo sottolinearlo un’altra volta; quello era il momento in cui incassava e basta, perché sapeva Will avesse ragione, ed avesse tutto il diritto di sentirsi così.
    Si irrigidì appena solo quando «perché non ti basta mai niente? perché non ti basto io?» perché sentì, fisico e concreto, il bisogno di ridere meschino e ruvido, e coprirsi gli occhi con i palmi. Manipolare quella conversazione, sarebbe stato istintivo farlo, e dirgli che dovesse decidere chi fra loro fosse il problema; che se lui era il loro capro espiatorio, allora non c’era motivo di inserirsi nella questione parlando di sé. Sarebbe stato egoista, e mendace, ma Jamie sapeva che se si fosse mostrato ferito, ed avesse spezzato qualche parola qua e là, avrebbe potuto vincere quella discussione. Magari mettere di mezzo come il crollo francese avesse sterminato la sua famiglia lasciandolo un reietto di se stesso; come sentisse sempre l’arto fantasma della metà del proprio cuore. Uno sguardo al cielo, forse; bisbigliare che senza Katie non fosse mai più stato lo stesso, e che si sentisse in dovere di vivere una vita doppia per bruciare anche la sua.
    In parte avrebbe anche potuto essere vero.
    «non lo so» mormorò invece, banale. Patetico. Perchè come glielo dicevi a qualcuno abbastanza stupido da amarti, che fossi semplicemente un cazzo di infame. Non era nato cattivo, ma lo era diventato, e non era sempre stato sadico, ma lo era. Almeno il masochismo, era un tratto che portava con sé dalla nascita.
    Come ogni fottuto Hamilton che si rispettasse. Ciascuno martire a modo proprio, ma la matrice non cambiava mai.
    Per la prima volta nella sua intera vita, di fronte al tono supplichevole e stanco dell’altro, Jamie abbassò le armi. Alzò bandiera bianca. «non lo so, will» si appoggiò a lui, respirando piano. Moderando ogni fiato ed ogni pensiero.
    Dimmelo tu.
    Lì lì per domandarglielo, in ginocchio come un peccatore ai piedi del parroco. Inspirò.
    «non– non c’è niente per cui aspettare»
    Al futuro piaceva cambiare, e Jamie lo sapeva bene. Ogni decisione, perfino quella che appariva più infima, cambiava l’intero corso della narrazione. Ogni secondo, qualcosa dell’indomani cambiava forma, e ciascuna parola plasmava il risultato del mese successivo. L’effetto farfalla, era reale. Jamie il loro futuro l’aveva visto, e l’aveva sognato, e l’aveva guardato.
    Si era sgretolato, e riformato, e sgretolato di nuovo, e spento in sangue, e soffocato in stanze buie, e stretto fra i palmi come qualcosa di vulnerabile e delicato. Tutti plausibili. Sapere che di quelli ne avrebbero avuto solo uno, non lo spaventava quanto avrebbe dovuto: se lo sarebbe fatto andar bene, finché un futuro lo avessero avuto. Il fatto che Will non fosse ancora nella posizione di vederlo, non significava che non l’avrebbe fatto la settimana successiva. Mese. Anno, se necessario.
    «non so più come fidarmi di te»
    Jamie Hamilton era la scelta peggiore. Davvero, davvero, William Barrow avrebbe meritato qualcun altro. Chiunque altro era meglio di qualcuno che a pigre palpebre socchiuse, valutava l’omicidio pur di non dover sopportare il bisogno, ed il volere. Più si rendeva conto di doverlo lasciare andare, meno sembrava in grado di farlo.
    Dimmi come
    e
    Insegnami
    morirono entrambi sulle labbra di Jamie, perché non era una responsabilità del mago. Aveva creato lui il problema, ed avrebbe trovato il modo di risolverlo. Lo faceva sempre. Così sospirò un sorriso triste, allontanandolo da sé di un passo e mezzo.
    «lo so»
    Avrebbe potuto fermarsi lì. Lasciare le sue mani, ed andarsene.
    Cambiare stato, magari. Rincorrere il sole e bruciarsi su spiagge dorate. Leccare la salsedine direttamente dall’incavo del collo di perfetti sconosciuti. Cambiarli ogni giorno come lenzuola ed umore. Una vita che non avrebbe dovuto farlo sentire così male.
    Portò la mano del Barrow all’altezza del proprio viso, premendo il più casto dei baci sul battito rapido del polso. «sono un cronocineta» bisbigliò, perché se l’aveva conquistato una volta, poteva rifarlo; potevano ricominciare, o riprendersi da metà. Il come non aveva importanza. Il quando?
    «il tempo è l’unica cosa che non mi manca, william»
    Non quella sera, perché lo lasciò lì, sulla pista da ballo. Che si godesse il resto della serata; che piangesse fino a che qualcuno non gli avesse asciugato le lacrime con il pollice (Jamie non gliel’avrebbe neanche staccato, e se non era maturità quella, non sapeva cosa la fosse.) se era quello di cui aveva bisogno. L’avrebbe lasciato stare, per un po’. Concesso di respirare aria che non fosse viziata.
    Per un po’.

    I know that you like my style
    I look like this on purpose
    You don't wanna see me smile
    I bite, I promise
    when3 september 2023
    avignon, provencewhere
    board'till death do us part
    rage
    samantha margret
    whorea hamilton
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & hair
    info32 y.o. + mercenary
    infoHALLUCIKINESIS + f. slytherin
  2. .
    whojamie hamilton
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & basta
    info28 y.o. + hunter
    infocronokinesis + 2118's vrs
    Immune a tutti i colpi. Impassibile, perché sapeva incassare, e sapeva di meritarsi le occhiate bieche che non indugiavano mai troppo a lungo; il tono asciutto, e le parole avvolte al collo di una bottiglia. Guardò il pomo d’Adamo che si alzava ed abbassava ad ogni ampio sorso di vino, e si sentì il mostro che effettivamente era, e che Gugi non aveva mai creduto fosse: odiava fosse la causa di quel malessere, ed al contempo non poteva che esserne terribilmente, egoisticamente, sollevato. Se non felice, qualcosa che comunque ci andava molto vicino; poco lusinghiero ammetterlo, ma non meno onesto.
    Se fosse stato una persona migliore, non avrebbe voluto che la propria vicinanza facesse così male.
    Non lo era, e quel dolore era meglio del niente. Preferiva ferirlo, che lasciarlo indifferente; non aveva alcuna intenzione di rimuovere la lama che negli anni, in tutta la loro vita, aveva affondato fino ad incastonarla nella carne. Abbastanza crudele da smuoverla e far sanguinare, se significava trovarsi un nuovo incastro. Farsi posto dove bruciava di più, ed imprimere la forma delle proprie labbra dove nessuno avrebbe potuto toglierla. Non gli avrebbe mai augurato di sentirsi miserabile, ma non significava che fosse dispiaciuto nell’avere la conferma lo fosse.
    Che bastardo, Jamie Hamilton.
    Lo pensavamo tutti, qualcuno doveva dirlo.
    Portavano la propria rabbia ed il proprio dolore in maniera diversa, Jamie e Gugi. Si diceva che il profumo acquisisse note personali a seconda di chi lo indossasse, e lo stesso di poteva dire di un cuore spezzato. Era vetro, quello di Jamie. Tagliava se stesso dall’interno, e gli altri solo quando avevano la brutta abitudine di affondare le dita per toccarlo. Apparentemente, Jamie era perfetto: non aveva perso peso, non aveva occhiaie, e lo sguardo non portava traccia del vuoto a forma di William lasciato dalla sua assenza. Teneva quel ritaglio privato ed intimo; un quadro insalubre e scorticato solo per sé. Gliene lasciò un po’, quando cercò i suoi occhi. Era l’unico a cui avrebbe permesso di vederlo, indipendentemente da quale parte della barricata si trovassero – compagni d’armi, o nemici. Will non era la parte migliore di Jamie, sarebbe stata una visione alquanto banale e svilita della sua presenza nella vita dell’Hamilton, e meritava un ruolo migliore di quello. No: non aveva bisogno di lui per sentirsi più buono, più magnanimo, o meramente umano; era la parte per cui Jamie voleva essere migliore, e più buono, e magnanimo ed umano. Quello, signori miei, cambiava tutto quanto. Non Jamie, ma il resto sì. Rimase immobile pur non desiderando nulla più del passare le dita sulla gola del Barrow, delicate e familiari, e percorrere la linea della mandibola fino a perdersi nei capelli scuri. Per abitudine; perché fino a qualche mese prima avrebbe potuto farlo, e vincersi un sorriso imbarazzato ma felice. Glielo avrebbe ripetuto ancora che gli mancasse, se Will non avesse scelto quel momento per posare la bottiglia sul tavolo, e trascinare la sedia all’indietro. Allungò appena le mani per sostenerlo in quella che non sembrava affatto una posizione stabile, non era mai stato bravo a reggere l’alcool, ma non lo toccò. Non ancora. «perché no, tanto ormai che male può fare» Era più brillante di così, William Barrow; sapeva che potesse sempre fare più male, e gli stava di nuovo offrendo la parte più vulnerabile di sé lasciando che si armasse fino ai denti. Dio, se sapeva di non meritarselo. Avrebbe dovuto significare qualcosa che Jamie ne fosse consapevole, ed invece non cambiava nulla, perché era un egoista del cazzo ed una persona di merda. Non gli sorrise, mentre quello lo afferrava cercando d’essere il più impersonale possibile per trascinarlo in pista. L’avrebbe lasciato fingere, se era quello di cui aveva bisogno per tollerarlo al proprio fianco. L’aveva già fatto. Continuò a guardarlo senza dire nulla, lasciando perlomeno che fosse lui a gettare parte delle regole di quella partita. Aveva già scelto il gioco ed i partecipanti, poteva concedere al Barrow di tracciarne i confini – e scegliere in un secondo momento quando spingere, e quando rispettarli. Sospirò appena quando il palmo di Will scivolò sulla sua spalla, le dita nelle proprie. La sua mano libera la strinse al fianco del Barrow, e se lo tirò un po’ di più vicino a sé, non fu solo per assicurarsi che mantenesse l’equilibrio; se i polpastrelli scivolarono appena sotto la giacca, cercando il contatto più sottile della camicia e quello caldo della pelle sottostante, non erano affari vostri. Non chiuse gli occhi solo per il mero principio di non perdersi nulla – ma avrebbe voluto, così come avrebbe desiderato essere in grado di fingere che fosse ancora così, fra loro; che potesse farlo ridere con una pessima frase da rimorchio, e posare le labbra sul suo orecchio per suggerire in maniera dettagliata come sarebbe finita quella serata, e rubarselo lontano dal mondo. Tenerlo solo per sé. «volevi ballare con me, tutto qui?» Si lasciò guardare a sua volta, perché glielo doveva. Intinse solo un angolo della bocca nella parvenza di un sorriso, perché non era il momento né di ricordargli quanto lo trovasse adorabile perso nei fumi dell’alcool, né che il tutto qui fosse alquanto superfluo. Voleva le sue pigre mattine con lui. Voleva le sere passate a guardare stronzate in televisione, e quelle a scambiarsi bicchieri di vetro fino a che né l’uno né l’altro avevano vaga percezione del proprio corpo – ma riuscissero comunque a sentirsi a vicenda, perché non credeva esistesse stato di alterazione che gli avrebbe permesso di non sentire, fisicamente, la presenza di Will. Voleva ricordare quand’erano ragazzini, e rendersi conto ad ogni sobbalzo sorpreso che davvero il Barrow non si fosse mai accorto di quanto cazzo ne fosse stato innamorato sin quasi dall’inizio. Aveva ricordi specifici e vividi, Jamie, che gli piaceva raccontare in maniera diversa, suggerendo in bisbigli che quello avrebbero potuto averlo molto prima. Feste che Will a malapena ricordava, e di cui Jamie descriveva ogni piega dell’abito della ragazza aggrappata al suo braccio; di come il viso del Barrow, quando infine l’avesse visto nel resto degli invitati, si fosse illuminato, si, ma non nel modo giusto, e Jamie aveva ricambiato il sorriso pensando che morire non dovesse essere poi così diverso. «mi manchi anche te» Fu naturale, più istintivo del manipolare il tempo o respirare, stringerlo un poco più a sé. Fiati sottili e misurati, occhi densi del già detto e quello che non c’era bisogno di dire: non devo mancarti per forza. Dopotutto, in nessuno di quei mesi l’aveva mai perso. «ma mi fa più male stare qui, vicino a te, quando so quello che hai fatto» Deglutì. Di nuovo: avrebbe voluto, ma lo sguardo non lo spostò neanche di un millimetro dal volto del francese. Lo tenne lì, a pesare e pesare e pesare, perché non poteva cambiare il passato. Poteva solo riscrivere il loro futuro, ed avrebbe sgretolato il mondo sotto il tallone per molto meno che non riavere William Barrow nella propria vita. Lo avvicinò impercettibilmente a sé. La fronte ormai a pochi centimetri dalla sua, e così poco spazio per condividere parole, che Jamie voleva solo lasciargli i propri fiati, e che Gugi ne facesse quel che voleva. «ma soprattutto, mi odio per volerti ancora nonostante tutto» L’Hamilton era un soldato, ma non il più forte. Cedette, lasciando la propria fronte sulla sua. Spinse appena, scivolando fino ad avere le labbra sulla sua guancia, dove lasciò il fantasma di un bacio. Un contatto che poteva esserci stato, o forse se l’era solo immaginato.
    «lo so» mormorò, soffiando caldo sulla sua pelle. La presa sul fianco divenne più decisa, più un ricordo che una stretta. «odia me, non te.» la voce bassa, e la mano ad insinuarsi sulla base della schiena. Un’offerta; non di pace, Jamie conosceva solo guerra, ma un’offerta comunque. Stava facendo un gioco molto, molto sporco, ma nella maniera più trasparente ed univoca possibile. «puoi avermi, e odiarmi comunque» il cuore in gola, e la bocca asciutta. Sentiva di essere molto vicino a rompere almeno un paio di regole, ma non sarebbe stato lui ad infrangere quel tacito patto – non avrebbe fatto nulla per impedire il contrario. «puoi amarmi, e odiarmi comunque» suggerì al suo orecchio, perché era vero. Si allontanò quanto bastava a cercarne lo sguardo; non rideva, Jameson Black Barrel Hamilton. Negli anni aveva mentito a William, più volte, ma era l’unica persona con cui fosse anche stato sincero. Sapeva che fosse in grado di riconoscerla, quell’onestà cruda e poco abituata a sgusciare fra denti serrati ed affilati.
    «puoi odiarmi e basta. Ti aspetto comunque, gugi»
    L’aveva sempre fatto.
    I know that you like my style
    I look like this on purpose
    You don't wanna see me smile
    I bite, I promise
    when3 september 2023
    avignon, provencewhere
    board'till death do us part
    rage
    samantha margret
    whorea hamilton
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & hair
    info32 y.o. + mercenary
    infoHALLUCIKINESIS + f. slytherin
  3. .
    Immobile.
    Lento. Tutto incredibilmente lento. Il mondo avrebbe dovuto crollare, non fermarsi. Un respiro solo sembrò costargli giorni, mesi, fatti di lento incamerare ossigeno, trattenerlo, e soffiarlo facendo meno rumore possibile. Combattendo contro la pressione ai polmoni. Temeva che un movimento più azzardato spezzasse il friabile equilibrio di quel castello di carte; la mano in quella del Barrow, era la cazzo di spalla contro la porta ad impedire che il vento facesse collassare la costruzione su se stessa. Trattenerla in bilico, seppur per poco. Ancorarla alla propria gravità. Riusciva a sentire gli ovattati rumori provenienti dall’esterno, un mondo che mai come in quel momento gli era parso distante. Insignificante. Stava per scoppiare una guerra, ed il cronocineta riusciva a pensare solo che fosse la battaglia sbagliata, e che in quella giusta avesse già perso. Armi di cilindrata troppo grossa; spade tenute dalla lama anziché dall’elsa.
    L’incrinatura nell’assetto dell’universo quando William Barrow guardò ovunque eccetto che verso di lui.
    Poteva ancora sentire il calore delle dita a sfiorare la pelle, disegnando contorni che non gli appartenevano, ma erano suoi comunque. Non sapeva come dirglielo. Non sapeva come farglielo capire ed avere senso, perché raramente nella parte più livida e macilenta di se stesso, l’Hamilton aveva senso per qualcuno che non fosse se stesso.
    Non ha importanza.
    Non l’aveva in quel momento. Non l’aveva avuta quando a tracciare quelle impronte, erano state bocche diverse dalla sua. Il sesso non significava niente. Lo considerava un passatempo come il biliardo e le freccette; uno sport come il tennis e la pallavolo. Non era intimo. Non era Jamie. L’aveva fatto sapendo fosse sbagliato, consapevole che lo sporcarsi d’altri avrebbe spezzato il cuore di Will, ed era stato tutto parte del perverso e malsano gioco che continuava a perdere contro se stesso.
    Perchè?
    «perchè?»
    Premette con forza la lingua sul palato. Era stato una guardia. Un soldato. Era un cacciatore, ed un mercenario che scambiava il denaro per vite umane. Di colpi, nella sua vita, ne aveva presi.
    Pochi avevano fatto male quanto quella domanda. Quel tono così ruvido da farlo sentire scorticato ed esposto. Vulnerabili alle infezioni. Serrò le palpebre, ingoiando il sangue mescolato alla saliva, permettendo al ronzio del neon di riempire quel silenzio.
    Lo sai, perché.
    Scosse appena il capo, una volta. Un gesto involontario a rilasciare parte della tensione della mascella, così serrata da temere che i denti si sarebbero spaccati lacerando l’interno delle guance. Perchè? Lo conosceva da quand’erano ragazzini; la risposta ce l’aveva di fronte a sé, ed aveva spalle larghe e pelle nuda. Era così semplice da risultare banale, così ovvio che non vide la necessità di rispondere, socchiudendo le palpebre per pesare occhi blu sul profilo del Barrow.
    Non ce l’aveva, un cazzo di perché. Era egoista, alla ricerca del piacere anche - soprattutto - dove non avrebbe dovuto. Respirava per spingere i propri ed altrui limiti, valicandoli solo per poter dire di essere tornato indietro integro. Le conseguenze gli sembravano sempre così lontane, quando a parlare era la carne. Ed era vero, che gli piacesse soffrire. Non razionalmente, chi mai l’avrebbe voluto per se stesso?, ma gli piaceva comunque, perché lo faceva sentire reale e sbagliato e umano. Era una creatura abietta e sporca, Jamie Hamilton; scontato trovasse se stesso solo nelle parti peggiori.
    Non aveva giustificazioni da offrire a Will, e non voleva dargliene.
    Il peggio, il fottuto peggio, era che una parte di lui fosse felice avesse trovato quei segni. Soddisfatta. Sorrideva languida di quel dolore, dell’essere visto per quel che era, e non quel che William Barrow aveva desiderato fosse. Sadico, nella terrena dimostrazione che le eccezioni non esistessero; che lo amasse, ma restasse un bastardo. Voleva ridere, piatto e distaccato, ed assorbire quella sofferenza come una cazzo di spugna emotiva, risucchiando finché di loro non fosse rimasto un cazzo di niente.
    Sadismo e masochismo erano sempre andate mano nella mano, nella vita del cronocineta. Devastava tutto quel che aveva, ingrassando il lato perverso che voleva incutere terrore ed odio.
    Perchè?
    Non farmelo dire.
    «will...» un bisbiglio roco, quello di Jamie. Non rotto, ma affilato comunque: una bottiglia già spaccata in partenza, i cui cocci scricchiolassero sotto le scarpe. Non era un tono di scuse, il suo; non era dispiaciuto, Jamie Hamilton.
    Non sapeva come esserlo. Non sapeva dare un nome al battito lento e pesante nello sterno, od al perché misurasse ogni fiato a scaldare lo spazio fra loro. Forse era quello, essere dispiaciuti?
    Voleva capisse. Non voleva dirglielo.
    Aveva importanza?
    Non aveva mai avuto molto con cui poter amare qualcuno. Quanto di buono c’era stato in Jameson, era rimasto sepolto insieme a sua madre e sua sorella. Qualunque cosa l’avesse legato a Leonard, era stato più odio che amore; con Melvin, più bisogno che amore. Ma Will. L’aveva odiato, e ne aveva avuto bisogno, e comunque amato più del resto, perché era il suo migliore amico. Si era fatto scegliere; se l’era stretto al dito come una promessa.
    Non l’aveva mantenuta. Ed allora se l’era agganciato alle costole, nascosto dietro ossa e buio. Aveva pensato che dargli il proprio meglio, sarebbe bastato ad eclissare il resto.
    Tutto il fottuto resto, Jamie?
    Faceva ridere, con il senno di poi. Quasi ne sorrise perfino in quel momento, con i brandelli ancora sanguinanti del cuore del Barrrow a colare fra le falangi.
    «da quanto tempo, jamie?»
    Oh William. William. Ancora non l’hai capito?
    Jamie non aveva mai smesso.
    Passò qualcosa di brutale e ferito, negli occhi dell’Hamilton. Si obbligò a trattenere il respiro, moderando il battito e la rabbia a sfrigolare sotto pelle. Non sapeva neanche con chi cazzo lo fosse, furioso.
    (Forse perché non lo era, e quella era paura.
    Ma Jamie? Jamie. Jamie Hamilton non aveva paura di niente.)
    Si disse che… pensava sarebbe andata peggio, sapete. Che avrebbe fatto più male.
    Non sentiva niente. Si sentiva vuoto come i cadaveri che si lasciava alle spalle nei vicoli. Si sentiva slegato dal mondo come la fottuta linea artificiale dell’equatore, costretta ad una forma solo perché gli uomini potessero avere un riferimento e dargli un senso.
    «ti amo da quando abbiamo quindici anni» mormorò.
    Non era una scusa. Non era una richiesta di perdono. Era un dato di fatto, la realtà nuda e cruda. Era la cosa più sincera di se che avesse mai avuto, quella verità lì. Perchè non poteva essere abbastanza? Aveva solo quello. Quei segni? Non avevano importanza. C’era una supplica a cui non sapeva come dar voce, negli occhi chiari dell’Hamilton. Aveva sempre potuto contare sulle parole, ma quel sentimento era qualcosa di troppo vivo per essere costretto a morire fra le corde vocali, strizzato dalla lingua sul palato.
    «li conosco?»
    «no.» per quello aveva una risposta facile, spontanea.
    Non corresse il plurale.
    Erano signori nessuno. Quel che passava il convento, nella migliore delle ipotesi, se non pedine mosse quanto bastava a trovarle in una posizione più comoda per mangiarle. Battè le palpebre. Distolse lo sguardo dal volto di William solo per posarlo sulle dita premute sul suo polso, cosciente che l’altro avrebbe sentito la parte più vera e primitiva di Jameson Black Barrel Hamilton: un animale in trappola.
    Il cuore nel costato. Il sangue nelle vene. Il caos nei liquidi occhi turchesi. Era qualcosa di contenuto a malapena, Jamie. Una bestia con pelle d’uomo solo per caso.
    Ma.
    «e non mi dire che non ha importanza, cristo- eri il mio migliore amico»
    Ma.
    Non lo capiva? Non lo sapeva? Era proprio quello il punto: era il suo migliore amico, il suo amante, l’unico perno al mondo alla sua fottuta salute mentale. Scardinarlo gli veniva più naturale che rimanerci appeso.
    Perchè. Perchè era montato al contrario, come tutti i fottuti Hamilton.
    Non significava che lo amasse meno, o che non gli importasse. Lo faceva. Di nuovo, era quello il punto.
    Voleva essere crudele, e dirgli che fosse sempre stato quello, ma non gli era importato finché l’altro non aveva deciso dovesse significare qualcosa. Voleva dirgli che lui l’aveva amato anche per quello; che a William Barrow II di Francia le cause piacevano solo perse, e l’Hamilton era sempre stata la sua scommessa preferita. Che se lo amava, era perché avesse un motivo per farlo, e migliaia per non farlo.
    Tacque. Continuò a guardarlo cercando d’imprimerselo – l’incredulità, soprattutto.
    Non permettermi di farci questo. Parole in trappola, smarrite fra cervello e bocca. Quando dischiuse le labbra, ne uscì solo un debole «per favore»
    jameson black barrel
    hamilton

    If my sea dug a hole
    in your soul and your brain
    But I loved you to death,
    could you handle the pain?
    chronokinesis
    28 y.o.
    hit man / hunter
  4. .
    whojamie hamilton
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & basta
    info28 y.o. + hunter
    infocronokinesis + 2118's vrs
    Jaden era diventata un mostro. Il peggio del peggio che la natura maschile potesse offrire. Non capiva se fosse vittima di una gravidanza isterica, così come lo era stato Eugene ai tempi di Uran, o se semplicemente possedere dei testicoli avesse in automaticamente fatto fluire tutto il sangue verso il basso, lasciando la testa vuota e leggera. Battè le palpebre perplessa verso il biondo, arricciando le labbra alle briciole sputacchiate tra una parola e l’altra.
    Ew?
    «Anche io. Tipo la ricetta di questa... cos’è, secondo te? Una mini pie?? Non capisco cosa ci sia dentro, ma è…»
    «disgustoso» concluse per lui, lanciandogli un fazzoletto perché si togliesse la mini pie dalla parte inferiore della faccia. Che figura le faceva fare? Era sempre stata un po’ bestia, ma perlomeno istruita su come comportarsi nell’alta società, e più incline a prendere il cibo e lanciarlo sugli altri che a sputarselo addosso.
    «Le creature sono dai miei, a Kensington» I suoi cosa. E quante ne aveva. Inumidì le labbra con il vino, ruotando gli occhi cioccolato al proprio fianco. Cercò di studiarne la postura per comprendere se avesse esagerato con le bevande, ora che era Eugene a doversi mantenere astemio, ma le sembrava – seppur rozzo – abbastanza sobrio. «Avevo detto a Tyler che secondo me almeno Minnie poteva venire, ma si è messo a dire che si sarebbe annoiata, che non è giusto costringere gli estranei a sopportare i figli altrui, che…E invece guarda!! Ci sono un sacco di bambini!! Avrebbe potuto fare amicizia!!!» Lo osservò. Lo studiò. Strinse gli occhi riducendoli ad una fessura, squadrando il biondo da sopra il bordo del calice. Tyler? Minnie? Non credeva di essersi persa così tanto della vita di sua sorella, da non riconoscere nomi in un contesto familiare, quindi dedusse che quello non fosse Jade. Rea Hamilton, ch’era sempre stata una donna di classe, a quella consapevolezza non battè ciglio, ammorbidendo però il sorriso rivolto al ragazzo. Pensava si conoscessero? Si conoscevano? Non le sembrava familiare, ma d’altronde, le appariva del tutto mediocre, e poco memorabile. Fece scivolare lo sguardo ai vestiti, di ottima fattura, e ad eventuali segni che potessero darle un qualche indizio su chi fosse.
    Niente. Ma non sarebbe stata lei a interrompere l’incantesimo.
    «le sarebbe piaciuto molto» convenne educata, spostando la propria attenzione al lontano recinto delle bestie. Chi non avrebbe amato essere rinchiuso insieme ad altre creature demoniache in attesa della fine? Ci avevano anche scritto un libro in merito (gli Hunger Games). «ma è piacevole che abbiate una giornata solo per voi, no?» quello della Hamilton fu un sorriso dolce, a persuadere melliflua che dovesse cercare il suo Tyler, e lasciarle quell’angolo di isolamento dal resto della società senza che dovesse essere lei quella ad alzarsi – ma era anche sincera, a suo modo. Per quanto le fosse possibile esserlo, più avvezza agli inganni che all’onestà.

    Se fosse stato una persona migliore, se ne sarebbe andato. L’espressione di Will era trasparente come plastica, decifrabile come una filastrocca scritta in piccolo ma imparata a memoria da bambini. Jamie si prese comunque il proprio tempo per leggerla tutta, incassando la mancanza di tutto quello che avrebbe dovuto esserci con un sorriso se possibile ancor più brillante.
    Jamie Hamilton praticava boxe da metà della sua vita: incassare non era un problema; potevano farlo tutta la sera.
    E l’avrebbero fatto, perchè Jameson non era una persona migliore, non rispettava gli spazi altrui, e non concedeva tempo per riflettere, conscio di non potersi permettere nessuna delle due cose. Temeva, e con giusta causa, che se non avesse ricordato a Gugi quello che erano stati, avrebbe finito per dimenticarlo ed andare avanti davvero. Che il cerotto, sarebbe diventato cicatrice. Sapeva di amare Will; sapeva anche di essere troppo egoista per rinunciare – malgrado tutto, e malgrado se stesso.
    Non aveva nessun altro al mondo.
    Non voleva nessun altro al mondo.
    Ed avevano tutta una vita insieme, alle spalle. In qualunque forma si fosse voluta cercarla, c’era, ed il cronocineta non riusciva a pensare ad una vita senza il Barrow. Un concetto che da chiunque altro sarebbe parso molto romantico, ma che l’Hamilton riusciva a strappare da quella sfera per renderlo mortalmente reale, e per quello ancora più letale: non poteva e basta. C’era in ogni ricordo, e voleva ci fosse in ogni futuro.
    Allora perché.
    Troppo tardi per domandarlo.
    «cosa vuoi, hamilton?» La passeggiata sul viale dei ricordi, era evidentemente esclusa. Jamie studiò il profilo del mago in silenzio, avvicinando il bicchiere alle labbra per umettarle appena con lo champagne. Uno sguardo intenso, e poco appropriato ad un contesto pubblico, perché intimo e crudo. Non volgare, non era quello il punto, ma trovava il quesito un po’ troppo… superfluo. Lasciò che un angolo delle labbra si sollevasse lento verso l’alto come un filo di miele rimasto aggrappato al cucchiaio. Lo sai, cosa voglio.
    Se fosse stato più maturo, avrebbe detto solo parlare.
    «te. vale?» Battè le ciglia, consapevole che fosse un approccio scadente e dozzinale; conscio anche che il proprio sorriso colmasse le lacune del linguaggio verbale, insieme ad un’occhiata allusiva, ma non abbastanza pressante da risultare inopportuna, alla sua bocca. Avevano già fatto quella danza. Se per arrivare al cuore del suo migliore amico doveva passare dalle tentazioni della carne, e sedurre per conquistare, l’avrebbe fatto.
    Di nuovo.
    Più impegnativo della monogamia.
    Seguì il precario percorso della bottiglia verso le labbra del Barrow, e non fece una piega. Tipico dell’altro, cercare conforto nell’alcool – cercare giustificazioni, e colpe. Poteva fingere non fosse così, e che necessitasse di coraggio liquido per l’enorme sforzo di rivolgergli la parola, ma sapevano entrambi fosse la scusa di cui aveva bisogno per concedersi di sentirne la mancanza.
    Lungi da Jamie fermarlo. Voleva gli mancasse, e voleva lo cercasse. Non era offeso dal fatto che avesse bisogno di perdere la lucidità per ammetterlo: l’aveva sempre fatto, cosciente che l’Hamilton gli avrebbe detto sì. Che un posto l’avrebbe trovato. Che il giorno dopo, avrebbero finto non fosse successo nulla.
    Di nuovo.
    Un loop che sembravano incapaci di spezzare.
    «credo che tu abbia di meglio da fare che tenermi compagnia, no?»
    Oh, Guglielmo. Non alzò gli occhi al cielo, anche se avrebbe voluto, ma allargò il sorriso, perché anche se non avrebbe dovuto, trovava quella gelosia adorabile. Non colse l’amo, e non perse un battito. Jamie Hamilton era un soldato in missione.
    «mi manchi» semplice, diretto. Sincero. Gli mancava svegliarsi al mattino senza averlo al proprio fianco, e gli mancava addormentarsi con il sapore della sua pelle sulla lingua. Gli mancava ridere con lui, e di lui, e gli mancava averlo semplicemente vicino come un cazzo di arto fantasma. Gli hai spezzato il cuore, Jamie.
    Ma poteva rimetterlo insieme.
    Non te lo meriti.
    E cosa c’era da ribattere, se non vero?
    «ma se hai qualcosa da dire ti concedo fino a quando non avrò finito la bottiglia»
    «william» non usava mai il suo nome completo. Gugi, Guglielmo, Will se la situazione era tragica, ma William? Permise al nome di rotolare in bocca, scivolare dalle labbra dischiuse in un sospiro caldo. Non distolse lo sguardo neanche quando divenne un po’ troppo, e l’avrebbe preferito. Deglutì, respirando piano. «un ballo?»
    I know that you like my style
    I look like this on purpose
    You don't wanna see me smile
    I bite, I promise
    when3 september 2023
    avignon, provencewhere
    board'till death do us part
    rage
    samantha margret
    whorea hamilton
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & hair
    info32 y.o. + mercenary
    infoHALLUCIKINESIS + f. slytherin


    REA: parla con adam
    JAMIE: parla con gugi e basta mind yall business.
  5. .
    whojamie hamilton
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & basta
    info28 y.o. + hunter
    infocronokinesis + 2118's vrs
    Rea Hamilton strinse più saldamente l’ultimo bottone della giacca verde pastello, prima di sedersi sulla sedia libera vicino al nuovo Jade. Teneva fra le mani un calice di vino, che non era il primo e non sarebbe stato l’ultimo, e sospirava piano appannando il vetro del bicchiere, prima di inumidirsi le labbra.
    Dire che non fosse una persona da matrimoni, sarebbe stato un eufemismo. Funerali, forse, se proprio si voleva parlare di cerimonia, ma in generale preferiva le grandi feste senza impegno, dove non ci fosse alcun protagonista. Trovava quella giornata uno spreco di denaro e di tempo, nonché di beni considerando che quello era il 3 Settembre in cui Akelei Beaumont sceglieva, pubblicamente e con dei testimoni, di prendere in marito la quintessenza del nulla. Sorrideva cortese agli ospiti, era pur sempre un Hamilton, e studiava i presenti con discrezione e gentilezza, stringendo appena la presa sulla frusta argentata avvolta al braccio destro, mostrandosi una perfetta ospite, perché le apparenze erano importanti. Rea manipolava la realtà; certe cose, le sapeva. Non si sarebbe mai presentata se non avesse creduto che favorisse la sua immagine pubblica, malgrado – se non soprattutto - Akelei le piacesse. Per quanto la Hamilton fosse perfetta in ogni circostanza in cui scegliesse, volente o meno, di presentarsi, il concetto di base dietro quella – discutibile – scelta ch’era un matrimonio, la faceva sentire quasi a disagio. Era qualcosa di troppo alieno alla sua psiche perché potesse comprenderlo o accettarlo; capiva i matrimoni per denaro e convenienza, ma per amore? Lo trovava sfaldabile, e delicato. Una motivazione troppo frivola per commettere se stessi vita natural durante. L’amore, come le stagioni, tendeva a passare. Sfumava in colori meno piacevoli, ed in convivenze fredde che facevano rivalutare la libertà persa negli anni confiscata in una relazione di cui non era mai valsa la pena. C’erano altre priorità al mondo.
    Rea Hamilton era troppo impegnata ad amare se stessa per far posto a qualcun altro.
    Romanticamente parlando. Purtroppo, sulla restante tipologia di affetti non era avara quanto si era sempre convinta di essere; c’era anche da dire che la famiglia – scelta, trovata o capitata – era stata sin dall’inizio la sua eccezione.
    «ho molte domande» voce bassa e setosa, perché Rea Hamilton era sempre raso e morbidezza sulla pelle. Battè lunghe ciglia scure sul paio d’occhi cioccolato ruotati al proprio fianco sul biondo che si era convinta essere Jade, il capo appena reclinato sulla spalla. «dov’è la creatura?» Eugene, non Uran – il nipotino era in cantina insieme ad Elijah.
    Poco distante, era la stessa domanda che si poneva il pro pro nipote della mora.
    Jamie Hamilton indossava un completo semplice, perché la natura aveva già reso impossibile potesse passare inosservato. I tatuaggi scuri spuntavano dalla camicia bianca, qualche bottone sbottonato; aveva optato per non mettere la cravatta, anche se a seconda di come si sarebbe conclusa quella serata, immaginava potesse rimpiangerlo; il verde scuro della giacca faceva sembrare i suoi occhi più acquamarina che turchesi, ed enfatizzava l’abbronzatura dorata di quell’estate. Dai suoi quasi due metri d’altezza, ed uno spessore, decisamente non indifferente, non aveva bisogno di abiti più stravaganti per essere mozzafiato. Non era peccare di immodestia, quand’era la realtà dei fatti, e sarebbe stata una menzogna dire che non avesse usato il suo pretty privilege spesso nella sua vita.
    Progettava di farlo ancora. Quel giorno, poi, aveva un obiettivo specifico che sapeva essere alquanto suggestionabile alla sua presenza, e non era mai capitato che Jameson Black Barrel Hamilton non usasse tutte le carte a sua disposizione per ottenere quello che voleva – nel caso specifico, il perdono. So che pensavate ad altro (e se non l’avete fatto, evidentemente non lo conoscete abbastanza bene, perché era subito dopo nella lista priorità.) ma prima avesse raggiunto la redenzione, meno avrebbe dovuto faticare per tutto il resto.
    Sapeva fosse una questione di tempo. Tutto era una questione di tempo, e guarda caso, il tempo era la sua specialità. Aveva aspettato per anni – tredici, e non ad Azkaban ma quasi – che William Barrow II aprisse gli occhi e lo vedesse allo stesso modo, ed avrebbe aspettato ancora, certo che per loro esistesse un solo finale.
    Erano inevitabili. Con qualche ostacolo sul loro cammino – Jamie, Jamie era l’ostacolo – ma non era contemplabile un finale diverso. Avrebbe aspettato perché sapeva essere paziente, e si sarebbe preso tutte le briciole del mentre perché non sapeva essere paziente, e giocava sporco. Sempre.
    Sorrise, lento e sornione, a Niamh Barrow. Sapeva di essere ospite poco gradito dalla nonna di Gugi, ma sapeva anche che non fossero cazzi suoi, quindi le ammiccò gentile e divertito alzando il calice nella sua direzione. Gugi o meno, Jamie restava un dipendente – il migliore, grazie tante – di Akelei Beaumont, e l’invito era arrivato puntuale alla sua porta. Svuotò il calice in un sorso, poggiando il bicchiere vuoto su uno dei vassoi dei camerieri presenti, e diede le spalle alla ragazza continuando la sua ricerca della testa mora del Barrow.
    Non era difficile trovarlo. Non lo era mai stato, infestando ogni attimo di veglia o meno di un Hamilton di qualunque età, e non avrebbe cominciato quel giorno. Lo vide seduto ad uno dei tavoli più esterni, ed approfittò delle zone d’ombra per avvicinarsi di soppiatto: aveva il brutto vizio di sparire non appena Jamie era nei dintorni, e per quanto amasse la caccia, era lì in buona fede. Non era un gioco.
    Non tutto, ecco. Almeno una parte doveva esserlo, altrimenti quale Jamie sarebbe stato.
    Alle sue spalle, si chinò sopra di lui senza realmente violare il suo spazio, ma abbastanza da farsi sentire - il profumo familiare, il calore della sua pelle, riportare a galla la sensazione di sentirlo sotto le dita… insomma, manipulating 101. (Non 104, attenzione) – e da poter sfilare il bicchiere dalle sue dita. In una sola mossa, invitò la persona al suo fianco ad alzarsi, spostando poi la sedia per prendere posto, posando un sorriso sul vetro del calice appena rubato. «permesso, grazie» mano sollevata verso Gugi, un’espressione sincera e malinconica che sapeva di tregua, se non perdono.
    E di quell’Hamilton undicenne che a mensa aveva occupato il tavolo del coetaneo, allungando il palmo nel medesimo «jamie» a curvare gli angoli della bocca del cronocineta in quel momento.
    I know that you like my style
    I look like this on purpose
    You don't wanna see me smile
    I bite, I promise
    when3 september 2023
    avignon, provencewhere
    board'till death do us part
    rage
    samantha margret
    whorea hamilton
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & hair
    info32 y.o. + mercenary
    infoHALLUCIKINESIS + f. slytherin


    REA: parla con un tizio biondo convinta sia jade. non è jade, quindi sentitevi liberi di esserlo
    JAMIE: saluta niamh (derogatory) e parla con gugi. lo so, non hanno postato, ma nel mio cuore ci sono.
  6. .
    Jamie Hamilton era un ragazzo complesso che arrivava senza libretto d'istruzione. Andava interpretato, scelto, montato con i pezzi da imballaggio; principalmente, preso come giungeva, perché era alquanto difficile che fosse disposto a concedere altro di sé se non quello che voleva mostrare. Neanche al suo peggio, e ce n’era stato parecchio, aveva mai offerto il pacchetto completo. Era diviso in parti ineguali, ciascuna terribile a proprio modo: l’assassino a sangue freddo, e quello a sangue caldo; l’amante, l’amato; giudice, giuria e boia; il simpatico ragazzo della porta affianco a cui chiedere lo zucchero, e quello da sbattere contro le porte chiuse di un ascensore; il ladro, il truffatore; l’ordine ed il caos. Non si escludevano a vicenda, riuscendo paradossalmente a convivere tutti compressi in sorrisi di cui sceglieva le sfumature strada facendo.
    Il bugiardo.
    Neanche William lo conosceva. Non davvero, non completamente. Il Barrow credeva di farlo, e l’Hamilton gliel’aveva lasciato credere perché quel che sapeva era già abbastanza senza dover scendere nello specifico, ma c’erano momenti in cui le bolle di vuoto che Jamie teneva fra loro, inevitabilmente, esplodevano. Un fottuto caleidoscopio a cambiare disegno a seconda di come lo si guardasse, Jameson; doveva ancora abituarsi al fatto che Gugi ora guardasse, e – peggio ancora - vedesse. Era stato la sua ombra per gran parte della loro vita. Essere visto come entità a sé, era qualcosa a cui ancora faticava ad abituarsi.
    Forse perché non voleva. Jamie sapeva che fosse meglio non guardare, perché non c’era nulla che meritasse di essere visto. Che se non era stato completamente sincero con lui, l’aveva fatto per loro. Un modo malsano, ed impostore. Una realtà manipolata: il pacchetto completo non aveva un posto nella società, figurarsi al fianco di Will. Eppure Jamie quel posto lo voleva; era suo, Cristo Santo. Se l’era guadagnato, e fottutamente meritato, e non farci questo, Gugi. Per favore.
    La versione migliore di Jameson Black Barrel Hamilton, era comunque la peggiore immaginabile.
    Non c’era un lieto fine alla sua storia. Non esisteva il cosiddetto arco di redenzione, una volta trovato il bacio del principe: quelle erano stronzate da favola, e la loro vita era tutto eccetto che una fiaba. Le persone non cambiavano, e l’amore non era mai abbastanza. Un cinico? Un disilluso? Forse. Ma si conosceva abbastanza da non mentire a se stesso, Jamie – che era molto più di quanto potesse dire gran parte del resto del genere umano, quello che credeva al “con me è diverso” e “posso aggiustarlo” – conscio di quel che fosse, e quel che non fosse.
    Ad esempio, non era una brava persona. Era un bravo sicario, un eccellente affarista, ed un discreto imprenditore. Un amante squisito. Un mediocre collega, pur essendo un perfetto Cacciatore. Non era un bravo amico, così come non era stato un bravo figlio.
    Non era un bravo compagno.
    Non gli aveva mai impedito di smettere di esserlo: un compagno, un figlio, un amico – perfino una persona. Biasimava se stesso, sì, ma anche gli altri che insistevano a permetterglielo, rendendolo puttana di una speranza infida a pungolare il fianco e suggerire che forse non dovesse essere bravo; forse esserlo sarebbe stato abbastanza. Se lo sarebbero fatti andare bene.
    «Uh-»
    Si immobilizzò.
    Jamie Hamilton era il cattivo di quella storia solo perché William gli aveva dato gli strumenti per esserlo. Il suo cuore, ad esempio. Chi mai avrebbe fatto qualcosa di così stupido ed insensato come dare il proprio cuore a Jamie Hamilton, santiddio. Avrebbe dovuto ricacciarglielo nel petto a forza, con un sospiro stritolato fra i denti ed un sorriso mormorando servisse più a lui; era stato egoista a tenerselo, sapendo che stringendo avrebbe finito per spremerlo.
    (Sara: Jamie… senti. Senti. Parliamone...ti va…
    Jamie: mh… nah.)
    Fu fastidio. La prima emozione a incrinare gli occhi blu dell’Hamilton, posati oltre le spalle del Barrow, fu fastidio. Noia all’idea di dover affrontare quella conversazione, con una patina di rabbia precoce, accesa da qualcosa che doveva ancora accadere.
    Istinto.
    Troppo istinto per una creatura logica e razionale. L’Hamilton era entrambe le cose, e non sempre funzionavano contemporaneamente. Combatti o fuggi, ma lui voleva farle ambedue. Passò la mano sulla bocca, tamponando il rossore con il palmo asciutto. Il fiato ancora corto a stabilizzarsi; polmoni a contrarsi ed espandersi, mentre il cuore rallentava l’andatura portandolo ad uno stato di quiete che -
    (Sara: jamie…….. per favore…. Pensaci…..)
    - sapeva avrebbe rimpianto. Li aveva anche Jamie, dei rimorsi.
    Riguardavano tutti William.
    Seguì il suo sguardo sul proprio corpo. Si obbligò a non irrigidirsi, passando cauto la lingua su ogni dente. Prendere tempo.
    «Cosa sono questi?»
    Alternative. Così tante alternative di fronte a sé; scelte, strade che aveva già percorso e che avrebbe battuto altre cento volte. Svuotò il proprio sguardo da ogni emozione, era bravo a farlo, lasciando solo il piacevole tepore dei baci appena scambiati. La pelle ancora calda dell’impronta del Barrow. I capelli scompigliati, come quella mattina e le migliaia precedenti.
    La soluzione più ovvia, ed anche la più codarda, sarebbe stato riavvolgere il tempo a prima che entrassero in quella stanza. Quel segreto, Jamie, avrebbe potuto portarselo con sé ancora per un po’, magari abbastanza da ripetersi che sarebbe stata l’ultima volta. Sarebbe stato semplice, e non avrebbe lasciato di sé neanche un’ombra, non un deja-vu. Fece scivolare i polpastrelli sul braccio del Barrow, spostando lo sguardo da quello dell’altro per seguire il movimento delle proprie dita.
    Poteva mentire. Poteva e voleva mentire. Sarebbe stato facile. Esistevano diverse tipologie di menzogne al mondo, ma la vera bugia, quella che i bugiardi come l’Hamilton usavano più di frequente, era quella che gli altri volevano sentirsi dire. Will ci avrebbe creduto non perché fosse uno stupido credulone, ma perché avrebbe voluto crederci; perché l’Hamilton l’avrebbe accompagnato a credere fosse l’unica soluzione possibile.
    Andiamo, William. Mi conosci. Un’altra bugia.
    (E Jamie voleva farlo.
    Così come voleva essere onesto, brutalmente onesto, e ridere crudele di come il Barrow avesse potuto essere così ingenuo da credere che l’Hamilton fosse cambiato – che la loro relazione potesse essere l’unica, quando Jamie riusciva a sentirsi vivo solo negli errori.
    Voleva essere cattivo, perché era la versione di sé che gli riusciva meglio. Raffreddare lo sguardo; rendere quella stretta una morsa, e chiedergli cosa cazzo si fosse aspettato, uh?.
    Voleva attaccare. Voleva far male, così da potersi convincere fosse stata una sua scelta. Un suo calcolo. Un suo disegno. Voleva strizzare il cuore di William fottuto Barrow II fino a perderne carne e sangue dalle dita serrate, e poi sfregarle fra loro con un sorriso.
    Ma Sara ha bisbigliato, piano, al suo orecchio: è Will, Jamie. È il tuo Will, ricordi?
    Che era vero.
    Jamie non voleva fargli male. Non intenzionalmente. Non guardandolo in quegli occhi troppo grandi, e troppo onesti, e troppo familiari. Ritrasse le zanne, perché non voleva morderlo. Non era quello il segno che voleva lasciare. Non era così che voleva essere ricordato – perdonato; amato.
    Era vero, che lo amasse. A giurarci su Dio, o su chi cazzo crediate, Jamie amava William.)
    Deglutì. Continuò a guardare le proprie dita, scendendo fino alla mano di Will, che strinse piano nella sua.
    Non farlo. Ti prego non farlo.
    «ha importanza?» mormorò, piano.
    Molto piano.
    Sollevò la mano del Barrow, studiandola sotto la luce elettrica della stanza. Avrebbe accettato l’inevitabile violenza di quella taciuta ammissione, ma non prima di aver posato delicato un bacio sulle nocche, strofinando appena le labbra. Sopracciglia corrugate, perché c’erano cose che non sapeva, e che non avevano importanza.
    Non significavano niente.
    Jamie Hamilton non sapeva come essere diverso da se stesso.
    jameson black barrel
    hamilton

    If my sea dug a hole
    in your soul and your brain
    But I loved you to death,
    could you handle the pain?
    chronokinesis
    28 y.o.
    hit man / hunter


    jamie nella sua hans era
  7. .
    Ah, i grandi sacrifici nella vita, eh Gugi? Un uomo provato, nel gesto con cui lo invitò a seguirlo dopo una rapida occhiata al circondario. Non si voltò neanche per assicurarsi che effettivamente l’Hamilton lo stesse assecondando. D’altronde, quando mai non l’aveva fatto. Jamie represse un sorriso schiacciando le labbra fra loro, sopracciglia arcuate e lingua a premere contro il palato, scivolando fra i mormorii dei presenti nel farsi strada verso il Barrow. Si lasciò condurre sul retro, le dita a scivolare su tutti i muri. Poggiò una spalla allo stipite della porta davanti al quale si era fermato, osservandolo mentre faceva tintinnare il mazzo di chiavi cercando quella giusta. Il sorriso alla fine guizzò comunque dove non doveva, riempiendo lo sguardo del cronocineta e sollevando gli angoli delle labbra verso l’alto. Adorabile. Tutto impettito e serioso come se lo stesse accompagnando ad assicurarsi che le bolle fossero compilate nel modo corretto, e non a cercare un angolo lontano da occhi indiscreti per sbatterlo al muro ed abbassare le cerniere di entrambi. Picchiettò il capo contro la cornice, riflettendo sulle infinite possibilità oltre quella porta. La testa di Jamie Hamilton ovviamente era già lì, nel domandarsi pigramente se la preferisse fra le gambe di Will, o la sua fra le proprie. Se avrebbero sgombrato una scrivania, o si sarebbero fatti andare bene i ripiani degli scaffali. Il pavimento. La porta ora socchiusa, con la possibilità che qualcuno passasse all’esterno e sentisse i respiri ed i gemiti soffocati nel palmo attraverso il legno. Sapere che potesse avere tutto, di quel che un tempo aveva solo sognato e cercato nelle mani d’altri, era tutto un altro tipo di dipendenza. Un volere comunque di più, come se fosse possibile. Un insoddisfazione che nasceva dall’avere tempo, avere il permesso, e sentire comunque che non fosse abbastanza. Quietare il bisogno a gonfiarsi nel petto ricordandosi che ci sarebbero state altre occasioni.
    Non era preoccupato nei riguardi della guerra imminente. Qualcuno sarebbe morto, ovviamente, ma il complesso divino dell’Hamilton gli impediva di pensare che quel qualcuno potessero essere lui o William; degli altri, se n’era sbattuto il cazzo anche quando non avrebbe dovuto, e non avrebbe cominciato ad interessarsene quel giorno.
    Lo seguì all’interno della stanza, battendo languido le ciglia nel chiudere intenzionalmente la porta alle proprie spalle. Poggiarci sopra il suo peso, così che almeno un lato fosse coperto. Sempre a cercare un lato solido e sicuro su cui poggiarsi, in qualunque contesto, perché Jamie Hamilton era prima di tutto un soldato, ed esistere il suo costante campo di battaglia. «era ora che qualcuno facesse qualcosa» Davvero, Gugi. Davvero. Lo osservò a palpebre socchiuse, dita intrecciate fra loro e braccia incrociate dietro la schiena. Si strinse nelle spalle, blando e senza aggiungere altro, abbassando la testa per poterlo guardare di sottecchi e lasciare che l’espressione dicesse da sé che la terza guerra mondiale potesse aspettare. Che avrebbero potuto tornarci dopo, sospiri sazi e membra stanche. Che se voleva prendere e perdere tempo, non avrebbe dovuto incastrare la propria vita con quella di un cronocineta, perché il tempo era la sua specialità. «sei passato per un saluto o...?» Trovò la domanda divertente, ed umiliante, perché voleva credere di essere migliore di così, ed invece non lo era. Era davvero passato per un saluto. Un po’ morboso, inconcepibile. Si giustificava quelle necessità dicendosi che prima avessero sempre lavorato insieme, che fosse abituato a girarsi e trovarlo al suo fianco sempre. Si diceva che fosse noia, perché neanche tutto il loro storico bastava a rendere normale agli occhi di Jamie Hamilton che qualcuno potesse mancargli e basta, senza secondi fini. Lo trovava stupido, e l’avrebbe giudicato in chiunque altro. Debole. Fragile. Vulnerabile. Fece pressione con i palmi sulla porta, dandosi la spinta per avanzare verso Will. Con calma, perché la fretta era cattiva consigliera; perché poteva muoversi in quel piccolo spazio senza timore che nessuno dei due sparisse da un momento all’altro. Un passo, due; piegò il capo sulla spalla e sorrise, chinandosi per bisbigliare al suo orecchio. «ciao» voce bassa, l'ombra di un sorriso all'angolo sinistro delle labbra. Esitò un istante solo, la bocca a pochi centimetri dalla pelle, prima di drizzare la schiena e superarlo, girandogli pigro attorno. Le mani che aveva tenuto allacciate dietro di sé si spostarono sui fianchi dell'altro, scorrendo appena di pochi centimetri verso il basso per stringere il tessuto nei palmi e tirare. Sollevò l'indumento quanto bastava a far scivolare il palmo sulla pelle nuda, delicato nel tocco come raramente si permetteva di esserlo, e trascinò le dita spostandole insieme ai propri passi, misurati e leggeri. Alzò ancora, togliendo ogni impiccio, fino a trovarsi nuovamente di fronte al Barrow. Sorrise indolente, allora. Batté le ciglia e cercò i suoi occhi, che lasciò solo il tempo necessario per un rapido sguardo alle braccia. Non aveva bisogno di aggiungere altro, ma inarcò comunque un sopracciglio per sottolineare che quelle braccia dovesse sollevarle. L'avrebbe aiutato, se voleva. Volentieri. Si avvicinò abbastanza da invadere i suoi spazi e riempirli egoisticamente solo di sé, i polpastrelli ad esitare sulle zone che sapeva essere più sensibili. Spinse ancora, perché spingeva sempre, sollevando la parte superiore della divisa fin sopra le spalle, ed ancora finché il colletto non superò il mento. Le dita si arrampicarono sulle braccia di Will, ancora incastrate nella divisa. Ed allora strinse, seguendo il ritmo del proprio respiro, di quelli persi e quelli offerti. William Barrow II era sempre stata la sua eccezione in merito ai regali, che l'Hamilton di suo non faceva ad un cazzo di nessuno: gli aveva dato la sua amicizia, la sua gioventù, un cuore che valeva poco ma era più suo che proprio. Gli regalò anche quel sospiro, direttamente sulle sue labbra. L'unica parte scoperta del volto, insieme al naso. Ancora incastrato nella divisa.
    Strinse un po' di più, perché poteva. Non abbastanza da far male, solo per dirgli di rimanere così. Ancora un po'. Il tempo di permettersi di respirare liquido, e stupirsi sempre che stesse succedendo davvero. Di togliere dallo sguardo ogni muro eretto a se stesso, e cedere ogni pietra.
    Strofinò la fronte sul tessuto. Indugiò con le labbra sopra quelle di Will, lasciando che sentisse i suoi respiri. Se li prendesse, se li voleva. E deglutì, Jamie.
    Perché era un bastardo, e lo sapeva. Era un infame, e sapeva anche quello. Non se lo meritava, e gli spezzava il cuore di continuo senza mai fare ammenda. Perché sembrava non imparare mai. Perché sapeva solo rovinare tutto quel che toccava. Crudele. Sadico.
    Ma «lo sai che ti amo, vero?» e lo baciò prima di sentire la risposta, perché non voleva sentirla. Nessuna delle ipotesi era corretta, o accettabile. Così premette le labbra sulle sue, gentile. Una volta; due. Alla terza smise, aprendo la bocca con la propria, la lingua a scivolare oltre le labbra. Non era mai familiare. Avrebbe dovuto, ed invece non lo era, scariche a scivolare in ogni terminazione nervosa rendendo il battito folle ed incessante. Lo sentiva in gola e sulle tempie. Lo sentiva più in basso, nel corpo spinto contro quello del Barrow, senza un solo spazio che non fosse loro.
    Se lo sarebbe tenuto così per sempre, se avesse potuto. Quegli istanti in cui poteva pensare di essere quella persona, di poter avere tutto, di non aver bisogno di rovinarsi per sentirsi un essere umano. Lontano dal mondo. Dalle persone.
    Dalle conseguenze.
    Si distanziò quanto bastava a permettergli di togliersi completamente la maglia, e sorrise ai capelli arruffati. Le guance arrossate.
    Un sorriso che non aveva mai visto nessun altro, per inciso. Un informazione che avrebbe tenuto per se.
    «quanto dura la tua pausa?»

    jameson black barrel
    hamilton

    If my sea dug a hole
    in your soul and your brain
    But I loved you to death,
    could you handle the pain?
    chronokinesis
    28 y.o.
    hit man / hunter
  8. .
    Jamie Hamilton era sempre stato un ragazzo ambizioso. Si poneva degli obiettivi; li raggiungeva, senza guardare troppo in faccia chi dovesse calpestare per farlo, o quanto sangue dovesse togliere dalla cornice delle unghie. Un’arroganza ereditata dai suoi avi, narrava la leggenda. Qualcosa che girava nel sistema sanguigno degli Hamilton saltellando di generazione in generazione come geni di una gravidanza gemellare. Ed era bravo, in quello che faceva. Pilotato da punti fissi facilmente accessibili, se si era in grado di fare quel che andava fatto.
    Ma aveva una pecca, e – badate bene - una soltanto. Sempre congenito, un difetto di fabbrica che nessuna matrice nel corso dei secoli era riuscita a risolvere.
    Sabotaggio.
    Auto sabotaggio.
    Sapeva gestire beni materiali e status senza battere ciglio, e sorridendo perfino amabile nel farlo, ma quando tutto andava troppo bene, il cronocineta tendeva a non fidarsi. Quella mancanza di fiducia portava con sé la pigrizia, e l’indolenza a resistere anche alle più blande tentazioni. Il frenetico bisogno di sbagliare, e farlo ancora, per evitare di abituarsi a qualcosa che sapeva di non meritare.
    Erano le uniche volte in cui provava la punta del rimorso, e del senso di colpa. La sua rettitudine alzava il capo solamente in quei rari istanti di follia, ricordandogli che tutto sommato fosse ancora un uomo. Un fallimento, come qualunque altro essere umano. Che avesse avuto ragione sin dall’inizio, a credere che non fosse la persona giusta per … beh. Per nessuno.
    Perchè Jameson Black Barrel Hamilton, era e restava un bastardo cronico.
    Non sapeva non esserlo. A suo sfavore, c’era da dire che ci avesse anche provato davvero poco ad essere diverso. Lo voleva? C’erano giorni in cui si diceva di sì. Erano quelli in cui apriva gli occhi con una gamba incastrata distrattamente fra le sue, il respiro di William a scandire i minuti prima che suonasse la sveglia, le ciglia corvine a solleticare le guance. Quelli in cui sapeva che avrebbe potuto rimanere lì ancora un po’, che gli fosse concesso avvicinarsi, posare le labbra sulla sua fronte, premerle sul collo e lasciarsi spingere o tirare, le dita strette gentilmente sul polso prima di baciarvi il battito.
    E poi c’erano quelli in cui Jamie diventava violenza. Non violento - non sempre- e certo non con il Barrow - a meno che non richiesto - ma semplicemente un accozzaglia di emozioni tutte negative e tutte insieme, a rendere il nero dell’inchiostro dei tatuaggi, in confronto, una spennellata arcobaleno. Quelle in cui uccidere gli piaceva; premere il grilletto sotto il mento, sporcare e sporcarsi di sangue, infilzare una lama nello stomaco nello stesso momento in cui affondava la lingua nella bocca di qualcun altro. La mano a reggerne il peso; saliva mista al sangue. Giorni in cui il senso di potere sovrastava tutto il resto, rendendo lo sfondo sfocato ed i dettagli per momenti posticipati e mai più guardati. In cui una bocca valeva l’altra, ed un corpo premuto sul proprio valeva l’altro, e la pelle a strofinarsi sulla sua aveva un sapore tutto sbagliato, e – oh, Jamie. Jamie.
    Aveva tutto. Aveva tutto.
    E per quanto poco valesse, l’Hamilton amava davvero William Barrow II.
    Un modo sbagliato. Caotico neutrale, senza regole fisse. Esuberante; eccedente. Tanto che non sapeva cosa farsene, ed allora lo violava scendendo nella propria pelle – quella di un traditore, di un bugiardo, un assassino ed un ladro. Tutte quelle cose lì, Jameson, le era ancora, perfino quando posava gli occhi blu su Gugi e sospirava piano, offrendo una mano per attirarlo a sé. Perfino quando gli intimava di tacere, la testa poggiata semplicemente sul suo petto, i battiti mai troppo regolari a farlo sorridere contro il suo costato. Perfino quando stringeva la trachea dicendo di non aver capito bene, di ripetere più forte, la bocca sulla sua e le mani sul suo corpo. Perchè quei momenti, Jamie Hamilton, li aveva aspettati per anni.
    Anni, buon Dio.
    E li aveva. Quelle che per una vita erano state fantasie, sulla punta della lingua e solo da richiedere – o non farlo, talvolta.
    Ma quando uno era malato, c’era ben poco da fare. Corrotto ad un livello al di fuori di ogni redenzione. Se fosse stato una persona migliore, gli avrebbe detto di cercarsi qualcun altro.
    Non lo era. E non voleva.
    Si ripeteva avrebbe smesso.
    Ci ricadeva sempre.
    «ma tu non ce l’hai un lavoro? Sempre qui stai»
    Jamie sorrise, calato nella parte quanto lo era nella propria divisa. Infilò un dito sotto il colletto, tirando di modo che il tessuto schioccasse contro il petto, e si strinse nelle spalle. «questo è il mio lavoro, ronnie» mostrò tutti i denti, perché Jamie alle persone piaceva. Offrì la mano per battergli il cinque, tirando a sé l’uomo per dargli una pacca sulla schiena. Non mentiva, perlomeno in quel caso specifico. Era davvero lavoro, pattugliare le strade di Quo Vadis, e tenere sott’occhio – la Beaumont non l’aveva mai specificato, ma l’Hamilton sapeva leggere fra le righe – i locali diretti dagli special. Era solo un fortuito, e fortunato, caso del fato, che Gugi lavorasse per uno di loro.
    Jamie era molto bravo ad unire utile e dilettevole.
    «gugi?»
    «dentro» brontolò l’uomo, accendendo l’ennesima sigaretta che l’avrebbe portato ad una morte prematura. Un cliente abituale del Cheshire, Ronnie – perfino un bravo cristo, malgrado le sue ex mogli la pensassero diversamente. Sì, l’Hamilton era un chiacchierone, e la gente lo amava anche per quello. Era multitasking: entrasse come entrasse, se di parole o un pugnale, ma per il cuore delle persone trovava sempre una strada. «generico, ma ok. Lo cerco io» soffiò anche un bacio, che quello finse di non apprezzare.
    Quello non era il giorno in cui Jameson Hamilton aveva progettato di confessare a William la propria alta infedeltà, ma d’altronde, non era neanche il giorno in cui aveva pensato che Abbadon avrebbe distrutto lo statuto di segretezza: la storia stava per cambiare, ed in più d’un senso. Aveva mosso solo pochi passi all’interno del Casinò, prima dello schermo.
    Le parole.
    La dichiarazione.
    Pochi secondi necessari perché Gugi lo trovasse – difficile non trovare Jamie, d’altronde – e potessero guardare insieme l’ennesimo trionfo fallimentare. Un ossimoro che, nella loro società, funzionava comunque sempre spesso. Poteva anche non essere in quest, ma L’Hamilton non aveva dubbi sul fatto che sarebbe comunque sceso in campo, e dalla parte giusta: ri voleva un riflesso del proprio tempo, dove quelle divisioni non esistevano più da un pezzo. Altrettanto poco dubbio, a giudicare dai grandi, enormi, occhioni blu roteati sul Barrow, era che prima di partire volesse una sveltina nello sgabuzzino del casinò.
    Dai Gugi. Eddai, Gugi. Eddai!
    Poi scusa, quale modo migliore per notare segni TM sul suo corpo che spogliandolo?
    jameson black barrel
    hamilton

    If my sea dug a hole
    in your soul and your brain
    But I loved you to death,
    could you handle the pain?
    chronokinesis
    28 y.o.
    hit man / hunter
  9. .

    this-is-the-last-time-ashwin-ganesh



    CODICE
    <tr>
      <td colspan="2" style="border-top:3px solid #BDC442;"></td>
      </tr>
     
      <tr>
      <td rowspan="3" width="40%" style="padding:10px" bgcolor="#0c0c0c">[URL=https://malboraslihan.tumblr.com/post/687992901155930112/%F0%9D%90%82%F0%9D%90%87%F0%9D%90%91%F0%9D%90%88%F0%9D%90%92%F0%9D%90%93%F0%9D%90%8E%F0%9D%90%8F%F0%9D%90%87%F0%9D%90%84%F0%9D%90%91-%F0%9D%90%81%F0%9D%90%91%F0%9D%90%88%F0%9D%90%8D%F0%9D%90%84%F0%9D%90%98-%F0%9D%90%88%F0%9D%90%8D-%F0%9D%90%93%F0%9D%90%87%F0%9D%90%84-%F0%9D%90%92%F0%9D%90%94%F0%9D%90%8C%F0%9D%90%8C%F0%9D%90%84%F0%9D%90%91-%F0%9D%90%88-%F0%9D%90%93%F0%9D%90%94%F0%9D%90%91%F0%9D%90%8D%F0%9D%90%84%F0%9D%90%83-%F0%9D%90%8F%F0%9D%90%91%F0%9D%90%84%F0%9D%90%93%F0%9D%90%93%F0%9D%90%98]<div style="background:url(https://64.media.tumblr.com/89b98f0fa00c6ffafb564cb96251de7d/2324015d86e651e1-4e/s540x810/21dd041bdcbf2f779463129bc78ffbb92df973bc.gif) no-repeat center; background-size: cover;width:175px;height:80px;"></div>[/URL]</td>
      <td>pv: christopher briney</td>
      </tr>

      <tr>
      <td>profilo: [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?act=Profile&MID=12474640]mis jacksson[/URL]</td>
      </tr>
     
      <tr>
      <td>altro: [URL=https://www.pinterest.it/winception/mis/]pinterest [/URL]+ [URL=https://open.spotify.com/playlist/3gaEiwh1C4aZRWORaQ8Vll]spotify[/URL]</td>
      </tr>



    EDIT: e mi sono aggiunta, togliendo quelli di J e may day pg vera ♥

    Edited by anti you. - 26/12/2022, 17:37
  10. .
    jamie, hai accidentalmente scambiato il telefono con Syria , ed hai scoperto un suo segreto.

    «se arrivi alla fine del vicolo prima di me, ti lascio sopravvivere» sorrise languido, caldo e vibrante come un amante, palpebre spesse su occhi chiari ridotti ad una fessura. Fece anche cenno all’uomo – tal Nathanahel Sextilius, un qualche studioso di qualcosa di terribilmente noioso che aveva fatto arrabbiare le persone sbagliate – indicando la sua via d’uscita, offrendo uno spiraglio di salvezza. Non c’era segno di menzogna o inganno nell’espressione dell’Hamilton, perché non stava mentendo: era sincera, la maschera affabile di Jamie. Seducente e pulita come acqua fresca di montagna. Un onore che concedeva a pochi, regalato all’uomo solo perché si sentiva particolarmente magnanimo ed annoiato.
    Soprattutto la seconda.
    Gli sfilò la bacchetta dalle mani con un’occhiata eloquente, quello sarebbe stato barare, dandogli una leggera spinta per incentivarlo a spostarsi. Quello non diede cenno di averlo sentito, occhi spalancati e labbra tremule. Ma che cazzo. Non l’aveva pregato di risparmiarlo, non aveva minimamente reagito al coltello puntato alla gola, poteva almeno fare quella piccola, minuscola, cosa per lui? Non gli sembrava di chiedere molto. Sospirò, torreggiando sull’uomo di almeno una ventina di centimetri, guardando gli spasmi di un uomo che sapeva di essere morto, e non aveva idea di cosa farsene, di quell’informazione.
    Accadeva più spesso di quanto uno potesse pensare. Non erano in tanti a supplicare per la propria vita, forse assuefatti ad un mondo in cui non serviva ad un cazzo, od in cui sapevi sarebbe successo. Lo guardavano arrendevoli, incapaci di gridare, incoscienti di aver iniziato a piangere prima ancora che Jamie tagliasse l’epidermide esponendo la cute sottostante. Una fottuta noia mortale, per chi con quel lavoro ci pagava le bollette. Non si sentiva né eroe né cattivo, e quello lo infastidiva più dei pianti e della mancata eccitazione selvaggia della fuga: non era niente, per loro.
    Terribile. Agghiacciante. Jamie Hamilton viveva e sopravviveva di quel che suscitava negli altri – violenza, paura, rispetto, sesso e seduzione, talvolta tutto insieme – perché così gli andava, e così era, e che facevano quelli? Si rifiutavano di esistere un’ultima volta, impedendo all’Hamilton del futuro di sentire uno stra fottuto qualcosa.
    Era vero.
    L’avrebbe lasciato andare, se fosse arrivato alla fine del vicolo prima di lui.
    Certo, Jamie l’avrebbe impedito fermando il tempo e camminando tranquillamente verso l’uscita prima che potesse arrivarci l’altro, ma era un dettaglio secondario. Una storia per un altro momento, visto che sir Sexqualcosa cadde ai suoi piedi in preda a spasmi di adrenalina e terrore. Allora sai che c’era: se lo meritava, di morire.
    Si chinò al suo fianco.
    Premette una mano sulla sua bocca, sentendo le lacrime bagnare il guanto.
    Lo pugnalò al ventre, e lo tenne quasi fra le braccia guardandolo perdere sangue e vita secondo dopo secondo dopo secondo finché anche il pianto divenne freddo e statico.
    Schioccò la lingua sul palato, rialzandosi e controllando lo stato dei propri vestiti – era stato attento, odiava sporcarsi di sangue. - quindi lo derubò di ogni oggetto di valore e non, compreso il contenuto del portafoglio e l’anello al dito, quello che il cliente aveva demandato per assicurarsi fosse davvero morto, e per mano sua. Doveva far passare il reato come furto, d’altronde. Gli lasciò le mutande solo per dignità - propria. Intascò il tutto all’interno della giacca di pelle, pulì la lama su un fazzoletto di carta, ed infilò in tasca pure quello, perché quale ladruncolo avrebbe pulito il pugnale sull’uomo appena ucciso? E quale sociopatico di passaggio l’avrebbe fatto su un fazzoletto, lasciando prova del proprio passaggio? Erano pure in un vicolo babbano, le probabilità che le autorità del luogo intervenissero prima di quelle magiche cancellando così ogni traccia del suo passaggio, erano più che probabili.
    Uscì dalla parte opposta rispetto a dov’era entrato, e per sicurezza perse un altro paio d’ore a girovagare per Londra, il naso arricciato all’odore di tomba e cimitero che sembrava non lavarsi mai via dalla fottuta metropoli inglese. Gli avevano detto fosse la pioggia; ci credeva poco.
    Quando tornò nel mondo magico, lo fece con altrettanta calma e tranquillità. Il tempo, dopotutto, non era mai stato un suo problema. Avrebbe iniziato il turno al Ministero solo al pomeriggio – ugh. Odiava i nuovi assunti. Di quei tempi, prendevano proprio chiunque fra le proprie fila. Ciao CJ guardo te – quindi poteva permettersi di perdere altre ore prima di tornare all’appartamento che condivideva con Gugi, e riuscire a fare anche un riposino ristoratore. Se fosse proprio proprio stato bravo a gestire la sua pausa, avrebbe potuto infilarci anche almeno una bottarella al suo ragazzo.
    Ah. Che bella la vita di Jamie Hamilton.
    Erano le prime luci dell’alba, e perfino Hogsmeade si faceva i cazzi propri. Mentre rifletteva se volesse maggiormente un caffè o un cappuccino, un quesito che lo teneva sveglio la notte più di quanto non facessero il paio di assassinii a settimana, vide qualcosa di...familiare. Non era nulla più che un poster pubblicitario, e di quelli poveri scritti a mano e fotocopiati al tabacchino, ma era certo di aver già visto quella copertina. Seguì le indicazioni verso la libreria più vicina, uno di quei posti ambigui e loschi dove ancora vendevano le copie di Fallen (tutto dire) e si fermò di fronte alla ragazza piazzata di fronte all’entrata.
    La guardò.
    Lei lo guardò.
    Si guardarono.
    Agitò il poster, e l’altra – una delle coinquiline di Melvin? O si assomigliavano tutti… chi poteva saperlo. – annuì.
    Jamie Hamilton ebbe bisogno di un paio di momenti di riflessione in pensato, pesante, silenzio, le mani unite sotto il mento e gli occhi sul nulla.
    Conosceva quel libro.
    Conosceva l’autore di quel libro (perché andare a prendere il caffè sul posto di lavoro era ormai impossibile, e Jamie ricordava tutti quelli che parlavano troppo, sognando il momento in cui avrebbero smesso di farlo per sempre).
    Non aveva mai capito fossero la stessa persona. A suo favore, tutto quello che era antecedente agli anni ‘60 (2060) faceva parte di un’epoca a sé senza inizio né fine. «c’è un seguito» disse solamente, lasciando cauto il foglietto su una panchina, senza aggiungere altro ed allontanandosi mantenendo il contatto visivo con Bucky. Quasi cent’anni dopo, di quel libro ancora se ne sarebbe parlato: iconico, controverso, borderline sulla schizofrenia, aveva attirato ammiratori di ogni età e rango. Tatuaggi. Una mini serie (non rinnovata) di Netflix. Una schiera di figli chiamata Mort e Alan in memoria.
    Forse poteva salvare il mondo prima che diventasse virale sul booktok.
    Ci avrebbe pensato.
    Nell’indietreggiare, distratto da come il mondo fosse assurdo e piccolo, inciampò su qualcuno. Gli importava? No, fintanto che non gli avesse rovesciato qualcosa addosso, e se volete rivedere Syria, speriamo non fosse quello il caso. «merda» bisbigliò sottovoce, il telefono a scivolare dalla tasca al pavimento.
    Lo guardò intensamente, sfidandolo a rompersi.
    (Non si ruppe)
    «scusa, mi dispiace, ero distratto. Tutto ok?» sorrise alla ragazzina, tutto gentilezza ed amabilità, quindi se ne andò, perché non era lì per fare (di nuovo.) da babysitter a una (altra.) ragazza confusa. Qualche passo, pochi metri. Prese il telefono.
    Strinse le labbra in una linea confusa. Cosa stava guardando.
    (davvero, non lo so, diccelo tu Syria)
    Roteò sul posto, un’occhiata confusa e dubbiosa verso l’altra. «non penso sia il mio» ma chissà, se stava davvero guardando porno, avrebbe anche potuto esserlo.

    "i'm amazing tho"
    jamie b.b. hamilton, 28
    now playing: blasphemy
    It makes no sense, but it must be right
    The blood and sweat you sacrificed
    Was it all for nothing?
  11. .
    judge
    jury
    &
    executioner
    jameson


    hamilton

    Per un breve istante, temette di aver fatto il passo più lungo della gamba. Non era da Jamie Hamilton avere rimpianti, o ammettere di aver sbagliato – che Dio ce ne scampasse – ed infatti decise di non farlo neanche quella volta, perché aveva tutte le ragioni del mondo per demandare uno straccio di risposta agli interrogativi di una vita. Non aveva chiesto il mondo, perché quello sapeva prenderselo da sé; non aveva chiesto promesse, perché quelle nessuno dei due avrebbe potuto mantenerle.
    Solo una conferma - che fosse vero, e non fosse temporaneo. Che non stesse leggendo troppo fra le righe, o troppo poco. Che non fosse l’ennesimo momento di debolezza seppellito in sorrisi imbarazzati ed occhi al pavimento.
    Che fossero dalla stessa parte.
    «Cosa…voglio?»
    Attese che il quesito facesse il suo corso, perché sapeva che Will necessitasse di più di un momento per ingranare una domanda, e la conseguente risposta. Pensava sempre troppo, dipingendo significati lasciati originariamente in bianco, cercando enfasi e sfumature che lo guidassero verso una risposta giusta. Il costante bisogno di piacere alla gente l’aveva reso lento, attento agli altri e distratto a se stesso. «tu» ripetè in un soffio, perché era fottutamente stanco di sentirsi dire quello di cui aveva bisogno lui; voleva sapere cosa volesse William Barrow, possibilmente entro l’apocalisse successiva, e non durante l’ennesimo puttanaio spazio temporale in cui si sarebbero trovati a lottare per la vita – sempre più vicini a perderla che a salvarla. «Voglio tenerti la mano perché ne ho voglia» Jamie mosse solo gli occhi, seguendo la propria mano stretta in quella di Will. «voglio baciarti quando voglio senza inventarmi scuse» Sentì l’impellente bisogno di ridere, ma sapendo sarebbe stato mal interpretato, corresse il tiro in un accenno di sorriso appena percettibile.
    Ma quant’era patetico, rendersi conto che quello avrebbe potuto averlo sempre.
    Quello che William voleva, era l’unica cosa che Jamie Hamilton non avrebbe potuto dargli: il permesso da se stesso. Era lui, a non averne voglia; lui, ad inventare scuse. Ed anziché sentirsi sollevato da quella dichiarazione, non potè che sentire una fitta di delusione, di ci risiamo, di ma perché cazzo ci provo ancora.
    «voglio stare con te. non come amico, o qualsiasi ibrido siamo stati questi anni.» Assottigliò le palpebre cercando il suo sguardo, ammorbidito da quanto letto negli occhi chiari. Che poteva farci? James Black Barrel Hamilton era un uomo indipendente e solitario, e la puttana di William Barrow II. Fategli causa. «Voglio essere il tuo ragazzo» Non si era accorto di aver smesso di respirare, finché non sentì il petto dilatarsi d’aria calda e fresca. Il cronocineta era abituato ad avere sempre quello che voleva, ma mai - mai - aveva sperato che potessero riuscire ad arrivare a quello. Tredici anni. Tredici fottuti anni a dirsi che andava bene così, che non avesse bisogno di quello – tredici cazzo di anni di respiri a metà, e sorrisi a metà, e baci umidi al whisky che già sapevano di ombre ed addio. Intrecciò le dita a quelle del Barrow, e seppur le labbra fossero ostentate in una linea dritta e impassibile, il guizzo nelle iridi verde acqua era inconfondibile. «oh, gugi» abbassò la mano di entrambi, incastrandole nei jeans di lui per attirarlo verso di sé. «eri l’unico a non sapere di esserlo già» Un sorriso aperto e quasi sincero, il meglio che si potesse avere da un Hamilton le cui labbra erano sempre intinte di mal propositi e brutte intenzioni. «te lo devo dire: non sarà semplice» scherzava, ma non troppo. Ed infatti, lo sguardo si fece un po’ più serio, un po’ meno Jamie, che quel genere di solennità non la concedeva neanche ai propri nemici. «non sono una brava persona» sottolineò a bassa voce, così piano che qualcuno avrebbe detto l’avesse fatto di proposito per non farsi sentire – ed avrebbe avuto ragione. Will poteva credere di saperlo, ma Jamie dubitava che avesse mai preso seriamente in considerazione che il suo migliore amico fosse effettivamente un bastardo senza morale. Gli aveva voluto bene quand’era stato all’incirca normale, e certi cambiamenti si perdevano nella traduzione.
    Si disse che ora che aveva il cuore di Will fra le mani, quasi certamente gliel’avrebbe spezzato.
    Si disse che fosse il pensiero di un altro momento, mentre cancellava la distanza fra loro per baciarlo come Dio comandava, donandogli anche quella parte che aveva tenuto per sé per tutta una vita. Non c’era la disperazione di cui erano soliti fasciarci; non c’erano addii o arrivederci, non sangue a sporcare le labbra. Non fu comunque soffice, perché Jamie non era quel genere di persona. Lo baciò esattamente come viveva: prendendo il controllo, dettando le regole, lasciando la propria impronta. Fece scivolare le labbra sul suo collo, bisbigliando un «e ora ce ne andiamo.» che lasciava poco spazio all’immaginazione ♥
    You wish I was yours
    and I hope that you're mine
    lurk
    The Neighbourhood
    #000000 & #FFFFFF


    AFTER ALL THIS TIME??????????????????? yes.
  12. .
    Rich non si rese conto subito che il brut(t)o si fosse rivolto a lui. Perchè avrebbe dovuto? Parlare con i poracci non rientrava fra le sue (infinite!) competenze, ed era chiaramente fuori dalla sua lega. Fu dopo qualche istante di intenso silenzio che, sentendosi osservato, ruotò gli occhi scuri sul coinquilino di Lambrusco. Lo osservò con una certa curiosità, forse più stupito del fatto che sapesse parlare piuttosto del fatto che stesse parlando con lui, ma quando rispose non lo fece al diretto interessato. C'era una marcata nota di sdegno nel tono di Richard, nonchè di puro e semplice fastidio nell'essere stato preso in causa da qualcuno che non poteva permettersi neanche un bacio soffiato nella sua direzione. Cioè, buongiornissimo, i vichinghi non andavano più di moda da quando si era conclusa l'iconica serie dei Manzi TM. «lame, scusa, ti sei perso la lezione in cui ti ho esplicitamente spiegato che la cosa con cui condividi l'appartamento non deve neanche guardarmi? mi sento nudo e violato» spostò infine l'attenzione dal biondino al suo bro, un'espressione contrita e sincera. «lame. lame. le basi» era deluso, il buon Richard Mitchell-Keen - e sì, aveva adottato il tono di voce autoritario e severo con i quali negli anni daddy teddy aveva cercato di redarguirli, fallendo sempre miseramente perchè sì. «ma ti voglio bene lo stesso. come sei prezioso. che bei capelli che hai oggi» allungò una mano per fargli una carezza sulla testa, intenerito e affettuoso malgrado anche Lame rientrasse nella Specie Inferiore (capitalizes, so it's true - cit), un morbido sorriso sulle labbra. «potevamo venire insieme. perchè non siamo venuti insieme? lame. lame. tutto io ti devo dire» scese dal tavolo, persistendo nell'ignorare la Situazione (era un Lapino quello che si era appena lanciato a tirare pugni? Non avrebbe saputo dirlo con esattezza, l'unica cosa certa era che fosse un Linguini, perchè erano tamarri like that. Nulla a che vedere con zio Ciruzzo, lui poteva essere tamarro quanto voleva, glielo perdonava). «come stai. sei triste? abbracciami. ce l'hai la fidanzatina? il fidanzatino? il partner? » gli prese il viso fra le mani per dargli un bacino in fronte. «mi manchi a casa. torna a vivere con noi. perchè ti fai questo» e caso mai questo non fosse stato abbastanza chiaro, indicò platealmente il biondo.

    «col cazzo che li saluto, sei te che mi hai trascinato qui almeno assumiti le tue responsabilità» Mh. Mh? Jamie si fermò, obbligando anche Gugi a fare lo stesso, osservandolo con un cinico sopracciglio sollevato. «magari mi è sfuggito qualcosa» concesse, dopo un paio di secondi di silenzio, studiandolo con lenta intenzione dal basso verso l'alto. «ad ultimo aggiornamento, eri un adulto e non una mia responsabilità» soprattutto perchè aveva agito nel proprio libero arbitrio: chi aveva ucciso William? Lui. Chi si era presentato all'incontro? Lui. Insomma, Jamie Hamilton poteva averlo (sedotto.) guidato, ma non sentiva di avere alcun biasimo in quelle scelte. Coscienza pulita, qualcuno avrebbe detto. Gli sorrise mostrando uno spiraglio di denti, seguendolo lungo le scale e persistendo nel sottolineare l'ovvio. «sei la mia condanna. il mio peccato originale. il mio errore di calcolo» e lo sguardo dell'Hamilton si ammorbidì appena, o forse fu un gioco di luci; forse stava scherzando, o forse era mortalmente serio.
    Probabilmente, entrambe le cose insieme. «ma una mia responsabilità? eh» e invece niente, quello continuava a fare il demente.
    Ma perchè. Ci pensate mai che se l'era scelto lui? Non una volta, ma per metà della sua vita, ogni fottuto giorno? Lui sì, spesso. Passò la lingua sull'arcata superiore dei denti, ruotando gli occhi verso una nuova dimensione (quella dove Stiles chiede a Murphy di sposarla usando una pokèball e l'evergreen "scelgo te"; è canon ed esiste, piss off) lasciando che si nascondesse dietro di lui.
    Per poi poggiarcisi sopra, a peso morto, come fosse parte della tappezzeria. Incrociò anche le caviglie, lasciando che il proprio equilibrio fosse dettato dalla presenza concreta del Barrow alle proprie spalle. «possiamo sempre cercare un posto più appartato,» suggerì in tono impassibile, scrutando la folla. «non ho mai fatto sesso in un'altra dimensione» una delle poche cose che non avesse mai fatto; terribile. «chissà» dubitava fosse diverso, ma magari avevano altri usi e costumi. Certo, sarebbe stato uno spreco con Gugi - che ne sapeva, William - ma la tentazione di battezzare il posto era comunque spericolata. «ma pensavo volessi salutare flos e taki» fece spallucce.
    Non l'avrebbe ammesso, ma lui sì.

    - hey i'm rich!
    - good for you
    i told you
    i never

    lose
    poor & jamie
    richard "rich" mitchell-keen
    23 y.o. - former gryff


    RICH: ignora mason mentre lapino lo prende a pugni (il dado ha parlato) e coccola lame!!!&&& che ho dato per scontato essere il mio bro ma chissà. scusa ale

    JAMIE: niente. fa proposte sconce a gugi e basta. e aspetta (taki e) flos perchè in fondo non ci crede nessuno ma ha un kwore d'oro
  13. .
    «sai cosa» No. Non lo sapeva Jamie Hamilton, occhi scuri a seguire i movimenti della ragazza come fosse stata una mosca a sbattere ripetutamente le ali contro i vetri della finestra, e di certo non lo sapeva Sara, perchè questa role non ha senso e queste interazioni non hanno senso e ti voglio proprio bene pandina mia. Umettò le labbra, un'espressione corrucciata - e legittimamente dubbiosa - mentre la sconosciuta cercava di trascinarlo ...da qualche parte. Evidentemente non aveva un gran senso (punto) della sopravvivenza, perchè quando mai qualcuno obbligava Jameson Black Barrel Hamilton a fare qualcosa? Non dovette neanche puntare i piedi per terra per resistere, limitandosi a bloccarsi al centro della stanza e ad osservarla, lievemente divertito, fallire nella propria impresa. «Non possiamo farlo davanti a tutti, è una cosa che potrebbe urtare la sensibilità altrui. Meglio un po' di privacy.» Le diede l'unica risposta che a quel punto meritava, perchè seguire i trip di una ragazzina in fattanza era divertente solo fino ad un certo punto - un punto che aveva già raggiunto con la mera esistenza di Callie Jackson e Melvin Diesel nella propria vita; aveva già pagato i suoi debiti. «no.» così, senza dover esplicitare a cosa quel no si riferisse; a tutto. No, non gli interessava urtare la sensibilità altrui; no, non l'avrebbe seguita in angoli nascosti del Wizburger, indipendentemente da quale segreto avrebbe fatto uscire dal proprio cappello; no. E basta. Si scrollò la fanciulla di dosso con meno gentilezza di prima, perchè Jamie Hamilton was that bitch, sorridendo educato e privo di calore. «senti, ren» battè le palpebre, capo reclinato sulla spalla dopo essersi subito un rant senza capo nè coda riguardante la libertà e la mancanza di mani. «hai tre opzioni: posso darti un passaggio a casa» alzò l'indice, guardandola attentamente ed assicurandosi che lo stesse ascoltando, perchè gli pareva una che si distraesse facilmente ed a lui non piaceva ripetere. «posso portarti al ministero come soggetto causante disturbo alla quiete pubblica» e con quiete pubblica, si intendeva la sua. Probabilmente non avrebbe neanche potuto trattenerla, ma non significava che fosse una minaccia vana: sicuramente qualche collega a cui era toccato il turno notturno, si annoiava abbastanza da trovare qualcosa per cui prolungare il fermo - o comunque, avrebbero avuto un paio d'ore di intrattenimento gratuito. «oppure.» fece spallucce, non specificando quale fosse la terza opzione. Era ramificata, quell'opzione lì, ma ogni differente alternativa aveva un punto in comune con le altre: a Ren non sarebbe piaciuta.
    Oppure le sarebbe piaciuta un po' troppo. In ogni caso, risolveva i problemi del cronocineta.
    «tutte e tre le possibilità portano con sè un happy wiz tutto tuo. questo è prenotato»
    my whole being calls
    for an act of violence,
    but i still use velvet gloves
    chronokinesis
    special born, 27
    hunter, 2119
    jamie hamilton
    0:04
    3:16
    don't sing the blues, bohnes



    chi lo sa. chi lo sa. scusa. flash post MA SONO FELICE DI AVERLO FATTO, HO SCRITTO GO LITTLE ROCKSTAR
  14. .
    «cioè capisci perché non sono proprio fatti l'uno per l'altra?»
    «lo so» Richard Mitchell-Keen gonfiò le guance con puro, e sincero, oltraggio, spostando i piatti con le tartine per potersi sedere comodamente sul tavolo. Chiuse la vestaglia (ogni anno sceglieva un pov diverso su come presentarsi al Rito; quell’anno era toccato a “vedova ricca e madre single che veste procace cercando di far arrossire gli amici del figlio e di far colpo sui loro padri in versione casalinga”) con un secco gesto del braccio, schioccando la lingua sul palato e poggiando innervosito il mento sulla mano.
    Rich si portava appresso tre grandi traumi.
    Il primo trauma erano Teddy e Cole. Quando un adolescente Rich era stato accolto in casa loro, aveva davvero creduto che in cambio volessero favori sessuali – come i suoi fan in webcam – ed invece ancora niente; siamo una famiglia gli avevano detto, più volte negli anni, abbracciandolo. Like what? Assurdo. Riceveva soldi senza fare nulla. Gli voleva benissimo.
    Il secondo ed il terzo trauma, riguardavano entrambi Ryder Hamilton, l’importante signore della casa discografica che non aveva assolutamente sedotto per i propri CD o quelli di suo fratello slash coinquilino, ma vi pare, che rozzo.
    Ok sì. Ovviamente l’aveva fatto per quello, e perché voleva una relazione proibita!! dirty talk nella notte! Nudes inopportuni!! UN AMATORE ESPERTO!! VOLEVA ESSERE IL PICCOLO SEGRETO DI QUALCUNO! FARE ZOZZERIE IN UFFICIO! E cosa aveva ottenuto? Un lavoro da baby sitter: non lo pagava per fare sesso, e neanche per fare sesso con suo figlio, ma per esserne...l’amico. UGH! INGANNO E SLEALTà! Come se non bastasse, aveva una crush storica per qualcuno che si era smarrito negli anni, era rimasto giovane per sempre, aveva dei figli (piccoli e adolescenti??), una relazione stabile, e SE BISOGNAVA ESSERE PROPRIO ONESTI, era anche bruttino. Non c’era paragone con Rich, giovane bello ed aitante – nonché famoso: tutti conoscevano Poornostar. Era un affare. Una catch. Chiunque avrebbe voluto essere al suo posto! Ma niente, Brodaddy l’aveva recluso al misero, meschino ed infame lavoro di badante ad un criminale in erba.
    Affogò il proprio dispiacere in una torta al caramello. Si sarebbe allenato il doppio l’indomani, ma se lo meritava, ok?
    «è che mia madre si aspettava tanto da mio padre, era un uomo ambizioso da giovane, avevano dei sogni...»
    «uh-uh»
    «una volta mio padre mi ha chiesto se avevo i suoi stessi sogni, se i suoi sogni si sarebbero mai realizzati, se i miei l'avrebbero mai fatto»
    «tu pensa»
    «e io avrei solo voluto dire: pa' io di risposte non ne ho»
    «assurdo»
    «mai avute e mai ne avrò, ma di domande ne ho quante ne vuoi»
    «ma pensa te»
    «tipo: vuoi vedere i miei 33?»
    Non aveva ascoltato una parola. Figurarsi, pensava l’avesse approcciato perchè volesse un autografo. La domanda però la comprese, ed alzò lo sguardo squadrando finalmente l’individuo con cui aveva condiviso gli spazi fino a quel momento.
    Ma chi era.
    Prese un bicchierino blu, buttandolo giù come uno shottino. Indicò se stesso, poi arcuò le sopracciglia. «amo? non te lo puoi permettere» aveva la faccia da povero, Rich aveva naso per quelle cose. E vorrei dire che senza bere il veritaserum farlocco non l’avrebbe ammesso ad alta voce, ma duh. Certo che l’avrebbe fatto. Il suo tempo era denaro, e quello sembrava non possederne neanche per comprarsi jeans senza buchi. «PAPINO» gridò poi, senza contesto, giusto per vedere in quanti si sarebbero girati. Un esperimento sociale.

    «guarda,» posò una mano sul fianco di Will, passandogli di fianco per potersi mettere dalla parte opposta, ed avere una visuale migliore della sala. Le dita della mano libera le strinse attorno al mento di quel demente, ritardato, ma che cazzo ci faccio con te da tutta una vita di William Barrow II il cui metodo di adattamento aveva previsto assumesse una nuova faccia - non efficacemente quanto avrebbe desiderato, evidentemente - voltandolo verso la zona desiderata, quella da cui un paio di ragazze lo osservavano con studiata intenzione.
    «hai dei fan» bisbigliò piano, così che potesse sentirlo solo lui, sorridendo come se quella situazione fosse divertente.
    Un po’, la era.
    Jameson Black Barrel Hamilton era appena uscito da un turno estremamente noioso, più del solito, al Ministero, ed indossava ancora la divisa da Cacciatore, quando passando da Hogsmeade aveva incontrato CJ. Non CJ il tirocinante di Gemes Hamilton, quello tutto lividi e ghigni beffardi e occhiate che parevano lungimiranti pur senza sapere un cazzo - l’altro. Non era il ragazzo con cui aveva combattuto quasi fianco a fianco, ma l’aveva riconosciuto subito. L’aveva sentito vibrare nelle ossa con quel fastidio con cui solamente in pochi sapevano riverberare, e gli era stato confermato dall’occhiata saccente del trentenne dal cappotto scuro e l’espressione impenetrabile.
    Ovviamente, qualcosa non andava. Aveva eretto le adeguate protezioni mentali, si era assicurato di essere sveglio e non allucinato, e l’aveva avvicinato cercando di capire se stesse impazzendo, un’opzione sempre più probabile mano a mano che passava il tempo in quel tugurio del twentysomething, o se qualcosa fosse andato nuovamente a puttane. Nessuna delle due, a quanto pareva; avevano trovato un modo per bucare la realtà ed erano tutti invitati ad una festa.
    Così.
    Come se fosse stato normale.
    Jamie aveva riso, poi aveva capito fosse serio, allora aveva mantenuto il sorriso e aveva educatamente risposto con «ok.» dopodichè aveva scritto a Gugi dove incontrarlo senza offrire alcun contesto. Per quanto ne sapeva, poteva essere una booty call – ed ancora, l’Hamilton, non l’avrebbe escluso.
    Quindi.
    Avevano oltrepassato il portale pur sapendo quanto alte le probabilità fossero che il mondo sarebbe imploso o che sarebbero stati sbalzati in un’altra epoca – Medioevo vero e proprio, forse; magari dinosauri. - ed il cronocineta aveva sempre mantenuto il sorriso, perché quando la tua vita diventava così senza senso, rimaneva ben altro poco da fare. «non essere rude, saluta.»
    - hey i'm rich!
    - good for you
    i told you
    i never

    lose
    poor & jamie
    richard "rich" mitchell-keen
    23 y.o. - former gryff


    vorrei che i miei post avessero senso, invece questo è quello che vi beccate:
    rich parla con trent. beve la cosa magika blu. grida papino. sentitevi liberi di approcciarlo
    jamie parla solo con gugi. perchè questi sono i miei pg anti social.

    besos!!
  15. .
    C’erano cose che avevano senso, e cose che non lo avevano.
    Questo post rientra in seconda categoria. Invece, il fatto che Jamie Hamilton si stesse intrattenendo in small talk con una perfetta sconosciuta, era proprio del suo carattere gentile e amabile. Viveva di menzogne, di quella facciata dorata che offriva al mondo per brillare e far brillare, come se di una ragazzetta sotto effetto di psichedelici al wizburger potesse interessargli qualcosa. Gli piaceva sembrare quel tipo di persona, una per la quale non doveva neanche sforzarsi troppo. Gli piaceva essere semplice, piacere alle persone, evitarsi tutto il bagaglio che si sarebbero portate appresso se si fosse mostrato realmente per ciò che era.
    A Jamie Hamilton piaceva essere il segreto di se stesso.
    «abbastanza» commentò alla domanda sulla sua altezza, ammiccando languido alla mora. Abbastanza per far cosa era soggettivo, ed avrebbe lasciato che fosse lei a deciderlo – l’ambiguità, d’altronde, era uno dei punti forti del cronocineta, insieme alla bellezza, al carisma, ed una crudele praticità. Tutte pratiche che aveva affinato negli anni per mettere in imbarazzo Gugi, principalmente, e per farli uscire dalle situazioni del cazzo in cui il Barrow tendeva sempre ad infilarli, che lo volesse (mai) o meno (più volte di quanto all’Hamilton piacesse ricordare). Decise, per puro buon cuore, di commentare il terribile occhiolino della ragazza, sorridendo gentile come se ne avesse compreso il motivo. Dubitava che ci fosse qualcosa che avesse senso, perlomeno in quel momento, nella mente annebbiata nascosta dalle lenti scure della giovane, ma non era un problema suo.
    Era proprio bello farsi i cazzi propri, nella vita. Si viveva felici e spensierati, intoccabili ai drammi che sembravano sconvolgere le esistenze altrui. Jamie era così bravo a starsene sulle sue, che talvolta neanche i suoi problemi lo toccavano. Venivano ignorati, sistemati in un altro momento o rimossi alla radice per adattarsi ad altro. «me lo fai vedere?» Ad una domanda scontata, non poteva che affacciarsi una risposta altrettanto ovvia. «dipende» decise di non voler approfondire la questione domandando cosa, rimanendo nel vago che avrebbe potuto rappresentare tutto o niente. Dubitava ci fosse un allusione sessuale in quella domanda, ma non sarebbe stato lui a correggerla – quando mai, al massimo ad alimentarla. Come fece in quel momento, spostando il mezzo sorriso sardonico sul povero commesso evidentemente non pagato abbastanza per quelle puttanate.
    Cazzi suoi. Nella prossima vita, avrebbe imparato a far carriera.
    «in cambio io ti faccio provare una cosa straordinaria» Si sentì quasi - quasi - colpevole a darle corda pur essendo ignaro della questione discussa, ma non abbastanza da prendere armi (letteralmente) e bagagli, ed andarsene. Chissà dove…. Chissà dove voleva andare a parare. Era una spacciatrice in erba? Non nel senso di vendita, proprio da principiante: era proprio un classico errore da novellino quello di tentare la sorte offrendo pasticche a perfetti sconosciuti, senza sapere chi fossero. Non si osò a poggiare un gomito sul bancone, sembrava sporco ed appiccicoso, ma incrociò un braccio sul petto piegando la testa da un lato. La studiò qualche secondo, lasciando volontariamente che una nota di vuoto sgusciasse dalle iridi chiare, prima di renderle calde e accomodanti. «ne dubito» rispose lento, glaciale e bollente, con un’espressione solo esternamente divertita. «ma prego, stupiscimi»
    my whole being calls
    for an act of violence,
    but i still use velvet gloves
    chronokinesis
    special born, 27
    hunter, 2119
    jamie hamilton
    0:04
    3:16
    don't sing the blues, bohnes
94 replies since 9/2/2018
.
Top