[HAPPY BDAY OBLIVION - 9TH] I think I left my consciousness in the 6th dimension

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    Le storie tipicamente interessanti, iniziano sempre a metà. Coinvolgono il passato strada facendo, raccogliendo pezzetti di vetro atti a completare il mosaico finale per dare il quadro concluso. Ti trascinano in un punto apparentemente casuale della storia, spingendoti ad andare avanti per curiosità, più che per piacere: quello, arriva solo in un secondo momento. Il legame affettivo a personaggi, a questioni irrisolte, a finali alternativi, alle sorti di un mondo intero, è lusso possibile da raggiungere solo pagando il proprio pegno in tempo e pazienza.
    Le storie da raccontare, sono cento e mille e più una.
    Potrei raccontarvi la mia
    (una lettrice affamata sin dalla tenera età, che affondava il naso fra i libri per non rendersi conto dello scorrere del tempo)
    potrei inventare la vostra
    (pomeriggi passati a scorrere pagine sull’internet che in gioventù vi sembravano proibite, tag su tumblr che avevano senso solo per voi e non per i compagni di classe, gite in cui tutti sembravano aver qualcosa da dire tranne voi)
    potrei provare con la nostra
    (un’idea, e mille voci a raccontarla a proprio modo. Una storia di tutti.
    E fili e vite ad intrecciarsi, creando un arazzo a cui è difficile credere, con il senno poi – perché pare sempre assurdo che sia stata una serie di coincidenze, di posti giusti e momenti giusti, a farci incontrare – dai colori più disparati ma nell’insieme armoniosi; linee che sembravano prive di senso, a rendere il disegno perfetto)
    Ma l’ho già fatto, vero? L’ho fatto per otto anni.
    No, non è questa la storia che voglio raccontarvi oggi.
    E non è questa, la storia che volete raccontarmi oggi.
    È -

    «no»
    «no?»
    «no»
    A cui sorrise, occhi teatralmente alzati al soffitto.
    «ovviamente, no. ti pare?»

    Erano passati nove anni da quello scambio di battute.
    L’uomo con il lungo cappotto scuro si massaggiò la radice del naso, strizzando le labbra fra loro fino a farle diventare paonazze. Fu l’unico che ebbe l’audacia, o l’auto controllo, di proferire parola, da quando avevano messo piede lì.
    «ti avevo espressamente detto di no»
    «l’avevi fatto? ma pensa»
    «ti ammazzo.»
    «ehiehiEHI QUI NESSUNO AMMAZZA NESSUNO!» Sventolò qualcosa di metallico, un distintivo?, nell’aria, piazzandolo sotto il muso degli altri due. Ancora ci credeva, che contasse qualcosa; che fosse un deterrente. «parliamone. Con calma. hai fatto cosa Qualcuno che si era tenuto in disparte fino a quel momento si fece avanti, una maglietta troppo leggera per il clima locale, ed il dorso della mano premuto sulla bocca. «sei pazzo»
    «no, annoiato»
    «dite anche a me cosa sta succedendo?»
    «cristo santo» quello con la T-shirt alla fine cedette alla risata, i palmi a coprire gli occhi. Una risata a cui nessuno si aggiunse.
    «ti fottutamente ammazzo»
    «rilassati, gesù, puoi andartene quando vuoi»
    «ehilà?? qualcuno??? mi dice??? dove siamo???»
    Cappotto guardò l’oggetto del suo ritrovato istinto da assassino, un sorriso affilato sulle labbra.
    «diglielo tu»
    «e toglierti tutto il divertimento?»
    «non c’è...un fottuto nulla… di divertente»
    «solo perché hai un terribile senso dell’umorismo»
    «EDDAI -»
    «frankie.» Ferguson Jackson ebbe pietà del Cobain, perché se aspettava che CJ Hamilton e Percival smettessero di litigare – o, cielo ce ne scampasse, Frankie capisse da solo - avrebbero fatto l’alba, ed un omicidio. Posò entrambe le mani sulle spalle del poliziotto, sopprimendo un mezzo sorriso nel notare le nocche bianche avvolte al distintivo. «siamo tornati nel sottosopra» fu all’incirca a quel punto, che anche Frankie iniziò a ridere.
    Non smise fino a quando non comprese che non fosse uno scherzo.
    «non...»
    «sì»
    «ma per…?»
    «sì. cioè, anche»
    «possiamo -»
    «sì, l’ho già detto.»
    «sei sicuro?»
    (no) «sì.»
    Il Jackson, che era rimasto a seguire la conversazione con impassibile divertimento, arcuò un sopracciglio. Fu CJ Hamilton a rispondere, a cui la telepatia offriva un posto in prima fila per uno spettacolo di cui volontariamente non aveva pagato il biglietto.
    «percival ha creato uno strumento in grado di rompere il tessuto spazio temporale per una festa»
    Percy corrugò le sopracciglio offeso, una mano premuta sul petto. «non è solo una festa. È la festa. E non è l’unico motivo»
    CJ rise, e fu peggiore di qualunque minaccia precedente. «ah, giusto. E per lo struzzo»
    «per lo...struzzo»
    Percy annuì.
    Ora, possiamo tornare indietro e ricominciare dall’inizio.

    Qualcosa non l’aveva mai convinto del tutto. L’essere spariti dal loro mondo nel 2023 e tornati nel 2038, aveva destabilizzato e deconcentrato gran parte dei presenti a quell’evento, ma non Percival BMW. Come narrava il detto, il diavolo era nei dettagli, e mentre il resto dei compagni aveva perso il proprio tempo a riadattarsi ad un nuovo sistema o riunirsi con i propri cari, Percy l’aveva l’impiegato a riflettere. Pensare. Un’attività a cui gli altri non erano avvezzi, non poteva fargliene una colpa, ma a cui lui era particolarmente legato – soprattutto quando riguardava problemi apparentemente assurdi e lontani da lui.
    Tipo:
    Che la storia fosse destinata a ripetersi.
    Tipo:
    Che la politica attuale del mondo appena visitato fosse stata opposta alla loro in tempo dispotico, ed al contempo distante da quella attuale.
    Tipo:
    Che un meccanismo simile di passaggio fra mondi fosse possibile grazie a magia rituale statica e barbarica.
    Tipo:
    Che Lancaster si fosse nascosto nel loro mondo per vent’anni, e fosse stato in grado di andarsene in qualunque momento.
    Tipo.
    Ed era stato in quei primi giorni di assestamento, in cui pareva essere l’unico a non trovare un baricentro, che aveva compreso quale fosse il suo problema: non avere nessuno con cui confrontarsi. Aveva passato la sua vita chiuso in laboratorio a lavorare, uscendo solo per divertimento effimero e per non lasciare che il resto del mondo si dimenticasse di lui – fosse mai. Anima di ogni festa, peculiare nel suo apparire solamente poche ore alla volta, come una moderna Cenerentola dalle regole al contrario. Le persone gli piaceva viverle insieme, in ogni contesto, perché singolarmente portavano complicazioni date principalmente dalla mediocrità del loro quoziente intellettivo. Non erano di piacevole compagnia; non parlavano la sua stessa lingua. Anche se avesse voluto, e non voleva, approcciare qualcuno per discussioni fisiche ed astratte sull’esistenza di universi alternativi, chi l’avrebbe ascoltato? Si era finto stupido, e superficiale, troppo a lungo perché qualcuno lo prendesse sul serio. Faceva gargarismi con la tequila per fingersi sempre almeno un po’ sbronzo, andiamo!, così che le persone tendessero sempre a tenere difese basse e considerazioni al minimo. L’unica con cui avrebbe potuto discuterne sarebbe stata Sutton, ma non voleva coinvolgerla in quello. Perchè? Perchè sapeva cos’avrebbe detto. Perchè, come CJ, gli avrebbe detto di no, e (vorrei dire senza offesa, ma duh? con offesa, grazie tante) l’opinione di sua sorella era leggermente più rilevante di quella dell’Hamilton, con il fatto che fosse il suo unico legame affettivo. Scomodo. A volte ci pensava, lanciando palline e riprendendole al volo, a quanto un inconveniente fossero le emozioni e quel che ne conseguiva. Chissà come sarebbe la mia vita se - se. Se non avesse avuto la morale di Sutton a tenerlo in riga, disegnando quadrati ed invitandolo a rimanerci dentro.
    Sapeva di non essere una brava persona.
    Comunque.
    Passò i primi tempi ad aggiornarsi sulla meccanica, quindici anni nella loro epoca erano un fottio di tempo per perdersi aggiornamenti e nuove strumentazioni. Sin da ragazzino, aveva lavorato alla branca della magia che si misurava con attrezzature esterne, energie diverse, perché gli piaceva la questione di equilibrio fra forze e pressioni – l’incastro perfetto. Ma continuava a mancare qualcosa. Ci pensava da quasi dieci anni, se doveva essere onesto con se stesso. Un senso di vuoto che si portava appresso da quando aveva tredici anni, ed aveva aiutato a ricostruire una Hogwarts distrutta durante la guerra contro il despota che aveva tenuto sotto scacco il mondo magico con gerarchie precise (Eletti: coloro che erano nati con un potere; Scelti, coloro che avevano ottenuto un potere nei Laboratori, fosse perché donato dagli Eletti o perché comprato; Indegni: i maghi) e leggi immorali; quando aveva seppellito decine e decine di compagni, fingendo più tristezza di quanta non ne provasse.
    Qualcosa non tornava.
    Forse il fatto che nessuno sapeva chi fosse, tal despota, suggerendo fra denti stretti che il suo nome non dovesse venir nominato. L'avrebbe definita paura, se solo anche nell'intimità dei propri pensieri, non sapesse dare un nome ed un volto all'entità. Non c'erano statue; non c'erano nomi sui libri di storia. Cancellato, come inchiostro non indelebile su una lavagnetta bianca. E nessuno lo trovava strano.
    Aveva partecipato alla missione nel 2023, certo che l’aveva fatto, ma - perchè? Noia, forse; non lo ricordava più, come i dettagli della missione erano andati sfumando nei mesi passati nell’altro universo. Ricordava… ricordava? C’entravano delle chiavi, e delle giratempo. Dei...nascondigli. Stava impazzendo. Aveva bacheche su bacheche nel proprio appartamento; aveva sviluppato sistemi di raccolta dati che filtrassero le informazioni in merito a parole chiave ben precise (aveva inserito gli anni; aveva inserito despota; aveva inserito giratempo); aveva – un cazzo. Non c’era niente.
    Forse stava perdendo il senno sul serio.
    Fu solo quando pensò di aver toccato il fondo, che tornò a vedere la luce.
    Quel fondo era il pugno di Frankie sulla porta che gli annunciava che fossero fratelli («NON PUOI NASCONDERMI MIO NIPOTE PER SEMPRE» si, una lunga storia, ma non è il momento di soffermarci su Heidi BMW, Idid Notdoit Onpur Pose BMW all’anagrafe)
    Quella luce era
    Viaggio nel tempo. Era multiverso.
    Era…
    Paradosso.
    Ovviamente, aveva cercato se stesso. Tredici anni, occhi spenti, labbro spaccato.
    Ovviamente, era stato intenzionato ad ucciderlo. Rovinava la sua reputazione.
    O renderlo un esperimento. Il soldato perfetto, così che non dovesse tollerare la tristezza dell’esistenza umana.
    Ma Roosevelt fu più fortunato - o sfortunato, a seconda dei punti di vista – e divenne il suo protetto. Apprendista. Cioè, un sogno: Percy si era lamentato tutta la vita di non avere nessuno degno con cui condividere il proprio lavoro, ed aveva l’opportunità di farlo con se stesso!! Certo, Rose era un po’ grezzo, poco simpatico o collaborativo, certamente non divertente o affascinante quanto lui, ma di base era abbastanza intelligente: doveva solo crescerlo nel modo giusto.
    Aveva passato quasi dieci anni su quel progetto, senza che nessuno eccetto il suo Minion venisse a saperlo. Quale progetto? Ovviamente, riaprire la falla nelle dimensioni.
    Voleva: risposte.
    Voleva: sapere cosa fosse successo.
    Voleva: studiare come si conveniva quell’altro mondo; magari un paio di provette di sangue.
    Gli interessavano le possibile conseguenze? Il collasso dell’universo?
    Assolutamente no. Era certo di avere tutto sotto controllo. L’unica cosa sulla quale non aveva una vigilanza arbitraria, erano le persone: come poteva essere certo di sapere chi entrasse e chi ne uscisse, senza allarmare nessuno? (Senza causare un effettivo effetto indesiderato fra i due mondi?) Non aveva abbastanza occhi, neanche contando quelli di Rose, per tenere tutto al proprio posto.
    L’occasione, sconvolgente!, gliel’aveva offerta proprio quello stesso sistema che aveva oppresso la sua libertà di pensiero, scavando fino a creare voragini impossibili da ricoprire. Avete mai sentito parlare del Rito? Nei quindici anni che erano intercorsi fra che se n’erano andati (2023) e che erano riusciti a tornare (2038), era stato creato una specie di… rituale che fungesse da bussola ultra dimensionale per indicare loro la via di casa. Prendendo esempio con quanto accaduto nel 2018, alla prima intersecazione fra due mondi, ogni anno, il 20 Aprile, veniva chiesto a chiunque possedesse lo stesso sangue di quelli smarriti, di bucherellarsi il dito e premerlo contro uno specchio.
    Aveva funzionato una volta. Contro ogni prognostico, aveva funzionato anche una seconda, seppur vent’anni dopo.
    Ora.
    Ovviamente da quando erano tornati non ce n’era più stato alcun bisogno, ma il Giorno del Rito era rimasta una festività comune, perlomeno in quel della Gran Bretagna. Una roba grossa, tanto che il Ministro in carica doveva estrarre il nome di uno dei cittadini nominati quell’anno nell’apposita lista Rito, e decretare su chi ricadesse l’onore e l’onere di organizzare una festa. Una specie di Coachella ordinato su Wish, sì. L’anno precedente, era toccato ai Rowe, una famiglia che Percival odiava. Perchè? Da bambino era rimasto impressionato dai Fantagenitori, ed aveva deciso che volesse anche lui un Dinkleberg perché pensava avrebbe fatto brillare ulteriormente la sua personalità; aveva scelto, assolutamente a caso e da una lista pre compilata, i Rowe. Fine fun fact. Li odiava, ed avevano fatto una festa BELLISSIMA E LI ODIAVA IL QUADRUPLO, HOW DARE THEY. Il giorno stesso dell’annuncio dell’ospite della nona edizione, aveva riso e detto a Rose, «che sfigato chi capita dopo di loro», e Rose l’aveva guardato impassibile dicendogli solamente «predict»
    E infatti, la nona edizione era sua. Di Percival Buckingham Meadows Volkswagen.
    Faceva ridere, ma faceva anche riflettere.
    Certo, non poteva biasimarli - a soli ventotto anni era così bello e intelligente e di successo e tutti volevano essere lui, chiaramente – ma che palle. Aveva sorriso, portato onorato entrambe le mani al cuore, e ringraziando aveva promesso che sarebbe stata una cerimonia indimenticabile. Era stato Rose a fargli superare il primo momento di furia cieca, facendogli notare che fosse l’occasione perfetta (come l’aveva cresciuto bene! Era più fiero di lui che di Heidi, sangue del suo sangue) (...in effetti erano entrambi sangue del suo sangue. Non si poteva sempre eccellere, am i right), un incrociarsi di più fattori che avrebbero reso quella festa l’occasione più propizia: aveva la scusa pubblica (“lo faccio per farvi rivedere persone che da noi sono morte, e per mostrare loro la nostra gratitudine per averci permesso di salvare e migliorare la società in cui viviamo!”) quella semi pubblica giustificata dal personaggio ambiguo e superficiale che si era creato negli anni (“voglio una festa migliore di quella dei Rowe. E Carlo lo struzzo.”) e quella reale.
    Quella scientifica. Quella logica e matematica.
    Non esisteva la Resistenza nella loro società, ma quella linea di pensiero era quanto più ci si avvicinasse: Percival era un rivoluzionario, un luminare. Cercava la verità, diffidava della propaganda e delle politiche interne ed esterne. Forse un po’ rimpiangeva il fu despota che li aveva tenuti gabbia, dividendo mai equamente i privilegi ed i debiti.
    Haha...jk….
    Unless?

    «andy lo sa???» Prima che CJ potesse rispondere a quel ritardato asmatico mentalmente di Frankie Cobain, il cui legame quasi all’incirca fraterno veniva riconosciuto dal BMW solo quando gli tornava comodo, portò un indice sulle labbra e si voltò verso il guaritore. «shhh, è una sorpresa» Anche perché se Andy, il capo del dipartimento degli Auror!, l’avesse saputo, certamente non sarebbero stati lì. Percy era abbastanza sicuro che con una mossa simile rischiasse perlomeno un paio d’anni ad Azkaban, se proprio puntava sulla simpatia e si portava due dita in gola a vomitare coscienza sulla giuria; confidava che una riuscita del piano, gli risparmiasse la prigione magica ed eventuali sanzioni.
    Sarebbe stato un eroe.
    Il Ministro in carica, tal Rostam Ondil – un tipetto pelato, super pompato, affetto da nanismo; simpatico, portava sempre la cocaina migliore alle feste, ma quella era una confidenza per pochi – non aveva mai partecipato a nessuno di quei… crossover, pur avendone sentito parlare. Non credeva fosse neanche mai sceso sul campo durante la Grande Battaglia, quindi insomma, non sapeva quanto rischioso e letale potesse essere quella curva fra le dimensioni creata dal BMW. Percy si giustificava dicendo che se potevano coesistere Percy e Rose, e CJ e RJ, e chissà quanti altri perchè Sara non lo sa, sicuro il paradosso multidimensionale poteva reggere qualche ora. A suo favore, aveva il plot armor del compleanno Oblivion.
    Massì dai, rottura parete in più o in meno, che cambiava.
    «basta perdere tempo. sapete il piano»
    «lo sappiamo?» Fergie sorrise, e Percy sapeva non fosse un sorriso onesto e genuino. Era il genere di smorfia che da sempre gli aveva riservato - scettica, accomodante –, diplomatica abbastanza da non far insorgere l’animo da Fratello Ritrovato di Frankie, ed a cui il BMW aveva sempre risposto con altrettanta scialba leggerezze. Qualunque opinione avesse di lui un criminale che si era sposato per uno spremi agrumi (e la macchina per fare il pane, narrava la leggenda) ed aveva un non troppo secret affair con un poliziotto, tal poliziotto being il sopracitato Frankie Cobain, non… come dire, non tangeva la sua già scarsa sfera empatica. L’ex Corvonero fece spallucce, come se non sapesse con esattezza in quale luogo e tempo storico si trovassero, e come non fosse perfettamente a conoscenza del fatto che non sapessero proprio un cazzo. Doveva almeno fingere che fossero realmente coinvolti, e non solo pedine in grado di monitorare il flusso in entrata e in uscita. Si affacciò oltre il Portale, invitando i pochi presenti – gente a caso semi sensata, perché presenti nelle infraguerre o perché particolarmente simpy, che Percy aveva scelto per quell’importantissimo compito di reclutamento, pur non spiegando affatto quali fossero le sue intenzioni né avendolo loro detto – ad unirsi ai loro ranghi. Qualcuno, a logica dettata d’altri e non sua, sarebbe rimasto a tenere sott’occhio il varco; gli altri: «dobbiamo invitare i nostri ospiti speciali! ovviamente. quindi dividiamoci» L’alternativa era andare in giro a mostrarsi in tutto il suo splendore e spargere volantini come un PR qualsiasi, ma quel lavoro manuale e villico solitamente lo lasciava ai suoi dipendenti. Da quando si scomodava il puntale per cercare sacrificabili palline da appendere all’albero di Natale? Per mesi erano stati ospiti di altri, e certamente combattendo dovevano aver conosciuto qualcuno di interessante da portarsi appresso nel loro universo, no? «il varco rimarrà aperto per...» guardò il polso sul quale non possedeva alcun orologio. «qualcosa come altre undici ore e quarantacinque minuti» e venti secondi. Diciannove. Diciotto. Diciassette. «ci rivediamo qua fra un paio d’ore?»

    // STACCHETTO TIME! ON gdr, questo è il momento in cui gli AUS vanno in giro nel canon per invitarvi ad una festa. Il portale si trova all’aetas, ma non è in bella vista – è solo una distorsione appena percettibile, quindi passando di lì non potrete vederla, se non vi viene indicata. OFF gdr, vi offro il riassunto che so tutti volevate:
    Fino al 2018, l’AU era governato da Seth (il nostro Seth, esatto) che noi sappiamo essere il quinto fondatore. Nel nostro tempo, questa… entità, perché non è un mago (è tipo...il paziente 0 degli special, per intenderci), era seppellita sotto il Lago Nero, imprigionato dagli altri 4 fondatori, ed è tornata fra noi nel 2019 (cosa sta facendo adesso? Niente. Strange forte, uh?). Nel loro mondo, invece, non sono mai riusciti ad intrappolarlo, ed ha detenuto il potere fino a quando non è stato eliminato durante la miniquest (vi ricordate i pg sparsi nel tempo a causa della quest? Ebbene, durante quelle aperture, si è creata una faglia dimensionale fra la nostra dimensione e la loro, e nel 2018 hanno combattuto una sanguinosissima guerra tutti insieme). Dopo la sua eliminazione, ogni traccia di lui è stata eliminata dalla memoria degli AU (un po’ come il nostro oblivion sui Mangiamorte). Fino ad allora, però, il potere era dato agli special, che erano la nostra versione dei purosangue (quindi quelli fikissimi). Se eravate nati special, eravate i VIP. Se siete diventati special strada facendo, comunque VIP. Se eravate maghi, buuu, bullizzati da tutti.
    (vi do questa informazione per mettervi di capire come sarebbero stati i vostri pg nell’au)
    Vabbè.
    Sono riapparsi nel nostro mondo nel 2018, ma per loro sono passati 5 anni (quindi era il 2023) e quando sono riusciti a tornare nel loro mondo, erano passati 15 anni (il tempo scorre in maniera diversa rispetto al nostro). Da allora, ne sono passati altri 9.
    Quindi siamo nel...2047.
    A lot to unpack, lo so.
    Quindi: che tipo di AU potete fare?
    1. Quelli che si sono persi i 15 anni perché erano nel canon
    2. Nati dopo (ovviamente)
    3. legacy!!!
    4. in effetti anche i vostri canon adulti. Avete capito dai
    O forse no, ma sono qui apposta per rispondere a tutti i vostri quesiti. TRIGGER AU!
    Mi rendo conto che non so fare riassunti scusate. Vi ricordo solo che da quando è collassato il dispotismo di Seth, il mondo è stato ricostruito harry potter’s style, quindi c’è un governo stabile, non ci sono minacce, ed i mangiamorte non esistono (non che voi possiate saperlo, visto quanto sia la norma; per quanto vi riguarda, sono tutti mangiamorte, ma non esistono ghetti per gli special, e tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e doveri indipendentemente dal loro stato di sangue; gli special, per ovvi motivi, sono molto più integrati, e le seconde generazioni – quindi nati special – molto più diffusi).
    Vi lascio un bacino di assestamento, torniamo alla festa.

    Se siete stati convinti a partecipare, se avete avuto il coraggio di attraversare il Portale pur sapendo quanto delicato e vulnerabile sia… beh, benvenuti nel sotto sopra.
    Giungete all’interno di quello che a primo acchito vi sembra un giardino, ma che invero è il cuore di un labirinto. Non vi hanno portato a perdervi (forse) ma che sorpresa sarebbe, se vi facessero arrivare dall’entrata principale? Seguendo le indicazioni di chi vi sta facendo strada, uscite su un giardino immenso, riccamente adornato a festa. Alcune farfalle dalle ali dorate volano fra la folla portando con sé un ronzio meccanico che vi suggerisce siano creature ibride, creata dalla magia e qualcosa d’altro – un tipo di magia non particolarmente diffuso dalle vostre parti. Sorpassate un’enorme fontana in marmo con giochi ad acqua e delfini artificiali, ed infilandovi dietro il gazebo, giungete ad una piccola porta riservata probabilmente alla servitù. Non che ci sia servitù, nel 2048 (all’incirca...dipende a chi lo chiedete.), ma la festa è stata organizzata in una reggia storica risalente sicuramente ad un periodo storico di cui ne sapete più voi di me, ma insomma, immaginatela come quella di Versailles, perché io la immagino così. All’interno, i marmi sono tirati a lucido ed i lampadari brillano di ogni colore; i camerieri passano offrendovi calici contenenti qualcosa (cosa? Vorrei dirvi champagne, ma mentirei: è un liquore magico chiamato Eppi che vi renderà molto felici, perché nessuno vuole persone tristi alle feste. Legale! Probabilmente…) e tartine di qualsiasi tipo. Per i dolci, c’è un elegante buffet apposito nell’angolo ad est dell’enorme stanza. Qualcuno, vedendovi, bisbiglia – anche perché non siete proprio tirati a lucido; non tutti, almeno – ma vengono zittiti in fretta, e voi venite guidati verso altre scale secondarie che vi portano al piano di sopra.
    Nel mentre, Percy, dalla cima delle scale (e potrebbe avere una corona, non lo nego.) principali, fa il solito discorso di ogni Rito: come siamo tutti felici di essere insieme, quanto lavoro abbiamo fatto, come siamo arrivati lontani, blabla, si può solo migliorare, e robe che vi assicuro non vi interessano.
    Poi.
    «per celebrare la nona edizione del Rito-rno» era il nome ufficiale? Chissà, di sicuro quello ufficioso con cui veniva preso per il culo. «vi ho portato una sorpresa»
    Venite spinti verso il centro delle scale.
    «hanno fatto un lungo viaggio per arrivare qui. Potremmo quasi dire … mistico» vi presenta come zebre allo zoo? Esatto. «arrivano direttamente da un’altra dimensione. sono coloro che ci hanno salvati»
    UHHH
    AHHH
    «UN APPLAUSO AGLI EROI DEL SOTTOSOPRA!!»
    OoOoOoH!!!!!! Qualcuno scatta delle foto.
    «SORPRESA!!»
    Ora, nel caos generale scatenato dal vostro arrivo, potete andare a godervi la festa.
    SMACK



    Sì. Lo so che si sovrappone al quidditch, ed alla vita in generale, ma era doveroso. e poi non c'è fretta, non ci sono tempistiche (per ora.)
    QUINDI
    NON SO CHE DIRE
    HO AGGIUNTO GIà IL RIASSUNTO LE COSE ALLINTERNO DEL POST (ma come off)
    SONO EMOZIONATA PER TANTE COSE
    MA SOPRATTUTTO PER VOI. SEMPRE. CI PENSO E I CANT EVEN. NOVE ANNI!!! NOVE!!!! INSIEME!!!!!! GRAZIE SEMPRE. VI AMO E VI ADORO E LO SAPETE E NON MI RIPETERò ANCORA (sì, lo farò, ma non ora perchè devo ricaricare le pile)
    questo è il nostro regalo per l'anniversario oblivion ♥
    vi offro anche umili codicini, si ho preso la scheda di kaz fatemi causa OTTIMIZZAZIONE

    VERSIONE SCURA:
    CODICE
    <div align="center" style="width:510px;background-color:#111;padding:5px;border:10px solid #0A0A0A;"><table width="100%" cellspacing="2" style="background-color:#090909;" cellpadding="2">

    <tr>
    <td><div style="height:200px;font-family:calibri;overflow:auto;text-align:justify;font-size:12px;line-height:14px;color:#666;">QUIILTESTO



    </div></td>
    <td style="text-align:center;text-transform:uppercase;font-size:8px;font-family:calibri;color:#000;font-weight:bold;letter-spacing:0.5px;;line-height:20px;"><span style="background-color:#COLOREASCELTA;padding:2px;">QUOTINA
    QUOTINA
    QUOTINA</span></td>
    </tr>

    <tr>
    <td width="50%" style="background-image:url(IMMAGINEDRITTA);height:150px;background-size:cover;"></td>
    <td width="50%" style="background-image:url(IMMAGINEALCONTRARIO);height:150px;background-size:cover;-webkit-transform:rotate(180deg);"></td>
    </tr>

    </table><table width="100%" cellspacing="4" align="center" style="text-align:center;line-height:16px;text-align:center;font-family:verdana;font-size:8px;color:#555;">

    <tr>
    <td width="33%" style="background-color:#090909;height:100px;width:165px;"><i class="cp cp-ICONA" style="font-size:30px;color:#aaa;"></i>
    QUOTINA <b>[color=#COLOREASCELTA]QUOTINA[/color]</b> QUOTINA
    <span style="background-color:#000;font-style:italic">QUOTINA</span></td>
    <td width="33%" style="background-color:#090909;height:100px;width:165px;">QUOTINA <b>[color=#COLOREASCELTA]QUOTINA[/color]</b> QUOTINA
    <span style="background-color:#000;font-style:italic;padding-bottom:20px;">QUOTINA</span>
    <i class="cp cp-ICONA" style="font-size:30px;color:#aaa;"></i>
    QUOTINA</td>
    <td width="33%" style="background-color:#COLOREASCELTA;"><table width="100%" cellspacing="0" cellpadding="6" align="center"style="line-height:12px;padding:5px;text-align:center;font-family:verdana;text-transform:lowercase;font-size:8px;font-style:italic;color:#555">
    <tr>
    <td style="color:#000;font-weight:bold;-webkit-transform:rotate(180deg);">NOME CANON </td>
    </tr>
    <tr>
    <td><i class="cp cp-id-card-o" style="font-size:30px;color:#aaa;"></i></td>
    </tr>

    <tr>
    <td style="color:#000;font-weight:bold;"> NOMEAU  - ANNI
    INFO - INFO</td>
    </tr>

    </table></td>
    </tr>

    </table></div>


    VERSIONE CHIARA
    CODICE
    <div align="center" style="width:510px;background-color:#fff;padding:5px;border:10px solid #e2e2e2;"><table width="100%" cellspacing="7" cellpadding="2" style="background-color:#F5F5F5;">

    <tr>
    <td><div style="height:200px;font-family:calibri;overflow:auto;text-align:justify;font-size:12px;line-height:14px;color:#666;">QUIILTESTO



    </div></td>
    <td style="text-align:center;text-transform:uppercase;font-size:8px;font-family:calibri;color:#fff;font-weight:bold;letter-spacing:0.5px;line-height:20px;"><span style="background-color:#COLOREASCELTA;padding:2px;">QUOTINA
    QUOTINA
    QUOTINA</span></td>
    </tr>

    <tr>
    <td width="50%" style="background-image:url(IMMAGINEDRITTA);height:150px;background-size:cover;"></td>
    <td width="50%" style="background-image:url(IMMAGINEALCONTRARIO);height:150px;background-size:cover;-webkit-transform:rotate(180deg);"></td>
    </tr>

    </table><table width="100%" cellspacing="4" align="center" style="text-align:center;line-height:16px;text-align:center;font-family:verdana;font-size:8px;color:#555;">

    <tr>
    <td width="33%" style="background-color:#F5F5F5;height:100px;width:125px;"><i class="cp cp-ICONA" style="font-size:30px;color:#111;"></i> QUOTINA <b>[color=#B20B08]QUOTINA[/color]</b>
    <span style="background-color:#fff;font-style:italic">QUOTINA</span></td>
    <td width="33%" style="background-color:#F5F5F5;height:100px;width:125px"><b>[color=#COLOREASCELTA]QUOTINA[/color]</b> QUOTINA
    <span style="background-color:#fff;font-style:italic;padding-bottom:20px;">QUOTINA</span>
    <i class="cp cp-ICONA" style="font-size:30px;color:#111;"></i>
    QUOTINA</td>
    <td width="33%" style="background-color:#COLOREASCELTA;"><table width="100%" cellspacing="0" cellpadding="6" align="center"style="line-height:12px;padding:5px;text-align:center;font-family:verdana;text-transform:lowercase;font-size:8px;font-style:italic;color:#555">
    <tr>
    <td style="color:#fff;font-weight:bold;-webkit-transform:rotate(180deg);">NOME CANON </td>
    </tr>
    <tr>
    <td><i class="cp cp-id-card-o" style="font-size:30px;color:#111;"></i></td>
    </tr>

    <tr>
    <td style="color:#fff;font-weight:bold;"> NOMEAU - ANNI
    INFO - INFO</td>
    </tr>

    </table></td>
    </tr>

    </table></div>
     
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    qualche tempo prima -
    «ma perchè
    «perchè no?»
    Il Cobain sapeva che ci fosse qualcosa di più, in quella semplice domanda. Una sfida, nei pigri occhi blu posati languidi - e stanchi - su di lui; una richiesta a cui ancora dopo anni, Frankie si rifiutava di dare una risposta. «perchè -» iniziò, allargando le braccia e lasciandole ricadere inerme lungo i fianchi. Perchè? Conoscevano entrambi quale fosse la risposta; sembrava non importare a nessuno dei due. Ferguson Jackson, che nell’inadeguatezza altrui aveva sempre nuotato con un sorriso fra le labbra ed un cocktail fra le mani, smise di sorridere, lasciando che il fastidio balenasse repentino nello sguardo - ed altrettanto rapidamente si dissipasse.
    In effetti, non c’era un cazzo da ridere.
    «parla,» invitò, un tono piatto e minaccioso ad arrotolarsi denso sulla lingua. «o vattene» pragmatico, nel guardarsi allo specchio e sistemare il nodo della cravatta già impeccabile, appiattendo invisibili pieghe sulla giacca scura. Se gonfiò un poco il petto, o passò l’indice sul labbro più volte del necessario attirando inesorabilmente l’attenzione del guaritore, fu solo per scena. Perchè era divertente. Nella sua natura. «non è carino far attendere la sposa» gli angoli delle labbra si sollevarono ironici verso l’alto, un tic divertito da una battuta che sembrava comprendere solo lui - ma con chi cazzo aveva a che fare -, cercando di catturare lo sguardo del Cobain sulla superficie riflettente. Sapeva quale sarebbe stata l’azione più caritatevole, toglierlo da quella miseria, ma era troppo divertente guardarlo contorcersi e corrugarsi tutto come una spugna strizzata troppo a lungo. Era davvero uno degli esseri umani più stupidi con i quali avesse mai avuto a che fare (infatti era un poliziotto), e malgrado arrendersi all’evidenza sarebbe stata la scelta più saggia, aveva deciso, ed avrebbe sempre deciso, di non farlo: lasciare che lo scontato e le verità sotto gli occhi di tutti, fossero sempre una sorpresa per Franklyn Cobain, era una delle sue attività preferite. Frankie gli piaceva ottuso ed inetto, non poteva farci niente. Più non coglieva l’ovvio che chiunque sapeva tranne lui, più voleva sbatterlo al muro e baciarlo senza senso finché un barlume di consapevolezza non faceva capolino negli occhi scuri e smarriti.
    «la sposa»
    Peccato che Victoria Quinn lo stesse davvero aspettando all’altare; avrebbe apprezzato quella scena quasi quanto lui.
    «sì, franklyn. La sposa. Sai come funzionano i matrimoni, immagino, ma se vuoi posso farti un disegnino» scandì lentamente, perché iniziava a temere che oltre agli usuali problemi di comprensione, ci fosse qualcosa di più – una botta più forte del solito; magari Barrow gli aveva di nuovo chiuso la testa in mezzo alla portiera. Era sempre stato un po’ speciale, ma così tanto? Frankie grugnì, occhi chiusi e dita a massaggiare la radice del naso. «SMETTILA COGLIONE, non sono stupido.»
    «da quando?»
    «fergie»
    «sì?»
    Il Cobain spostò finalmente lo sguardo su di lui, il pomo d’Adamo a sollevarsi ed abbassarsi. «perchè?» Così soffice, il tono di voce. Vulnerabile. Lo stesso che anni prima gli aveva rivolto in una fredda notte di Dicembre, guardando persone di un’altra vita bere e divertirsi conscio che nella sua vita non potessero farlo.
    Ed erano sempre quei momenti a fregarlo, vero? Quando non credeva più ne valesse la pena, quando diventava frustrante anziché essere divertente, quando alzare le mani in segno di resa e andare avanti sembrava la scelta migliore – era per quello, che rimaneva sempre lì. Perchè Franklyn Cobain era una testa di cazzo: aveva costantemente il sorriso sulle labbra ed improperi coloriti che avrebbero dovuto costargli almeno il distintivo, la sua stupida chitarra sempre a portata di mano ed il dito medio sguainato per ogni occasione, pronto in qualunque momento a mollare qualunque cosa stesse facendo se avesse avuto anche l’indizio che qualcosa non andasse. Era stupido; troppo buono per il suo stesso bene. Fino a che non spostava la fragile tendina della sua spavalderia, spuntando timido e spezzato in attesa che qualcuno lo tranquillizzasse rimboccandogli le coperte. Non si sarebbe mai stancato di essere quel qualcuno, Fergie.
    Lo sapevano tutti, tranne Frankie Cobain.
    «siamo amici» Prima che potesse rispondere replicando quanto appena detto come una macchinetta rotta, prima che potesse sgretolarsi sotto il suo sguardo incredulo, aggiunse, «io e vik»
    L’altro tacque una manciata di secondi, metabolizzando la situazione; avrebbe voluto dire capendo, ma dubitava che sarebbero arrivati a tanto. «e io e te?» Fergie si voltò verso di lui, offrendo il mezzo sorriso scettico che quel quesito demandava, ridendo che potesse anche solo pensare di fare una domanda simile. «io e te? non siamo mai stati amici, cobain» Frankie annuì lentamente, come se tutto avesse finalmente avuto senso. Lo guardò, e sul serio, una manciata di secondi, prima di distogliere lo sguardo.
    «e comunque stai di merda» Alzò un dito - il, dito - nella sua direzione, prima di andarsene sbattendosi la porta alle spalle, credendo di essere stato abbastanza veloce da nascondere come la guance fossero arrossate.
    Non lo era stato. E malgrado i modi, malgrado lui, Fergie seppe che avesse capito.

    oggi
    «non ho capito» Frankie finse di non vedere come il Jackson alzò gli occhi al cielo, forse dando nuovamente una sbirciatina alla loro dimensione. Dondolava nervosamente sul posto, gli occhi a saettare dalla nuca in allontanamento di Percy, al loro mondo che li attendeva dall’altra parte. ERA EMOZIONATO? ERA SCONVOLTO? ERA ARRABBIATO? NON LO SAPEVA! E odiava non sapere come si sentisse, il Cobain. «assurdo….» «PIANTALA» diede una gomitata al generatore di acidi, incrociando seccato le braccia al petto.
    Allora. Già faticava ad abituarsi alla sua vita quotidiana. Sapevate quanto fosse difficile avere trent’anni? Complesso; terribile. Tutti i suoi coetanei, quei traditori!, se ne uscivano ogni giorno con una nuova, deprimente, novità, quale matrimoni o figli, e Frankie li odiava tutti. Come si permettevano ad avere tutto sotto controllo, quando lui ancora doveva quotidianamente leggere le istruzioni della lavatrice per capire come impostare il lavaggio? Oltraggioso. MEARA! BARROW! AVEVANO FIGLI!!! E WINSTON E PRESTON?? RELAZIONI STABILI!! Non era forse vergognoso? Non era così che si comportavano gli amici, e Frankie l’aveva fatto notare a tutti - a tutti - prima di sporgersi oltre le diverse culle per offrire il proprio indice ai vari neonati, e giurare loro che sarebbe diventato lo zio migliore del mondo e l’avrebbero amato oltre ogni misura.
    Comunque.
    «andy si arrabbierà, vero?»
    «andrew stilinski? cosa dici. sarà felicissimo di sapere che abbiamo di nuovo rischiato di far collassare lo spazio, il tempo, e tutto quello che c’è in mezzo»
    «ti ha mai detto nessuno che non sei divertente?»
    «solo tu. Fatti due domande»
    «fAtTi dUe DoMAnDe» scimmiottò a bassa voce, sistemandosi la giacca con un innervosito schiocco di lingua sul palato. Ovviamente, Frankie era il genere di persona che ad una festa indossava la giacca elegante ed una t-shirt dai colori improbabili che non ci azzeccava per un cazzo, ma a questo punto avreste dovuto capirlo da soli. Non un eterno bambino, ma neanche un uomo completamente adulto, prendendo la concezione di Adulto TM offerta da esempi più concreti quali boh, CJ Hamilton, che aveva disegnato e ricostruito buona parte dei nuovi edifici che costellavano Hogsmeade. Sicuramente l’Hamilton non aveva problemi a capire come fare il 730 e pagare un bollettino. Un adulto, ad esempio, sarebbe stato furioso nello scoprire che avessero nuovamente bucato la realtà, ma Frankie…? Non era certo di come si sentisse, ma sapeva di non esserlo. Nel continuo dondolare sul posto, poteva perfino riconoscersi un po’ di eccitazione. Aveva passato!!! mesi!!! con loro!!! e vissuto magiche avventure!!! GLI MANCAVANO I SUOI AMIKETTI, PENSAVA NON LI AVREBBE MAI VISTI, CHISSà COM’ERANO CRESCIUTI ED IN CHE ANNO ERANO E CHE FINE AVEVANO FATTO NEL MENTRE E -
    Inspirò secco, quasi strozzandosi con aria e saliva. Si schiaffò le mani sulle guance, allungando poi un indice verso qualcuno in avvicinamento.
    No vabbè -
    Non era possibile -
    Cosa
    COME??
    «...BARBIE?!?!?!?!?1?!?”?£04R5» BARNABY?? JAGGER??? DEL FAR WEST???? Erano passati...quindici anni dall’ultima volta che l’aveva visto. Frankie aveva sedici anni, e Barbie gli era sembrato vecchissimo (24 anni.), ed il mondo del Cobain si era incrinato per sempre.
    Gwen. Jeremy. Gkee.
    Deglutì più volte, riaccendendo flebilmente il sorriso che nell’avvicinarsi del Jagger s’era spento. «BARBIE! SONO FRANKIE TI RICORDI DI ME, e voi chi siete, cosa siete !!! ???? COME STATE!!» Allungò le mani verso tutti (chi? Tutti) stringendole nella propria per presentarsi, soffermandosi su qualcuno in particolare per abbracciarlo. Non c’erano quelli che avevano ospitato lui e Sam?? NICKY!!! E HUNTER E HALLEY!!! I TRYHARD!!!! DOVEVA MANDARE UN SELFIE A SAM, NON CI AVREBBE MAI CREDUTO – ma poteva mettere storie su snapwiz? Chiedeva.
    Fergie si limitò a dei vaghi sorrisi, alcuni più consapevoli di altri, e flebili cenni con il capo.
    Anche perché. In effetti. Neanche lui capiva. Non si era mai fidato di Percival, e non avrebbe cominciato quel giorno – in quelle criptiche circostanze, poi. Visto che il Cobain era accecato dall’amore e, di base, non capiva un cazzo, toccava a lui il lavoro sporco di rimanere vigile. Pensare che il poliziotto fosse l’altro, e lui un banale delinquente di strada, faceva ridere, ma anche riflettere. Osservò le teste apparse all’orizzonte; malgrado avesse conosciuto parecchie persone durante la sua permanenza dalle loro parti, di ben poche gli interessava davvero.
    Tipo: «eugene non c’è?»
    Iniziarono poi a far strada per la festa, mentre il chiacchiericcio pian piano si spegneva (e si accendeva. E si spegneva -cit). Fu tutto molto strano, e Fergie era sempre più circospetto in merito all’intera situazione, ma diciamocelo: era davvero un problema suo?
    No.
    Afferrò uno dei calici offerti dai camerieri, sistemandosi in disparte mentre la processione – perché di quello si trattava – proseguiva, trascinando con sé quel pirla del Cobain, già attaccato al culo di Barbie per raccontargli tutta la sua vita. Cioè, capito? A Barbie, come se al Jagger avesse mai potuto sbattere qualcosa della vita di Frankie Cobain – avreste dovuto credermi, quando vi dicevo fosse lucco forte.
    «SORPRESA!!»
    Fergie si unì all’applauso, fischiando sonoramente la propria approvazione. L’espressione di Frankie si incupì, cogliendo movimenti confusi nella folla. Lo vide seguire con lo sguardo il responsabile Pavor che, a passo spedito, si dirigeva verso Percy.
    Mors tua vita mea. E poi, oh, se l’era cercata. «forse dovrei -»
    «no.» Strinse le dita attorno al polso del Cobain prima che potesse sgusciare dietro lo Stilinski come un cagnolino, riempì la bocca delle bollicine offerte dalla festa, e lo tirò verso di sé per premere le labbra sulle sue e forzarlo a buttare giù il liquore. Essendo di natura magica, era abbastanza speciale da fare in parte effetto perfino su di loro – guarigione e generazione di acidi si perdevano sempre tutto il divertimento – e non si sarebbe perso quell’occasione solo perché Franklyn Fuckin Cobain, che si allontanò tossendo e picchiandosi il pugno sul petto, doveva salvare la giornata. Rise del rossore sulle sue guance, perché era davvero un demente ritardato - e lo amava così - alzando una mano per farsi riconoscere dalle facce giustamente spaventate dei viaggiatori. «diversi colori hanno diversi effetti. Volete -» «NON PRENDETE IL -» Sorrise, schiaffando la mano sulla bocca del Cobain, e lì lasciandola. «provare?»
    frankie: (counting on my fingers)
    fergie: i just asked you how old you are
    frankie: can you just shut the fuck up for a second
    barbie ft. jane
    frankie ft. fergie
    31 & 29 - cop & criminal


    VA BENE NON INSITETE INAUGURO LA DISCUSSIONE!!!!!!! non ho resistito. a caso? ebbene sì. cosa fanno? niente.
    prima di superare il portale e portarvi nel loro mondo, frankie vi saluta tutti e si presenta, mentre fergie cerca euge
    poi una volta dentro, vi offrono da bere (kinda. a loro modo) e insomma VIECCETE TUTTI A TENERE COMPAGNIA .
     
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    «SORPRESA!!» e sticazzi?
    sarebbe dovuta sobbalzare, vic, scomporsi di fronte alla sceneggiata messa in atto dal buin Percy, ma non lo fece. rimase immobile con le braccia conserte contro il seno, a sfiorare la stoffa impalpabile del corto abito in chiffon borgogna che aveva deciso di indossare per /l'occasione/ «ci mancava solo questa» quasi un sussurro, nel marasma generale.
    a 35 anni suonati, Victoria Madelaine Quinn era ormai una mamma a tempo pieno. non che avesse figli suoi, sia chiaro — avrebbe potuto adottarli, con il patrimonio che si ritrovava alle spalle, ma perché sobbarcarsi altre bocche da sfamare quando già aveva i suoi cretini da tenere sott'occhio?
    e non era un compito facile, non quando i cretini in questione si chiamavano Ferguson, Franklyn e Frederick (+ Barrow, ma lo aggiungiamo a parte perché rovina l'aes delle F): quattro bamboccioni cui Victoria voleva inspiegabilmente bene, accanto ai quali era cresciuta e aveva sofferto e si era sentita dilaniare e poi rimettere insieme. Erano sempre stati loro, con qualcuno perso per strada e qualcuno aggiunto lungo la via, ma comunque loro dal principio.
    un fottuto incubo.
    «prendetevi una camera!» urlò, ad un certo punto, entrambe le mani a coppa intorno alla bocca; uno dei due giovani ai quali si stava rivolgendo poteva anche essere suo marito, sulla carta, ma rimaneva comunque un figlio scemo esattamente come l'altro. e come quello che le stava accanto ridacchiando sotto i baffi.
    forse, a pensarci bene (ma neanche così tanto), barrow Cooper era il più scemo di tutti: a himbo «sono così bellini» e stupidi. vic l'aveva già accennato quanto fossero stupidi? per tutta una serie di ragioni che non staremo qui ad elencare. le sarebbe piaciuto poter dire che Gwen le mancava solo quando doveva sopportare quei quattro tutti insieme, ma sarebbe stata la più terribile delle bugie — Gwen le mancava sempre. costantemente, senza tregua, un vuoto nel cuore e nello stomaco che sembrava incapace di riempirsi; che sembrava incapace lei di riempire.
    non che non ci avesse provato, negli ultimi quattordici anni.
    «no, non lo sono» si, lo erano, maledetti. le iridi verde scuro abbandonarono momentaneamente il siparietto tra fergie e frankie, per concentrarsi sui nuovi arrivati; che tanto nuovi non erano, sebbene Victoria se li ricordasse un po' diversi — il tempo era una questione relativa sulla quale la Quinn aveva smesso di farsi domande. «nooOOOOOH, VABBÈ!!!1!?!» barrow cooper, che di anni ne aveva 32 e per qualche strano miracolo della vita era a) riuscito a conquistare Amalie Dallaire e b) convincerla a mettere al mondo una figlia con lui — non così scontato, si portò istintivamente le mani a coprire la bocca, saltellando sul posto come il bambino speciale che era «SONO LORO!!!! VIC SONO PROPRIO LORO!!!» perché l'himbo stesse urlandole nelle orecchie, vic non lo sapeva; faceva sempre così, il Cooper, quando si eccitava per qualcosa.
    purtroppo, si eccitava sempre: per gli alieni, per Amalie, per i nuovi libri di Giacobbo (si, era ancora vivo), per Fergie&Frankie, per gli esorcismi e tutta un'altra infinita serie di cose «oh meo deo, ma quello è Eugene??????» nel sentire quel nome, Victoria smise di fingere di non stare cercando la versione alternativa della sua Gwen nella folla, una ruga di preoccupazione a solcare la fronte. istintivamente, proprio perché nel cuore era una madre a tutti gli effetti, sollevò il mento e ruotó il capo finché tra tutte le teste (di cazzo) presenti non individuò quella di Elíte Jenkins.
    che se ne stava lì, impietrito tra flûte di champagne e camerieri che gli giravano attorno ignari, così piccolo e vulnerabile nonostante fosse ormai un uomo adulto e ben piazzato «ho già capito, stasera mi tocca badare anche al ragazzone» perché che il biondo fosse pronto a farsi venire una crisi mistica di fronte ai suoi genitori morti era solo una questione di quando più che di se «sono sicuro che ce la farà. voglio dire, se ci fosse anche mio padre, io-» vic inarcó un sooracciglio, sollevando le iridi verdi sul volto del Cooper, osservando i lineamenti del ragazzo farsi improvvisamente più tesi; non stava più sorridendo, barrow, occhi chiari rivolti al pavimento — Vic, che in un colpo solo quel giorno aveva perso quasi tutta la sua famiglia, capiva perfettamente quale porta si fosse appena spalancata nella memoria del poliziotto.
    William era morto.
    con il torace sfondato e troppe cose da dire congelate sulle labbra.
    «daresti di matto» disse, solamente, mantenendo lo sguardo su di lui.
    «darei di matto» confermò Barry, con un sospiro, ed ecco di nuovo affiorare quel sorriso perenne che lo rendeva tanto diverso dallo Skylinski.
    e cos'altro c'era da aggiungere a quel punto?

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    primo post random scusate non fanno assolutamente nulla ma se volete venire a parlare con loro sono ben disponibili!
    barrow, almeno.
    :')))
     
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    «kenneth.»
    «demi»
    «kenneth»
    «demi??»
    «kenneth-»
    A quel punto, e solo a quel punto, il Josten fece lo sforzo di alzare lo sguardo azzurro verso la presenza (minuta ma terribilmente fastidiosa) che gli si era piazzata davanti svariati minuti prima. «se te ne vai, ti regalo la macchinetta fotografica che desideri tanto.» Per tutta risposta, la figura incrociò le braccia al petto e indurì lo sguardo. «quella a prescindere» mh, gliel'aveva forse già promessa in cambio di qualcos'altro? Diamine, doveva iniziare a tenere un'agenda con tutte le promesse che faceva – non per mantenerle, ma per non rischiare di ripeterle. Iniziavano ad essere tante, troppe, e lui dimenticava le cose con estrema facilità.
    «e poi, l'avevi promesso» Appunto.
    Arricciò le labbra per qualche istante, rivalutando tutte le scelte di vita che l'avevano portato a quel preciso momento, poi sospirò pesantemente, accettando la sconfitta: infondo, molto infondo, aveva voglia di andare alla festa anche lui. Voleva solo rompere le palle a Demi e vederla perdere le staffe – quel giorno, però, l'altra non gli stava dando soddisfazioni: era stranamente tranquilla.
    No, anzi. Non tranquilla. Era nervosa, come se si stesse preparando a qualcosa di grande.
    Più grande del Rito? Eh, a quanto pare sì.
    La cosa aveva già ampiamente sospettato il Josten, ad essere onesti. E lui lo era, onesto.
    Brutalmente onesto.
    Imitò la posizione di Demetra, incrociando le braccia al petto a sua volta e studiandola in silenzio per qualche secondo prima di sorridere complice. «devi vederti con qualcuno.» Non era una domanda, né tanto meno la richiesta di sapere altro, e per sua fortuna la Kingsley lo conosceva abbastanza bene da averlo capito e non rispose, limitandosi a stringere le labbra in un'espressione risentita.
    Ah, se solo Kenneth avesse saputo leggere Demetra come Demetra sapeva leggere Kenneth!
    Avrebbe capito subito che non si trattava di quello che pensava lui, ma di questioni più urgenti – personali. Di cuore, ma non in maniera sentimentale. Il cuore di Demi apparteneva ad una famiglia che non aveva mai meritato e che, per qualche ragione, l'aveva scelta comunque, ridandole speranze quando ormai era grande e persa e tutta da rifare e sola. Aveva incontrato la salvezza nelle forme generose di una strega dai grandi occhi azzurri e il sorriso malandrino e il cuore più grande che Demi avesse mai conosciuto.
    A lei, Demi doveva tutto.
    La seconda opportunità che le era stata donata.
    La nuova vita.
    La possibilità di compiere scelte giuste per rimediare a quelle sbagliate.
    Quindi sì, doveva vedere qualcuno a quella festa – una persona importante a cui doveva chiedere scusa per come l'aveva delusa l'ultima volta che si erano parlate, quando aveva inveito contro la maggiore, urlando e agitandosi come la solita testa calda che era. Il minimo che potesse fare era presentarsi alla festa e scusarsi di persona.
    Non stava cercando in Kenneth il permesso di andare – non era suo padre, era solo un demente che si era ritrovata appiccicato al culo di punto in bianco e che poi, per una serie di circostanze non ben definite, era rimasto. Una sorta di fratello maggiore – e ne vestiva perfettamente i panni, lasciatemelo dire. La stessa ansia addosso e rottura di coglioni. Gli voleva bene, ma cazzo: non aveva amici della sua età con cui...?? Uscire?? Anziché stressare lei h24??
    Che poi faceva quasi ridere, detto da quella che stava cercando in lui supporto morale per la serata; o, semplicemente, qualcuno con cui presentarsi all'ingresso e che la trascinasse dentro quando, all'ultimo, avrebbe deciso di girare i tacchi e andarsene.
    Non le piaceva ammetterlo, ma aveva bisogno di lui.
    Sfoderò dunque gli occhioni dolci che lo fregavano sempre e non occorreva essere una telepate, o un'empatica, per riconoscere l'istante stesso in cui Kenneth cedette.
    «d'accordo, ma alle undici a casa.»
    «eri più simpatico un tempo, che ti è successo?»
    «sono cresciuto, sono maturato»
    Passarono secondi interminabili in cui Demi si fece seria, osservando il pirocineta di fronte a sé.
    Secondi intensi.
    Poi entrambi scoppiarono a ridere per quell'ennesima stronzata del Josten.

    «demi.»
    «kenneth»
    Oh, non di nuovo.
    Il pirocineta afferrò l'altra pirocineta per un braccio e la guidò all'interno. Lei si lasciò sfuggire un lamento. «non stavo avendo ripensamenti.» Sussurrato tra denti stretti, mentre si divincolava dalla presa del maggiore. «stavo solo... pensando.» «da quando pensi.» «ah ah ah hilarious» «non stavo cercando di fare dell'ironia» ogni tanto non si capivano – comprensibile, nessuno dei due era troppo, come dire, centrato di testa. Demi lo guardò; lui guardò Demi.
    Poi la ragazza socchiuse gli occhi e balbettò qualcosa. «vado... a cerca... la... ahem.... mia...?» sua cosa? Migliore amica? Sorella? Anima gemella? «...persona.» Buono lo stesso.
    E lo salutò con il solito gesto affettuoso: un bacino sulla guancia mentre gli scompigliava i capelli già disordinati.
    Poi svanì nella folla.

    «per celebrare la nona edizione del Rito-rno» Con le spalle poggiate contro la parete, Kenneth osservava il BMW in cima alle scale con l'aria curiosa e affascinata. Non era davvero interessato a quello che succedeva – era lì principalmente per il dramma (quale? beh, quello che sarebbe arrivato, stay tuned) – ma perché non godersi il momento nel frattempo. «arrivano direttamente da un’altra dimensione.» «ma pensa.» L'avevano scelto volontariamente? Allora dovevano essere più spostati di Cobain.
    E, a proposito del suo guaritore preferito.
    Si staccò dalla parete e fece scorrere lo sguardo tra la folla, individuando solo alla fine la persona a cui si sarebbe accollato fino all'arrivo di qualcuno di più interessante. E ciò gli ricordava una cosa.
    Estrasse dalla tasca dei pantaloni il cellulare e digitò velocemente il messaggio:
    «merda dove sei»
    Perché lo sapeva che c'era – checché ne dicesse Lele. Attese la comparsa della doppia spunta (“consegnato, se mi visualizzi e non rispondi ti sciolgo come un calippo al sole”), sorridendo alle foto che si riuscivano ad intravedere nei messaggi ricevuti, e poi lo rimise in tasca, ormai a pochi passi dal Cobain e dalla gente che aveva (placcato molestamente) fermato per dei saluti.
    Gente che Kenneth avrebbe dovuto riconoscere, ma posando lo sguardo sui nuovi arrivati li osservò come se non li avesse mai visti prima in vita sua. E in parte era così. Aveva scelto di dimenticare, Kenneth, di lasciarsi alle spalle una vita che non aveva avuto la possibilità di vivere – e persone che erano andate avanti senza di lui, persone che non c'erano più, persone che erano rimaste bloccate in altri universi, in altri tempi.
    Per andare avanti aveva dovuto lasciarsi tutto il resto alle spalle.
    Non aveva rimpianti: quei nove anni erano stati i più belli e leggeri della sua fottuta vita, una (disastrosa) avventura dopo l'altra.
    Passò casualmente un braccio sulle spalle del Cobain, ma l'attenzione era per Fergie. «provare?» «per credere?» gli sorrise, genuino. «no grazie, ci credo lo stesso.» Era tante cose, Kenneth Josten, tra cui (deficiente) astemio.
    Prima di rivolgere nuovamente lo sguardo al gruppetto, lo fece vagare in giro per la sala alla ricerca di Demi, domandandosi se avesse trovato la sua persona (letteralmente). Poi facendo schioccare la lingua contro il palato, strinse di più l'abbraccio sul Cobain e chiese «bella festa, eh.» Ciò che non era, invece: bravo a fare small talks.
    Almeno quello prescindeva le realtà parallele, buono a sapersi.
    I'm going to stand outside;
    if anyone asks,
    I'm outstanding.

    a point where two worlds collide
    and we run
    and we run
    and we-
    someday
    you're gonna be
    the only one you've got

    so, fall in love with yourself
    hans belby & minnie sage
    kenneth & demetra
    28 & 25 | pyromaniacs



    scusate. sono davvero..... random. e principalmente parlano tra loro.
    alla fine kenneth si unisce a frankie e fergie (e... alle persone?? che hanno braccato???)
    demi invece sta cercando au!florrie ma se volete fermarla e chiacchierare !! VENITECE !!
     
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    Partiamo dal principio:
    «DOBBIAMO ANDARE»
    A cui Mac, quello che conoscete, si era limitato a rispondere arcuando le sopracciglia in un’espressione sofferente. Non avrebbe mai detto di no (punto) a Heidrun Crane, pur sapendo quanto poco il risultato gli sarebbe piaciuto. Un difetto di fabbrica, una controindicazione dell’essere stato raccolto come un uccellino dalle ali rotte e riattaccato con bubblegum alla fragola, rimontato a caso ma in qualche modo tutto intero. Se avesse saputo dove, avrebbe finto di essere morto? Sì, avrebbe simulato un mancamento e si sarebbe nascosto il più lontano possibile dalle grinfie onnipresenti della mimetica, ma non lo sapeva, e l’aveva seguita con la cieca fiducia che da sempre aveva riservato alla ragazza. Non aveva neanche avuto modo di guardarsi attorno, chiedersi se nel trenino letale creato dall’uragano Crane ci fossero anche sua sorella o i suoi amici, troppo confuso per domande del tutto lecite e razionali.
    Anche perché. La sua mente si svuotò completamente di ogni pensiero punto, quando sentì la vaga spiegazione eccitata di Run; quando vide; quando capì.
    Perchè
    Perchè.
    Mac ricordava i primi confusi tempi nel 2019. Ricordava come persone assolutamente casuali lo avessero fermato per strada chiedendo perché non avesse richiamato (da Bodie?), perché se ne fosse andato senza dire nulla (ma da Bodie??), biasimandolo per rotture in qualsivoglia tipo di relazione (probabilmente non da Bodie…?) ed all’inizio, sapete, aveva creduto fosse… normale. Che capitasse a tutti di ricevere ogni giorno bevande fredde lanciate addosso ed insulti stranamente specifici. Dopo qualche tempo, aveva creduto fosse qualcuno che gli somigliasse, magari un ...discendente? Avrebbe avuto senso, anche se la somiglianza non avrebbe dovuto essere così palese da causargli tutti quegli effetti secondari. Poi aveva visto le foto. Non era qualcuno che gli somigliasse…….. era lui. Uguale. Non aveva avuto senso per anni, malgrado Stiles gli avesse raccontato di Percy (di come l’avessero ospitato! Di come PENN HILTON fosse andata al suo appartamento per incontrare L’ALTRA PENN HILTON! Di come non lavasse mai i piatti! Di come avesse aggiustato il modem al San Mungo!), fino alla presentazione power point di Gwen, in cui tutto aveva finalmente assunto un nuovo senso.
    Quindi.
    Mckenzie Leighton Hale aveva un conto in sospeso con Percival BMW.
    Curiosità, in primo luogo. Non riusciva a capacitarsi di come…? Come…? Come. Fine.
    Arrivare all’aetas fu come spararsi tutta la nuova stagione di elitè in un giorno: un’allucinazione collettiva.
    Cercò di aggrapparsi alla mano di Run, sinceramente (e legittimamente) terrorizzato da quanto stesse accadendo, ma qualcuno lo strappò via prima che potesse assicurarsi il suo posto sicuro nel mondo. « E TU COSA SEI!!!!!!!» Mac guardò Barbie.
    No. Frankie. Mac guardò Frankie, occhi spalancati ed un’espressione di sincero timore in volto, mentre quello lo stritolava in un abbraccio incredulo, prendendogli il viso fra le mani e pizzicandogli le guance.
    Cosa.
    Cosa. Cosa.
    «uh»
    «NON TI AVEVO MAI VISTO!!!»
    «uh»
    Non aveva neanche ancora fumato. Corrugò le sopracciglia, deglutendo rapido il battito tachicardico che sentiva sulla lingua, e lì rimase fino a che qualcuno («scusalo», Fergie Jackson sorrise stringendo i denti) non lo portò via, lasciando Mac confuso e smarrito in mezzo ad una folla di persone che conosceva? Non conosceva? Conosceva a metà? Non vi stupirà sapere che: rimpianse tutto.
    Ma ve lo dico comunque.
    Rimpianse tutto.
    Ed ancor di più quando, umettando le labbra ed intercettando qualcuno di comfort, si lanciò fra i corpi che decise volontariamente di non riconoscere, verso la testa pelata che credeva appartenesse a CJ, e che invero apparteneva davvero a CJ.
    Che lo guardò, abbassando il capo e ruotando gli occhi al cielo. «speravo fossi morto, invece tocchi anche a loro.»
    Non il suo CJ, ma un CJ comunque.
    «uh?»
    L’eloquenza non era mai stata il suo forte.
    CJ Hamilton gli sorrise, predatorio ed affilato, e Mckenzie, che a quel punto aveva raggiunto il nirvana, alzò un pollice nella sua direzione, mordendo una risata in un sorriso. «non sei l’unico» Rimbalzato come una pluffa durante la partita Grifondoro – Corvonero, si ritrovò trascinato sotto un braccio che conosceva, ed a cui, contro ogni logica, si aggrappò come se ne andasse della sua vita – perché era così.
    «sarà divertente» Suggerì CJ Knowles, dandogli una pacca sulla spalla e tirandolo oltre il portale con se. Mac pensò che sarebbe stata tante cose, ma non divertente.
    Non voleva così tanto incontrare Percy, sapete? E più si avvicinava al maniero dove si sarebbe tenuta la festa, più si appiattiva contro il Knowles, e meno voglia aveva di esistere. «quello è barry» suggerì il Tassorosso, indicandogli qualcuno nella folla.
    Fu un rapido momento di distrazione.
    I suoi compagni seguirono una fila semi ordinata seguendo qualcuno oltre le scale.
    Non ebbe neanche tempo di guardare la sua versione adulta vera tenere il discorso per tutti, sinceramente affascinato (e incredulo: sarebbero arrivati ai ventotto anni di età? Dang) dalla sua...peculiare...esistenza, perché, sempre tornando al discorso pluffe, una mano lo afferrò per la felpa trattenendolo in un angolo buio dove ebbe l’assoluta certezza che sarebbe morto.
    «nulla di personale»
    E si prese una mazzata in faccia che gli ruppe il naso. Lo sentì, il suono secco dell’osso che andava a farsi fottere.
    Dio Cristo santissimo. Ma che cazzo? «sai cosa? Forse un po’ sì»

    Partiamo dal (secondo) principio:

    Roosevelt Percival Keaton non voleva essere lì. Lì inteso come alla festa, certo, ma anche come in quel continente, o nel sistema solare. Non aveva mai nascosto la propria repulsione verso la specie umana, e non avrebbe di certo cominciato quel giorno, al festival dell’ipocrisia ed il capitalismo, dove veniva celebrato tutto ciò che Kit aborriva – non la vita e non le persone, malgrado spesso si domandasse se dovessero invero rientrare in categoria; non avrebbe detto di esserne un ammiratore, ma c’erano cose che odiava di più. Il sistema, ad esempio.
    Che spiegava perché Kit fosse in quell’angolo di stanza, vestito in nero come ai funerali, con un cappellino da baseball calato sugli occhi a dondolare pigramente su una delle sedie lì a disposizione.
    «AW, e tu come ti chiami?»
    Non si sprecò a sollevare le palpebre, ma fermò il movimento ondulatorio rimanendo in bilico su due gambe.
    «morde» si sentì in dovere di avvisare; non sorrise, ma la vecchietta pensò fosse comunque opportuno ridere, come se quella fosse stata una battuta.
    E quando quella allungò le dita per stropicciare i capelli di Heidi, Heidi le morse la mano. Dello sdegno ed il trillo sconvolto della sciura, Kit sorrise – o almeno, offrì la sua versione di un sorriso, sollevando appena gli angoli delle labbra in quello che avrebbe potuto apparire tale. Offrì il pugno al bambino, che ivi picchiò le nocche tornando a farsi gli affari propri appollaiato sul pavimento come un cane, un cubo di Rubik distrattamente a rigirare fra le mani. Heidi odiava le feste quasi quanto Kit; era tutto dire. L’esatto contrario di suo padre, che respirava celebrazioni baldanzose ed eccentriche; peccato che per quasi tutta la sua vita, Kit fosse stato il suo baby sitter, donando al mondo un piccolo criminale pronto a seguire le sue orme. Showbiz. In parte, e lo raccapricciava non poco, immaginava che fosse suo padre anche lui…? Pensieri sui quali tendeva a soffermarsi il meno possibile, perché quando si rendeva davvero conto che lui e Percival avessero lo stesso corredo genetico, voleva solo che suicidarsi – in entrambe le forme.
    «arrivano direttamente da un’altra dimensione. sono coloro che ci hanno salvati»
    Schioccò la lingua sul palato, il tonfo sordo della sedia sul pavimento ad attirare un paio d’occhiate incuriosite. Ma vaffanculo. Kit ricordava esattamente il momento in cui aveva iniziato ad odiare quella cazzata.
    Aveva undici anni. Non aveva mai conosciuto la magia, fino a che non era stato ammesso ad Hogwarts – e la sua dodicesima, le aveva contate tutte, famiglia adottiva, l’aveva cacciato di casa abbandonandolo alla stazione di King’s cross senza guardarsi indietro, obbligandolo a vivere per anni come un senza tetto; ma quella era un’altra storia – e quel che conosceva del mondo punto, non era adatto agli ambienti sociali. Kit non era cambiato molto, da quando i servizi sociali l’avevano trascinato via da sotto il letto nel quale si era nascosto - scavalcando il telo sotto il quale giaceva sua madre morta da giorni – per portarlo nella prima, ma non ultima, comunità che l’avrebbe ospitato. Ferale, aggressivo. Sempre con qualcosa di rotto, qualcosa di graffiato, qualcosa di sbagliato che nascondeva dentro vestiti troppo grandi, concreto nel proprio mutismo. La prima parola che aveva pronunciato dopo anni, era stata proprio ad Hogwarts, pochi mesi dopo il suo smistamento fra i Corvonero. «perchè?» Ancora sanguinava dal labbro; ancora aveva le mani sporche del sangue di qualcun altro. Non era mai stato il più forte del mazzo, ma era quello veloce, quello pragmatico, quello sveglio, e quando messo con le spalle al muro, al contrario dei suoi stupidi coetanei, non colpiva per far male: colpiva per farli smettere, non propriamente conscio, a quell’età, di cosa significasse. Quando dopo quella rissa l’avevano chiamato in disparte - solamente lui, malgrado non fosse stato lui ad iniziare - portandolo in presidenza, aveva tossito, stupendosi del suono acre e asciutto della propria voce, quel «perchè?»
    Perchè sono ragazzini che hanno dovuto affrontare tanto. Hanno perso tutto nel 2023. I loro genitori erano eroi. Devi capirli.
    Kit non aveva proferito parola per altri due anni – e no, non li aveva capiti. Li aveva evitati, che era diverso. Aveva imparato ad incassare ed a farsi i cazzi propri, perché il concetto di omicidio iniziava a farsi un po’ più cristallino e lui non voleva realmente uccidere qualcuno. Era un meccanismo di difesa, ok? E anche l’unico che avesse, considerando che peccava in tutto il resto. Perfino la magia, non era il suo forte – troppo astratta, troppo diversa da tutto ciò che era. Cioè, ma che cazzo, loro erano giustificati perché… perché? Perchè i loro genitori erano famosi? Kit si era chiuso in se stesso, ed aveva odiato tutto e tutti, fino a che non aveva trovato uno scopo.
    Assurdo, lo so, ma quello scopo era … ah, il solo pensiero gli faceva male al cuore, ma era Percy. Per quanto fosse machiavellico, chiaramente disturbato, e sicuramente affetto da qualche patologia clinica non certificata, era… qualcosa. Gli aveva dato una casa. Gli aveva dato un’utilità. Il fatto che Percy fosse lui tornato indietro nel tempo per sistemare le cose (cosa? le cose.) non l’aveva mai turbato quanto avrebbe dovuto: non gliene importava abbastanza.
    Di tante cose.
    Non erano propriamente una famiglia, come avrebbero potuto?, ma erano… una squadra? Mal assestata, se poteva dire la sua, ma comunque funzionale, a completarsi laddove l’altro peccava di grandi lacune. Sostanzialmente: Percy lo manteneva, e Kit era la sua badante prima, e quella di (anche.) Heidi poi. Aveva uno scantinato tutto suo, perché di certo non era una stanza, dove nessuno gli cagava il cazzo; aveva pasti assicurati, aveva qualcuno che talvolta gli rivolgeva delle domande sensate, di cos’altro aveva bisogno? Percival millantava di essere lo sugar daddy di se stesso; Kit lo ignorava.
    Anche perché fra tutte le persone che aveva conosciuto, Percival Buckingham Meadows Volkswagen era forse quello che lo intimoriva di più: c’erano sorti peggiori della morte. Comunque, avevano un accordo. Percy avrebbe fatto la social butterfly, come sempre, e Kit avrebbe evitato di attirare l’attenzione (qualcosa in cui eccelleva; i suoi compagni di scuola neanche avevano saputo di esserlo finché non se lo erano ritrovato ai MAGO), tenendo nel mentre sotto controllo Heidi, ed occupandosi delle faccende. «discreto, rose. Non obbligarmi a ripetertelo due volte» Percy gli aveva sorriso, e gli aveva dato un buffetto sulla guancia, e Kit avrebbe voluto morderlo, ma era rimasto impassibile ad attendere che se ne andasse. Quando mai non era discreto?
    «nulla di personale»
    Evidentemente, quando nella folla in entrata riconosceva, nuovamente, se stesso.
    Basta. C’era un cazzo di limite.
    Ignorò le siringhe e le provette nella tasca del giubbetto, quelle che avrebbero dovuto essere adatte al lavoro pulito di prelievo di sangue dimensionale, preferendo tornare alle sue maniere preferite: savage, con la sua mazza di nome Cap piantata sulla faccia di se stesso, perché c’era forse qualcosa di più terapeutico dell’auto sabotaggio privo di conseguenze? Non credeva. Si chinò al fianco di (? Era… Percy? O era… lui. Importava? No) quello, allungando una mano verso il bimbetto dagli occhi grigi ed i corti capelli ebano perché gli passasse un fazzoletto. Lo premette sul naso di Coso, tamponando il sangue prima di infilarselo in tasca.
    «sai cosa? Forse un po’ sì» Non sorrise, ma gli offrì una mano per aiutarlo ad alzarsi in piedi – meccanico, educato.
    «benvenuto nel 2047, stronzetto» una cit di OC non necessaria ma che volevo.

    mac: do you wanna hear a joke?
    percy: what is it?
    mac: my life! cause my life is a joke
    kit: don't say that
    percy: wow that's so swee-
    kit: it has to be funny to be a joke

    same shit
    different celestial plane
    everything got mixed up
    the time

    & the space
    mckenzie hale
    percy & kit - 28 & 22


    e quindi.
    cosa fanno? niente.
    percy non c'è nel post, ma se vi interessa è da qualche parte in fuga da andy (.)
    mac è confuso. giustamente. saluta frankie, vi osserva confusi, ha paura e mi sembra giusto. prima della walk of shame davanti a tutti, viene (rapito.) preso da parte da kit che lo picchia. e heidi guarda.
    quindi insomma. niente interazioni utili, ma sentitevi liberi di (venire a guardare anche voi. in effetti è uno spettacolo affascinante)

    nel mondo ci sono anche canon run e canon cj!!!! se voleste fare due parole o dargli un bacino. ciauz
     
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    «EDDAI FRANCÈ, ti prego!!»
    Un’ Alessandra quasi in ginocchio sul pavimento di casa pregava il fratello «Lo sai che la mamma non mi ci fa andare se tu non ci vai!»
    Ma andiamo con ordine.
    Alessandra Naisha Linguini, frutto dell’amore dell’umile pasticciera Erisha Byrne e dell’amorevole Italiano Romolo Linguini, era una persona di cui non ci si poteva fidare,la cosa divertente? Ovviamente che lei ne fosse pienamente consapevole!! Non si offendeva mica, lo sapeva benissimo che su una che era stata bocciata… 3 volte, l’ultima perché era sparita da Hogwarts per qualche giorno (beh forse era una settimana, mica se lo ricordava oh), non si poteva fare affidamento.
    Insomma se lei non era degna della fiducia di mamma suo fratello, Francesco, lo era eccome! Aveva perso il conto di quante volte aveva sentito la frase ”Se viene con te Francesco puoi andarci”, e a lei stava bene!! Certo suo fratello era quello bacchettone della famiglia, ma bastava fargli credere che avrebbe fatto tutta la sera la brava e che non avrebbe bevuto (certo come no, è l’au mica un mondo utopico) o ballato sui tavoli ed il gioco era fatto, la cosa bella era che Francesco ci credeva OGNI VOLTA, dimenticandosi di quando puntualmente lo lasciava da solo all’ingresso della sala per andare a fare baldoria.
    Bastava inoltre fare un’espressione da cucciolo bastonato ed il gioco era fatto, agli occhi dolci di Lexi non resisteva nessuno, era la tecnica che le aveva insegnato la madre per corrompere il padre dopotutto, e spoiler: funzionava sempre.
    «DAI!! Hai detto si? EVVAI! MAMMAAAA FRANCESCO VIENE!!»
    E si allontanò gridando per la casa, come una vera italiana, per cercare la madre.
    Ma in realtà il fratello non aveva aperto bocca.

    […]



    L’ateas era un sogno, si guardava intorno incantata e si chiedeva se fosse finita in una puntata qualsiasi di élite (ciao sara, smack sara) quasi si aspettava di veder sbucare Manu Rios (che nell’au non è gay dai concedetemelo) da qualche parte, se fosse accaduto probabilmente Alessandra avrebbe cominciato a gridare “NUDO, NUDO” per fargli fare uno spogliarello, oh mica era colpa sua se aveva degli addominali da paura, che doveva nasconderli? Meglio farne un beneficio e farli vedere a tutti, soprattutto a lei.
    Aggrappata (ancora per poco) al braccio del fratello per non perdere l’equilibrio, perché con quei trampoli che aveva indossato sarebbe potuta inciampare con nulla e sembrare un t-rex spiaggiato (niente charme Byrne per alessà purtroppo), non notava nemmeno cosa accadeva di davvero importante.
    «Francè hai visto quella?»
    Ed infatti.
    Bisbigliò accanto alla spalla del fratello indicando una tipa vestita malissimo, classic Alessandra comportarsi come una burina qualsiasi ancor prima di ubriacarsi, sperava che il fratello non le desse uno spintone o qualcosa del genere.
    «Secondo te se po fumà qua?» uno sguardo verso il fratello «Mica fai lo spione con mamma se fumo? No perché quella è capace di affogarmi nella vasca da bagno.»
    Detto ciò confidava nel bene che le voleva Francesco, mica la voleva morta, dire ad Erisha che Alessandra fumava sarebbe stato come condannarla alla ghigliottina.
    «Famo che ti fai due tiri pure te, si?»
    Una proposta allettante non c’è che dire, almeno sarebbero morti insieme.
    Avrebbe voluto aggiungere “non fa lo spaccagioie” ma ci stava andando piano.


    I am the
    Black sheep
    Of the family
    A LITTLE PARTY NEVER KILLED
    NOBODY
    HANGOVERS ARE TEMPORARY
    DRUNK STORIES

    ARE FOREVER
    Alessandra Naisha Linguini
    Lexi– 18 y.o.
    HUFFLEPUFF- STUDENT


    è vicino al fratello e non fa praticamente nulla se non la buzzurra, se volete parlarle è disponibilissima ma buona fortuna


    Edited by Melanie~ - 25/4/2022, 01:32
     
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    Meara Cooper era euforica, e va bene che al giorno d’oggi bastava poco, però nulla la rendeva più facile di alcool e cibo gratis. La cosa più bella era che, al contrario di matrimoni e feste di compleanno, non doveva nemmeno spendere un patrimonio per un eventuale regalo. Poco importava che dopo la dipartita di Cooper Sr avesse ereditato la fortuna di famiglia, a nessuno piaceva spendere soldi per dei tirchi che non mettevano a disposizione l’open bar. Non che al momento potesse usufruire di quel piccolo miracolo, ma era questione di principio. Peccato che né Barry né il resto della famiglia sembrasse condividere la sua gioia, ma c’era poco da aspettarsi quando si era in compagnia di elementi come CJ Hamilton e Kanye East. Infatti, Barrow pareva avere occhi solo per una cosa e no, non era la patata «sono così bellini» la Cooper seguì il suo sguardo fino a un tavolino poco lontano, anche se aveva una vaga idea di cosa si trattasse ancora prima di trovare l’oggetto della sua attenzione. Frankie e Fergie continuavano a tormentare i poveri shipper da anni, danzando l’uno attorno all’altro senza concludere niente- che sapesse lei, doveva chiedere maggiori informazioni alla Quinn. «Certe cose non cambiano mai» rifletté ad alta voce, le sue parole dirette a nessuno se non all’ampio salone. «So true, bestie» Meara non aveva bisogno di voltarsi per riconoscere la voce accanto a lei, quasi fosse una parte di sé. In un certo senso, lo era. Non importava quanti anni passassero, la vista di se stessa in miniatura le faceva ancora un certo effetto- nulla a che vedere con la versione cocainomane, though. «Non pensavo saresti venuta» offrì la Cooper, un po’ per distrarsi dalla strana danza dell'accoppiamento di Frankie e Fergie e un po’ perché doveva farsela buona per chiederle un favore. «Ma stai scherzando? Sono venuta qui solo per scroccare, non ho nemmeno dovuto cucinare cena» Meara annuì solidale, un sorriso complice sulle labbra- uno dei tanti problemi dell’età adulta: cucinare e lavare i piatti dopo. «E madre ha detto che aveva bisogno del suo bastone della vecchiaia, anche se ha tipo- boh? Trentacinque anni?» difficile da dire, perché ogni volta i numeri sulla torta della Halvorsen cambiavano. Una volta aveva vent’anni, quella dopo ventotto fino a che gli invitati erano così confusi da smettere di farsi domande. «Sono certa che ne abbia di più ma si faccia il botox, però questo non glielo dire» Meara portò l’indice al collo e mimò il gesto di una lama che tagliava la gola «o mi uccide» e sebbene l’ira della Halvorsen non fosse paragonabile alla sua controparte, Meara ci teneva a passare il loro brunch domenicale in pace.
    «Lo dici perché avete lo stesso dottore?» Moore sbatté le ciglia innocentemente, un’espressione angelica a completare il siparietto.
    «Candice Moore Beaumont taci prima che qualcuno ti senta» deadpan, ma onesto. C’erano certe cose che non si potevano discutere con i bambini.
    E no, per la cronaca le uniche siringhe che Meara vedeva erano quelle delle analisi del sangue.
    Quelli furono gli ultimi momenti di pace che il mondo concesse alla Cooper, ancora ignara della tempesta all’orizzonte. Nel frattempo, però, ne approfittò per allacciarsi al braccio di CJ come avrebbe fatto una piovra, incurante di cosa stesse facendo. Dopotutto era più importante lei, la luce della sua vita e il faro nella sua tempesta, o ammirare la struttura architettonica di tutta la fottuta reggia.
    Le priorità sono chiare: 20 centimetri di architrave.
    «L’hai preso per me? Grazie, non dovevi» sfilò uno scone dalle mani del ragazzo, anche se non si sa bene come, dato che era alto due Meara. Non era colpa sua se aveva fame e i tacchi che si era messa le impedivano di camminare senza rischiare di cadere a terra. In sua difesa li aveva comprati il giorno prima e solo dopo aveva scoperto quanto fossero larghi. Gli schioccò un bacio sulla guancia per ringraziarlo (e anche un po’ per tormentare Moore, che era ancora lì a guardarsi i piedi).
    La sua attenzione fu riportata alla festa quando notò una caterva di persone sulle scale accompagnate da Percy, il che non sarebbe stato troppo bizzarro se per il fatto che aveva riconosciuto alcuni di loro.
    «Arrivano direttamente da un’altra dimensione. sono coloro che ci hanno salvati.»
    Lo sguardo di Meara e di Moore si concentrò su un particolare volto nello stesso momento, un qualcosa di simile a confusione mista a sgomento ad animare la Beaumont. «Ma quello…quello non è-»
    Ti devi fare i cazzi tuoi.
    «Non penso sia lui.» strinse le dita attorno al braccio di Moore prima che potesse fiondarsi verso il biondo, avvertendola non lo sguardo di non fare cazzate. Quello non era l’uomo che aveva ucciso loro padre, Meara si rifiutava di crederlo. Era vero che assomigliava vagamente a lui, ma non erano la stessa persona. Vero?
    meara: small boobs big heart
    moore: super nerd wants to fight
    I want the fire in their eyes
    I want applause that never dies
    The moment when I feel alive is
    when the lights are burning bright
    So give me the future
    it's golden and bright
    Catch a fever dream
    in the flash of the lights
    candice moore beaumont
    30 - screenwriter
    meara cooper
    32 - designer


    Non fanno niente se non molestie a Barry, a CJ e una velata minaccia nell'aria di buttare giù dalle scale Gugi.
     
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    «mio padre dice sempre che quando qualcuno non ti piace davvero la cosa migliore che puoi fare è sorridergli e stringergli la mano» le labbra piegate in una smorfia poco convinta mentre, nonostante tutto, seguiva l’altro facendosi largo nella sala tra una spallata – però leggera – e l’altra

    «mio padre dice sempre che l’unico modo per ottenere quello che si vuole è con la furbizia» rubò una tartina dal vassoio e la mandò giù quasi senza masticarla, piegando una gamba all’indietro per far aderire la suola della scarpa al muro, e poi incrociò le braccia al petto

    «mia madre dice che ogni tanto dare le botte a chi ti dà fastidio fa bene, sia a te stesso che agli altri» si passò una mano tra i capelli rossi e poi le affondò entrambe nelle tasche della giacca antivento, prima di effettuare un incauto sorpasso e piazzarsi di fronte alla figura dell’altro

    «mia madre crede che chiedendo qualcosa gentilmente si può ottenere quasi sempre un buon risultato» recuperò due drink dal vassoio di un cameriere che passava di lì e ne porse uno alla persona di fianco a sé

    More (jr.) Peetzah-Bolton non aveva bisogno di scegliere; aveva preso i capelli rossi e le lentiggini dalla madre, ma il sorriso e gli occhi dal padre, che gli aveva regalato anche le spalle larghe e qualche centimetro in più nel patrimonio genetico, ma arricchito senza dubbio dal naso piccolo e l'espressione turbata della madre, aveva ereditato la forza di Joni e la purezza di Julian: era il perfetto equilibrio tra le differenze dei due, e non aveva bisogno di prendere una posizione perché le abbracciava entrambe.
    Posò entrambe le mani sulle spalle di Tupac con un sospiro, scrutò lo sguardo dell'altro e poi piegò le labbra in un sorriso intenerito, facendo formare all'angolo della labbra una piccola fossetta. «non c'era bisogno di minacciare quel ragazzino di lasciarci in pace con il coltello» si strinse nelle spalle e piegò la testa di lato «secondo me se gli avessimo detto che dava fastidio avrebbe smesso» Julian: that's my boy; ma More jr piegò la testa di lato, poco convinto.
    Che Tupac fosse un (ozuna's voice:) criminal, cri-criminal fatto e finito non era mai stato un problema per lui, tutt'altro. Il fatto che girasse con un coltellino a 15 anni non significava che fosse una brutta persona, un film cult diceva che gli occhi sono lo specchio dell'anima e quelli di Tupac erano... vabbè sì un po' da mascalzone ma in realtà nascondevano un lato soffice e dolce che aveva subito colpito il Peetzah-Bolton.
    Lasciò le iridi corvine fissare in quelle azzurre dell'altro, poi sorrise di nuovo, stavolta un po' marpione anche lui.
    E poi gli piacevano le esperienze che gli faceva fare Tupac: il primo sorso di birra, e il primo (e ultimo, spero!!) tiro di sigaretta, la fuga mano nella mano sotto la pioggia per scappare da qualcuno a cui Tupac doveva qualcosa o aveva fatto qualcosa o aveva tolto qualcosa o chissà cosa, e tutte quelle cose che il quindicenne trovava emozionanti. E poi suo padre l'aveva visto, Tupac, e gli era parso molto convinto «mi sembra un bravo ragazzo!!!», ma l'occhiataccia che la madre aveva rivolto al Bolton Sr e il seguente pat pat su qualsiasi fosse la parte del suo corpo a cui arrivasse non aveva saputo se prenderle come un segnale positivo o negativo.
    «o comunque, potevamo dargli un pugno e basta»
    Joni: that's my boy.

    Trent Thirtythree, invece, non era così fermo e deciso sulle sue posizioni.
    «cioè capisci perché non sono proprio fatti l'uno per l'altra?» si staccò dal muro solo per fermare un altro cameriere e rubargli l'ennesima tartina e mandarla giù con un sorso di ??Eppi?? champagne??. Era per quello che era lì, no? Cibo e alcool gratis: un sogno, forse una favola, ecco perché amava il Rito. «non sono mai stati bene insieme, non dovevano neanche sposarsi in verità» fece un vago gesto con la mano e buttò giù tutto il contenuto della bibita che aveva nel bicchiere, ma solo per fare a cambio con un nuovo bicchiere pieno recuperato da un vassoio «è che mia madre si aspettava tanto da mio padre, era un uomo ambizioso da giovane, avevano dei sogni...» guardò il vuoto perso nei pensieri per un attimo, poi fece schioccare la lingua sotto il palato e sospirò tristemente, prima di prendere un sorso di quell'alcolico. I sogni dei Thirtythree erano stati i tutti di tutti e 33 i Thirtythree, e Trent lo sapeva, lo sentiva che da qualche parte nel multiverso ci fosse una linea temporale in cui i suoi avi erano riusciti a realizzarli e che ci fosse uno stato chiamato Trentino, con capitale Trento, conquistato da tutti e 33 i valorosi guerrieri della sua famiglia, e in cui continuavano a vivere fieramente tutti i trentini. Ma non era quella la sua realtà; nel suo mondo quei sogni non si erano realizzati e quel pezzo di terreno, quello stato, ora si chiamava Cinquantino, con capitale Cinquanto, conquistato da tutti e 50 i valorosi guerrieri della fazione opposta alla sua famiglia, e in cui vivevano tutti i cinquantini.
    Un sospiro, un sorso di alcolico, poi continuò imperterrito: «una volta mio padre mi ha chiesto se avevo i suoi stessi sogni, se i suoi sogni si sarebbero mai realizzati, se i miei l'avrebbero mai fatto» con una scrollata di spalle e una risata scosse la testa e guardò il suo interlocutore (sempre che questo non fosse scappato prima) «e io avrei solo voluto dire: pa' io di risposte non ne ho» sapete come continua «mai avute e mai ne avrò, ma di domande ne ho quante ne vuoi» si abbassò gli occhiali da sole sul naso, scoprendo gli occhi chiari, e ammiccò verso la persona con cui aveva parlato fino ad ora «tipo: vuoi vedere i miei 33?» modellini di auto, trofei di bocce, gatti???? who knows

    Il quindicenne tornò ad affiancare Tupac, lasciando una mano sulla sua spalla e seguendolo con un sorrisino morbido «ok, ma ho il coprifuoco prima di mezzanotte» va bene farsela con i kriminali, ma qui c'è qualcuno che prende la paternità molto sul serio.
    more: they say not to try it at home
    trent: we should defintely try it at home

    i'm just a kid
    i know that it's not fair
    nobody cares cause i'm alone
    and the world is

    having more fun than me tonight
    more jr & trent
    more jr & trent - 15 & 19
    jujoni - thirtythree


    SPOILER (click to view)
    chiedo scusa preventivamente perché mi sembra sempre d'obbligo, anche perché:
    More non fa niente!!! Cioè parla con Tupac e basta, scusate l'avrei fatto anche socializzare ma ha 15 anni my baby non meriterebbe di stare in mezzo ai sociopatici.
    Trent non è niente scusate, lo so che non dovrei scrivere a quest'ora perché peggioro evidentemente . un easter egg, mi era improvvisamente mancato, e poi non ho ancora capito che fine hanno fatto i miei pg, ci sto lavorando, scusate baci .
     
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    prima


    «frederick.»
    istintivamente, l'Hamilton appoggiò il portafogli sul ripiano dove l'aveva preso, solo per ricordare un istante dopo che fosse suo — forza dell'abitudine «mh?» Annie se ne stava appoggiata allo stipite della porta, le braccia conserte e l'aria di chi si chiede costantemente come avesse fatto a cedere alle lusinghe di un piccolo criminale ruba forchette come quello che gli stava davanti; a freddie venne voglia di sorridere, ma si trattenne: il sopracciglio sollevato della ragazza non prometteva niente di buono.
    «noah è sparito» ecco, appunto «di nuovo.» ah shit, here we go again.
    quella era la sedicesima volta che il bambino spariva (freddie se le segnava tutte su una lavagnetta per non perdere il conto), ed esisteva solo una persona a cui chiedere spiegazioni per tale avveninento «ho capito, tocca a me» premette entrambe le mani sulla schiena, facendola scrocchiare: cazzo che brutta la vecchiaia — ma almeno lui aveva ancora trentacinque anni, mica come Brodi che stava ad un passo dal decesso «e digli di smetterla con questa storia» come se freddie non ci avesse già provato, scontrandosi contro un muro di cemento armato.
    non dovette nemmeno fare tanta strada, perché sulle scale di casa lo stava aspettando suo figlio — l'altro «padreeee!!!» con le braccia aperte e una sigaretta ficcata dietro l'orecchio, Tupac Hamilton-Beaudelaire se ne stava appollaiato sul gradino più basso, un sorriso affilato a scoprire gli incisivi «come te la passi? mamma tutt'apposto? ti fai un tiro?» sfilò la sigaretta, porgendola a Frederick, e per la seconda volta nel giro di pochi minuti l'Hamilton si ritrovò a premere le labbra tra loro per non farsi sfuggire una risata di troppo; dare corda al ragazzino non era una buona idea, mai, e se ne accorgevano tutti troppo tardi (eh, more?) «tupp.. dove l'hai messo?»
    l'espressione solare e allegra del quindicenne vacilló per un istante — quasi si accartocció, ma non abbastanza perché Frederick potesse vedere al di sotto; era come una patina che non si riusciva a lavare via. quando il momento passò, rapido quanto un battito di ciglia, la sigaretta offerta era già finita tra le labbra di tupac «dove l'ho messo, dove l'ho messo, e che palle dai! ci si è messo da solo» con un'alzata di spalle tornò in piedi, iridi grigio azzurre rivolte allo sprazzo di cielo sopra le loro teste «un'altra volta-» «nel cassonetto» era già il terzo tentativo, quella settimana, di far fuori Noah buttandolo nella spazzatura — il bambino l'aveva preso come un gioco, e in fondo era quello il bello degli sgagnetti: non capivano un cazzo e tutto allo stesso tempo.

    ora


    «beh, che mi sono perso?» con una forchetta d'argento a spuntargli dalla tasca della giacca elegante, Frederick allargò le braccia e le posò sulle spalle rispettivamente di Victoria e Barrow, soffiando un bacio in direzione di Meara e Cj «il solito» la voce della Quinn non cambiava quasi mai tonalità, ma freddie la conosceva da abbastanza tempo per sapere al 99% quando fosse davvero scazzata e quando facesse solo finta; nel seguire l'indice puntato della ragazza, capì subito si trattasse della seconda opzione «ah, frankie e tuo marito che limonano, un classico» si beh, poi c'erano tutti quei poracci dell'altro /universo/, ma dettagli.
    sporgendosi sulle punte dei piedi, l'Hamilton tentò di guardare oltre la marea di teste radunatesi per l'occasione, le mani a sfregare tra loro «non vedo quel depressone di jayson. voi lo vedete?» ogni tanto ci pensava, a quel primo incontro con jayson Matthews.
    alle cose che si erano detti.
    a quelle che non avevano avuto bisogno di dire ad alta voce.
    poi la mente di freddie si bloccava, i cassetti della memoria ermeticamente chiusi. non voleva pensare a come era morta Gwen, davanti ai suoi occhi; al momento in cui aveva sentito Frankie gridare, al modo in cui il volto di vic si era incrinato quando glie l'aveva detto. da quel giorno Frederick Hamilton si era concentrato solo sulle cose davvero importanti: conquistare annie, importunare Andrew Stilinski finché non era diventato praticamente suo fratello.
    un altro.
    stava per aggiungere qualcosa, forse solo un commento sul fatto che sarebbe stato meglio andare a recuperare Elíte prima che sbroccasse davanti a tutti, quando: «BUUUUUUU, BUUUUH!!! TORNATE A CASA VOSTRA SCROCCONI!» il sopracciglio di Victoria, leggermente sollevato, diceva già tutto «VAI KITTY, PESTALO!» «comunque si vede che è figlio tuo.»
    al ché Frederick si strinse nelle spalle, passando una mano sulla barba un po' troppo lunga «buon sangue non mente» un teppista non cade mai troppo lontano dall'albero dei teppisti.


    «oh, titties, ma tu da che parte stai?» tupac era: offeso. girò su se stesso facendo stridere la suola consumata delle scarpe da ginnastica sul pavimento lucido, le iridi chiare puntate verso il coetaneo. o, almeno, sarebbero state cristalline se la pupilla dilatata non avesse occupato quasi tutto lo spazio a lei concesso. sembravano pozzi neri, gli occhi dell'hamilton-baudelaire, attraverso i quali ben poche persone riuscivano a vedere qualcosa. una di queste persone era, strano a dirsi, quella specie di golden retriever che si trovava davanti «cosa vuol dire "è solo un bambino, gne gne gne"» mimó le virgolette a mezz'aria, imitando quasi alla perfezione la voce di More «mi sta comunque sul cazzo» altrimenti non lo avrebbe buttato nel cassonetto della spazzatura, no? o forse si, insomma, poteva anche passare per un gesto d'affetto, che ne sapete.
    «beh, ma è tuo fratello???!?» ancora con quella storia, era una vera fissa. magari era solo perché il Peetzah-Bolton era figlio unico e aveva un'insana passione per i mocciosi (infatti canon che lo sfruttino tutti per badare ai pargoli), o forse semplicemente perché era troppo buono: in entrambi i casi a Tupac faceva venire voglia di dargli un pugno sul naso.
    ma, damn, quella di baciarlo era sempre un po' più forte.
    «non esagerare con le cazzate, adesso. sai che puoi dirne solo una a serata» non al giorno, altrimenti sarebbe stata una sfida persa in partenza. gli passò il braccio destro sulle spalle, costretto a sollevarsi appena sulle punte dei piedi per dargli una lieve testata fronte contro fronte «ce l'ho già una sorella e quella avanza» eh. chissà poi dove si era nascosta quella merdina di cashmere «mio padre dice sempre che quando qualcuno non ti piace davvero la cosa migliore che puoi fare è sorridergli e stringergli la mano» oh no, eccolo che ripartiva con le sue massime filosofiche «mia madre dice che ogni tanto dare le botte a chi ti dà fastidio fa bene, sia a te stesso che agli altri» qualcosa suggerì allo special che More non stava più parlando del bambinetto che si spacciava per /vero figlio legittimo di Frederick e Annie/, e quindi decise fosse arrivato il momento giusto per accendersi una sigaretta «merda, le ho finite» tragico.
    quando l'altro gli si mise davanti con la sua stazza da baby orso Bruno, bloccandogli il passaggio, per poco Tupp non andò a sbattergli contro; sarebbe stato come impattare contro un muro reso soft dalle tettine che More si ostinava a soffocare dentro magliette e camicie troppo strette «no che non c'era bisogno, titties, ma altrimenti il divertimento dove sta, scusa?» ah, quant'era naive — lo adorava proprio. gli diede un buffetto sulla guancia, seguito da un bacio vicino all'orecchio e all'ennesima scompigliata di capelli: stavano sempre troppo disciplinati, in confronto ai suoi «ok, ma ho il coprifuoco prima di mezzanotte» Tupac Hamilton-Beaudelaire si portò entrambe le mani al cuore, un'espressione shockbasita a distorcere i lineamenti «oh mio dio, mezzanotte???? che scandalo! sicuro non le dieci come tutti gli altri bambini?» insomma, di solito era quello il suo orario di rientro — che corrispondeva a quello in cui il biondo lo costringeva a sgattaiolare fuori dalla finestra quando erano a casa per le vacanze.
    nel mentre, tra una sgomitata e l'altra, erano arrivati nel cuore della festa, giusto in tempo per intercettare la domanda™ di Alessandra Byrne Linguini «ALESSÀ! grazie, troppo gentile, li faccio io due tiri con te, ho finito le sigarette. ao Francè, che è sta faccia?» ah, quanto gli piacevano gli italiani! gente verace, spaccini veri. passò le mani fra i capelli biondissimi, tagliati assolutamente a cazzo, e fu in quel momento che Percy fece il suo annuncio non richiesto dall'alto delle scale: gente da un altro universo, salvatori, blablabla. ma chi cazzo si credevano di essere «BUUUUUUU, BUUUUH!!! TORNATE A CASA VOSTRA SCROCCONI!» ma pensa te, oh. qui c'è gente che ha viaggiato nel tempo e non ricorda un cazzo, che ha scoperto di avere una famiglia con già dei figli bambocci a carico, cosa avevano quei tizi più di lui o cashmere? a parte aver assistito alla morte dei suoi fratelli maggiori in quel del 2019, ovviamente «che palle» concluse, ruotando il capo alla ricerca di alcol e trovando Kit che dava mazzate a Mac.
    le piccole gioie della vita.

    freddie: the wasted years
    tupac: the wasted youth
    freddie: the pretty lies
    tupac: the ugly truth
    academia is fake
    you can only trust your fists
    one in 100 children
    are

    psychopaths
    jay & bucky
    freddie & tupac
    35 & 15 - criminal & 2043


    freddie: parla con vic, barrow, manda baci a Meara e Cj. quindi in pratica non fa niente.

    Tupac: parla con More, Alessandra e Francesco, urla cose a caso ❤
     
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    Francesco avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì, intrappolato nel suo salotto mentre una bestia selvaggia lo stava aggredendo. Al posto delle suppliche della sorella, riusciva solo a sentire un continuo piagnisteo, uno a cui era troppo debole per resistere- dopotutto si sapeva: i fratelli maggiori erano magnanimi oltre che i preferiti dei genitori. «EDDAI FRANCÈ, ti prego!! Lo sai che la mamma non mi ci fa andare se tu non ci vai!» Francesco sorseggiò il suo té con calma, mantenendo la sua solita aria da budda mentre la sorella cercava di coinvolgerlo in una delle sue solite bravate. Francesco Ravi Linguini era un ragazzo sveglio: mai essere in compagnia di Lexi quando si trattava di una festa. Lexi pareva essere una belva assatanata, con gli occhi che si illuminavano di rosso e la bava alla bocca, mentre tracannava alcol e fumava sigarette come un dannato. Non che il Linguini fosse da meno, ma era abbastanza cresciuto da sapere che il Malibù era l’incarnato del Male e il solo bagnarsi le labbra con il whisky portava a conati di vomito. Lexi doveva ancora impararle certe cose, ma non voleva dire che sarebbe stata la sua guida spirituale.
    «DAI!! Hai detto si? EVVAI! MAMMAAAA FRANCESCO VIENE!!»
    Francesco: bitch what.
    Lui ci provò a protestare, ci provò con tutto se stesso. Eppure, sua madre era così felice di liberarsi del cane (Lexi) per la serata che il Linguini non aveva il cuore di dirle di no. Sì, era un mama’s boy e ne andava fiero- almeno lui ce l’aveva una madre, beccateve questa haters.

    Avete presente le regole base che i genitori insegnavano ai figli? Cose del tipo non seguire delle persone sospette attraverso un portale, specie se era buio e avevano l’aria da mezzi criminali.
    Ecco, Baghyawati Jai (detta Jaeger da tutti coloro che non sapevano pronunciare il suo nome) non ne aveva mai sentito parlare, perché convincerla ad attraversare l’Aetas e a imburcarsi in un'altra dimensione era stato facile quasi quanto confondere Pandi con una milanese qualsiasi.
    A lei fregava qualcosa se era una cosa terribilmente sus da fare? SI VIVEVA UNA VOLTA SOLA, ACAB. Poi aveva portato suo fratello Chandra, quindi non vedeva nessun problema con il trascinare anche lui nei guai. La sedicenne era debole quando le si prometteva c i b o a volontà, e poi chi non avrebbe amato andare a una festa a caso? Faceva tanto Gatsby, o qualcosa che avrebbero organizzato ad Hogwarts tipo il prom. Jaeger era ancora rattristata dal fatto che non avesse potuto partecipare l’ultima volta, quindi era IMPERATIVO che si godesse almeno quella festa. Cioè!!! si era pure vestita bene, capite? Con vestiti puliti e senza macchie di sugo, una vera rarità per la Jai. «Secondo te ce li hanno i pavoni in giardino? Devo assolutamente vederli» Jaeger si voltò verso il fratello, strattonandogli la manica come una bambina iperattiva. Non era colpa sua se era affascinata dai pavoni, le ricordavano il suo personaggio preferito di un gioco!!! Forse la grifondoro si sarebbe dovuta preoccupare un po’ meno degli animali e un po’ più del fatto di essere finita in una realtà parallela, ma non aveva mai avuto delle proprietà normali quindi poco le importava. Quello che era strange forte era vedere gente che in teoria conosceva ma più vecchia, o addirittura con dei figli.
    E a proposito di bambini.
    «Mamma»
    Molto ominous, i film dell’orrore iniziavano sempre così.
    Jaeger si irrigidì, il bicchiere di qualsiasicosafosse fermo a mezz’aria. Abbassò prima lo sguardo su quella strana creatura -si chiamavano bambini, ma sempre bestie rimanevano- per poi spostare lo sguardo su Chandra «lo vedi anche tu?» no, perché non si sa mai. Il bambino si aggrappò al pantalone della ragazza, con la faccia a contrarsi in un modo strano e il labbro che iniziava a tremolare «mamma? dov’è mamma???» eh, bella domanda. La Jai era un po’ terrorizzata da quelle creature, della serie che erano belli da vedere da lontano ma poi da vicino erano tutta un’altra cosa. L’ultima cosa che voleva era che iniziasse a piangere, anche perché aveva le stesse skills di consolare la gente di un sasso. CIOè!! Cosa vuol dire che sei triste, vieni che ti porto a bere easy peasy!!! Però non poteva portare il bambino a bere, a meno che non avessero il latte corretto con il nesquik. «Ah, eh.» molto articolato, molto sentito. Sospirò, la grifondoro, già rassegnata al suo destino da babysitter «non ti preoccupare, adesso la troviamo subito!» si abbassò un po’ per prendere la mano del bambino nella sua, guidandolo per la sala nella speranza che qualcuno riconoscesse la piccola peste. Sperava che anche Chandra si rendesse utile, mica era alto tre metri per nulla.

    Francesco provava molte emozioni contrastanti al momento, prima fra tutte la paura.
    Sua madre l’avrebbe ucciso, se lo sentiva.
    E la colpa sarebbe stata tutta di Lexi.
    Menomale che c’era Romolo a mettere pace in famiglia, o almeno lo sperava per la sua paghetta mensile.
    Il Linguini avrebbe voluto fare molte cose a quella festa, tipo viversela in pace con i suoi amici. E invece no: SUCA - cit Lexi probabilmente. «Francè hai visto quella?» avrebbe voluto dirle: ma ti sei vista te? Non riusciva nemmeno a camminare su quei trampoli, aggrappandosi a lui nemmeno stesse scalando il Monte Everest. Francesco, però, era un ragazzo saggio e sapeva che era sempre meglio assecondare la sorella quando si trattava di queste cose «sì, sembra davvero una vrenzola» sapete cosa si diceva delle vrenzole? Che fossero le gyaru napoletane. Stava per tirare un sospiro di sollievo, quasi sollevato dal fatto che Alessandra si stesse comportando decentemente, quando dovette rovinare Tutto. «Secondo te se po fumà qua?» Alessandra ma non avevi quattordici anni, che ci fai con quei diciotto nello schemino.
    Comunque.
    «Ma secondo te?» le rivolse uno sguardo rassegnato, scuotendo la testa come a dire perché a me. Ok che non tutti potevano essere intelligenti in famiglia, ma quello era troppo. Alessà non fare come i tossici che fumano nel bagno del treno, eddaje. «Famo che ti fai due tiri pure te, si?» la verità era che al Linguini piaceva tanto fare il moralista, ma era peggio della sorella quando non c’era nessuno in giro. Era a tanto così dallo sfilare la sigaretta dalle mani della sorella quando Tupac e More si palesarono «ALESSÀ! grazie, troppo gentile, li faccio io due tiri con te, ho finito le sigarette. ao Francè, che è sta faccia?» ma allora lo volevano morto entrambi. Almeno, Francesco rifletté con un certo sollievo, Alessandra non si era ancora fiondata sui superalcolici. Tupac ti prego distraila te con qualche minchiata. «E me lo chiedi pure» quante volte gli aveva raccontato delle uscite folli di sua sorella e della madre che sbroccava male? Ripeto: meno male che esisteva lui a bilanciare le cose, il primogenito bellissimo a cui nessuno poteva resistere. Però, anche il primogenito faceva minchiate ogni tanto. «Famo così, te mi dai ‘na sigaretta sana poi voi smezzatevela come volete» oh, magari poteva rifilare all’Hamilton-Baudelaire,pure l’alcol della sorella. Oppure a More? Nah, il Peetzah-Bolton gli pareva messo male quasi quanto se stesso, un po’ gli era vicino. Lasciò che Tupac e Alessandra facessero le loro cose, sperava nulla di illegale, per chiedere a More in tono cospiratorio «ma che è, sta fatto?» eh Tupac, sempre a tenere la roba buona solo per te. EGOISTA!!! No dai, chiedeva preventivamente per paura di ALESSA’.
    francesco: [looks at nachos] i'm busy
    jaeger: am i the drama? i don't think i'm the drama
    Ho un problema nella testa
    funziona a metà
    Ogni tanto parte un suono che fa
    FRANCE' FRANCE' FRANCEEEE'
    send a message
    I was young and a menace
    If I am off the deep end
    I'm just here to become the best yet
    baghyawati "jaeger" jai
    16 - gryffindor
    francesco linguini
    20 - ex ravenclaw


    - Jaeger molesta Chandra, poi trova un bambino a caso e cerca di riportarlo dai genitori. Tanto qua abbiamo l'asilo quindi se volete !!! può essere il vostro
    - Francesco molesta Alessà, Tupac e More


    Edited by ambitchous - 26/4/2022, 22:58
     
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    «heidrun, aspetta-»
    La special non aspettò.
    Guadalupe la vide attraversare il parco, un esemplare di Mckenzie Hale incollato alla mimetica come se fosse il suo personale salvavita (ed era proprio così) e poi –
    La vide sparire.
    Un attimo era lì e quello dopo, Heidrun Crane, non era da nessuna parte.
    La professoressa arrestò il suo passo, occhi nocciola spalancati per la sorpresa e una mano a mezz'aria, ferma laddove aveva cercato di afferrare l'altra ragazza per convincerla ad aspettare, cosa succede, quale festa, Heidrun di che parli; mano che qualcuno afferrò, credendolo un invito, un'offerta, e Lupe si lasciò trascinare, suo malgrado, dall'individuo e dalla marea di persone riunite all'Aetas, in un modo sottosopra.


    «mia madre dice che ogni tanto dare le botte a chi ti dà fastidio fa bene, sia a te stesso che agli altri»
    Piegò impercettibilmente gli angoli della bocca verso l'alto, nascondendo l'espressione divertita dietro il bordo del flute stracolmo di bollicine costose, gli occhi verdi puntati con attenzione su una figura a pochi passi da lì.
    C'era un certo affetto nello sguardo del mago, mentre osservava il ragazzino con le spalle larghe e i capelli rossi dal taglio preciso, e le lentiggini e le fossette che si formavano quando sorrideva. Un affetto che faceva sì che lui si sentisse responsabile nei confronti dell'altro. Erano una famiglia.
    Non aveva ancora reso palese la sua presenza, ma non stava facendo neppure nulla per nascondersi davvero - e avrebbe potuto, se solo avesse voluto.
    Non voleva.
    Poggiato con il fianco contro una colonna, l'abito elegante a mettere in risalto il fisico tipicamente Peetzah e i capelli tirati indietro con una buona dose di gelatina, Ford era perfettamente a suo agio in quella situazione. Facce amiche e familiari si susseguivano, salutandolo con calore; lui ricambiava con cortesia.
    Se il cuginetto non aveva ancora percepito e riconosciuto l'aria da BagderTM che Ford si trascinava dietro da sempre, e per tanto non aveva registrato la presenza del maggiore, era un suo problema: significava non fosse abbastanza attento. Male, a tratti malissimo.
    Il secondogenito dei BMW-Peetzah era a quella festa perché suo padre ci teneva terribilmente («solo perché è importante per lei) e Ford voleva bene a suo padre, perciò aveva accettato.
    Ma non solo.
    Era lì anche per tenere d'occhio i bambini dell'asilo. No, non quello vero, allestito in una delle sale per permettere a chiunque di godersi la festa senza marmocchi tra le palle; no, Ford controllava l'asilo dei bimbi che credevano di essere già adulti e che, invece, a malapena sapevano allacciarsi le scarpe da soli. Qualcuno doveva pur assicurarsi che i marmocchi non finissero in casini troppo grandi – avevano seppellito già fin troppe persone nel corso degli anni, Ford non voleva aggiungere alla lista anche quel golden retriever di suo cugino e i suoi amici scapestrati. Delinquenti.
    I ragazzini al giorno d'oggi erano strani.
    «secondo me se gli avessimo detto che dava fastidio avrebbe smesso»
    Cioè. Ora capite perché More aveva bisogno di un babysitter h24?! (Non quello grande.) (Beh, in effetti, anche.) Era troppo ingenuo e buono per quel mondo.
    «no che non c'era bisogno, titties, ma altrimenti il divertimento dove sta, scusa?» Abbassò il bicchiere portandolo all'altezza del petto, il Peetzah, rivolgendo a Tupac Hamilton-Beaudelaire il più gelido degli sguardi. Non che il minore potesse notarlo, certo, distratto com'era dal fare gli occhi dolci a More (a match made in hell), ma Ford sperava riuscisse comunque a sentirlo perforargli la schiena.
    Idealmente, all'ex Corvonero non sarebbe nemmeno dispiaciuta quella combo, se non avesse provato l'irrefrenabile desiderio di schiantare Tupac ogni volta che proponeva i suoi ideali di “divertimento” al baby jujoni.
    Ford era (iperprotettivo) attento e (diffidente) cauto; la protezione delle persone a lui care era al primo posto sulla lista delle sue priorità – non c'erano reazioni esageratamente eccessive quando si parlava della famiglia.
    Crescere con Piz l'aveva plasmato.
    Crescere con Idem l'aveva formato.
    Crescere senza Sutton l'aveva segnato.
    Ma anche temprato, e reso il giovane ostinato e maturo che era. Non era una testa calda come Morley, ma un calcolatore attento e preciso; non era impulsivo, non era manesco; ma sapeva comunque difendersi e, soprattutto, proteggere.
    «ok, ma ho il coprifuoco prima di mezzanotte»
    Per. Rowena.
    Decidendo di aver visto abbastanza, e ripetendosi che avrebbe fatto di nuovo check con il gruppo da lì ad una mezz'ora, Ford mandò giù quel che rimaneva delle bollicine, e si incamminò con aria rilassata verso il gruppo dando un'involontaria spallata a Tupac. Non lo guardò, continuando a camminare come se non lo avesse minimamente visto, ma Tupac già sapeva: «ti tengo d'occhio, teppistello.»
    Oh, aveva dato loro la sua benedizione ma non significava che non potesse ricordargli, ogni tanto, che gli avrebbe spezzato tutte le ossicine magroline se, per colpa sua, in maniera diretta o meno, fosse successo qualcosa a More Delivery Peetzah-Bolton.
    Ad ogni modo.
    Dove diamine era quel caso clinico di suo fratello? L'asilo non comprendeva solo i quindicenni, sapete.


    «ma che è, sta fatto?»
    «chi sta fatto? e senza moi
    Parli di fatti e spunta: il figlio di Lapo Linguini. Occhiali da sole calati sul naso e aria spavalda di chi il mondo lo ha visto, vissuto, sedotto e poi abbandonato, Leone buttò un braccio intorno al collo di suo cugino. Lo sguardo elettrizzato scivolò lento a cercare la figura di Lexi, esagerata come al solito: aveva ripreso tutto dal lato italiano della famiglia, non c'erano dubbi. Arricciò le labbra, il Serpeverde, stringendo un po' la presa su Fra. «è così che controlli tua sorella, Cesco?» si staccò, mollandogli uno scappellotto sulla nuca e fingendosi deluso. Che razza di fratello mandava in giro la sorellina vestita in quel modo?? E non le diceva nulla quando parlava di alcol e fumo??
    .. effettivamente, Leone non ne aveva idea: lui stesso non era assolutamente brother material, quindi anchesticazzi.
    Fece schioccare la lingua contro il palato mentre Tupac veniva spintonato da qualcuno di passaggio; Leo ne approfittò per intromettersi tra lui e Lexi, allungando in direzione di lei una sigaretta fatta apparire chissà da dove. «non dirlo a tuo fratello, mi racc» detto a voce moderatamente alta, con Francesco lì accanto e a portata d'orecchio.
    Si lasciò sfuggire un sorriso, Leone Linguini. Potevano esserci pochi cugini simpatici in famiglia, e Leo era deciso ad accaparrarsi uno di quei posti, comprandosi i favori di un cugino alla volta.
    D'altronde, quando nascevi in una famiglia numerosa come la sua, e capitavi nel ramo più detestato di tutta la fottuta foresta genealogica (e forse avevi anche geni francesi nel corredo genetico), qualcosa dovevi pur inventarti per conquistare le grazie del resto del clan.
    Il serpeverde poteva puntare solo (sui soldi di papino) sulla sua simpatia (quale) e i suoi modi affabili. «beh, beviamo? un amico mi ha detto che stasera il bar offre delle cose très spéciales» quale amico? boh.


    «joder»
    Di Run nemmeno l'ombra.
    In compenso Guadalupe aveva intravisto CJ Knowles rivolgerle un occhiolino e un sorriso sbieco prima di lasciare la sua mano e sparire nella folla.
    Non aveva idea di dove fosse, e le spiegazioni della Crane erano state quanto mai approssimative: «è una festa! Organizzata da vecchi amici, sarà uno spasso. Dai vieni, non fare la solita.»
    Si era frenata dal commentare quel “la solita” anche se aveva indurito lo sguardo e la mascella, incrociando le braccia al petto per dimostrare il suo disappunto.
    Poi Run era svanita nel nulla.
    Poi Lupe era stata trascinata oltre il portale.
    E ora –
    «nulla di personale»
    In disparte, cercando di dare un senso a tutto quanto, captò distrattamente quelle parole provenire da un angolo della sala poco distante. Con un rumore sordo di tacchi a picchiettare sul pavimento lucido, si diresse in direzione della commozione: puoi togliere la prof da Hogwarts, ma non puoi togliere la bacchettosità da Lupe.
    «cosa sta succedendo qui.»
    Una domanda non retorica e non necessariamente riferita alla scazzottata: qualcuno doveva iniziare a darle risposte. Non le interessava quale dei due Mckenzie Hale decidesse di farlo.
    Separò i gemelli, frapponendosi tra i due con un braccio sul fianco e un dito indice pronto ad ammonire chiunque avesse fatto il prossimo passo falso. Studiò i visi, identici ma non uguali, poi rivolse al corvonero un cenno del capo e un'espressione preoccupata. «tutto bene, signor Hale?» come sapeva che quello sanguinante era Mckenzie Hale? Beh.
    All'altro ragazzo rivolse invece uno sguardo severo, e una domanda. «guadalupe garcia ramos, professoressa di erbologia ad hogwarts.» e responsabile del reparto di tossicologia e virologia del San Mungo, ma dubitava al ragazzo sarebbe interessato qualcosa, «lei chi è? e perché sta picchiando un mio studente?»
    Avrebbe voluto che qualcuno arrivasse, dal nulla, a darle spiegazioni – sarebbe stato troppo da chiedere?
    "really?" I say to inanimate objects
    that aren't working like they usually do

    "stay." I glare at inanimate objects
    that continuously fall over

    "thank you!" I say exasperatedly to the
    inanimate objects when they do finally
    work right/stay put
    life gave me some lemons
    so I made some lemonade
    come on, baby,
    let's just get drunk

    forget we don't get on
    guadalupe garcia ramos
    ford bmw-peetzah
    & leo(ne) linguini
    24, ex raven | 16, slyth


    - lupe: arriva con run, se la perde, prova a cercarla e trova invece kit che picchia mac; chiede spiegazioni FEEL FREE DI APPARIRE RANDOM e spiegarle qualsiasi cosa #ènuova
    - ford: osserva il gruppo more&co, minaccia un po' con lo sguado Tupac, poi se ne va BRACCATELO PURE se volete
    - leone: raggiunge francesco, alessà, more e tupac e fa il linguini molesto #fine
     
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    Con una mano ancora premuta sul naso, Mckenzie Hale chiuse gli occhi e si obbligò a respirare dalla bocca aperta, nascondendo parte del viso dietro le dita.
    Non era divertente.
    Non era divertente.
    Ma a Mac venne comunque da ridere, e dovette concentrarsi sulle fitte e la nausea e le vertigini per evitarsi l’ennesima ricaduta d’isteria. Doveva valutare di vivere il resto della sua vita da eremita, lontano da tutto e tutti, e non mettere mai - mai - piede fuori casa, perché quello iniziava a succedere un po’ troppo spesso. Eddai, se giovane, esci e divertiti! dicevano, e quando l’Hale lo faceva, finiva pugnalato o preso a pugni o entrambi. Iniziava diventare un po’ ripetitivo. Si sforzò di non asciugare con la lingua il liquido che sentiva sulle labbra, conscio che se le sue papille avessero assaggiato una sola altra goccia di sangue, avrebbe vomitato.
    Quindi.
    Guardò – guardò? Se stesso, e la mano offerta verso di lui.
    Mac era stupido, ma non così stupido da accettare.
    «benvenuto nel 2047, stronzetto»
    «grazie», perché era un ragazzo educato, e fu anche abbastanza maturo da curvare le labbra in un sorriso senza scoppiare a ridere – anche perché, in quelle condizioni, avrebbe fatto un male fottuto. Annuì fra sé, come se tutto avesse avuto senso e l’Hale non lo trovasse tragicamente esilarante.
    C’erano due Mac.
    Cioè, due non Mac ed un Mac.
    (Troppo bello.
    Mio Dio aiuto era terribile
    .)
    Ed un non Mac gli aveva appena spaccato il naso? Non sapeva cosa provare in proposito. Non sapeva neanche se volesse provare qualcosa all’infuori dalla tragicomica soddisfazione di essere quello normale dei tre (quando mai); scelse di accontentarsi della pirrica vittoria, prima di ricadere nell’abisso freudiano del me stesso di un’altra dimensione ha preso a mazzate il se stesso di un’altra dimensione. Non si sprecò ad alzare lo sguardo ai passi in avvicinamento, e neanche l’altro parve intenzionato a farlo: rimasero a guardarsi, studiandosi da un filo davvero, davvero sottile per quanto riguardava l’Hale, di sanità mentale, fino a quando quel qualcuno non si frappose fra loro.
    «cosa sta succedendo qui.» Un’eccellente domanda, a cui nessuno dei due rispose – Mac perché non era certo di saperlo, anche se a quel punto avrebbe accettato come spiegazione anche un mero “esisti”; Kit perché no, e quello era quanto avesse da replicare in merito. «tutto bene, signor Hale?» Il Corvonero guardò l’insegnante di Erbologia come se le fosse cresciuta una seconda testa, una mano ancora sotto il naso e le labbra forzatamente serrate per impedirsi di sorridere. Non era la persona adatta a cui fare quella domanda, quando mai andava tutto bene? Fece spallucce, non fidandosi della sua stessa voce e troppo timoroso di offendere con risposte inappropriate la docente.
    «signor hale...» mimò invece, solo con le labbra, il Keaton, arcuando lievemente le sopracciglia senza distogliere lo sguardo dal sopracitato. Ritrasse la mano, rimanendo impassibile a guardare la copia di se stesso ancora comodamente seduto al suolo, chiedendosi – e non era il solo – cosa ci fosse di così divertente. Immaginava che, statisticamente, dovesse succedere che uno fra loro uscisse con qualche neurone in meno; aveva creduto fosse Percy, immaginava che dovesse chiedergli scusa.
    (Non l’avrebbe fatto)
    «guadalupe garcia ramos, professoressa di erbologia ad hogwarts.»
    Immaginava che quello fosse un momento come un altro per distogliere gli occhi chiari dal signor Hale, e portarlo sulla figura che si era appena intromessa in cazzi non suoi; che dovesse presentarsi, forse, secondo una qualche peculiare forma di dovere che implicava rispondere ai nomi altrui dicendo il proprio. Non esattamente il suo stile.
    Infatti non lo fece, né diede segno di averla vista o sentita. Non aveva mai prestato particolare attenzione ai suoi, di professori - figurarsi qualcuno che arrivava da un’altra dimensione. Magari se avesse persistito nel non prestarle attenzione, se ne sarebbe andata.
    «lei chi è? e perché sta picchiando un mio studente?»
    Tacque una manciata di secondi, sentendo la voce di Percy bisbigliargli di fare il bravo, sguardo distratto e vacuo posato sul nulla. Poi battè le ciglia, tornando presente a se stesso e riconoscendo la presenza di nome lungo e spagnoleggiante che insegna qualcosa ad Hogwarts.
    Poteva trovare una scusa.
    Oppure, poteva essere sincero. Perchè potere, certo che avrebbe potuto. Ma voleva? «ho un permesso speciale» annunciò, tenendo la mazza sotto braccio per cercare qualcosa nelle tasche. Corrugò le sopracciglia, occhi alzati al soffitto. Allungò poi la mano vuota verso Heidi, che incuriosito aveva perlomeno alzato lo sguardo dal suo cubo di Rubik, ed il bambino fece lo stesso con le proprie tasche. Parve trovare qualcosa; lo piazzò nella mano di Kit, che si limitò ad un cenno con il capo, e lo mostrò alla ragazza.
    Il dito medio. «trovato»
    Le sorrise, piatto ed affatto divertito, poggiando la punta della mazza sul pavimento e reclinando innocentemente il viso su una spalla.
    Ed accaddero due cose.
    Un verso di gola dell’Hale, che avrebbe potuto essere un singhiozzo o una risata o un’imprecazione o delle scuse o tutte quelle cose.
    Un asciutto aspirare di qualcun altro.
    Percival Buckingham Meadows Volkswagen portò una mano davanti alla bocca, attirando le attenzioni dei presenti su di sé. Sapeva di non poter dare compiti semplici, in ambiti sociali!, a Kit, ma con una simile mancanza di risorse, si faceva quel che si poteva. L’altra mano la posò sul cuore, apparentemente offeso dalle lacune di stile di Rose, a cui offrì uno sguardo sconvolto e deluso.
    Non era vero. Non poteva fottergliene una sega di meno, dell’usuale mancanza di senso e senno di Rose, e di certo non gli interessava l’onore della nuova arrivata, ma aveva una reputazione da mantenere, e quella era pur sempre la sua festa. Avrebbe fatto i conti dopo, con Kit – c’era sempre, un dopo.
    Finchè decideva che quel dopo valesse ancora la pena.
    «ROSE!» a bocca spalancata, osservò la scena di fronte a sé: c’era – c’era. Uh? Un barlume di sincero, e freddo, interesse balenò negli occhi grigi di Percy, prima che si riempissero di rammarico e solidarietà. «non so cosa gli prenda, io – di solito è un ragazzo così educato. È stato sicuramente un incidente» abbassò la voce, piroettando al fianco della ragazza e dando le spalle ai presenti. «ha avuto un infanzia difficile. ho fatto del mio meglio a crescerlo, ma … ha dei “problemi”» arcuò le sopracciglia allusivo.
    «ti ho sentito.»
    «oh, no» sporse il labbro inferiore all’infuori, ruotando il busto per guardare Kit.
    Anyway.
    La sua scusa ufficiale quando qualcuno incrociava Rose, era è un’automa; l’ho creato io a mia immagine e somiglianza; ogni tanto presenta ancora dei difetti di fabbrica, ma ci stiamo ancora lavorando per fixare tutti i bug. Una giustificazione che nel loro mondo, assurdamente, funzionava fin troppo bene, ma non sapeva come l’avrebbero presa da un altro universo; plus, caso mai il “è un ragazzino difficile abbi pietà” non avesse dovuto funzionare, avrebbe sempre potuto tornarci, dicendo che fossero stati in grado di impiantare una sorta di memoria sociale nel robot, e che non volesse offendere i suoi sentimenti ricordandogli non fosse un vero essere umano. Ma tornando alle cose importanti (lui. Percy, era la cosa importante): sorrise affabile, offrendo una mano per presentarsi, ed il braccio per portare la donna il più lontano possibile da li. «percival buckingham meadows volkswagen, incantato di conoscerla» lo era davvero, anche se non nel modo in cui avrebbe dovuto.
    ...No, non era vero e basta, ma non significava che sembrasse meno sincero: Percy portava quella maschera educata e galante da tutta una vita, dopotutto.
    Mckenzie scelse quel momento per alzarsi, incerto sulle proprie gambe, e fermare educatamente uno dei camerieri presenti in sala, decidendo che fosse decisamente il momento più opportuno per bere. «...prima tu.» bisbigliò però a qualcuno, porgendo uno dei bicchieri colorati. Chi? Qualcuno. Eddai.
    Nel mentre, Percy continuava a parlare, voce allegra e piacevole. «oh my, non vengo nel vostro mondo da – beh, nove anni. Chissà com’è cambiato! conosce alister black?» Sorrise, sospirando piano e nostalgico. «la mia anima gemella...mi manca» Vi lascerò decidere se parlasse del Black o di Carlo lo Struzzo. «sarebbe mio onore mostrarle la location, se me lo permette» un breve inchino, dita a premere sul petto.
    E no, socializzare con qualcuno proveniente da un altro universo non aveva a nulla a che fare con i suoi nefasti scopi di studio accademico, o con l’evitare che Andrew Stilinski facesse una sceneggiata che mai si sarebbe permesso di fronte ad un ospite, vi pare……. Sarebbe stato di poca classe.
    Wink


    mac: do you wanna hear a joke?
    percy: what is it?
    mac: my life! cause my life is a joke
    kit: don't say that
    percy: wow that's so swee-
    kit: it has to be funny to be a joke

    same shit
    different celestial plane
    everything got mixed up
    the time

    & the space
    mckenzie hale
    percy & kit - 28 & 22




    scusami lupe.
    kit fa...il kit
    mac fa....il mac. e offre da bere a qualcuno, kinda. non vuole essere il primo a morire ecco, o almeno non da solo
    percy fa il bravo padrone di casa e invita lupe a fare un giro per la festa
     
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    La prima volta che sentì il telefono, e tutto l'ombrellone con esso, vibrare, lo ignorò beatamente.
    La seconda volta, un minuto dopo, uguale; l'unica sostanziale differenza fu il sorso di piña colada che accompagnò il promemoria di un messaggio ricevuto, talmente rumoroso che poté quasi fingere di non sentirlo.
    Alla quinta volta – quando si era già rigirato sulla sdraio, acceso una sigaretta e ripromesso di gettarsi tra le calme onde dell'Atlantico –, dovette arrendersi all'insistenza del dispositivo, maledicendosi in tutte le lingue del mondo per non aver silenziato lo strumento del male per eccellenza.
    Si rotolò nuovamente sul lettino, odiando chiunque gli avesse scritto per gli immani sforzi fisici a cui lo stava costringendo, per poi allungarsi e recuperare lo smartphone. Ridusse gli occhi a due sottili fessure cioccolato, nel disperato tentativo di vedere qualcosa sullo schermo che non fosse l'oscurità o il suo – fantastico, naturalmente – riflesso. Se fosse esistita una cosa più fastidiosa del dover riuscire a leggere qualcosa al telefono, in spiaggia e con il sole ad accecarlo, ancora doveva trovarla.
    Quando riuscì a decifrare il messaggio, ci rimase particolarmente male. Si era aspettato una qualche truffa telefonica, un'offerta torna con noi siamo i più belli e simpatici della Omnitel, una vittoria miracolosa alla lotteria nazionale, una bella minaccia di morte per qualche sgarro di cui nemmeno si ricordava – o di cui fingeva di non avere memoria, più probabilmente.
    Invece: «merda dove sei»
    Innanzitutto: «Rude.»
    Ma poi: non si faceva sentire per eoni, e la prima cosa che gli diceva era "merda"? Veramente irrispettoso, da parte di Kenneth.
    E okay, okay!, magari Dexter Chesterton aveva un senso distorto del tempo, e quando pensava agli eoni intendeva due giorni prima, ma non era colpa sua se era un permaloso figlio di puttana che soffriva di sindrome dell'abbandono.
    Sorrise al messaggio, sollevando l'elastico del costume e scattando una foto, per poi allegarla e digitare poche lettere: «indovina»
    Attese qualche istante che le doppie spunte diventassero azzurre, prima di rettificare.
    «oooops maledetto autocorrettore», a cui allegò un proprio selfie.
    Infine, dal momento che si sentiva estremamente gentile e misericordioso, gli inviò una panoramica della spiaggia dell'Havana. «Cuba, perché?»
    Posò il telefono al proprio fianco, puntando la faccia al sole ed incrociando le dita dietro la nuca. Per un po', non pensò. Non che lo facesse poi molto, a dire tutta la verità: sapeva essere estremamente meticoloso, fastidiosamente preciso e terribilmente intelligente, ma relegava le proprie capacità mentali a tutto ciò che concerneva il lavoro; quando non doveva pianificare né attuare nulla, si limitava a spegnere il cervello e a vivere trascinato dalla corrente, ovunque questa lo spingesse. Se si ritrovava a prendere colore sulle spiagge cubane, era perché il giorno prima aveva visto una cartolina ed un sigaro: il destino gli aveva chiaramente chiesto di essere lì, e non se la sentiva di ribellarsi all'universo – troppo sbatti. Senza contare fosse il modo migliore per fuggire dalla polizia, e da Frankie («UN DETECTIVE DELLA OMICIDI!!! CHIAMAMI COL MIO NOME!!!» «... piedipiatti») nello specifico – non per qualcosa, ma provava un piacere quasi sadico nel vedere come ci provasse sempre ad inseguirlo.
    Qualche minuto dopo, finito il drink rosolatosi come una bistecca sulla brace, la verità lo colpì in piena faccia. Realizzò solo a quel punto, occhiali da sole sulla punta dal naso e labbra dischiuse dallo stupore, il senso di quel messaggio.
    «Oh porca puttana»
    Come aveva potuto dimenticarsene.
    Era vero che non gliene era mai fregato davvero più di tanto di quel giorno, se non per il fatto che era una festa: non aveva vissuto L'Evento, non faceva parte di quel mondo nonostante negli anni avesse scoperto che in un certo qual senso ci fosse legato. Ma comunque.
    Dopo essere capitombolato nella sabbia ed essersi preso in faccia l'asta dell'ombrellone – tutte le sue doti da criminale, tra cui in primis l'agilità e la destrezza, venivano meno quando la fretta si sostituiva alla velocità –, riuscì dolorante a comporre il numero di telefono di HellKitchen.
    «PRONTO??? ZIO COLE???»
    «Non c'è bisogno che urli.»
    Che dire, pensava di sì: Rich gli aveva detto che portasse già gli occhiali per giocare a Scarabeo.
    «AH SÌ SC– sì, scusa CAZZO.»
    «... Dex? Tutto bene?»
    «Sono caduto, tutto apposto.» ovviamente le infradito dovevano romperglisi proprio in quel momento. Atroce. Si meritavano solo di essere lanciate in acqua – ma non lo fece, perché ci teneva all'ambiente; preferì lanciarle addosso a una famigliola là vicino e casualmente beccò in testa un bambino. Che peccato.
    Ad ogni modo.
    «Seeeenti... Tante volte, no, per caso... Passi per Cuba? Così, chiedo...» non gli servì averlo davanti a sé, per vederlo chiudere gli occhi e sospirare greve contro la cornetta. Strinse il labbro inferiore tra i denti, le sopracciglia arcuate in attesa della risposta: si faceva attendere un sacco, il boomer.
    «Non posso,» Dexter chiuse gli occhi, preparando già una serie di insulti non sinceri da lanciargli dietro una volta conclusa la chiamata. «ma posso chiedere a Teddy di passarti a prendere con la metropolvere.»
    Lo amava.
    «GRAZIE ZIO TI VOGLIO BENE VI MANDO LA POSIZIONE SUL CELLULARE – sì dai, il telefono più piccolo che si connette ad internet, sapete come funziona CIAO GRAZIE ASPETTO QUI STO FACENDO TARDISSIMO»

    «No.» parve quasi categorico e deciso, Theodore Keen, ancor prima che Cole aprisse bocca. E continuò a non dire nulla davanti alle braccia incrociate dell'auror: lo conosceva così bene da sapere che se la sarebbe cantata e se la sarebbe suonata da solo.
    Di fatti: «Ho da fare, lo sai! Perché devo andarci io, scusa? Non può andarci, boh...» non aveva assolutamente idea di chi conoscesse il Chesterton; gesticolò vago con la mano, cercando di non far troppo trasparire il fatto che non avesse un nome da prendere come esempio. «qualcuno.» niente affatto vago, nailed it! «E poi, voglio dire, non può fare come le persone normali e prendere un autobus? La macchina! Si vanta tanto della sua macchina, perché non può prenderla?»
    «Da Cuba a Londra con l'autobus è un bel viaggio.»
    Ci fu qualche istante di silenzio a seguire le parole del Mitchell – momenti di intense occhiate tra lui ed il Keen, che ci mise più del necessario ad elaborare il concetto.
    «CUBA???»
    Inspirò.
    Espirò.
    Odiava tutti.
    «Ok.»

    Arrivare sul luogo della festa non fu una passeggiata.
    Non per Teddy, almeno: viveva benissimo la propria vita ordinaria – non semplice, mai semplice, ma abbastanza organizzata e sistematica. Amava il proprio lavoro, amava la propria e atipica famiglia, amava quei pochi hobby sui quali permetteva di scaricare lo stress settimanale (cosa poteva esserci di più rilassante di una domenica passata a pescare?) (una domenica passata a pescare con i figli, ma non poteva pretendere troppo); in gioventù era stato anche scalmanato quanto bastasse per dare un po' di brio alla routine, ma superata la soglia dei trent'anni cercava quanto più possibile di non uscire fuori dalle proprie abitudini. Bastava solo l'idea di dover partecipare a quel party per sentire la zona lombosacrale dolergli: non era un grande fan dei ritrovi annuali – o decennali, o secolari; era arrivato a fingere un infarto per saltare la rimpatriata degli ex Corvonero –, e solo il lavoro poteva spingerlo fino alla reggia quel tardo pomeriggio.
    Quindi, laddove Dexter aveva trovato quei minuti in compagnia del vicecapo dell'ufficio auror esilaranti, Ted li aveva trascorsi come una terribile tortura.
    Erano iniziati male quando aveva messo piede fuori dal camino di un chiosco magico sulla spiaggia, e si era ritrovato con le scarpe piene di sabbia: non poteva aspettarsi continuassero bene. Tipo quando senza preavviso aveva posato la mano sulla spalla del ragazzo, e questo lo aveva letteralmente congelato seduta stante; sotto gli strati di ghiaccio nel quale lo aveva rinchiuso, riusciva quasi a sentire le sue risate.
    «Dai, che ti aspettavi? Mi hai preso alle spalle, potevi essere chiunque! Mi sono difeso! E poi stavi bene, cioè, una bella statua, ti donava E DAI TI HO CHIESTO SCUSA NON PRENDERT–» spoiler: se l'era presa. E già stava parlando troppo per i suoi gusti; rendergli pan per focaccia per qualche istante e zittirlo trasfigurandolo a sua volta in una statua mentre si sistemava il completo decisamente non da spiaggia gli sembrava un ottimo compromesso. «–ELA ma che mi hai trasfigurato?»
    «Sì. Ora zitto e andiamo.»
    Andarono.
    Ma non poteva mica finire lì!
    No, sarebbe stato troppo bello. L'unica cosa positiva era che fossero entrambi diretti allo stesso posto; quindi, non avrebbe dovuto fare da taxi più del necessario.
    Dicevamo: «Ma... questo...»
    «Sì, opera mia! Che ne dici, è venuto bene? Tu eri meglio eh, avrei dovuto farti una foto, però dai...»
    Il biondo studiò la figura cristallizzata davanti allo stesso chiosco dal quale era uscito poco prima, e che inizialmente non aveva notato. «È vivo?»
    Dexter si strinse nelle spalle, le labbra incurvate verso il basso. «Boh.» che ne sapeva lui. «Cioè, intendevo: sicuramente non era quello che intendeva, ma davanti allo sguardo minaccioso del maggiore non poté che ritrattare.
    «E pensi di lasciarla così?» Theodore aveva pensato di suonare retorico, laddove la domanda avrebbe dovuto essere un caldo consiglio; il criocineta, d'altro canto, posò il gomito sulla spalla della ragazza, scrutandone il profilo con aria assorta. Arricciò il naso, poi gesticolò vago: «Sì, direi di sì.» senza rimorsi di coscienza, sorridendone felice. Sotto alla patina di spensieratezza della quale si vestiva il Chesterton, c'era una traccia – a volte vaga, a volte più marcata e prepotente – di sano sadismo. Aveva dovuto crearsela, quella sorta di giubbotto antiproiettile: aveva dovuto imparare a curarsi solo di sé, e scendere a patti con il fatto che qualche volta calcare la mano con le persone fosse cosa buona e giusta. E che soprattutto, dovesse fregarsene.
    Calò il silenzio, e quando se ne accorse aggiunse: «Senti, è meglio tu non sappia, ok? Tanto sei fuori dalla tua giurisdizione.»
    «Cosa.»
    «Cosa?»
    «Cosa?»
    Unexpected.
    «Sei stato tu?»
    Sospirò, ma prima di poter esporre la realtà dei fatti il nuovo arrivato tirò fuori una bacchetta. E una pistola. «Vedi?» diede un pugnetto sulla spalla dell'auror, indicando con un cenno del capo il tizio visibilmente alterato. «Meglio non sapere» e lo trascinò a terra prima che la pallottola potesse colpirlo. «Ma che CAZZO, DEXTER!» «Ehi, non usare queste parole» «Vaffanculo. CORRI.»


    Questa è la maxi–storia di come Theodore Keen, quasi letteralmente, lanciò un Dexter Chesterton ancora in canottiera larga, costume celeste e scalzo in mezzo alla folla della reggia, e senza dirgli nulla se ne andò a fare il proprio lavoro – sperando di non doverlo beccare più in giro.
    Illuso.
    Però, intanto, si diresse verso Moore. «Ehi! Tutto bene da queste parti?» questo è il momento di appurare un dato di fatto fondamentale: Teddy non era in grado di intrattenere conversazioni con le persone. Era socialmente imbarazzante, le chiacchiere non facevano per lui. Detto ciò: «Ake ve l’ha cucinata l’orata che ha pescato ieri? Spero di sì, è stata veramente un portento nel prenderla.» mimò il gesto, e la fatica nel combattere con il mulinello della canna. E rise, perché era nervoso. «Veramente… veramente brava. Mh… e quindi… cosa sta succedendo.» improvvisamente, s’incupì.
    Aveva… aveva appena sentito parlare qualcuno di… gente dell’altro universo?
    «Scusate, vado.»

    «EEEEEEEHI!» dopo aver recuperato più bicchierini colmi d’alcol di quanti ne avrebbe potuti portare, strinse un braccio attorno alle spalle di Kit. Lo lasciava un attimo da solo, e picchiava le persone. «LUPETTA – posso chiamarti Lupetta? Dai. Lui è Kit,» che maleducato, tirava fuori il dito medio senza nemmeno presentarsi alle persone. «e non si preoccupi, è il suo modo di dimostrare affetto. Adorabile, vero?» e gli stampò un bacio sulla guancia, ritraendosi prima che potesse morderlo. Dunque, porse un bicchierino a ciascuno dei presenti, accuratamente raffreddato dal proprio potere: che persona fantastica, il Chesterton. «Un brindisi ai nuovi amici?» dopo aver mandato giù il liquido, si rivolse al fratello – che significa non lo fossero? Erano chiaramente legati dal destino, che al Keaton piacesse o meno. «Ah, ti ho riportato un cocco.» perché un cocco?
    Perché no?
    «E me ne vado, è stato un piacere signora Allupata!» non era così? Assurdo, avrebbe detto proprio che fosse così che si chiamava.
    Comunque. Se ne andò, scontrandosi da un Ted che andava nella direzione opposta.

    «Sarebbe mio onore mostrarle la location, se me lo permette»
    «Posso partecipare al tour?» un sorriso smagliante si aprì sulle labbra del mago, mentre porgeva la mano alla donna. «Theodore Keen, è un piacere conoscerla. Lavoro per il ministero.» e non aggiunse altro, perché chissà che cazzo succedeva nell’altro universo: non sarebbe stato lui a fare danni.
    Anche se chiaramente erano già stati fatti.
    Senza distogliere lo sguardo dalla ragazza, a denti ancora stretti, biascicò poche parole che poté sentire solo Percy.
    «Cosa stracazzo è successo qui?»
    Giovani.

    «Sono in ritardo?» era in ritardo. «Ti sono mancato? Ah, che domande, certo che ti sono mancato.» poggiò la testa sulla spalla del Josten, tirando fuori la lingua e titillandogli l’orecchio. Prima o poi lo avrebbe abbrustolito, ma non era quello il giorno – anche se a Dex piaceva il rischio, e vedere Kenneth scaldarsi. «Aggiornami Kenny, cosa mi sono perso?»
    Forse chiamarlo così lo aveva già fatto scaldare. «Ma fa caldo o sono io?» stranamente, parlò con cognizione di causa e senza allusioni: stava veramente bollendo. Eppure, rispetto al resto dei partecipanti alla festa, era vestito pure leggero. Non abbastanza, perché togliersi la canotta gli diede già più sollievo. «Posso avere la menopausa?» chiedeva.
    All about the bounce in my step
    Watch it on the news
    Whatcha gonna do?

    way up way up we go
    been up and down that road
    afraid to loose it all somehow
    and you don't

    know what it means
    twat & king
    dexter & theodore
    24 & 35 - criminal & d.c. auror


    allora. it was strange.
    premetto che gran parte del post è inutile quindi arrivate pure alla fine perché #kitticaga

    detto ciò
    -- dex molesta (chiunque si trovi per strada, ma sarebbe stato troppo difficile farlo davvero quindi se volete essere molestati hit me up .) kit, lupe, e li fa bere, poi va da kenneth. ha bevuto il drink verde acqua ed ha le vampate.
    -- teddy va da meara, è disagiato, va da lupe e percy

    sì scusate interagiscono meno di quanto avrei pensato ma !!! FATEVI AVANTI !!! io non sono capace (a vivere)
     
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    Soledad non amava le feste. O meglio, credeva di non amarle, dal momento che, nella sua vita, non vi aveva mai partecipato. Non aveva mai avuto il tempo di farlo, presa com’era dallo studio e dall’attenzione a ogni minimo dettaglio. Una festa sarebbe stata uno spreco enorme di risorse, in primis, appunto, temporali, che invece meritavano di essere impiegate in qualcosa di più alto, di più nobile. Come studiare, elevarsi socialmente, dimostrare a tutti di essere a dir poco perfetta. Soprattutto a sua madre.
    Per preservarsi da queste rinunce, però, aveva dovuto attuare una potente strategia di autoconvincimento. In effetti, erano tanti gli aspetti, nella sua vita, in cui Sol aveva dovuto convincere sé stessa di star facendo la cosa giusta, di essere sul cammino corretto. Il primo era il divertimento: non esisteva altro divertimento, per lei, all’infuori dello studio e del lavoro. Questa convinzione era così antica e radicata da essere diventata uno degli elementi fondanti, e fondamentali, della sua persona. Non l’avrebbe mai e poi mai messa in dubbio, perché quella era lei. Eppure…
    Eppure quella sera, preparandosi per la festa, aveva provato qualcosa di inaspettato, che l’aveva irritata e quasi spaventata. Si era sentita emozionata, eccitata persino, all’idea di partecipare a un evento del genere. Aveva provato sensazioni adatte a una ragazzina alle sue esperienze nel mondo, non a una donna adulta, e colta, come lei. Solo per un attimo le era passato per la mente che, in fondo, lei era quella ragazzina, non avendo mai sperimentato sulla propria pelle la vita. Naturalmente, però, quel pensiero era subito stato spazzato via dalla sua efficienza, perché non era permesso. Avrebbe partecipato alla festa, sì, ma solo come studiosa e professoressa. Sarebbe stato un evento accademico, non sociale. Non era lì, in quella bellissima reggia settecentesca, per divertirsi. Era lì per imparare. Per lavorare.
    *
    Elegantissima nel lungo vestito nero, Soledad si era presa tutto il tempo necessario per esplorare la festa, scambiando qualche educato convenevole con i conoscenti che incrociava, tutti per lo più accademici come lei. Si era persino concessa un bicchiere un bicchiere di champagne, per quanto non vi avesse ancora neanche bagnato le labbra. Ora sapeva perché, preparandosi, si era sentita così: non era emozionata per l’idea, in sé, di partecipare a una festa, ma per quello che questa rappresentava. Era una celebrazione della vita e di tutto ciò che avevano potuto conquistare con la ricerca e le innovazioni, in un’era di pace e prosperità. E poi c’erano loro, i salvatori di un’altra dimensione. Gli “eroi del sottosopra”, come aveva spiegato Percival Buckingham Meadows Volkswagen, prima di far prorompere la sala in un applauso, al quale si era unita educatamente, con fare posato.
    Aveva appena ripreso ad aggirarsi per la sala principale quando una voce familiare, troppo familiare, le arrivò all’orecchio. «guadalupe garcia ramos, professoressa di erbologia ad hogwarts.» Il cuore le balzò in gola, togliendole il respiro. Nulla di quello che aveva appena sentito aveva senso, eppure era al contempo chiarissimo. Se non fosse stata così abituata, così brava a controllare sin nel più piccolo particolare ogni aspetto della sua vita, Soledad Ramos Diaz avrebbe rischiato di mettersi a piangere. Invece, a guardarla, appariva imperturbabile, come se nulla potesse scalfirla.
    Lei compresa. Con il cuore che continuava a martellarle troppo veloce nel petto, osservò la scena a qualche metro di distanza, così da poterla studiare, prima di agire. La vide interrompere una rissa, o meglio, una dimostrazione di automasochismo, in qualche modo, dal momento che un ragazzo stava picchiando letteralmente sé stesso, quindi venire invitata a fare un giro dal BMW, interrotto da uno strano tizio che sembrava essere appena arrivato da una spiaggia. Forse era anche lui un viaggiatore multidimensionale, ma aveva i suoi dubbi.
    Solo quando le acque si furono calmate, ma non il suo cuore, si fece coraggio e si avvicinò. «Ciao, Percy», salutò il giovane con un accenno di sorriso. «Buonasera a tutti.» Mosse appena il bicchiere in direzione dei presenti del suo mondo, quindi rivolse la sua attenzione al resto del gruppo, la parte più importante e che più le interessava. «E buonasera a voi, eroi del sottosopra», aggiunse rivolta al ragazzo che era stato appena picchiato e… a lei. Quando incrociò il suo sguardo, si sentì sprofondare: era esattamente come nei suoi ricordi di bambina. «Ciao, mamma.»


    Florence amava le feste. Anzi, le adorava. Proprio non riusciva a capire come ci fossero persone in grado di non solo schifarle, ma proprio odiarle. Tipo suo zio Hugo o suo cugino Bertie. Cioè, comprendeva che per alcuni occasioni del genere richiedessero un grande sforzo sociale, ma… erano così divertenti! Cibo, alcol, musica, l’occasione di mettersi in tiro e… persone! Florrie adorava le persone, di qualsiasi tipo o taglia o universo fossero.
    Quella serata aveva quindi tutte le carte in regola per essere perfetta, se non fosse stato per un particolare. Da settimane (due, per la precisione; due settimane e quattro giorni, per essere ancora più pedanti) c’era sempre un pensiero che le faceva torcere lo stomaco e il cuore, nonché tirare fuori il telefono per controllare se ci fossero novità. Novità che, naturalmente, non si presentavano mai. Più e più volte era stata tentata di scriverle, di chiamarla, o addirittura di andare sotto casa sua per farle un agguato. Tuttavia, l’orgoglio Cox mescolato a quello Hill era un mix esplosivo, in lei: non avrebbe mai fatto il primo passo. Non lo faceva neanche quando era palesemente nel torto, figuriamoci quindi ora, quando era del tutto dalla parte della ragione!
    Il silenzio, però, la faceva soffrire. E, ancora di più, soffriva per l’assenza di lei. Non era solo una questione di vedersi, di passare del tempo insieme; anche solo sapere che lei esisteva, che era da qualche parte e che magari la stava pensando, la faceva sentire bene. Non era certo la loro prima discussione, quella, anzi, avevano litigato in così tante occasioni diversi che ormai aveva perso il conto, ma stavolta era diverso. Si erano dette, anzi, le aveva detto cose pesanti, cose che l’avevano ferita. Florence sapeva che le voleva comunque bene, ma era troppo orgogliosa per farsi scivolare addosso qualcosa del genere.
    Anche se abitava da sola da un pezzo, nel vecchio appartamento di sua madre e di Milly, era andata a prepararsi a quella che, in fondo, non avrebbe mai smesso di ritenere casa al cento per cento. Dove, naturalmente, aveva trovato gli Hill-Cox al gran completo. «Io vado allora, bestie. Ci si vede lì, se venite!», salutò i suoi fratelli, ricevendo ovviamente una eyerollata da Nice e un sorriso entusiasta da Paris, per poi saltellare da suo padre fino ad arrivare a dargli un bacio sulla guancia. Le mancava da morire, ma era decisa a godersi quella serata fino in fondo.
    *
    «Ancora non riesco a capire come sia possibile che tutto questo non crei un enorme paradosso spazio-temporale. Insomma, hai mai letto Asimov? E in generale tutti i padri della fantascienza? Queste cose fanno letteralmente implodere il mondo», spiegò concitata, gesticolando per enfatizzare il concetto con il suo solito fare caciarone. Probabilmente il suo interlocutore avrebbe dato qualsiasi cosa per fuggire da lì, ma non era facile sottrarsi a Florence Hill-Cox. «Detto questo, ovviamente è una figata. Spero che sia venuta anche la me dell’universo parallelo! … Sempre che esista, certo.» Finalmente rimase in silenzio, almeno per un attimo, perché troppo intenta a divorare una pizzetta.
    Stava per riprendere a parlare, ma le fu impossibile non notare quella massa di capelli rosa in avvicinamento. Avrebbe voluto imporsi e fingere di non vederla, aspettare che fosse lei ad avvicinarsi e, magari, fare pure di tutto per ignorarla, visto che, sì, era offesa, nonché arrabbiata con lei. Ma l’amore che provava nei suoi confronti era persino più forte dell’orgoglio che voleva impedirle di muoversi, di agire, di riaccoglierla.
    «Scusami un attimo», si affrettò a dire alla persona con cui starla parlando, mollandogli anche in mano il suo piattino. Quindi si allontanò a grandi falcate, o almeno, grandi quanto le permettevano le sue un po’ troppo corte, almeno per i suoi gusti. «DEMETRA», la chiamò a gran voce, incurante delle teste che, stizzite e sconvolte, si girano nella sua direzione. «VIENI SUBITO QUI.» Non era una domanda, ma un comando.
    E, non resistendo ulteriormente, colmò la distanza tra lei e la pirocineta, raggiungendola per prima. La fissò per parecchi istanti con rabbia, come se l’altra avesse acceso delle fiamme nei suoi occhi, ma poi non riuscì più a resistere e la strinse a sé. Aggressiva e protettiva. Arrabbiata e amorevole. «Parliamo.»
    Love can build a bridge
    Between your heart and mine.
    Love can build a bridge:
    Don’t you think it’s time?

    Mother, you had me
    but I never had you

    So this is me
    swallowin’ my pride
    florence camille hill-cox
    soledad & florence
    26 & 33 - professor & auror



    Soledad:
    parla con Percy, Kit, Teddy, Mac e LUPE.

    Florence:
    parla con qualcuno ??? (VUOI ESSERE TU???), poi gli molla il piatto e corre a urlare e abbracciare Demi.
     
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    Amos Ryder Hamilton era back in town.
    Dopo tre lunghi anni passati in giro per il mondo era finalmente tornato a Londra per restare. Era un lungo periodo da trascorrere da soli dispersi per stati mai visti, ma era servito a farlo crescere come persona e a portare la sua musica a nuovi livelli. Per quanto si fosse mantenuto in contatto con la sua famiglia e amici, e avesse cercato di tornare a casa per Natale, era innegabile il fatto che si fosse perso tre anni di vita dei suoi più cari amici. Bambini che a malapena sapevano parlare quando li aveva lasciati e che ora scorrazzavano per casa, una Rea con qualche ruga in più (anche se non glielo avrebbe mai detto) e Gemes e Run che tra poco non si sposavano davvero. Per quanto l’Hamilton fosse contento di essere tornato, non riusciva a scrollarsi di dosso la malinconia che ormai vestiva come una seconda pelle quando camminava per i corridoi di casa sua. Di certo, il fatto che ora avesse un figlio aveva aiutato a distrarlo dalla maggior parte dei pensieri spiacevoli che cercavano di intrufolarsi nella sua mente.
    E voi vi chiederete: ma brodidaddy come fai ad avere un figlio? Anche lui se lo chiede ogni giorno quando si appresta a coricarsi e quando si alza per fare colazione. Era stato incastrato un’altra volta.
    I suoi viaggi lo avevano portato in tutti gli angoli del pianeta, uno dei più recenti in India a Mumbai. Era una città nuova per lo special, e con il senno di poi avrebbe dovuto tenersi alla larga da determinati quartieri. Eppure, il suo spirito di autoconservazione non esistente lo aveva spinto a visitare un quartiere che in molti del posto gli avevano consigliato for a good time. Solo quando si era addentrato in quel particolare quartiere aveva realizzato che si trattava del classico quartiere a luci rosse, e che non era altrettanto turistico come quello di Amsterdam o Parigi. Amos stava per girare i tacchi e sfilarsi da una situazione che sarebbe potuta solo peggiorare quando una donna lo approcciò. O meglio, gli andò a sbattere addosso e nel mentre ne approfittò per mollargli un bambino tra le braccia con la scusa che fosse suo figlio. Poi si mise a correre, e l’Hamilton non la vide mai più.
    Questa è la storia di come Bollywood è venuta alla luce, la figlia dello Spirito Santo e un brodino sempre più gay.
    Amos sapeva di non poter più continuare il suo vagabondaggio con una neonata in custodia, né se la sentiva di abbandonarla nel primo orfanotrofio. Sapeva cosa volesse essere abbandonati, e poi ormai aveva una vasta esperienza nel gestire i bambini, cosa sarebbe stato uno in più? Tutto era possibile quando si usavano i soldi di Rea Hamilton per campare (e i suoi, quando veniva pagato per i featurings). Aveva quindi deciso di tornare a casa a Londra dopo un lungo periodo di assenza, non aveva svelato gli ultimi sviluppi a nessuno né quando sarebbe arrivato: aveva troppa paura di ricevere botte come festa di benvenuto.

    Iniziamo con il dire le cose importanti: cazzo ridi, Freddie.
    Ryder Hamilton, al contrario dei suoi (ex) coetanei, non aveva partecipato a una missione che l’avrebbe sbalzato in una linea temporale diversa per poi sputarlo fuori quindici anni dopo. Quindi sì, mentre loro bevevano la piña colada sulle spiagge di Brighton, l’Hamilton aveva iniziato la sua trasformazione da brodino a brodaddy fino a diventare un uomo sulla cinquantina. E non c’era niente da ridere, rinfacciandogli le sue battute sui cantieri.
    Si era costruito una vita durante quei lunghi anni passati da solo, imparando come superare un lutto che sembrava intestardito ad avvinghiarsi a lui per sempre e coronando il suo sogno di diventare un trapper di fama mondiale. Era stato facile con il suo talento, e con il fatto che non venisse accusato un giorno sì e l’altro pure di sexual assault e di rapina a mano armata, al contrario di molti altri artisti. Ora aveva persino una casa discografica di modesto successo, e stava guardando a una collaborazione con l’artista coreano Psy per il suo attesissimo comeback.
    «Oi pa» ah sì, c’era anche quello. Il suo primo e unico figlio, la luce dei suoi occhi e l’erede della sua fortuna: Pitbull Romeo Hamilton. La storia della sua concezione era particolare, o almeno era ciò che diceva alle persone, perché non si ricordava davvero le circostanze di quella notte. Ryder Hamilton non aveva preso bene la dipartita dei suoi amici e di sua sorella, e aveva avuto un periodo dove capiva ancora meno del solito e si era fatto trascinare a letto da una fan. Forse era un po’ psycho, perché dopo nove mesi gli aveva mollato un bambino dal nulla dichiarandolo suo figlio. Non l’aveva mai più vista, ma era meglio così per la sua salute mentale e il suo portafoglio. «che c’è, criminale?» era un po’ criminale, tbh. Era indubbiamente colpa dell’ambiente in cui l’aveva cresciuto, ma stava cercando di rimediare prendendogli un amico sano! Forse. A che cosa servivano i soldi se non ad offrirgli a uno sugar baby che facesse da bff a suo figlio e compagnia a Ryder? «quando torniamo a casa? non ho sbatti» Ryder sospirò già esausto, massaggiandosi le tempie per combattere il mal di testa che lo stava uccidendo dentro. Erano arrivati lì da cinque minuti, voleva mica che tornassero indietro così presto? «Ricordi cosa ti ho detto? Se bevi ti diverti di più» con moderazione, ovviamente. Ryder sì che era il padre dell’anno. «E poi sto aspettando dei vecchi amici.» Vi aspetta, merdine.

    Sapete come Amos era arrivato alla festa? No? Nemmeno lui.
    Era arrivato da poche ore a Londra e aveva a malapena avuto il tempo di depositare i suoi effetti personali in un albergo prima di dover uscire a comprare qualcosa da mangiare per lui e Bollywood. Non aveva ancora racimolato il coraggio per affrontare le persone che aveva abbandonato, quindi per il momento aveva deciso di rifugiarsi in un hotel. Giusto per una manciata di giorni per raccogliere i pensieri e riadattarsi al Mondo ™ - e perché, ripeto, non era pronto psicologicamente. Invece, mentre stava scendendo al minimarket, qualcuno che riconosceva vagamente ma non era certo di come si chiamasse l’aveva preso per il braccio e l’aveva convinto a partecipare a una festa. Non era colpa sua, se lo sconosciuto aveva una parlantina invidiabile.
    Quindi.
    Ecco.
    Si era trovato a una festa con sua figlia, spaesato e circondato da volti che conosceva ma leggermente invecchiati dal tempo. Era stato via tre anni o venti? Sentiva di essersi perso qualcosa nel discorso del suo accompagnatore.
    «ma quindi…cosa devo fare?» Amos chiese alla bambina strapped al suo petto, la quale gli risolse uno sguardo confuso che rifletteva il suo. «hai fame? papà ti ha portato il latte» almeno quello ce l’aveva sempre dietro. Ma poi cosa mangiano i bambini. Vabbè, Amos era troppo occupato a fare il neo papà per preoccuparsi di essersi cacciato nella merda. Tanto non l’avrebbe riconosciuto nessuno, no? C’era davvero troppa gente per notare uno come lui.
    amos: when you're downie eat a brownie
    ryder: You don't need Givenchy, you need Jesus
    Ti passo a prendere in BMW
    anche in mezzo a mille tempeste
    Io sono lo stesso di sempre
    con le stesse pare di sempre
    Baby, ritorna da me
    E metti via quella pistola
    Baby, ma dai, cosa c'è?
    Quell'altra non mi è mai piaciuta
    ryder hamilton
    51 - sugar daddy
    amos hamilton
    26 - special


    - Ryder non fa niente ma potete molestarlo!!
    - Amos non capisce ma vi fa la sorpresa con sua figlia
     
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