Votes given by dead girl walking

  1. .
    mckenzie hale
    I play dead So that the monsters in my head
    Think that they’ve done their best
    And they can take a rest
    I think that I just might have played this part too well
    Uno dei problemi di esistere come un Mckenzie Hale, era non esserlo tutto il tempo; non sapere come farlo, o non poterlo fare a basta. Altalenante nella sua stessa pelle come il pendolo di Schopenhauer, persistente nell’oscillare fra dolore e noia – o indolenza, nel suo caso. Passava metà del proprio tempo a farsi scivolare le cose addosso perché incapace di afferrarle, e l’altra metà a piangerne le conseguenze in singhiozzi asciutti e notti insonni. Si domandava perché, e si rifiutava di trovare una risposta attiva: accettava che fosse così e basta, e non ci fosse un altro modo per vivere. Che sarebbe passato, con il tempo. Che avrebbe trovato la propria stasi di quiete dove riattaccare tutti i pezzi nel modo giusto, ed allora avrebbe compreso come aprire il palmo e stringere, nella pioggia, tenendo solo le gocce che contavano, anziché farsi inzuppare e non sprecarsi ad aprire l’ombrello.
    Non voleva che lo vedessero così.
    Così come?
    Disperatamente, tragicamente, ed interamente se stesso. Non c’era nulla di quel crollo che non fosse Mac: lo era piangere; lo era scusarsi; lo era supplicare che lo tenessero con loro; lo era non saper esprimere cosa, cosa, facesse così male; lo era non trovare un senso. E chi, chi, con un minimo di raziocinio ed amor proprio, avrebbe mai voluto quello nella propria vita? Perchè poteva essere altro, per un po’. Poteva essere il ragazzo con la mazza che si addentrava in una missione in Siberia senza sapere un cazzo di strategie militari, ma comunque ; poteva essere quello che lanciava oggetti a dei maledetti zombie. sfondandogli il cranio; poteva essere quello che si univa ad una guerra perché qualcuno doveva pur farlo, ma non poteva durare. Come poteva, durare. Ed allora tornava ad essere la bozza di un essere umano che nessuno si era mai preso la briga di concludere. Dimenticato in un quaderno; rivisto anni dopo, la promessa che quella matita sarebbe diventata pennarello, e nuovamente scordato. Non voleva lo vedessero così perché era come svelare il trucco di un gioco di magia, e nel momento in cui si fossero rese conto di quanto banale fosse, avrebbe perso tutto lo stupore iniziale. «Certo che puoi restare, tesoro. Piangi quanto ti va» Ma il punto era quello, no? A Mckenzie non andava di piangere. Non capiva neanche perchè. Voleva credere fosse semplice chimica, che lo scemare dell’adrenalina avesse causato un crollo di tutti i sistemi. Era terribile nascere come creature logiche e razionali, ed essere schiavi dell’intangibile: se avesse potuto afferrarlo, si convinceva, avrebbe potuto fare qualcosa. Drizzare le linee storte, unire i puntini, dipingerci un cazzo di Van Gogh per cancellare la macchia d’inchiostro, non sapeva che cosa. Qualcosa. Ricambiò la stretta di Heather Morrison perché sapeva già di addio, di una di quelle porte spalancate per caso e destinate a rimanere serrate per sempre. In quel momento era sincera, lo sapeva, e non c’era nulla nel bacio soffiato sulla guancia a suggerire che non lo sopportasse, ma Mac avrebbe ripensato a quel momento e sarebbe riuscito comunque a renderlo diverso, leggerci tutto un altro vocabolario. La sua specialità. Così fragile, che perfino nell’istante in svolgimento riusciva a riconoscere che fosse una prima ed ultima volta. Perchè non avrebbe dovuto esserlo? La vita era già complicata senza le complicanze altrui, e l’Hale sapeva di essere esattamente quello: un problema. Una variabile. Un peso ad impedire alla barca di galleggiare come avrebbe potuto, ancorandola a terra.
    Mac tendeva ad isolarsi perché sapeva di infliggersi agli altri come una malattia, e che non sempre, alla presenza di sintomi, fosse in grado di allontanarsi. Era di carne e sangue, alla fine. Di battiti, anche se a saltelli. Non sapeva vivere da solo.
    Magari era giunto il momento di imparare a farlo.
    «se vuoi, continuiamo a parlare di altro per distrarti. Ma se preferisci sfogarti, ricorda che abbiamo sopportato il generale Mort per settimane, e non potresti mai essere peggio di lui» Tenne gli occhi chiusi, perché avrebbe davvero preferito non viversi in quel momento, ma un angolo delle labbra si sollevò comunque verso l’alto. Valutò di socchiudere le palpebre solo per poter guardare il viso della Morrison mentre faceva battute su Mort Rainey, in una squallida tavola calda, per alleggerire Mckenzie Hale: immaginava dovesse essere una visione straordinaria. Heather non era decisamente come aveva creduto fosse; come Heather, aveva voluto credesse fosse. Deglutì, e nel nodo alla gola sentì qualcosa di diverso dalla solita stretta. Un solletico a suggerire affetto, e adorazione, ed un po’ di più, al limite con la venerazione religiosa. Quel tipo di amore puro e ingiustificato che i cristiani giuravano a Dio, e di cui l’Hale aveva spostato chiesa a quel fast food cambiando croce e altare. «con tutto rispetto per il futuro miniftro, mort 2k24» Cedette ad una risata umida e rauca. Cedette perfino all’aprire gli occhi, posati con reverenza sul sorriso della bionda. «mort...rainey» mormorò piano, decidendo di non elaborare: si commentava già da sé, con solo il proprio nome. Non ne sarebbe uscito nulla di lusinghiero nei confronti del Serpeverde, come suggerì lo sbuffò a fior di labbra dell’Hale, ma comunque tinto di qualcosa di incredibilmente vicino all’affetto. In parte ammirazione, perché ci voleva davvero… molto per essere Mort Rainey, ed esserlo sempre. Quasi invidiabile. Stupido e senza senso in qualunque contesto, perfino in guerra, e solo Dio – e tutti gli infermieri del San Mungo – poteva immaginare con quale monologo avesse deciso di sancire la fine della guerra.
    Gli mancava quasi.
    Un pensiero che bastò molto in fretta a fargli sparire il sorriso, sostituendolo con sopracciglia corrugate ed un rapido sfarfallare di ciglia. A suo favore, era davvero molto stanco.
    Prese marginalmente nota del fatto che Corvina si fosse alzata, ma non lo sfiorò neanche per un istante che la ragazza l’avesse fatto per andarsene. Sapeva non fosse quel tipo di persona: se avesse scelto Mac fosse troppo patetico, gliel’avrebbe detto e basta - magari l’avrebbe anche colpito, più o meno forte. Fu però sorpreso quando fece il giro del tavolo e si posizionò alle proprie spalle, le braccia su di lui e la guancia contro la sua testa.
    Oh. Ogni muscolo fino a quel momento si sciolse, facendolo affondare sul divanetto e maggiormente nella stretta dell’altra. Quando chiuse gli occhi fu per sentire tutto, piuttosto che non togliersi dall’equazione. Sapeva di addio anche quello, e Mac lo sapeva, ma scelse comunque di prendersi tutto, almeno per quel momento. Strinse di più la mano di Heather sollevandola per portarla sul proprio cuore, e chinò il capo non per nascondersi, ma per posare un bacio sul dorso di Corvina. Non gli capitava spesso di sentirsi… accettato.
    Forse perché non aveva mai permesso a nessuno di farlo.
    Quasi, nessuno.
    « Mah, figurati se ti cacciamo, ti abbiamo già adottato... tira fuori tutto, Musetto... »
    Oddio. Strizzò le palpebre, ma non bastò ad impedire la nuova ondata di lacrime. Più lente, però; più dolci, più un arrivederci. Un andrà meglio. Il pendolo a scendere per cambiare zona, ed esitare al centro dove tutto andava bene.
    Nulla andava bene.
    Ma andava bene comunque, perché il contrario non era contemplabile.
    «grazie» un bisbiglio, ma il più onesto che possedesse. Nudo, strappato da tutto, gonfio della venerazione che provava nei confronti delle donne al suo fianco. «scusate» d’obbligo, ma a cui aggiunse il fantasma di una risata. «mi dispiace» arricciò il naso, perché il dispiacere per aver chiesto scusa era un circolo che non sapeva come fermare. Si schiarì la voce, un paio di volte.
    Poteva sfogarsi.
    Non voleva, però. Non era sano, e non gli avrebbe fatto bene, ma non voleva. Non in quel momento. Soffiò piano, però, che «ho sentito che al san mungo ci sono psicomaghi molto bravi» sillabato lettera per lettera, a concludere ufficialmente la discussione. Una promessa, a se stesso più che a loro, che avrebbe cercato aiuto in qualcosa che non fossero l’alcool o le droghe. Magari non il giorno dopo o quello successivo, ma… l’avrebbe fatto. Doveva solo uscire dalla mentalità con cui era nato e cresciuto.
    Un gioco da ragazzi.
    «dovremmo comprare delle caramelle alla cassa. Per adrian» un sorriso sulle labbra dell’Hale – sincero, anche se frammentato. «alla menta piperita, ovvio» abbassò il timbro di voce mimando quello dell’uomo, un sopracciglio a scattare verso l’alto ed un’occhiata divertita, ma titubante, alle ragazze.
    Ci stava provando.
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    2003
    (1903)
    ((2043))
  2. .
    CORVINA VAN VEEN HEKATE
    i don't need no fake love
    no, I don't need no favor
    i know my time will come
    just me and my maker
    Ormai lo avrete capito, ma Corvina non era proprio un asso di empatia. Non dico livello i am an empath meme ma davvero pericolosamente vicino. E per quanto fosse mentalmente pronta alle reazioni del suo prossimo dopo venticinque anni di vita vissuta a contatto della gente più disparata, reagire correttamente era proprio un altro paio di maniche.

    Quando Mackenzie scoppiò a piangere, fu come veder scoppiare improvvisamente una grossa bolla attorno alla propria testa, per Corvina.
    Più di una volta nel ritrovarsi separati si era trovata a chiedersi come se la stesse cavando lui, in quella guerra. Così evidentemente sensibile e fragile, almeno per gli standard personali di una persona come la Veen che si lasciava scuotere solo dalle forti emozioni, impermeabile alle cose piccole, insignificanti e meravigliose che invece toccavano le corde dell'animo di persone come Mac e che rendevano anche la vita più banale degna di essere vissuta.
    Veena non era mai stata tagliata per la vita nella sua accezione più consueta. Nata nel privilegio, cresciuta nel freddo abbraccio dell'indifferenza da persone incapaci di amare altro al di fuori di sé stesse, non riusciva a sentirsi completa né nel quadro di superficialità e tradizionalismo per cui era stata destinata, né riusciva a proiettarsi in un futuro dalle docili tinte pastello, di quelli che ti facevano ambire alla felicità compelta e poi ti lasciavano ad accontentarti di quello che riuscivi a tenerti stretto.
    Mackenzie, invece, lo aveva sempre immaginato molto facilmente a desiderare di ricadere nel secondo scenario.
    Certo, non lo conosceva abbastanza.
    Aveva fra l'altro un grado di umiltà sufficiente ad ammettere che la sua fosse una mera ipotesi.
    Nella sostanza, comunque, tutto immaginava meno che potesse uscire illeso, fisicamente o mentalmente che fosse, da un certo tipo di circostanze... ed in effetti stava cadendo a pezzi davanti a loro all'improvviso tutto assieme, rompendo quell'illusionedi quiete dopo la tempesta che si erano sforzati di creare assecondando la fantasia dello stop al fast food immediatamente dopo la fine di tutto.

    Non vi era disappunto nella sua espressione quando Heather sollevò lo sguardo verso di lei.
    Guardava Mac invece, sguardo un po' stretto, a riflettere un momento su come comportarsi. Lasciò che la bionda parlasse innanzitutto, sorridendo alla battuta finale ma tenendosi accuratamente fuori da quella parentesi dedicata solo a Mackenzie. Solo quando l'altra ebbe finito di parlare, si alzò dalla sua seduta per portarsi alle spalle del ragazzo più giovane e poggiargli leggera gli avambracci sulle spalle e una guancia sulla testa, intrappolandolo delicatamente in quella sorta di abbraccio un po' asciutto ma per niente scevro di affetto fisico.
    « Mah, figurati se ti cacciamo, ti abbiamo già adottato... tira fuori tutto, Musetto... » un luogo comune come un altro che si poteva carpire ovunque: non imbottigliare le emozioni, tira fuori tutto e la vita andrà magicamente per il verso giusto. Non che potesse dire di crederci o meno, lei, che di quel tipo di spettro emotivo non capiva assolutamente nulla, e infatti eccola lì ad offrire quel pezzo di saggezza popolare spicciola come contorno a quell'abbraccio, che a conti fatti le sembrava un'idea più efficace di tante parole.
    Perché volesse consolare Mac?
    Forse perché, a scanso di equivoci sul fatto che il non provare un senso di appartenenza a qualcosa non l'avesse mai turbata, essere parte di quel gruppo, anche se solo per un po', le stava facendo persino piacere.
    E per quanto non avesse la minima idea di ciò che stava facendo, se fosse effettivamente utile o meno, sensibile come un muro di mattoni, cercare di fingere di capire come ci si dovesse comportare in una situazione del genere, con persone da considerare amiche, le sembrava l'idea giusta.
    gif code
    1998
    SCOTTISH
    PRO
  3. .
    javier iglesias mendoza
    If only I could sustain my anger
    Feel it grow stronger and stronger
    It sharpens to a point and sheds my skin
    Shakes off the weight of my sins And takes me to heaven
    doveva davvero smetterla di convincersi che l’universo gli avesse dato abbastanza cazzotti in faccia. tanto poi la sua teoria veniva smentita prima ancora che potesse terminare quel pensiero. ogni fottuta volta. uguale, un serpente che si mordeva la coda.
    sì, javier non era tipo da accettare le cose a muso basso, ma era altrettanto vero che in quell’evento specifico avrebbe preferito essere avviluppato da quell’abisso in definitiva. non che riaprire gli occhi lo avesse poi sorpreso più di tanto; morire di quella morte breve e indolore sarebbe stata una concessione eccessivamente gentile, visti i precedenti. suoi, in qualità di sfigato cronico. punching bag ufficiale come tagline di rito.
    non era riuscito a tornare a casa. armato delle migliori intenzioni, ma bloccato dalla forza fisica e mentale che gli permettesse di fare quel passo in avanti. era ormai stato privato degli strumenti necessari per guardare in faccia tutte quelle persone senza piegarsi al loro cospetto — non riuscire più ad alzarsi. con la vaga coscienza di non essere più pienamente se stesso? eh, difficile. cristo iddio.
    impossibile.
    e dire che ci aveva costruito un’intera carriera, sull’autocontrollo. tassello dopo tassello, sopprimendo in scelte calcolate tutta la furia che era tornata a distanza di anni a pesargli sullo stomaco. malcelata, orribile, incontenibile. ne aveva pagato le conseguenze. quelle facce svuotate governavano il suo inconscio; manifestandosi in incubi, nelle poche ore di sonno che riusciva a concedersi, e in squarci — quando la sua mente esausta gli giocava brutti scherzi, offrendogli immagini lucide che lo obbligavano a premere le dita contro il torace e insegnarsi un’altra volta a respirare.
    un bel casino. da aggiungere a una lista già singolare di bei casini che non sembrava intenzionata a diminuire, solo a crescere drammaticamente. si era fatto trascinare avanti da quelle nozioni imparate a nausea – freddo nel frazionare in priorità, realista nel voler partire dal basso. che troppo basso, poi, non si era manco rivelato.
    prendere il telefono in mano gli era costato un’ora della sua giornata. gli era bastato premere sul tasto dell’accensione, il respiro trattenuto, e guardare tutte le chiamate perse per cambiare idea e abbandonarlo sul lenzuolo ancora intoccato. non sapeva proprio dove sbattere la sua testa del cazzo; non quando ovunque guardasse c’erano spigoli, uno più affilato dell’altro. altre due ore per inviare un rapido messaggio a mira e julie, breve e conciso per necessità personale. solo sono vivo, tornerò – perché al resto non voleva e non poteva pensarci. si era persino dato una mentale pacca sulla spalla per aver agito prontamente e previsto l’inevitabile con un check in al primo hotel disponibile. entrare in quell’appartamento normalmente vuoto e ritrovarsi un comitato di benvenuto non avrebbe fatto che peggiorare le cose, d’altronde; ci era già passato una volta, e non era intenzionato a ripetere l’errore.
    come poi fosse giunto a scrivere a moka era un po’ un mistero.
    insensato, indubbiamente. aveva fatto scorrere il pollice tra i nomi, il pallino blu accanto a ciascun messaggio non letto a deriderlo; e ci era quasi scivolato, su quella conversazione vuota. premendo un po’ troppo il dito contro il touch screen, forse. o cercando volutamente il silenzio dell’unica persona che non si era chiesta dove fosse finito – le solite brutte abitudini a tornare a galla nei momenti meno opportuni. ed era rimasto a fissare l’anteprima della chat per qualche secondo di troppo, leggendo e rileggendo il singolo messaggio che lui stesso aveva lasciato in tempi meno sospetti. preferisco le chiamate, tranne quando le ignorava come un deficiente. ma vaffanculo, javier.
    al masochismo, tanto, non c’era mai fine. rapido nel digitare la semplice richiesta di vedersi, perché a ragionarci sopra non avrebbe più concluso niente. ritirarsi, ormai, era diventato il suo modus operandi preferito.
    il dubbio di aver fatto il passo più lungo della gamba gli era venuto solo dopo, col casco in mano e la moto a ringhiare nel parcheggio. aveva continuato a pensarci per tutto il tragitto; superando l’ingresso, e continuando anche quando ormai era faccia a faccia col legno che lo separava dal suo appartamento. ma che cazzo ci faceva lì. ma cosa cazzo stava facendo.
    non si diede il tempo per considerare la fuga tattica che spingeva contro la sua gola: premendo le nocche contro la porta e spingendo la spalla sul telaio, lo sguardo basso mentre si ripeteva, a mantra, di renderla una visita rapida. il giusto necessario per chiedergli se stesse bene, frasi di circostanza con educato distacco prima di passare alle questioni pressanti – la resistenza, la guerra, il nuovo mondo. problemi di gran lunga più importanti di quelli che comunque gli balzarono alla mente non appena alzò gli occhi su di lui.
    «hey.»
    spinse la lingua contro il palato, e cercò parole che si rifiutarono di venirgli incontro.
    eh.
    [bestemmia].
    [bestemmia].
    [bestemmia].
    [bestemmia].
    «scusa» stese le labbra in un sorriso appena accennato, e piegò il capo. «mi sembrava più semplice così.»
    di persona, s’intende. heavy on sembrava, perché poi, concretamente, non lo era affatto. nascose la mano inoccupata dal laccio del casco nella tasca dei pantaloni – spingendo via l’istinto che gli faceva solleticare i polpastrelli, e dandosi forzatamente una regolata.
    non era proprio il caso.
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    1986
    rebel
    shadow


    Edited by western nights - 2/6/2023, 22:10
  4. .
    Veronica Mars
    Hello, daddy, hello, mom
    I'm your ch-ch-ch-cherry bomb
    Hello world I'm your wild girl
    I'm your ch-ch-ch-cherry bomb
    Erano passati alcuni giorni da quello che era accaduto.
    Dalla sconfitta.
    Esattamente Veronica, cosa pensavi di fare? Di cambiare il mondo? Di renderlo megliore e di proteggerlo?
    In una frazione di secondo tutto era cambiato, tutto era vorticato e lei aveva sentito il gelo serpeggiarle lungo la schiena, a intossicarla. Lo aveva visto, per un attimo, ma era così ferita e confusa che non poteva essere certa se quello che aveva visto fosse vero oppure no.
    Quello di cui era certa era che Veronica non era più una strega. Ora controllava gli agenti atmosferici.
    Era diventata come loro, gli special, quelli che i ribelli più estremisti avevano creato per contrastare il regime ed in parte si sentiva così: un ratto da laboratorio. Si sentiva anche sconfitta Veronica Mars, lei quella piccola investigatrice che sognava di diventare Sherlock Holmes ora era reduce da una delle più grandi sconfitte che erano state inferte ai Ribelli. Si sentiva piccola Veronica, si sentiva inutile perché neanche con il suo aiuto erano riusciti a vincere.
    Come se avesse potuto fare davvero la differenza.
    Ed eccola lì, recuperata svenuta dal campo di battaglia e rotta.
    Rotta nel corpo, nello spirito, nell'anima. Si sentiva a pezzi.
    Non aveva notizie di suo padre, non sapeva neanche se fosse ancora vivo e la preoccupazione che qualcuno gli avesse fatto del male cresceva minuto dopo minuto nonostante le fosse stato caldamente consigliato di stare tranquilla.
    Come se potesse riuscirci in una situazione del genere.
    Era anche preoccupata per i suoi compagni, quelli che l'avevano affiancata in quella delicata operazione finita male: Sinclair, Javier, May, Azrael, Archibald, Wyatt, Marjorie, Neffi, Holden, Amaranth, Moka e sì, anche Vincent. Ripensava a quello che le aveva detto, lei si era indispettita all'epoca ma inziava a pensare che forse, una del mestiere con un fucile sarebbe stata più di aiuto, sarebbe stata meglio.
    Eppure serviva autocommiserarsi? Serviva piangere disperati sul latte versato? No, non serviva.
    Doveva mettercela tutta, doveva pensare positivo, anche solo di poco per sentirsi un po' meglio e provare a mettersi seduta. Aveva sete, volle bere e proprio mentre versava l'acqua nel bicchiere qualcuno fece capolino.
    Qualcuno che Veronica conosceva bene.
    « Mads? »
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    27 yrs
    Atmokinesis
    Rebel
  5. .
    CODICE
    <tr>
     <td colspan="2" style="border-top:3px solid #6D7134;"></td>
     </tr>

     <tr>
     <td rowspan="3" width="40%" style="padding:10px" bgcolor="#0c0c0c">[URL=https://tcssagifpacks.tumblr.com/aa6u]<div style="background:url(https://64.media.tumblr.com/f0159bad73a1066671e2f1bba99f4da4/6f667c5ca69cf362-ef/s400x600/f742f00004dea4714ce5e82f96c258298d209cb3.gif) no-repeat center; background-size: cover;width:175px;height:80px;"></div>[/URL]</td>
     <td>pv: Adria Arjona</td>
     </tr>

     <tr>
     <td>profilo: [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?act=Profile&MID=12546845]Julieta "Julie" Iglesias-Mendoza[/URL]</td>
     </tr>

     <tr>
     <td>altro: [URL=https://www.pinterest.it/overdoseofwords/julie/]pinterest [/URL]+ [URL=LINKSPOTY]spotify[/URL]</td>
     </tr>




    ho cambiato la pv di julie quindi vi rimando il codicino per comodità vvb <3

    Edited by @speculumdeae - 18/5/2023, 13:31
  6. .
    Erisha Byrne
    If I stay with you, if I'm choosing wrong
    I don't care at all
    If I'm losing now, but I'm winning late
    That's all I want
    «quindi non vuoi che i babbani scoprano della magia?» Erisha passò il peso da una gamba all’altra, osservando fitz
    no, non lo voleva: avevano costruito un filo invisibile che sanciva un sottile equilibri rio, perché romperlo improvvisamente? «non credo ce ne sia il bisogno, cancellarli dalla faccia della terra sarebbe davvero una scelta saggia?» una scelta che includeva morti e sofferenze, anche d’ innocenti, non era saggia a prescindere, dal suo canto «Sei entrata in una setta?» Erisha scosse la testa quasi immediatamente, non era d’accordo con Abby ma non aveva motivo di allearsi con la gente che aveva fatto del male si suoi amici, erano forse peggio di chi credeva che la guerra fosse la soluzione a tutto «non lo farei mai, so cosa fanno, cosa vi hanno fatto, a te, giacomino, Benedictus» contorceva le dita intrecciandole, e poi allontanandole continuamente tra loro «non penso l'abbia deciso oggi. Mi pare abbastanza organizzato» «si beh è facile organizzarsi quando sai che metterai a rischio le vite di milioni, miliardi di persone» si morse il labbro inferiore sentendo il sapore metallico del sangue, un segno divino? «Non deve scoppiare una guerra per forza, sai? Se succederà, sarà perchè i capi di governo babbani non accetteranno gente come me e come te nel loro piccolo mondo disilluso e medievale» «andiamo sappiamo tutti che non lo faranno proprio perché vivono in una realtà antica, medievale, il segreto mantiene una pace utile a tutti, perché una guerra proprio ora?» strinse i pugni lasciando finalmente libere le mani «non devi chiedermi scusa - non mi interessa se sei nella tua rebel era e non ti piaccia chi sta al potere. Mi chiedo solo perchè adesso, perchè questo, perchè non per i tuoi amici mezzosangue o per Kaz, per Clay, per Gali» prese un respiro «e se domani qualcuno decidesse che sono i maghi come me, o gli special come te ad essere un problema? se questa guerra contro i babbani ci si rivoltasse contro?» non le piacevano gli spargimenti di sangue, non le piaceva chi giocava con la vita delle persone, che questi fossero babbani, maghi o special, questo non le importava.
    gif code
    18 y.o.
    Ravenclaw
    Captain
  7. .
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
    we'll do it
    all over again
    put your hands up,
    rock, paper, scissors


    dylan kane
    17, 29.06.05
    hufflepuff
    goalkeeper
    #stay #atiny

    «penso tu abbia sbagliato persona..?»
    A sua discolpa, vista da dietro quella lì le sembrava davvero un sacco la sua amica Astrid: lunghi capelli biondi, abiti super scintillanti e bellissimi, e.. No, beh, fine. Erano quelli gli unici dettagli che Dyl aveva notato prima di gettare le braccia al collo di non-Astrid.
    Di sicuro, la voce era diversa.
    «Oh.» eh già. «OH SCUSA!» Urlato nelle orecchie della poverina: la Kane era ancora convinta di avere di fronte la sua amica. Non che le servisse una scusa, o una giustificazione, per il tono di voce che usava; era sempre più alto del necessario.
    Ancora con le braccia intorno alla figura fasciata in un capo costosissimo (e che Dylan rischiava di rovinare con la sua sbadataggine, ma si preoccupava forse di un’eventualità simili? No, esatto.), provò comunque ad abbassare di qualche decibel il tono. «Scusa, credevo fossi Astrid. Astrid Lavin, l’hai vista per caso?»
    No; ed in effetti, era un po’ che nessuno la vedeva.
    Chissà dov’era sparita.
    (E non aveva nemmeno mai incontrato Stiles, ma ci pensate?!)
    Dicevamo.
    «Credevo fossi un’altra persona.» Finalmente, Dylan mollò la presa dalla ragazza e fece un passo indietro, per darle modo di voltarsi (o fuggire, qualsiasi alternativa preferisse.); allungò comunque il collo per spiare il volto della persona che aveva involontariamente assalito. «UH! Ma io ti conosco!» Le avventure di Dylan sul campo da Quidditch non erano iniziate il giorno dei provini per entrare in squadra: essendo amica di Joni Peetzah da praticamente sempre, la Kane si era appassionata allo sport sin da subito, dalla prima partita del campionato scolastico a cui l’aveva trascinata una Joni di undici anni; da lì, non avevano mai smesso di seguire i Tassorosso dagli spalti, fino a diventare grandi (e brave) abbastanza da entrare in squadra.
    Quindi sì, Dylan aveva riconosciuto la ex serpeverde: tante volte aveva ammirato con gli occhioni sgranati e la bocca spalancata le coreografie di tutte le cheerleader, e non ricordarsi di Heather Morrison era praticamente impossibile.
    (E poi la cotta non così platonica di Clay non era di certo un segreto; lo aveva sentito sospirare al passaggio della Morrison più volte di quante potesse ricordare.)
    (Onestamente? Mood.)
    «Tu eri in Serpeverde!» C’era un po’ di differenza d’età, tra le due, ma serviva ben altro per scoraggiare Dylan Kane dal farsi una nuova amica. «Eri una cheerleader!!!! Io gioco nelle furie!!! CIoè, in Tassorosso!!!!!» si indicò il petto, entusiasta ed orgogliosa. «Ed eri anche alla convention di Sherry Otter, non è vero?!?! ERI VESTITA DA TEASPUN!!! IO ERO VESTITA DA PAM!!!!» Niente, si era di nuovo emozionata al ricordo della con: era passato più di un anno, da quel giorno, ma a Dylan era piaciuta così tanto che spesso la ricordava a tutti i suoi amici. O a chiunque avesse orecchie per ascoltarle.
    «Sei Heather, vero??? Io sono Dylan!!! DYLAN KANE!!!» urlato, perché sì.
    let the stress fly away, don't worry about tomorrow
    we'll just have some fun right now with the sunset on the horizon as the backdrop
  8. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    RebelIdiot
    Lucas Luke
    Morales
    Probabilmente Luke sarebbe morto di ipotermia di lì a poco. Certo, non era proprio una cosa intelligente sedere con le gambe penzoloni su un tetto - a Londra, sopratutto - nel mese sicuramente più freddo dell'anno, eppure il ragazzo se ne stava appollaiato li sopra come se nulla fosse a fumare una sigaretta che non avrebbe dovuto accendere in primo luogo. Aveva ancora addosso il completo che aveva messo quella mattina per andare a lavorare, ora macchiato da qualche schizzo di sangue che avrebbe provveduto a rimuovere qualche ora con qualche incantesimo di pulizia, e si stava cominciando a pentire di non aver chiesto a nessuno di accompagnarlo su quel tetto. Aveva finito allenamento al quartier generale un'oretta prima, procurandosi un bel naso sanguinante, una voglia tremenda di fumare una sigaretta e urlare al mondo che che schifo tutto quanto. Gli veniva anche da ridere, a tratti, perchè non sapeva proprio che pensare di tutta quella situazione che stava vivendo - sfidava chiunque a comprenderci qualcosa, in realtà - e sapeva che di lì a poco a meno che qualcuno non lo avesse fermato, si sarebbe messo a pensare alla sua famiglia e al sorriso triste di sua madre quando le aveva detto che se ne sarebbe andato da casa. Odiava pensarci. Odiava profondamente dover esistere in un mondo in cui i suoi genitori erano lontani da lui, in cui il padre non riusciva a stimarlo per quello che era, continuando invece a rimpiangere quello che sarebbe potuto essere. Eppure, non sarebbe dovuto essere così difficile, no? Merlino, era un Guaritore al San Mungo, mica un disoccupato spendaccione che metteva a rischio il patrimonio di famiglia...Non riusciva proprio a capirlo. Sbuffò in aria qualche anellino di fumo, osservandoli mentre salivano sempre più in alto e quasi sperando di poter fare lo stesso. Con un sospiro piuttosto sonoro scosse la testa, decidendo che era il momento di smetterla di deprimersi e magari quello di fare qualcosa di rilassante, o produttivo...magari una bella birra fredda? Fece scorrere lo sguardo sulle luci della città, per poi dare una schicchera alla sigaretta e farla cadere dall'altro lato del cornicione. Si, era una serata decisamente da ribaltare.
    My life's a juxtaposition
    What I got and
    What I'm missin'
    What I want in
    What I'm wishin', right?
    You Me At Six
    Take on the world
    Night people







    Scusate l'obbrobrio qua sopra, avevo bisogno di sfogarmi un pochino! Chiunque volesse rispondere è ben accetto naturalmente, anche se mi rendo conto che non ci sono moltissimi appigli...again, sorry! Vado a ricominciare a studiare perchè la vita fa schifo, ciau
  9. .
    Alister voleva fottere Heather Morrison.
    Non c’erano altre varianti semantiche che avrebbero potuto descrivere meglio quello che passò nella mente dello Stratega quando vide la sua ex stagista alla convention. Voleva fotterla e in almeno dieci modi diversi. Nessuna alternativa prevaleva sull’altra e in quel momento si sarebbe accontentato anche della meno fantasiosa.
    Fece schioccare la lingua sul palato, l’unico segno di apprezzamento in grado di concedersi in quel momento, troppo impegnato a restare nel personaggio per evitare di rovinare quell’evento finanziato con i galeoni che avrebbero trovato una collocazione migliore nella sua eredità.
    Aveva percepito Heather ancor prima che l’altro tirocinante urlasse il suo nome nella folla, un odore troppo familiare per poter passare inosservato. Se in un primo momento aveva preso in considerazione l’idea di essersi sbagliato, una parte di sé aveva quasi ringraziato la Morrison fosse presente a quella stupida convention. Non che la sua presenza fosse in grado di rallegrare quella che era destinata ad essere una delle peggiori della sua vita fino a quel momento, ma la mise dell’ex Serpeverde aveva catalizzato tutta la sua attenzione, sebbene all’inizio parzialmente coperta dalla figura del suo amico, di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
    La vide avvicinarsi con la coda dell’occhio mentre continuava a prestare distrattamente la sua attenzione alla sua folla adulante – sapeva di essere bellissimo, carismatico e affascinante on a daily basis, ma a quanto pare per i fan di Sherry Otter aveva raggiunto livelli fino a quel momento considerati inimmaginabili -, distratto dal profumo della storiografa sempre più intenso, che andava a coprire l’olezzo che impregnava la stoffa di quei tendoni magici che non vedevano del sapone da fin troppo tempo.
    Se avesse potuto sorridere, lo avrebbe fatto, ma era troppo calato nella parte e non poteva deludere i suoi nuovi fan. Se avesse potuto sollevare la Morrison e sbatterla contro un muro - cosa che a quanto pare entrambi desideravano – avrebbe concesso a tutti i partecipanti uno spettacolo che difficilmente avrebbero potuto immaginare, benché meno replicare.
    “Teaspun.” Salutò la ragazza in rosa, evitando il suo sguardo solo per concentrarsi su tutto il resto. Non gli importava di essere spudorato, almeno non nella misura in cui i suoi occhi freddi potevano studiare la figura minuta della ex Serpeverde, soffermandosi lì dove il costume era troppo corto, troppo scollato, troppo succinto. Da quel che ricordava della saga, e sfortunatamente più di quanto volesse ammettere, Heather non avrebbe potuto scegliere un personaggio più promiscuo. Non la chiamò per nome solo perché aveva un copione da recitare, l’ennesima parte che doveva brillantemente portare in scena per essere considerato ancora degno di far parte della sua famiglia.
    “Preferirei non vestirmi, nei giorni liberi.” Spostò finalmente le iridi di ghiaccio su quelle della Ministeriale, il volto ancora impassibile, sebbene l’istinto gli suggerisse di rompere ogni schema e dimenticarsi dei suoi doveri. “Tuttavia, potrò riposarmi solo quando sarò padrone incontrastato dell’universo.” Ah, la modestia, uno dei suoi tratti più caratteristici. “Le Apocalissi non si creano da sole.” Recitò ancora, invitando uno dei suoi fan in coda ad avvicinarsi per un altro scatto.
    Non rispose a Heather per due semplici ragioni, la prima, quella più banale, era che all’orario di chiusura avrebbe preferito essere altrove, e non ancora bloccato in quella dannata convention; la seconda era legata al suo autocontrollo e alla capacità che aveva avuto fino a quel momento di tenere la vita privata lontano da quella lavorativa. Heather apparteneva alla seconda. Si divertivano insieme, lo facevano spesso e nelle pause tra uno straordinario e l’altro per rendere le ore extra trascorse al Ministero più sopportabili, ma finiva tutto una volta timbrato il cartellino. Quello che accadeva dopo era… caccia. Il Black era pur sempre un predatore nato e quando non aveva la pazienza necessaria per condurre il suo stesso gioco, il retro del Lilum era in grado di soddisfare ogni sua richiesta, ogni sua voglia, ogni suo desiderio. Il suo status era direttamente proporzionale ai suoi soldi e le performance offerte per quella nicchia di clienti valevano ogni galeone speso.
    Non si era voltato in direzione della Morrison quando si era allontanata, non voleva aggiungere altri pensieri a quelli che la sua mente stava già fabbricando e provò, quanto più possibile, a rimuovere l’immagine della storiografa dalla sua mente.
    Aveva fallito.
    Eppure, non si sentiva poi così sconfitto. Il sol pensiero di poter rivedere Heather nel suo mini completo, stretta in una gonna ed in un corpetto striminziti poteva essere la giusta ricompensa per quella giornata alternativa. Per ore aveva ponderato diverse alternative su quale fosse la parte migliore da cui iniziare, quale lato della Morrison gli avrebbe dato più soddisfazione, stuzzicando così la sua fantasia.
    Aveva continuato a percepire l’odore della ragazza per ore, più o meno tenue in base alla distanza tra loro, ed era quasi confortante l’idea che l’offerta fattagli diverse ore prima fosse ancora valida.
    Aprì l’orologio da taschino e, dopo aver visto l’orario, lo chiuse con uno scatto secco, sollevato che il suo turno giornaliero fosse giunto alla fine. Non si fece scrupoli nel lasciare la sua postazione, benché meno a mettere su una delle sue espressioni migliori per scoraggiare chiunque avesse voluto continuare a violentare la sua pazienza. Era stato lì per quasi 12 ore, poteva permettersi di averne i coglioni pieni della gente, dei cosplay e di tutto quello che riguardasse quella fiera.
    Intravide Berenix con uno degli organizzatori e fece un cenno alla donna che era arrivato il suo momento di togliersi dal disturbo. Aveva onorato il suo patto ed era, finalmente, un licantropo libero.
    Certo, avrebbe dovuto almeno pensare a quello che lo aspettava una volta uscito da lì ma… non ne aveva voglia. Per una volta, Alister Hyperion Black non aveva voglia di programmare nulla, non voleva analizzare le eventuali conseguenze delle sue azioni, benché meno i possibili scenari che avrebbero potuto realizzarsi per colpa di un aperitivo.
    La sua mente era sempre ferma a quell’unica voglia che si era formata nella sua mente nel momento in cui aveva posato lo sguardo sulla storiografa ore prima e, se fosse andata diversamente, si sarebbe intrattenuto altrove.
    Scorse la parrucca rosa al centro dell’atrio e si mosse verso la ministeriale, le dita impegnate a sciogliere il nodo della cravatta e ad allentare il bavero. Per quanto gli stessero bene quei vestiti, teneva abbastanza ai suoi polmoni per concedersi il lusso di respirare.
    “Ancora qui?” Domandò velatamente sorpreso, senza alcuna malizia nella voce. Lui dopo i primi 5 minuti voleva andar via e dar fuoco al suo costume, non poteva certo utilizzarsi come metro di giudizio. “Non sono un grande fan.” Delle fiere, di Sherry Otter, del puzzo di sudore e di ormoni di adolescenti e pre-adolescenti che sentiva ancora addosso, che gli dava più fastidio delle mani di sconosciuti addosso ai suoi abiti mentre venivano scattate le foto. Era Lord Ares il distruttore dei mondi, non un peluche da strapazzare.
    “Interessante…” Sfiorò una ciocca di capelli rosa, rigirandosela tra le dita, toccando leggermente la pelle scoperta del collo della ex Serpeverde. Non lo avrebbe ammesso, almeno non ad alta voce, ma le stavano bene. La Morrison aveva un incarnato chiaro, come i suoi occhi, e quella particolare sfumatura sembrava quasi illuminarle il viso. “Interessante.” Ripeté lasciando che i capelli si liberassero dalla sua presa. Non le avrebbe chiesto se avesse intenzione di cambiare look, non era quello il tipo di discorsi che era solito intavolare. Ad essere onesti, non aveva idea di che tipo di discorso avrebbero potuto affrontare che non riguardasse il lavoro o alcuni aspetti più piccanti delle loro vite.
    “Se non ti dispiace, al momento vorrei solo sedermi. Hai già in mente qualcosa? Sono aperto a tutto.”
    E come la Morrison già sapeva, letteralmente a tutto.
    Silent secrets, quiet hands
    I know their story, an old romance
    Come and kill me while you can
    I will take you, this is our last dance
    Death Eater | Wolf | Ambitious
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Alister Hyperion
    Black
  10. .
    arms crossed with the attitude, lips pouted

    Sana era la tipica sedicenne che amava il kpop, stare con le amiche e San Valentino. Adorava l'atmosfera e le piaceva preparare dei dolci e bigliettini da dare a tutti e prima di tutto alle sue furie, Kaz compreso perché chi faceva parte del gruppo uno volta ne avrebbe fatto parte per sempre. Ancora non aveva trovato l'amore o almeno non quello di Cupido perché di amore ne aveva tanto grazie alle sue furie, avrebbe passato con loro quel San Valentino o almeno con Thor, l'avrebbe costretta a fare qualcosa insieme.
    Invece si trovò alla stramberga, il posto che più la terrorizzava, in realtà era molto paurosa e tutto la faceva urlare.
    «ragazze?..»
    Non era stata una buona idea, già voleva scappare «Thor? Didy? Ti prego fai che..» non terminò neanche la frase che arrivò il peggio perché sembravano intenzionati a ucciderla. Stava per morire «aiuto?» era confusa, terrorizzata tanto che non riuscì neanche a muoversi ma comunque non sembrava essere possibile, doveva solo sopravvivere «stupeficium» verso Hood perché non ricordo l'altro, poi si voltò verso la sua anima gemella«stai bene?»
    Everglow
    Promise
    <div style="background:#fdfdfd;border-radius: 5px 0 0 5px;padding:2px">
    Looking in a mirror
    Mirror on the wall
    이제 문을 열어줘
    삼킬 것처럼 너를 비춰
    Sana Parkgifs cr.playlistaesthetic


    attacco Hood : stupeficium
  11. .
    Sherry Otter era una celebrità.
    Da quando era stata annunciata la data della convention l’intera comunità magica era entrata in fibrillazione. Alister aveva provato a leggere qualche libro, a cercare di capire i motivi per cui questa saga fosse così famosa nel loro mondo, con scarsissimi risultati. Era semplicemente la storia di una ragazzina dai capelli color ciliegia destinata a salvare l’intero universo - e già qui avrebbe voluto chiudere il libro e non solo per la scelta infelice del colore dei capelli - e che, soprattutto, non è in grado di far nulla senza l’aiuto e l’intervento dei suoi amici.
    Era, usando termini piuttosto edulcorati, la sagra della mediocrità: una protagonista stupida e idiota che non sa neanche cosa significhi combattere, la forza dell’amore e dell’amicizia che vince su tutto anche contro maledizioni potentissime - se bastasse davvero così poco, sarebbe dovuto finire K.O. nel giro di pochi secondi, e invece… - , un triangolo a dir poco imbarazzante tra degli adolescenti che non sanno neanche cosa sia un bacio e, Merlino santissimo, dialoghi che neanche suo cugino (Kain) sarebbe in grado di fare peggio. No, davvero, messi a confronto, il Kellergan sarebbe potuto anche uscire da Oxford.
    Se avesse letto tutti i libri uscito fino a quel momento? Certo, ma solo per essere in grado di criticare in maniera precisa e puntuale ogni pagina sprecata per la stampa di quell’abominevole accozzaglia di luoghi comuni e, soprattutto, per comprendere le misteriose ragioni per cui Berenix Black, la sua amata quanto maledetta nonna, avesse deciso di sponsorizzare l’evento.
    Come potevano sperperare denaro per una causa persa come quella? Come potevano anche solo pensare che tra quelle righe ci fosse un (1) solo pensiero coerente e/o degno di nota. Erano Mangiamorte, per Salazar! Dovevano nascere e crescere come tali, non… non perdere tempo dietro glitter e unicorni! Senza contare che l’unico motivo per cui non aveva gettato i libri nel camino era proprio perché la matrona dei Black aveva voluto accertarsi del fatto che fosse ben preparato sull’argomento per non fare brutta figura. Solo quella frase avrebbe dovuto far rizzare i peli del licantropo, accendere la spia dell’autoconservazione e spingerlo a fuggire il più lontano possibile dai piani della nonna. Quando si presentò alla sua porta il fatidico giorno, la squadrò dall’alto verso il basso, pentendosi di ogni sua scelta di vita, sulle labbra solo una semplice domanda: “perché non Kain?” Perché doveva essere lui a coprirsi di ridicolo? Onestamente, non lo capiva.
    Era informato sulla trama, certo, ma non su tutto quello che il fandom ci aveva ricamato sopra, dopo l’attacco dei Ribelli al museo la sua agenda era diventata particolarmente piena e, se Alister non aveva né tempo, né voglia di partecipare a insulsi eventi mondani, Berenix la pensava diversamente: dovevano mostrarsi vicini alla popolazione magica, far vedere che i Mangiamorte meritavano di tirare un sospiro di sollievo e che il loro mondo era ancora in sicurezza. Il licantropo avrebbe avuto da ridire su ogni singola frase pronunciata dalla vetusta donna, ma non ne ebbe il tempo, essendo stato sommerso da pacchi e pacchettini per prepararlo al grande evento.
    Per un attimo, un brevissimo e terrificante attimo, aveva creduto dovesse interpretare Howard, l’amico idiota, nonché primo amore di Sherry, che indecisa se mettersi con lui o Hermes, lo tiene appeso per cinque libri, per poi preferire un altro personaggio totalmente inutile se non inserito per portare zizzania nel trio - come se ce ne fosse davvero bisogno - mentre il mondo attorno a loro inesorabilmente collassava. Bello quando devi salvare il mondo ma ti interessa più fare l’ultima scopata. Condivisibile, eh, ma se uno dei suoi sottoposti avesse preferito il sesso a un combattimento per il mondo magico, avrebbe assaggiato la sua bacchetta e non nel modo più piacevole.
    Sebbene tutta la reticenza che il suo volto era in grado di mostrare, un sorriso spuntò sulle labbra dello Stratega, mentre le dita scorrevano leggere sulla stoffa nera. “Lord Ares, il distruttore dei mondi.” Guardò Berenix con un misto di riconoscenza e disgusto, divertito ma non troppo dall’associazione che la donna aveva fatto, scegliendo che quel giorno si sarebbe travestito dal vero cattivo della Saga, un personaggio piuttosto subdolo, amato all’inizio della storia, quando ancora non aveva mostrato il suo vero volto.
    Se Alister pensava che anche solo vestirsi fosse una tragedia, era solo perché non aveva ben chiaro il livello di isteria che si portava dietro Sherry Otter.
    Lì, dall’alto del suo metro e novantacinque, con i capelli mossi e il mantello nero osservava interiormente sbigottito la calca davanti a lui. Era… indecente? Osceno? Altamente ripugnante? Non aveva al momento parole per giudicare l’enorme business costruito attorno a quella saga, la smania dei ragazzini e delle ragazzine per accaparrarsi l’ultimo gadget esclusivo o uno dei pochi volumi autografato dall’autore, rigorosamente anonimo perché, sicuramente, anche lui si vergognava di quanto partorito dalla sua mente.
    Non doveva sforzarsi troppo, il Black, per entrare nel suo personaggio: non sorrideva, aveva le braccia incrociate al petto e giudicava quanto stesse accadendo davanti a lui, ignaro di ship, triangoli amorosi e tutto il resto. Era lì, fasciato da un completo nero con intricati disegni borgogna che si muovevano come fiamme sul tessuto, ignaro di quello che stava per succedere nel momento in cui l’altra parte dell’OTP si sarebbe palesata nelle vicinanze.
    Silent secrets, quiet hands
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    Alister Hyperion
    Black


    Un Alister Black è stato maltrattato mentre scrivevo questo post


    Edited by b l a c k w o l f - 26/8/2021, 20:47
  12. .
    sheet
    pensieve
    aesthetic
    headphones
    2003's
    slytherin
    no soul
    "No"
    -Hamlet, Act 3, Scene 3
    Sembrava l’inizio di una barzelletta.
    La sua vita? Soprattutto ma, in particolare, tutta quella situazione: Stephen pensava che il solo bazzicare per il labirinto di corridoi del ministero della magia fosse una punizione abbastanza grande per i peccati commessi in gioventù, ma quello gli ricordò quanto potesse essere infima la vita, il karma, Satana quando non gli si sacrificavano abbastanza caprette e verginelle. Ma ehi, non fraintendetelo, sapeva essere anche misericordioso! Prima di uscire di casa aveva acceso qualche bastoncino d’incenso e gettato qualche teschietto di uccello nel fuoco in suo onore, e si era ritrovato chiuso in un ascensore piuttosto che…in una sauna rotta? Una lavatrice? Voleva rimanere positivo.
    «ma stiamo scherzando» «no» non rimase positivo, forse era peggio di quanto si aspettasse. Non era un animale da festa, il Gallagher, non che ce ne fosse il motivo in quei pochi metri quadri in cui lui aveva premuto la schiena contro l’angolo opposto a quello della grata, ma ecco, anche le chiacchiere da ascensore rientravano nel suo bagaglio degli attrezzi sociale; poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui era salito su un ascensore (o meglio, obbligato a salire in un ascensore mentre veniva tirato per un orecchio da sua nonna, la quale si lamentava delle povere gambe doloranti) e di quelle poche volte non aveva un ricordo allegro.
    «Allora, c'è davvero un caldo terribile questi giorni, ahah... dicono che sia l’estate più calda degli ultimi dieci anni» si sforzò perfino di innalzare gli angoli della bocca in un sorriso cortese, il Gallagher, abbassando lo sguardo su un orologio che non portava al polso; okay, si era bruciato la carta dell’ora, ma avrebbe preso tempo in un altro modo: «Hai visto l’ultima partita di Quidditch? Forza Irlanda, wow! Sono un grande appassionato» lo era? Anche lì la risposta era un grande no. Allora vi chiederete perché stesse perdendo tempo a cercare di fare conversazione piuttosto che aiutare la ragazza a trovare una via di fuga: eh. Stiamo parlando di un gen z con evidenti problemi di ansia sociale, il suo cervello era in tilt ancor prima che l’ascensore si bloccasse.
    «se hai idee, è il momento di dirle» «beh…ero qui con il mio gatto parlante» prese una pausa per inalare una grande boccata d’aria, o almeno lasciare che l’altra processasse quanto detto dal serpeverde, prima di emettere un pesante sospiro «ma è scappato, e ho pensato che prendere l’ascensore fosse il modo più veloce per raggiungerlo» wow, stava mettendo più parole in fila del previsto, l’adrenalina nel sangue poteva davvero portare a grandi pazzie!11!!!1! «Okay, il punto della situazione è che è un tipetto parecchio intelligente,» forse fin troppo «se riusciamo a chiamarlo, potrebbe andare a cercare aiuto.» lo avrebbe fatto davvero? Stava parlando di un demone intrappolato nel corpo di un gatto, probabilmente sarebbe andato lì per sputargli in faccia una palla di pelo per poi andare via zampettando e ridendo. «Però ho delle carte di uno e una tavola ouija nello zaino, ci sai giocare?» dai, tutti amano uno.

    Stephen Gallagher
    cursed
    gen z
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
  13. .

    euuu, va i pg di sara jr come ci danno dentro! giusto cosi, niente da dire! anzi, prendete tutti esempio #cos nuovo giro nuovo momento awkward di riscoperta sessuale ─ eh si, è giunto il momento di Gideon. che tutti noi vorremmo veder paccare con perses, ma c'è ancora tempo: l bottiglia infatti, dopo una sana centrifuga, sorpassa il serpeverde e si ferma puntando sul nostro Dj Daniel-san
    KASTA KINESI IN AZIONE!

  14. .
    Phoebe Campbell
    «Keeping on tiptoe is not growing.»
    Ballare con Gideon aveva migliorato all'istante l'umore della mora, che aveva in un secondo dimenticato tutto quanto anche se sentiva comunque il bisogno di chiedere scusa al compagno non perché quel cattivo fosse stato davvero un'offesa, in fondo l'aveva trattata abbastanza male rischiando di farla cadere in acqua, la gentilezza non era stato il suo forte anche se poi si era fermato. Lei era invadente si, ma non sapeva che l'odio di Joey nell'essere toccato potesse arrivare fino a quel punto, di certo non si poteva dare tutta la colpa a lei che era all'oscuro di ciò, si era semplicemente comportata come avrebbe fatto con chiunque. Non conosceva il compagno così come lui non poteva sapere della vita della mora, ma se le parti fossero state invertite e fosse stata lei a dare di matto perchè Joey si era presentato ad esempio di azzurro e lei odiava quel colore, si poteva dare la colpa a lui sapendo che fosse ignaro di questa cosa?
    Comunque non era nella mora provare odio e soprattutto non amava litigare con gli altri anche se spesso non era una persona gradita dato che era a tutti gli effetti molto rumorosa. Forse diventando un'adulta e una volta nel mondo del lavoro quell'aspetto sarebbe cambiato e avrebbe capito quando poteva essere espansiva. Ringraziò ancora una volta Gideon perché a lei era davvero piaciuto ballare, era davvero scoordinata quindi muoversi a caso era all'ordine del giorno. Saltiamo tutto, anche la lite che ci fu proprio per colpa sua, se prima si sentiva in colpa, ora era anche peggio perché aveva coinvolto l'amica Hazel. Non voleva far iniziare una rissa, ma non fece in tempo ad intervenire che una Amalie, la mamma di tutti, sembrò calmare le acque. Doveva assolutamente andare a chiedere scusa anche alle ragazze, ma prima di tutto tornò dal suo cavaliere, doveva chiarire con lui, così ognuno poi avrebbe passato il resto della serata come meglio credeva.
    Vorrei commentare il cambio di scenario e il relativo stupore della mora ma per mia fortuna faceva parte del comitato e sapeva che sarebbe successo, quindi arriviamo direttamente al momento in cui raggiunse Joey al buffet «Joey» prese a dondolare sulle gambe, agitata. Sapeva benissimo, Phoebe, che la colpa era di entrambi ma allo stesso di nessuno perché si conoscevano poco e nessuno dei due poteva aspettarsi una reazione così forte da parte dell'altro.
    «mi dispiace per come sono andate le cose tra di noi ma è anche vero che... » si fermò all'improvviso, la spilla fece qualcosa di strano, abbassò lo sguardo perchè sapeva cosa sarebbe successo e aveva paura. Aveva paura perché il mondo stava affrontando una pandemia e cosa sarebbe stato delle tartarughe marine? Per non parlare di quell'orso nel bosco al quale gli italiani davano la caccia. Era davvero tutto molto preoccupante. «se ne riparlerà a settembre» disse per poi prendere un piatto per mangiare qualcosa, si fece spazio e guardò Amalie «se ne riparlerà a settembre....capito?» ma di cosa? ah boh di tutto e di niente. Era così confusa.

    17 y.o
    Grifondoro
    Mean girls
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    code by crossfire
  15. .
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    low-key
    no pressure
    it's alright
    "You say ,"We gotta look on the bright side"
    I say, "Well maybe if you wanna go blind""

    - paramore
    «Te l'ho detto...» Glielo aveva detto, «Non ce la faccio più a scrivere, mi fa male il braccio!» Che era una scusa, in primis, e in secundis era davvero poco credibile anche se in parte comunque vera, poiché il Serpeverde era dopotutto reduce dalla scampagnata nel regno di terrore della Queen avvenuta giorni(? settimane? chi lo sa) prima e dalla quale lui doveva ancora riprendersi.
    Ma rimaneva, a tutti gli effetti, una scusa bella e buona dal momento che aveva comunque passato dieci minuti abbondanti ad abbozzare un disegno ai lati del suo blocco di pergamene, mentre Amalie gli spiegava l'ultimo capitolo di Storia della Magia che avrebbero dovuto studiare per quel giorno. In quel caso il polso non gli aveva fatto male per niente.
    Era carino che Amalie ci provasse, davvero, ma quando aveva intenzione di rendersi conto di quanto tutto quello fosse un'impresa impossibile? I suoi voti erano tutti al di sotto della sufficienza, poteva contare un Accettabile striminzito in forse una o due materie tipo Erbologia e - strano ma vero!! - Corpo a Corpo, e lui stesso aveva rinunciato già da un pezzo alla speranza di poter recuperare tutto entro la fine dell'anno che era, di fatto, ormai alle porte.
    Il suo sbaglio più grande era stato accettare suo malgrado l'innegabile verità di aver davvero bisogno di una mano (e di aver cercato un tutor) solo quando ormai il danno era fatto: nemmeno tutte le Amalie di Hogwarts avrebbero potuto salvarlo dalla bocciatura. Anzi, nemmeno Amalie che, armata di giratempo e camuffata con della polisucco, si presentava a lezione al posto suo e consegnava compiti che altrimenti avrebbe dovuto svolgere lui. Era ben oltre il livello di "studio matto e disperatissimo", così oltre che ormai lui non era nemmeno più disperato... solo rassegnato all'idea di dover passare un anno in più del necessario ad Hogwarts. Avrebbe ripetuto il sesto anno, a Settembre, era una certezza come il fatto che in qualche modo i Serpeverde avessero perso di proposito la semifinale contro i Grifondoro - anche se Arturo non aveva davvero una certezza a riguardo, era una giovane anima pura lui, quanto più un sospetto dovuto ad alcuni commenti uditi negli spogliatoi che lo avevano lasciato abbastanza perplesso. Ma lui non ci pensava, non ripensava alla partita (persa) e non pensava sicuramente al post-partita né alle torture subite per aver perso.
    (Spoiler: in realtà ci pensava.)
    Al momento comunque la sua priorità era un'altra e doveva concentrarsi su quella dannata pergamena per Storia della Magia che Amalie tentava inutilmente di fargli scrivere da più di quaranta minuti.
    Arturo lanciò ancora un'occhiata in direzione della Corvonero, sperando di impietosirla un pochino con i suoi occhioni azzurri. Si ritrovò a pensare che, tutto sommato, gli sarebbe potuta andare molto peggio in quanto a tutor e che Amalie era un'insegnante molto competente e soprattutto paziente... peccato che lui di stare attento non ne avesse la minima voglia! E poi aveva tanto - ma tanto tanto - sonno.
    Col senno di poi, decidere di andare a studiare da Madama Piediburro non era stata la scelta più saggia, specialmente per uno come Art che, era ormai cosa nota, aveva la capacità di concentrazione di un Billywig. Si era già distratto almeno una decina di volte, tra un saluto a qualche compagno di scuola, la file per ordinare i milkshake per lui e per Amalie, il continuo via vai di gente all'interno del locale, le divise delle cameriere (!!), quella coppa in procinto di scoppiare, quel-
    «Artie! Arturo!!»
    La testa, come una molla, scattò nuovamente in direzione della bionda Corvonero che, dal canto suo, si ritrovò a fissare lo sguardo completamente perso di un Arturo Maria più confuso che mai.
    #WAT?? #LOADING...
    Ah, sì, la pergamena! Il tema...! L'approfondimento su... qual era l'argomento su cui stava lavorando? Oh, per Merlino..!
    Provò a rileggere velocemente quello che le sue mani avevano scritto sulla pergamena, in maniera disordinata e completamente scollegate dal cervello ormai settato su OFF già da un pezzo, senza realmente capire neppure una parola. Quel tema non aveva senso.
    Senza troppi complimenti lascio cadere, sconfitto, la testa sulle braccia incrociate sul ripiano in legno e bofonchiò qualcosa tipo «Stiamo perdendo tempo Amalie,» e poi, alzando appena lo sguardo e strofinandosi la testa con entrambe le mani, aggiunse «Andiamo a fare qualcosa di divertente!! Daaaaiiiiiii» Non valeva davvero la pena sprecare una giornata così bella chiusi lì dentro a scrivere temi inutili!
    Ma la Corvonero non ci stava, ligia al suo compito di tutor. «Facciamo così: io vado a farmi fare un refill di questi da Erin, tu rileggi ciò che hai scritto e al mio ritorno vediamo da dove ripartire. Okay?»
    "Non proprio", avrebbe voluto ribadire lui ma Amalie era già in piedi e si dirigeva a passo svelto verso le ragazze al bancone, in fila proprio dietro ad un Meh sempre più distrutto dalla vita.
    «Yaaaaawhhhhnnn»
    Alla faccia dello sbadiglio.
    Artie non aveva molta voglia di continuare a pensare a quel tema, la cosa ormai era ben chiara, ma Amalie stava sprecando il suo tempo libero per aiutarlo a non fallire anche quell'ennesima consegna quando magari avrebbe potuto concentrarsi su studenti che avevano effettivamente qualche possibilità di passare l'anno e il minimo che poteva fare Arturo era rimanere !! sveglio !!
    Così decise di approfittare di quel momento di assenza della compagna per recarsi in bagno e rinfrescarsi il viso nella speranza che il getto d'acqua gelido lo avrebbe fatto riprendere almeno un po'. Ci sperava poco, in realtà, ma tanto valeva provarci.
    Lasciò le cose incustodite perché mpf si conoscevano tutti li dentro (ma dove) e onestamente proprio non ci aveva nemmeno pensato alla cosa perché duh, era Arturo Maria, e si diresse svelto verso i bagni.
    Come aveva predetto, l'acqua era molto fredda.
    Basta, stop, fine.
    Tutto il resto delle sue meravigliose ipotesi si erano rivelate un buco nell'acqua.
    ...letteralmente ma vabbe, non era voluto.
    Insomma, aveva ancora sonno! Per le mutande di Merlino, la doveva proprio smettere di passare le notti insonni a disegnare sui divani della Sala Comune. Aveva visto sorgere l'alba ben quattro volte quella settimana (quasi come Sara in pratica) e si era reso conto del tempo trascorso solo quando dal buio della notte avevano iniziato a filtrare i primi raggi di luce. Non che dai sotterranei si vedesse effettivamente la luce ma qualche cosa filtrava pure dal lago nero (!!) noi ci crediamo fermamente ed era comunque molto poetica come scena.
    Fatto sta che l'acqua non era servita a nulla ed era pronto a tornare, mesto e assonnato, alla sua postazione quando capitò accidentalmente davanti ad una scena che avrebbe voluto non vedere!!
    Perché lasciavano la porta del bagno delle signore aperta?!
    «¡Madre mía
    Non è che volesse proprio rendere nota la sua presenza, eh, ma l'esclamazione di stupore gli era uscita prima che potesse fermarla. Inutile fu la mano che corse a coprire la bocca - spalancata almeno tanto quanto i suoi occhi chiari; lo stimolo al cervello era arrivato con qualche secondo di buffering, fin troppi per poter far finta di nulla e proseguire. Certo, avrebbe potuto comunque sparire da lì e lasciarli alle loro cose (cosa?) ma sinceramente non era sveglio abbastanza (in quel momento!) da arrivare a pensare una cosa del genere. Stava ancora cercando di collegare tutti i puntini...!!
    Insomma, non si aspettava di certo di vedere... era Nicky ?!?!?!? quella in ginocchio di fronte a Costas??? (Sì okay aveva riconosciuto le braccia la voce del compagno di squadra !!!) Cosa !! Stavano !! Facendo !! La porta era aperta e Nicky era in reggiseno !!! Send help, Arturo stava per avere un infarto. #boobs
    «!! Sono capitato qui per sbaglio lo giuro»
    Mica era colpa sua se si era perso tutto quello che era successo con i frappé, il disastro che Nicky aveva combinato, e tutto il resto: era in bagno in quel momento! Quindi una scena del genere, out of context, avrebbe sorpreso chiunque!!
    «nIcKy» gli uscì un suono strozzato dalla bocca mentre li fissava ancora incredulo entrambi. Da Costas se lo sarebbe anche aspettato ma non da Nicky! Oh Jasoo.
    OH JASOO.
    Forse li doveva lasciare da soli...??? Doveva andarsene e chiudersi la porta alle spalle già che c'era..??? Magari volevano un po' di privacy???
    Send help parte 2, Arturo era molto confuso da tutto, proprio dalla vita in generale riguardo al da farsi.
    arturo maria hendrickson
    serpeverde, vi anno
    #chesuccede? #bugo?
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    mi imbuco? mi imbuco.
101 replies since 23/1/2018
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