Votes taken by j e r k .

  1. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    prof | assistant
    1991 | 2000
    casta | freaks
    eugene jackson | barrow skylinski

    «euge, ma sei sicuro di stare bene?»
    minchia se non faceva una strage.
    un sacco di persone da uccidere, e così poco tempo. decise, così su due piedi e per niente influenzato dalla presenza di rob a gravargli sulle spalle, che avrebbe cominciato da Raphael; l'unico dubbio rimaneva sul come. in quei casi la soluzione ideale era lasciarsi guidare dell'istinto: invece di spingere l'uomo fuoribordo, come aveva pensato inizialmente, dal basso del suo metro e cinquantacinque Eugene Jackson allungò il collo e gli affondò i denti nella carne tenera ed esposta della gola, dove sapeva la pelle fosse l'unica, sottile barriera tra la sua bocca e il sangue ch— «oh, eugene mi senti?» batté le palpebre sugli occhi chiari, nel sentirsi nuovamente chiamare; il volto del vaughan accolse il ritorno del professore alla realtà nell'unico modo in cui quest'ultima sapeva spezzare un sogno: lasciando l'amaro (e poco amore) in bocca.
    niente bagno di bellezza nel sangue caldo di raph, per quel giorno.
    «non sento un cazzo, ho le orecchie tappate» cit. babbi a Polignano. sempre al mare si trovavano, anche se quello non era esattamente l'Adriatico. le iridi cerulee del serpeverde accarezzarono la superficie altrettanto cristallina che si estendeva a perdita d'occhio tutt'attorno a loro, stringendo con forza entrambe le mani sul bordo del parapetto; sapeva, anche prima di voltarsi per affrontare faccia a faccia i ragazzini superstiti, che jade aveva già fatto un passo avanti per raggiungerlo. la fermò, con un cenno del capo: testardo come un tricheco (sono molto testardi), euge si era imputato per essere presente durante quell'ultima gita fuoriporta, nonostante fosse chiaro a chiunque che i venti chili in più e il fagiolo di quaranta centimetri rannicchiato nel suo utero in affitto non gli stessero rendendo la vita facile.
    it's all fun and games until il dono prezioso e tanto voluto, cresciuto nel tuo grembo non comincia letteralmente a mangiarti dall'interno — gli sbalzi d'umore, la furia omicida, le lacrime facili anche di fronte alla pubblicità del black&decker: non una novità per il Jackson. ma la debolezza? il non potersi più fidare del proprio corpo? LE PERDITE URINARIE? eh no raga, quando era troppo era troppo.
    ma aveva insistito comunque.
    per ricordare a se stesso di essere ancora in grado di muovere più di due passi senza diversi sedere; per gli studenti scomparsi nel nulla, e quelli rimasti; perché ci aveva messo impegno, sudore e amore per creare il video commemorativo di will e, per dio, li avrebbe costretti a guardarlo. prima, però, toccava la parte del dovere «ragazzi. bubini» riuscì persino ad accennare un sorriso, nonostante Rude avesse deciso fosse il momento giusto per mettere su un rave tra le sue budella «il professor vaughan vi ha già spiegato a grandi linee dove ci troviamo e cosa dovrete fare. tra qualche istante arriveranno i "mezzi di trasporto"» mimò le virgolette a mezz'aria, incapace di trattenere una risatina. ci voleva davvero poco a rimettere Eugene Jackson di buon umore, e l'immagine mentale delle ostriche giganti che leccavano i suoi studenti (era il prezzo del biglietto) aveva anche un che di poetico «raggiungerete takitaki in un paio di minuti. gli abitanti hanno preparato per voi una stanza apposita al loro Centro di Osservazione, nella quale potrete respirare normalmente» quello, nello specifico, era un punto sul quale i takini avevano dato prova di una certa durezza: convincerli che gli studenti possedessero ancora un apparato respiratorio obsoleto che non permetteva loro di muoversi liberamente sul fondo dell'oceano aveva richiesto piu tempo del previsto «ad ogni esemplare è allegato un fascicolo con una descrizione sommaria dei sintomi e spazio per i vostri appunti. abbiamo pensato di facilitarvi il lavoro, non potendo comunicare con gli abitanti o avvicinarvi abbastanza alle creature da valutare con precisione i danni subiti» muovendosi come una balenottera spiaggiata, Eugene tentò di mettersi seduto sulla panca che costeggiava il parapetto della nave — buffo, tornare sempre (dove si è stati bene) allo stesso mezzo di trasporto, ciao mood ciao balt ❤. a leap of faith, perché una volta piegate le ginocchia e abbandonato il peso del corpo all'indietro non esisteva alcun modo per fermare la caduta; per fortuna la superficie liscia della panca si fece trovare esattamente dove il Jackson aveva calcolato, con tanto di cuscino infilato sotto le chiappe da jade un istante prima dell'impatto.
    se non era amore quello.
    «quindi per riassumere: cercate di capire quale incantesimo oscuro è stato lanciato sulla vostra creatura e trovare il controincantesimo. non potrete lanciarlo subito, però. le creature sono state attaccate in mare aperto, utilizzando una magia che non richiede l'uso di formule verbali. di conseguenza anche a voi toccherà trovarvi faccia a faccia con loro, per tentare di salvarle, ma non preoccupatevi, riceverete istruzioni al momento opportuno» ammesso e non concesso fossero riusciti a non ammazzare le povere bestie causando un incidente diplomatico. per un istante di troppo, le iridi azzurre di euge si soffermarono sui riccioli scuri del bigh; una battuta già formata sulla lingua, banale e telefonata. con un sospiro, a malincuore, la ricacciò in gola: non era divertente rammentare i bei vecchi tempi se mancava Frederick con i suoi trigger e traumi irrisolti da vecchio collerico in astinenza «prima che andiate però ho una cosa importante da farvi vedere» [toothless che solleva in slow motion un cartello] «no, Simmons, non è ancora quello» [toothless che abbassa in slow motion un cartello] STAN COMACOLLA SEMPRE. fece un cenno ad arci, già pronto da diversi minuti; una scena già vissuta, ripetuta come un mantra: il proiettore magico, le ombre a calare sull'Oceano oscurando il sole, lo schermo nero sospeso a mezz'aria davanti ai volti increduli degli studenti. quelli rimasti — faceva strano pensare che gli scomparsi stavano perdendo l'opportunità di assistere all'ennesimo capolavoro (priorità).
    tutuDUN dun dun dun
    TUDUDUN dun dun dun
    YOU DON'T OWN MEEeeeEeeEe


    And don't tell me what to do
    Don't tell me what to say

    nel momento in cui suo padre era apparso sullo schermo, Barry aveva capito che la giornata si stava apprestando a peggiorare del cento per cento. alla sesta inquadratura sulle mutande di William Barrow, il ventitreenne aveva distolto lo sguardo (e perché mai non l'ha fatto subito, direte voi? freud ha le sue teorie), senza abbandonare la posa da personaggio di the sims tenuta sin dal momento in cui avevano messo piede sulla nave.
    preferiva non ammetterlo, nemmeno con se stesso, ma di quel video gli addominali scolpiti e il pacco in primo piano dell'uomo che in un'altra linea temporale lo aveva tenuto stretto tra le braccia non erano la cosa peggiore. fuggiva dagli occhi azzurri di will, barry — così simili ai suoi, eppure completamente diversi: contenevano il mondo e permettevano a chi li guardava di specchiarsi al loro interno; quelli dell'assistente non concedevano niente a nessuno. non più.
    avrebbe potuto sostenere i primi piani di suo padre, nonostante tutto, se in quelle iridi cristalline e penetranti non avesse letto qualcosa che era esisteva solo nella sua testa: rammarico, disappunto. giudizio. perchè non hai fatto nulla? diceva quell'azzurro incredibile, nemmeno una sbavatura di grigio ad interrompere il flusso. perchè non eri con loro? ma che domande sono, pà. i denti gli si chiusero sulla carne morbida all'interno della guancia, e lasciò che l'odore di salmastro dell'oceano gli riempisse i polmoni — persino in mezzo a quella vastità Barry si sentiva premere da tutti i lati. compresso, ridotto ad un foglio sottile come carta velina. no, non aveva fatto niente per fermare Kieran e Murphy, costringere entrambe a ragionare; avrebbe potuto bloccarle con le cattive, a mali estremi estremi rimedi.
    oppure, ipotesi ancora più azzardata (bucchin a mammt), sarebbe dovuto andare in quel cazzo di albergo. seguire gli aspiranti suicidi alla riscossa, senza un piano che fosse uno; facciamo irruzione!, era stata la spiegazione logica e razionale della Sargent, perché funzionava di sicuro anche nella vita vera oltre che nei film.
    e Barry non si era mosso.
    nemmeno per sottrarsi al tocco leggero e titubante delle dita di stiles, quando la mano dello psicomago gli aveva sfiorato la spalla senza che nessuno dei due sapesse cosa dire — Barry perché non credeva le parole avessero un senso, stiles perché conosceva suo figlio: neanche un grimaldello sarebbe stato sufficiente per scardinare la porta dietro la quale corvonero si era volutamente rintanato.
    nemmeno quando justin per l'ennesima volta aveva fatto la sua apparizione sulla soglia, chiedendo più di quanto l'assistente fosse disposto a dargli: una mano a trovare sua sorella, tanto per fare un esempio.
    ad entrambi barry aveva fatto dono della propria immobilità, le iridi chiare a cercare la zona migliore del pavimento su cui scaricare la propria rabbia: mai visibile, sempre presente.
    «ah, mi si sono rotte le acque»
    quello era il suo segnale per sciacquarsi via —l'ultima cosa che voleva vedere, dopo il pacco ripetutamente mostrato in mondovisione del padre, era la testa di Rude Jackson Beech farsi spazio attraverso una vagina temporanea portandosi dietro placenta e altre robe rivoltanti «ok, direi che è il caso di cominciare questa lezione prima di rimanere traumatizzati a vita. vi accompagno io» batté le mani, rivolgendosi agli studenti mentre gli altri adulti presenti perdevano quel poco di autocontrollo concesso loro dal signore donby in persona. poteva davvero sopportare tutto, Barrow Skylinski, ma non quell'orrore.
    sporgendosi dal parapetto, fece cenno a maghi e special di avvicinarsi, indicando qualcosa oltre la superficie scura dell'oceano: le piriñe, creature del tutto simili alle ostriche ma grandi quanto una piccola carrozza monoposto, attendevano a valve spalancate i loro passeggeri «sceglietevi una piriña e lasciatevi leccare. mi raccomando, dovete rimanere immobili o rischiate di farvi sputare in mare» un biglietto più caro di quelli del treno per scendere a Roma, e ho detto tutto.
    [Eugene che urla come Albano in the background]
    tempo di andare, bitchachos.

    how long am i gonna stand
    with my head stuck under the sand
    i'll start before i can stop
    or before i see things the right way up


    e insomma, infine ci siamo.
    intanto per cominciare rendiamo grazie ai superstiti e una preghierina al fly per gli studenti scomparsi che ci guardano da lassù 🙏 recappino veloce prima di passare alle regole: insieme ai professori e ai loro assistenti vi siete messi in viaggio su una nave (moderna, niente pirati questa volta ❤) partita dalle coste della Nuova Guinea, per raggiungere un punto non meglio precisato dell'oceano pacifico — nel caso a qualcuno interessasse, il mezzo si ferma circa a metà strada tra le isole Salomone e Honolulu (ciao fred), quindi nel nulla più assoluto. attorno a voi solo una distesa d'acqua che si perde a vista d'occhio. sotto di voi, nelle profondità marine, si trova Takitaki, la città perduta; per raggiungerla, ciascuno di voi dovrà entrare in una piriña, ostriche giganti che fungono da "carrozza del mare" anche per chi non è dotato di branchie, ovviamente pagando il prezzo (salato) del biglietto: farsi leccare da capo a piedi.

    CHE SUCCEDE (ON):
    una volta arrivati a Takitaki, questione di pochi minuti, la vostra ostrica vi farà scendere direttamente all'imboccatura di un tunnel, così da evitare un annegamento collettivo; da lì, proseguendo tutti insieme, giungerete alla Sala di Osservazione. niente più che un'immensa stanza suddivisa in box (come nelle stalle, usate l'immaginazione perché non so descriverla), ciascuno delimitato da un vetro che si affaccia direttamente sul paesaggio sottomarino. divisi in coppie, dovrete entrare nel box indicato da Barrow, e attraverso la parete trasparente potrete osservare e studiare la creatura a voi assegnata. il vostro compito è capire quale maledizione o incantesimo oscuro le abbia colpite, e trovare il controincantesimo adatto; quando avrete deciso, insieme, come curare l'esemplare, Barry vi darà una foglia a testa di succulenta da ingerire, e a quel punto non vi resterà che attendere ulteriori istruzioni

    CHE SUCCEDE (OFF):
    - la barriera che vi divide dalle creature non permette di castare incantesimi, quindi in questa fase dovrete solo fare brainstorming
    - siete divisi in coppie

    CITAZIONE
    1. Ben, Iris
    Purpuriyna: i tentacoli anteriori sono arricciati e/o legati tra loro, non riesce più a difendersi.

    2. Balt, Kul
    Buscofen: il corpo piumato è piegato in modo contorto per il dolore costante e presenta chiazze di pelle nuda dove mancano le piume

    3. Mood, Myrtylle
    Riotan: il suo corpo è ricoperto da formazioni cristalline che appaiono dolorose alla vista. queste gli impediscono di muoversi con agilità, rendendola una preda facile

    4. Ara, amio
    Medaka: la luce sprigionata dal corno multicolore che ha sulla fronte va ad intermittenza e le macchie luminose sul suo manto sono spente/opache

    5. ictus, darae
    Betabioptal: completamente cieco, l'unico occhio della creatura è chiuso e secerne un liquido purulento, il che le impedisce di orientarsi e difendersi

    - dovrete inventare la creatura (noi vi diamo dei sintomi e una caratteristica fisica, ma per il resto potete davvero seguire il cuore: fondamentale che ciascuna possa vivere sott'acqua e abbia una natura aggressiva e/o feroce)
    - dovrete inventare l'incantesimo (oscuro, o maledizione) che l'ha colpita, e il controincantesimo per guarirla, senza però castarlo
    - gli incantesimi devono essere NON VERBALI

    REGOLE (OFF)
    - un solo post a testa, potete dividervi i compiti come volete (gli special ha senso parlino della creatura, ma magari sono super acculturati e conoscono anche gli incantesimi #wat)
    - avete tempo per postare fino a venerdì 15 marzo alle 23.59
    - per qualunque dubbio o domanda siamo qui ❤

    — modulo per CDCM

    CITAZIONE
    HTML
    <b>&#155; NOME_CREATURA:</b> grado di pericolosità + descrizione essenziale
    <b>&#155; altro: </b> qualsiasi altra inforandom sulla creatura che vogliate condividere! Accenni e curiosità storiche? Come si riproduce? Di cosa si ciba? Da dove è originario? Potete dividere questa parte in punti in base a quello che volete raccontare!

    — modulo per ARTI OSCURE (ricordate di cambiare anche il livello (matricola, apprendista, mago, leader), a seconda della difficoltà dell’incantesimo!)

    Maledizione:
    CITAZIONE
    HTML
    <div class="card objs LIVELLO oscuro">
    <h2>NOME_INCANTESIMO</h2>
    <p><b>Formula:</b> <i>formula_qui</i>. ++ descrizione_incantesimo (Cosa fa, come funziona, ecc)</p>
    <h6><span>info_incantesimo (verbale, non verbale, colore del fascio, gesto della bacchetta, ecc)</span></h6>
    </div>

    Contromaledizione:
    CITAZIONE
    HTML
    <div class="card objs LIVELLO guarigione">
    <h2>NOME_INCANTESIMO</h2>
    <p><b>Formula:</b> <i>formula_qui</i>. ++ descrizione_incantesimo (Cosa fa, come funziona, ecc)</p>
    <h6><span>info_incantesimo (verbale, non verbale, colore del fascio, gesto della bacchetta, ecc)</span></h6>
    </div>
  2. .
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    quello era un po il problema delle role evento: bastava girarsi un attimo e succedevano un miliardo di cose.
    Eugene Jackson, però, era abituato ai recuperoni strategici — non lasciava mai indietro nessuno.
    [ prima ] sollevò lo sguardo sulla figura familiare dell'uomo, quando la voce del peetzah gli giunse alle orecchie; un battito di ciglia volutamente languido, perché sotto quell'involucro ben confezionato rimaneva il solito coglione immaturo con una propensione per frivolezze e provocazioni. poi, voglio dire, non era colpa di euge se piz stava chiaramente in astinenza «smooth» le labbra corallo si distesero in un sorriso, mentre osservava il giovane dal basso verso l'alto senza accennare ad alzarsi; se proprio voleva continuare la conversazione, poteva sedersi lui «anche se non mi piace il messaggio implicito» si rabbuiò appena, un sottile ruga a solcare la fronte proprio in mezzo agli occhi chiari «stai dicendo che prima non ero una bomba sexy irresistibile?» non era affatto quello che aveva detto Morley, ma alle orecchie del Jackson arrivava - da sempre - solo quello che voleva lui.
    non tanto un meccanismo di difesa, quanto di offesa.
    «come procede?» seguì lo sguardo del minore fino al proprio ventre, una curva appena accennata sotto lo strato sottile di stoffa color lavanda. vi batté sopra il palmo della mano, come un camionista qualunque (e perché proprio Lara) dopo un buon pranzo a base di trippa e fagioli «ho smesso di vomitare a spruzzo come un idrante» ah, le gioie del primo trimestre — aveva marchiato a fuoco ogni momento passato con la faccia sul gabinetto, la fottuta tachicardia random che lo faceva svegliare quasi ogni notte, la voglia di morire (reale. tangibile) ogni volta che qualcuno accanto a lui mangiava una fetta di formaggio (meglio che diventare intolleranti al caffè, tbh): eppure sorrise comunque. così dolce, e perso, da non lasciare adito a dubbi.
    la amava già, rude.
    un fagiolo di dieci centimetri che presto si sarebbe fatto strata attraverso la sua vagina nuova di zecca facendogli provare tutte le sfumature del dolore possibili e immaginabili.
    ma era sua. quello, a piz, non poteva spiegarlo. in compenso aveva un sacco di altri fun facts «lo sai che ha già le unghie?» hhhhhh terribile, orrendo, bloccato.
    l'arrivo di jade fu provvidenziale — il prossimo step sarebbe stata la descrizione minuziosa dei cambiamenti ormonali che stavano avvenendo nel suo corpo, dimensione maggiorata dei capezzoli compresa: morley peetzah non era davvero pronto per quel discorso. «oh, bubi» alle parole che il biondo rivolse all'allenatore, eugene reagì portando entrambe le mani intrecciate sotto il mento, un principio di rossore a tingere gli zigomi alti e quegli heart eyes che riservava per Jaden Beech da quando ne aveva memoria. praticamente lo sticker di SpongeBob, but make it fashion «la tua cotta per me sta diventando palese»
    6149_ret
    non abbastanza, evidentemente, perché jade si convincesse a fare il lavoro del Signore chiedendogli di sposarla, ma su quello euge stava ancora lavorando — il piano era semplicemente passato da quinquennale a decennale «sai cosa, dovremmo trovare una ragazza a Piz» disse, mentre suo figlio spiccava il volo e veniva catturato giusto in tempo dalle braccia forti e muscolose (mlmlml) di Jade; e batté anche una mano sulla spalla altrettanto muscolosa (euuuu cosa non fanno gli ormoni della gravidanza aiuto) del peetzah «o un ragazzo. una creatura. magari un candelabro. ho sentito di gente a cui piace pulire soprammobili leccandoli» quel video della tipa che lucidava le palle con tanto di gemiti in sottofondo viveva rent-free nella mente del professore, e per un attimo mentre lo guardava si era sentito come i suoi studenti all'ultima lezione: violato «qualunque cosa, davvero» sottolineò l'offerta con un sorriso, che era tipico del Jackson anche se distendeva altre labbra — si poteva dire tutto, del trentaduenne, tranne che non fosse disposto a farsi in trentatré per un amico.
    poi non era detto che all'amico in questione piacesse il suo modo di rendersi utile (vedi: quell'ingrato di nathaniel), ma a quel punto già non era più un suo problema.
    «c'era una signora col vestito tipo troppo uguale al tuo, quindi le ho versato addosso il succo!» no ma dico, si poteva essere più orgogliosi di essere padre? forse, se quelle merdine degli oakes si fossero degnati di dirgli la verità invece di trasferirsi per sfuggire alle loro responsabilità hhhhhh «batti il cinque, bestiola di papà» in contemporanea al richiamo sconvolto di jade, perché questa era la loro relazione on a daily basis. allungò la mano, il palmo teso rivolto all'insù, e quando uran lo colpì con il proprio racchiuse le dita a pugno facendo scontrare le nocche; ci mise qualche secondo, euge, a distogliere lo sguardo quando Jaden si allontanò con il figlio in braccio.
    era uno di quei momenti catartici in cui si rendeva conto che se non fosse stato insieme a lei, non avrebbe mai avuto figli. proprio Eugene Jackson, che aveva ancora bisogno di una tata ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette; che non era mai sfuggito dalle responsabilità semplicemente perché non conosceva il significato della parola — aveva fatto cose orribili, senza battere ciglio. basava il proprio sistema morale su delle priorità che la società moderna non avrebbe approvato, e non gliene fregava comunque un cazzo di niente. non era tagliato per fare il padre, Eugene, semmai il figlio: aveva sempre cercato una famiglia, insinuandosi di prepotenza nelle vite degli altri per ritagliarsi il suo piccolo spazio e piantare le tende.
    eppure.
    «ugh, ci risiamo. piz, sii cavaliere e trovami un fazzoletto, sento arrivare una crisi mistica
    giusto perché mancavano dieci minuti all'inizio della cerimonia.

    [dopo] «”ti amo”»
    «ti amo, william»

    ma tu guarda quelle due merdine infami.
    avrebbe voluto sporgersi verso gli invitati ancora seduti ai loro posti e interrompere quel momento così intenso con una battuta tipo "e me li sono fatti tutti e due!" (è canon, will. you can't wake up, this is not a dream), ma per qualche ragione (gli ormoni), dalle labbra non gli uscì che un suono strozzato. poco male, poteva sempre tenersela per il brindisi «bastardi» sussurrò, interpretando così al meglio il suo ruolo di testimone della sposa, la mano libera dal bouquet di fiori a tamponare inutilmente le lacrime miste a mascara colate lungo le guance — Madonna se gli avevano rovinato il trucco!!!
    maledizioni a parte, non poté comunque fare a meno di avvicinarsi ad entrambi, ormai marito e moglie, avvolgendo loro la schiena con le braccia, la fronte poggiata sulla spalla di William «sono: provato. e vi odio, è giusto che lo sappiate» che nel linguaggio universale tradotto significava amarli oltre ogni confine possibile e immaginabile. dopo tutto, avevano condiviso ben più di un muro contro il quale graffiare la pelle. al contrario degli akerrow e del loro slow burn, per Eugene Jackson era sempre una questione di love at first sight.
    solo quando partì la musica si decise a lasciarli andare, decisamente un po a malincuore «mi devi un ballo, barrow. considerato il triste cantiere nel quale mi hai abbandonato» e si, parlava di Hogwarts: senza William, euge rimaneva l'unico prof divertente :( ma mica se l'era legata al dito, figurarsi. rivolse le iridi chiare allo spiazzo che fungeva da pista da ballo, incrociando per un istante lo sguardo divertito di heidrun intenta a replicare (canon) la coreografia di flashdance; le soffiò un bacio, minaccia e promessa: non esisteva una festa, gravidanza o meno, nella quale non potevano concedersi almeno una slow dance guancia a guancia (per commentare gli outfit degli invitati)
    in mancanza della cochina bisognava trovare soluzioni alternative.



    «marcus»

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    euge:
    prima della cerimonia parla con piz e jade
    dopo va a importunare gli akerrow, invita will a ballare, soffia un bacio a run ❤

    Marcus non fa niente perché anche stavolta lo scrivo domani.
  3. .
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    barry era: perplesso.
    confuso avrebbe implicato una difficoltà ad elaborare determinate informazioni, ma anche uno sforzo di arrivare all'obiettivo che il biondo non aveva alcuna intenzione di fare. accettava passivamente la stranezza della situazione, l'aura di surreale a sfiorargli la poca pelle esposta — in un gesto meccanico, istintivo, portò la mancina al nodo della cravatta. non per allentarlo (o stringerlo: tentazione spericolata), quanto più per impedirsi di tuffare le dita nella tasca interna della giacca e raggiungere con i polpastrelli la bustina di plastica che aveva affrontato con lui quel viaggetto verso la Francia.
    era troppo presto.
    si dava ancora un'oretta, barrow.
    batté lentamente le palpebre, incapace suo malgrado di distogliere lo sguardo da dove l'aveva posato in modo del tutto casuale già dieci minuti prima; circondato da un viavai praticamente inarrestabile, lo skylinski si era ritrovato immobile, la testa leggermente reclinata verso la spalla, una ruga appena accennata in mezzo agli occhi chiari. in confronto a quello, l'idea di trovarsi al matrimonio dei suoi genitori (insieme alla versione toddler di se stesso ad una decina di metri — brividi veri), con indosso il completo scelto da Akelei e la tentazione di sniffarsi anche la lavanda, aveva quasi un sapore di normalità.
    «ehi ehi ehi, barruly. i miei occhi sono quassù» le iridi grigio azzurre del (quasi) ventitreenne seguirono il cenno delle dita svolazzanti davanti al volto, incrociando lo sguardo divertito del professore ad un'altezza molto diversa dal solito. perché non superava più il metro e ottanta, Eugene Jackson, e certo quelle tette che Barry stava fissando - interesse puramente scientifico - con tanta intensità non le aveva mai avute.
    «cercavo di riconoscere lo stile dell'abito, prof. mica per altro» mani avanti (metaforicamente), l'assistente si chiuse in una leggera alzata di spalle — i have done nothing wrong, ever, in my life; le labbra morbide del professore, in tinta nude per non fare a botte con la stoffa lilla del vestito, si tesero in una smorfia compiaciuta che era tutta eugene jackson™. questo è il momento in cui il mio cervello mi obbliga a sottolineare che a truccare euge può essere stata solo run: immaginatevi la scena come quella del meme, ma con Jade in the background che bestemmia perché non sa se mettere i boxer o gli slippini «e ci sei riuscito? no perché io non ho assolutamente idea di cosa stia indossando» premette entrambe le mani sul seno, aggiustando la scollatura dell'abito con ritrovata serietà «però mi sta da dio» e chi siamo noi per contraddirl* (asterisco obbligatorio). Barry, dal canto suo, non ci provò neppure; così come aveva pensato bene di scacciare la domanda sorta spontanea già al rientro tra le mura di hogwarts dopo la guerra: come.
    il perchè già si sapeva.
    Sul metodo, qualche dubbio gli era venuto.
    Ma barrow skylinski, in un'altra vita Lynch Beaumont-Barrow, aveva militato tra le fila dei corvonero, e in quanto tale possedeva (lo so, non ridete) una fine intelligenza utile non solo a guadagnare soldi di cui assolutamente non aveva bisogno con lo spaccio di pasticche, ma anche a farsi i benemeriti cazzi propri. Aveva valutato i pro e i contro del porre una domanda tanto scomoda al jackson, e alla fine aveva optato per un più sano silenzio/assenso: qualunque cosa facesse dormire di notte il professore, a barry andava più che bene «il colore magari la sbatte un attimo..» euge adorava i freaks. Li considerava quasi come (figli??????) nipotini problematici da portare al parchetto di tanto in tanto, e spesso (unprompted e unprovoked) ricordava loro quanto gli mancassero tra i banchi di scuola, ma l'occhiata che riservò al biondo trascendeva affetto e senso di appartenenza ad una famiglia. Come quando il tuo migliore amico, o il sangue del tuo sangue, decide di rovinare il vostro rapporto buttando sul tavolo un +4 a coprire un'altra carta +4: esistono dei limiti all'infamia, momenti fissati nel tempo arrivati ai quali una persona adulta e perbene deve dire basta «sei su un ghiaccio molto sottile, barruly. Te lo dico.» quei maledetti ragazzini «riparleremo dell'eresia che hai appena pronunciato quando potrò togliermi queste scarpe e salterà fuori l'alcol» il cambio momentaneo di sesso non aveva influenzato le priorità del jackson — alcune abitudini erano semplicemente impossibili da sradicare «potrei sbagliarmi, prof, ma nel suo stato attuale dubito possa bere alcolici» il volto dai lineamenti aggraziati di eugene si rabbuiò: sentivo anche molto freddo e il cielo si scurì; le iridi di ghiaccio fissarono prima la figura immobile dello skylinski, poi si spostarono sul vuoto alle sue spalle.
    Che vuoto, poi, lo era solo nella mente del professore.
    Attorno a loro era già tutto in fermento, gli invitati pronti a prendere i loro posti in attesa degli sposi.
    Ma euge non li vedeva. non vedeva niente. non sentiva niente.
    «sparisci barry, devo rimanere un attimo da sola con me stessa e le mie emozioni» a piangere, perchè gli ormoni della gravidanza iniziavano a giocare un bruttissimo scherzo — dove mannaggia era jade quando serviva????
    domande importanti ed esistenziali alle quali solo arianna può rispondere. Nellattesa cercherò di dirvi le cose davvero importanti nello spoiler, così magari evitate di sorbirvi questa cazzata di post <3 AUGURI AKERROW E BASTA FIGLI IN GENERALE MASCHI!

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    ero quasi tentata di non aggiungere altro e lasciare tutto alla vostra immaginazione, ma mi è stato affidato un compito e le patate vogliono ancora dieci minuti di cottura, so:

    BENVENUTI AL MATRIMONIO AKERROW!
    Cristosantissimo.
    l'evento clou dell'oblivion, quella cosa che aspetti per anni senza nemmeno sapere di stare aspettando proprio lei, e alla fine quando arriva ti coglie totalmente impreparato. Qui ci sono un sacco di emozioni in ballo per molti dei miei pg (e per una volta non implicano la morte di qualquno, spicy), ma non siamo qui per parlare di questo.
    Magari vi sarete chiesti “ma dove siamo?” e la risposta è semplice (sta scritta nello schema role): ci troviamo ad Avignon, nella meravigliosa provenza. Sì, la francia, lo so, non possiamo farci nulla, accettate la cosa così com'è o akelei vi uccide. E' il 3 settembre, pomeriggio inoltrato, diciamo intorno alle 17 — manca circa una mezz'ora all'inizio della cerimonia, quindi se postate prima dell'arrivo degli sposi potete tenere conto di quel tempo per arrivare (i soliti ritardatari che non mancano mai), prendere posto, fare le ciatelle, raccogliere la lavanda.
    Quella di sicuro non manca: un campo quasi sterminato si estende alle spalle del palco che funge da altare per la cerimonia ufficiale, i colori caldi del sole si riflettono sull'erba verde del prato sotto i vostri piedi; ogni oggetto, ogni decorazione che vi appare dal momento in cui arrivate richiama inevitabilmente le sfumature del fiore sopracitato, e il profumo vi avvolge con una delicatezza inaspettata.
    Davanti al palco di olmo chiaro sono state disposte tot (non so quanti siete.) file di sedie, drappeggiate con tulle di diverse sfumature del rosa e del viola; al centro, a dividere gli invitati della sposa da quelli dello sposo come tradizione vuole, un lungo tappeto contornato sui lati da cestini in vimini colmi di fiori. Ora, sto andando a braccio quindi se poi c'è qualcosa da sistemare di diverso ci penserà elisa sposa dell'anno <3
    non potete ancora fiondarvi sull'alcol, i tavoli per la cena e il ricevimento vero e proprio (con l'obbligatoria pista da ballo, get yourself fucking ready) si trova in una diversa zona: siete qui per sniffare la lavanda (come barry), riposare le vostre stanche membra (come euge), piangere un po per l'emozione (sempre euge), scambiarvi gli ultimi gossip (ad un matrimonio: vecchio classico intramontabile), o chiedere al buon skylinski una pasticca (warflashback letterali).
    Ho sicuramente dimenticato qualcosa, nel caso chiedete (non a me <3)
    ah si, ecco:
    TEMPO PER POSTARE L'/INGRESSO/ FINO ALLA MEZZANOTTE DI DOMENICA 1 OTTOBRE, poi inizierà la cerimonia e la festa vera e propria (potrete ovviamente partecipare anche senza aver postato prima di domenica). troverete il bellissimo stupendo meraviglioso fantastico schema role nella sezione apposita, posso percepire elisa vibrare anche da qui 🙏


    Edited by ambitchous - 28/9/2023, 18:50
  4. .
    eugene jackson
    People tell you you can be
    Anything you wanna be
    Wanna go to outer space
    Superhero in the streets
    God damn what a lie
    What a time to be alive
    How have I survived?
    aveva già provato quella sensazione, Eugene.
    compresso
    disassemblato
    la carne a lacerarsi e ricomporsi
    i polmoni strappati dal torace
    cuore in gola e
    un tutt'uno diviso in mille pezzi
    non così; ovvio.
    più una questione di mente che di corpo — il suo, preso e spremuto fino all'ultima goccia.
    sai cosa si prova ad avere qualcuno che ti scava nel cervello?
    akelei beaumont non aveva risposto; non serviva, cazzo. avevano ucciso insieme quel dolore, nel senso più letterale e terribile del termine. complici, nel tentativo velleitario di ricomporre una parte del Jackson perduta per sempre.
    mi dispiace, euge.
    e di nuovo quella certezza che qualcosa lo stesse afferrando dall'interno, denti aguzzi a mordere e tirare, solo per sputare i pezzi con sdegno; ferite aperte e mai richiuse.
    sua sorella, morta.
    una fottuta candelina in più sulla solita cazzo di torta — sono le 3, lardina, e la gola a stringersi e stringersi e stringersi.
    se non respirano significa che sono morti.
    ancora, ancora, il ritmico battito di un martello a calare sul cranio, occhi sbarrati sull'inevitabile. sapeva di ferro e terra, l'aria. di sangue e pioggia, l'erba.
    una lacerazione dopo l'altra
    (quale bomba)
    (grazie per essere con me, Eli)
    (tutta la vita)
    (rearearea)
    strappato a se stesso e poi da loro.
    ricomposto, di nuovo — se muore uno muoiono gli altri due.
    cristoddio.

    aveva inghiottito ossigeno e polvere, Eugene Jackson; gli occhi blu spalancati su un mondo nuovo. rimesso insieme pezzo dopo pezzo, incollato alla bell'e meglio. non più a Brecon (fottuta Brecon), ma nel mezzo della tragedia più vera: roccia e sangue e terra e— mi dispiace
    ma vaffanculo, Lancaster.
    e—signor Abby.
    forse non il momento più adatto per chiedergli i tre favori: non mentre spezzava il collo di una ragazzina. più tardi, magari. che in fondo era sempre troppo tardi, una regola fondamentale sulla quale euge aveva basato tutta la sua vita. guardò gabe, e solo lui: quello che c'era e poi non c'era più; quello che era stato, e non sarebbe potuto più essere. di nuovo impotente, ancora una volta inutile.
    un pezzo alla volta.
    un brandello e una libbra di carne tagliata via senza consenso.
    una lotta impari, alla quale il trentaduenne non avrebbe mai potuto abituarsi; quello che gli era concesso, l'unica cosa rimasta da fare, era sbattere la testa — forte, contro ogni cazzo di muro di cemento che la vita decideva di mettergli di fronte, finché una delle due cose alla fine non si fosse spaccata. era sempre stato il muro.
    mentre guardava suo fratello perdersi, morire, tornare indietro, perdersi un po di più; quando lo sguardo attonito gli si posò su hunter e halley (e che cazzo aspetta la. gente a dirgli la verità? io boh.), il gesto inconsulto del primo e lo sgomento della seconda; nel sentire vibrare il terreno, e sapere, sapere, che la loro magia era perduta per sempre — avrebbe fatto a cambio, se avesse potuto. che al Jackson di quei quattro trucchi da illusionista non era mai fregata una minchia di niente.
    e fu lí che gli venne il dubbio. quante volte poteva sopportare di farlo ancora? sbattere la testa on repeat sperando fosse sempre il muro a spaccarsi e non le ossa del cranio?
    sapete cosa.
    per sempre rimaneva l'unica opzione accettabile.
    insieme a

    «da bambino eri un gran rompicoglioni» una risposta atipica per un saluto atipico.
    un bambino che aveva ucciso due milioni di persone in pochi istanti.
    che aveva dentro di sé ben più di un'ombra, qualcosa che il Jackson non poteva sopportare al suo posto.
    e quindi?
    non cambiava un cazzo.
    gli sorrise, incapace di fare altrimenti, le mani a sprofondare nelle tasche; uno sguardo distratto alla bottiglia e alla rivoltella (la propria, di pistola, euge la teneva coperta dalla maglietta, la canna bloccata tra la pelle e il tessuto ruvido dei jeans. pronta. non per gabe, si intende — forse. poi le iridi chiare passarono oltre, lo sguardo ammorbidito dai ricordi: non sempre belli. come avrebbero potuto (nel mulino che vorrei... sono tutti felici e gay, cit.) non era rimasto più nulla, solo uno spazio vuoto che nessuno dei due poteva, o voleva riempire; motivazioni diverse, lo stesso risultato.
    «eh, porca puttana» sul gradino non si sedette, Eugene: ci si lasciò cadere. I gomiti a premere contro le ginocchia, il mento appoggiato ai palmi delle mani. soli in mezzo al nulla, e dio solo sapeva quante volte fosse già successo
    (fergie?
    si?
    un giorno tutto questo sarà tuo
    dai non dire cazzate euge
    ma ci baci nostra madre con quella bocca, minchione?
    tu pensa a baciarmi il culo
    ah, fergie!
    )
    poteva concedergli di guardarlo negli occhi, e lo fece. non si sarebbe tirato indietro, il Jackson, mai; soprattutto quando non aveva nient'altro da offrire. una spalla su cui piangere, forse — più probabile uno sfogo diverso: un bicchiere pieno, un pugno chiuso «quando arriverà quel momento, bubi—» sentì grattare, e solo in seguito si accorse che non era la gola a prudere; scavava più in basso, unghie ad affilarsi contro le costole. quelle che qualcuno gli aveva rimesso in sesto, dopo che qualcosa gliele aveva sbriciolate: giusto un paio. ma non abbassò lo sguardo; ancora una volta, gabe non se lo meritava «non dovrai nemmeno cercarmi. sarò già li»
    come aveva detto qualcuno, toccando tasti che non andavano assolutamente toccati:
    listen baby.
    e sapete cosa.
    non c'era nessuno, assolutamente un cazzo di nessuno.
    erano soli, euge e gabe.
    euge e jane.
    euge e fergie, cristo santo.
    gli unici rimasti.
    prese la bottiglia dalle sue mani, sfiorando la rivoltella nel breve tragitto, senza spostare l'arma di un millimetro. la mano libera, delicata come non era stata mentre soffocava e spaccava e premeva il grilletto, gliela posò sui capelli — piano, solo un tocco leggero dei polpastrelli tra le onde castane.
    «posso?» non aveva bisogno di rispondere, eugene. sarebbe potuto rimanere in silenzio, osservando le palpebre serrate del ragazzo conscio di quanto blu fossero i suoi occhi dietro a queste; erano sempre Stati di quel colore, una sfumatura talmente intensa da costringere chiunque ad abbassare lo sguardo.
    meritava di più, del silenzio assenso.
    di una lieve scrollata di spalle, leggera come lo erano state sempre le parole scambiate tra loro: una maschera per negare l'evidenza, quando l'evidenza faceva troppo male. gliele doveva, euge, quelle parole dette ad alta voce; sussurrate, perché non era rimasto più nessuno ad ascoltare «tutto quello che vuoi» e diceva sul serio, il jackson.
    just call my name
    i'll be there in a hurry

    eccetera, perché fa troppo male riascoltarla.
    perché avrebbe fatto quello che il fratello gli chiedeva, euge, qualunque cosa fosse.
    gli tirò leggermente una ciocca di capelli, prima di riportare l'avambraccio a premere contro il ginocchio, il collo della bottiglia stretto tra le dita e poi a contatto con le labbra; un sorso, due. un brivido «fa veramente schifo, porca miseria» per poco non si sbrodolò, lasciando che la risata stretta in gola si liberasse, roca e insensata e intensa quanto un pugno nello stomaco; una badilata sui denti «ah, cazzo» si premette una mano sul fianco, la guancia a strofinarsi contro la spalla destra per asciugare una lacrima sfuggita alla barriera delle ciglia «le costole»
    un dolore fantasma, quello.
    indelebile.
    «bro?»
    aveva trentadue anni, Eugene Jackson — ancora da compiere, e si sentiva come se a gravargli sulle spalle ne avesse almeno il doppio; il triplo. poi, il pensiero volò a jade. a uran. a run. al nuovo mondo che non poteva fare altro se non accettarli. a gabe, a jane, a fergie, che quel nuovo mondo aveva già contribuito a plasmarlo, e avrebbe potuto distruggerlo «tutto quello che vuoi» ripeté, definitivo.
    non provò nulla, il Jackson.
    nulla tranne il sollievo; così potente da spaccargli il cuore.
    e chissà cosa diceva questo di lui, alla fine.

    gif code
    bro
    1991
    dark arts
  5. .
    eugene jackson
    that's a crazy idea.
    insane.
    it doesn't make sense.
    "you'll do it?"
    "of course" i replied.

    «oddio. Vieni anche tu?»
    avrebbe potuto anche risentirsi, per quel tono sorpreso. come se non fosse scritto nelle stelle del firmamento che era destinato a starle appresso — fino a che morte non li separi.
    ma poteva anche concederle il seme del dubbio, considerato il contesto: era cambiata, la vita di eugene; non lui, lui mai, sebbene avesse fatto uno sforzo per smorzare quello che in passato non aveva nemmeno lontanamente pensato di dover smorzare. la propria irruenza, l'agire distinto, il lasciarsi trascinare in avanti dalle emozioni.
    tutte, nel dubbio.
    «ogni volta che ne ho l'occasione, heidrun» e di occasioni ne aveva avute e ne aveva ancora tante, Eugene Jackson. ma non siamo qui a parlare della sua APPAGANTE E MERAVIGLIOSA vita sessuale. anche se il discorso successivo risultava in qualche modo interlacciato: no, non perché pensava di provarci con Abby per ottenere i suoi favori.
    unless?
    «se avessi un pene. Giuro. In questo momento avrei un erezione» il sorriso del professore si ampliò, mettendo in mostra incisivi e canini, iridi cerulee a cercare istintivamente la figura puzzolente di Spaco per urlargli un 'ALLA FACCIA TUA', senza trovarlo. chissà cosa cazzo era andato a fare: spaccare bottiglie in testa alla gente, probably. good for him, pensò, avvertendo chiaro nello stomaco l'antico desiderio di prenderne in mano una e ficcarci dentro lo straccio unto che il gestore del locale usava per pulire il bancone (sempre lo stesso, mai lavato) — troppo tempo che non lanciava una molotov, in effetti.
    «la apprezzo come fosse un'erezione vera» davvero, been there done that. euge bisexual cowboy icon eccetera eccetera. scosse la testa con convinzione, però, quando run accennò all'idea di farsi pullare da Abby un bambino già fatto: per qualche motivo non poteva accettarlo. forse perché in cuor suo voleva davvero partorire con dolore, Eugene, chi lo sa. non rob. è un momento difficile.
    «ma sai che—» aveva sempre sognato di avere le tette, in effetti.
    giusto per capire la sensazione, no?
    e la vagina??? UN SOGNO. forse. magari lo avrebbe scoperto alla fine della quest, ammesso di uscirne vivo. a differenza di altri pg di rob che non nominiamo perché porta male, euge qualcosa che lo spingesse a sopravvivere ce l'aveva: jade, uran, run (di gemes ci importa? no ciao gemes insegna ai bodiotti la Santa messa), i casta, i comacolla. cazzo, persino i suoi studenti.
    forse gli stava poco a cuore la loro incolumità — ma era mai morto davvero qualcuno alle sue lezioni? TRAUMI A VITA? (si) no; forse ogni tanto mostrava di avere delle priorità che male si sposavano con l'istruzione e la formazione delle loro giovani menti (anche se i video porno soft erano tutta cultura).
    però li amava.
    quelle bestiole.
    alcune piu di altre, perché erano feral gremlins come lui da ragazzino e gli facevano venire nostalgia dei vecchi tempi.
    «credo sia il caso di recuperare spaco» disse, sollevando il braccio per indicare alla crane l'uomo davanti alla vetrina. stava effettivamente spacando botilia e ammazando familia, con la forza e l'audacia di un ventenne carico di ormoni e adrenalina «a meno che tu non voglia andare a dargli una mano mentre io mi faccio insultare da jade» ci pensò su un istante, tirando fuori il telefono dalla tasca della giacca «potrebbe diventare una sex call molto in fretta» magari dopo aver salutato anche suo figlio, chissà!

    avevo anche pensato al dialogo. senza la altre sessuale.
    .
    ma non me la sento.
    non sono pronta.
    non è il momento giusto.
    JADE TI AMO SE SOPRAVVIVO NON MOLLARMI

    gif code
    1991
    casta
    prof
  6. .
    edward moonarie
    any plans to stop?
    yes i intend to call it quits whan i'm dead

    swag non aveva avuto un padre che gli insegnasse ad andare in bicicletta, o allacciarsi le scarpe; eddie non aveva avuto un padre che gli insegnasse ad andare in bicicletta, o allacciarsi le scarpe.
    visto? tornava tutto.
    (tranne ham e lemon e questa cazzata)
    perché un signor dubois c'era stato, per un po, anche se non gli aveva insegnato nulla di utile tranne forse nei suoi ultimi istanti di vita: gli esseri umani si facevano fregare troppo facilmente. e eddie, la sua scelta di non esserlo (umano), l'aveva già fatta da prima — inconsciamente, forse, ma in modo così radicale che non poteva essere cambiato.
    doveva aver dato troppo in quell'altra vita, e si era ritrovato con un (bidone della spazzatura - cit.) buco nero nel petto che fungeva da muscolo cardiaco. lo teneva in piedi, pompava il sangue nelle vene, spingeva l'ossigeno dove il suo corpo lo richiedeva, e poco altro.
    ma questo non voleva necessariamente che non fosse in grado di provare emozioni — è che di solito erano le più sbagliate in ciascun contesto.
    come: «io mi prendo i bambini» orgoglio? nei confronti di un ragazzino che sarebbe potuto essere (unironically) suo figlio, come se gli stesse mostrando una pagella piena di 10 invece che elencare le vittime preferite per uno scippo — si.
    l'emozione sbagliata nel contesto sbagliato.
    «ricordi cosa fare se hanno un palloncino, giusto?» sapeva di aver addestrato bene i suoi discepoli, Eddie, ma voleva comunque sentirglielo dire. ad alta voce.
    ovviamente swag lo sapeva (GLIELO BUCO! ) e il moonarie annuì, in pace con il mondo; per poco, solo qualche istante di quiete prima della tempesta. un'immagine sinceramente raccapricciante, perché un Eddie tranquillo e beato non portava mai a niente di buono.
    e infatti stava mica per scoppiare una guerra?
    la presa sulle spalle dello svervegese si fece più forte, febbrile, un sorriso tutto denti a piegare verso l'alto gli angoli delle labbra: non era colpa dell'ex Serpeverde, se dopo un po sputare nella vaschetta del gelato alla fragola e scippare la pensione alle vecchie gli veniva a noia! aveva sempre bisogno di novità, Eddie, qualcosa che lo tenesse occupato da bravo Gremlin qual era. accanirsi su dick e Barbie rimaneva sempre l'opzione più affascinante, ma di fronte a quel casino di proporzioni epiche non si poteva nemmeno fare il confronto.
    la cosa piu bella, e nemmeno tanto sorprendente, era che Edward Moonarie non avesse davvero un motivo per schierarsi con Abby; o contro di lui, se era per questo.
    neutrale caotico, per natura e per scelta — andava dove fiutava l'errore, e l'orrore. certo, avrebbe potuto portare un po di fun al prevedibile funeral dei martiri pronti a combattere contro il daddy psicopatico, ma voleva? eh. magari a metà battaglia, chissà.
    come girava il vento.
    «AH, NO! LO SO! Sputare nella borraccia di Barbie» diede a swag un buffetto sulla guancia, iridi limpide come il cielo d'estate a posarsi sul ragazzo. ah, l'orgoglio nei confronti delle proprie bestie, impareggiabile «ci ho già sputato questa mattina a swaggy, stai al passo, ok? parlavo del tizio sul palco. » quello che preventivava un genocidio, si.
    non li facevano più quegli uomini lì, sigh.
    «potrebbe essere divertente» parve pensarci su, Edward, osservando il ragazzino davanti a lui, la stretta delle dita finalmente allentata «di sicuro si muore. hai fatto testamento?» perché lui si.
    lasciava a Richard tutti i suoi nudes (tanti), e i suoi debiti (tanti) .
    a Barbie una collezione di portafogli rubati.
    a mads il segreto per riconoscere i gelati con le aggiunte speciali e evitarli.
    alla gang del bosco i soldi nascosti nel materasso, così si compravano finalmente dei vestiti decenti.
    «ti conviene anche dire addio, se hai qualcuno che sentirà la tua mancanza» con la testa reclinata verso la spalla, Edward osservò swag e smise di sorridere; era veramente interessato all'argomento, sapete? lo incuriosiva sempre, come le persone affrontavano il dolore e la perdita — o anche solo l'idea di poter andare al creatore. Eddie si era sempre limitato a pensare una cosa sola, quella fondamentale: se doveva morire (e prima o poi lo avrebbe fatto, mica era mortino) allora voleva farlo con il botto. meritandoselo.
    ma dicci di più swag.
    raccontaci come vivono le persone normali, se ne sei capace.


    gif code
    1987
    deatheater
    2043!
  7. .
    eugene jackson
    that's a crazy idea.
    insane.
    it doesn't make sense.
    "you'll do it?"
    "of course" i replied.

    «perchè me lo merito»
    una persona normale avrebbe preteso di più.
    nella stessa, medesima situazione, quelle quattro parole masticate a fatica non sarebbero dovute bastare — ma Eugene Jackson guardò Heidrun Crane negli occhi: come l'aveva guardata per la prima volta, e una seconda, e una centesima; in missione, nel proprio letto, in quel cazzo di capanno; distesa su un prato, in una foto, sulla soglia di casa, su quello stesso sgabello.
    la guardò e non pretese niente di più.
    avrebbe voluto dirglielo, sollevare una mano e premere il palmo sulla bocca della ragazza, ma all'ultimo decise non fosse il caso. aveva pure il diritto di tirare fuori quello che si teneva dentro, Run. non era forse lui la persona giusta con cui farlo?
    euge credeva di si.
    ne era sempre stato convinto.
    «non importa che abbia ragione o meno. Se dichiara guerra ai babbani, siamo fottuti. Significa che sapranno tutti della nostra esistenza, che ci piaccia o no» avrebbe voluto tornare indietro, euge, a quei tempi in cui ancora ragazzino l'unico suo pensiero era stato di vendetta — ne riconosceva il sapore, un rimasuglio sulla punta della lingua; amaro, finché non si riusciva ad inghiottire. e l'aveva fatto, il Jackson, una mano a cercare quella di akelei beaumont trovandola grondante di sangue.
    si lasciò sfuggire un sospiro, iridi grigio azzurre a passare in rassegna un locale improvvisamente svuotato; persino spaco, persino lui, li aveva abbandonati per controllare che all'esterno non ci fossero disordini — troppo tardi, vecchio bastardo.
    «sai—» testa reclinata e un accenno di sorriso sulle labbra, euge tornò a voltarsi verso la mimetica; le prese il volto con entrambe le mani, avvicinando la fronte alla sua finché quelle due teste di cazzo che avevano non cozzarono tra loro con un sonoro (ma intimo, familiare) boink «mi avevi già convinto a perchè» vero. sottone. come tutti i pg di rob, una condanna.
    le diede nuovo spazio, lasciando andare la presa per concentrarsi sul bicchiere rimasto a metà: emanava un tale tanto di benzina che ad usarlo come molotov avrebbe fatto esplodere l'intero spacobot «non te l'avrei mai chiesto» non era quel tipo di persona, il Jackson.
    apprezzava chi si prendeva le responsabilità delle proprie scelte, come stava facendo lui in quel momento.
    cristo
    «dici che jade ci manderà a cagare? » solo te euge, solo te. il sorriso si allargò ancora di più, a quel pensiero, perché in cuor suo il professore era certo che la Beech avrebbe capito (ma ti mena comunque se torni, accettalo), e con il bordo del bicchiere già appoggiato contro il labbro inferiore piegò il capo per osservare run da sotto le ciglia «potrei avere dei favorì da chiedere al buon Abby, sai? ha riportato in vita un sacco di gente, secondo me qualche altro miracolo può concedermelo» bevve un sorso, poi sollevò il pollice «intanto i comacolla canon. endgame. e che cazzo. cioè sono dieci anni che cerco di accasare Nate, ho anche io i miei diritti» e intanto la gente fuori urlava, si menava, andava nel panico.
    amatours
    sollevò l'indice «poi senti.. a lezione sono successe cose. sai che ti ho raccontato della nave.. dai, hai capito» per forza. non aveva guardato fino in fondo perché era un SIGNORE, ma non serviva arrivare alla parte porno soft per scippare moodino e il suo [uccello] capitano «magari Abby può fare in modo che le cose funzionino. age gap permettendo, non tutti sono come nate» eh. con sua sorella poi. anche se fingiamo di non saperlo. bestia.
    sollevò il dito medio.
    bevve di nuovo.
    qualcuno venne sbattuto (probabilmente da spaco) contro la vetrina.
    «e poi voglio capire se posso rimanere incinto»
    mh.
    «cosi risparmio la sofferenza a jade» priorità, scusate.
    le sorrise, con maggior convinzione, appoggiando la spalla contro la sua, la mano libera ad intrecciare le dita attorno a quelle più sottili di lei. probabilmente era giusto che finissero così, come avevano cominciato: dicendo cazzate insieme.



    gif code
    1991
    casta
    prof
  8. .
    eugene jackson
    that's a crazy idea.
    insane.
    it doesn't make sense.
    "you'll do it?"
    "of course" i replied.

    «è più una vocazione»
    ok, ho copiato la cosa sbagliata ormai rimane così, ciao cory.
    Eugene Jackson diede una rapida occhiata al tizio che gli stava seduto di fronte, iridi grigio azzurre fisse in quelle decisamente più liquide e distanti dell'altro; avrebbe potuto rifiutare la sfida, lasciar perdere: dopotutto non era nemmeno pomeriggio inoltrato.
    ma se c'era una cosa che il professore non riusciva a fare era girare le spalle ad un 'scommetto che—'. quante cazzate aveva fatto euge out of spite solo per vincere una scommessa? per dimostrare a qualcuno che la parola limite nel suo vocabolario non esisteva? tante.
    più probabilmente troppe.
    «vocalone un cazzo, manda sciù» e vabbè. passò i polpastrelli sul bordo del bicchiere (bottiglie di rum con la salmonella? ah, amatours) senza distogliere lo sguardo dal volto rubizzo dell'altro. sentiva run scambiare amorevolmente opinioni con Spaco al bancone, e quello era l'unico motivo per cui non aveva ancora messo fine a quella farsa.
    no, non è vero.
    voleva arrivare fino in fondo e schiacciare quel figlio di puttana.
    inarcò un sopracciglio, l'ex Serpeverde «ogni tuo desiderio è un ordine» aveva un bel sorriso, Eugene Jackson, e lo usava sempre quando ne aveva l'occasione; perché era rassicurante, ed era morbido, ed era convincente. non che all'ubriacone dall'altra parte del tavolo interessasse — ma si fece convincere comunque. di potercela fare, perché in fondo quel ragazzone seduto di fronte a lui era solo un gradasso con la parlantina sciolta e prima o poi sarebbe crollato.
    presero ciascuno il proprio bicchiere tra le dita.
    il liquido all'interno puzzava tanto quanto bruciava: come benzina, come morte imminente.
    con il senno di poi euge avrebbe trovato quella situazione quanto meno kafkiana — lui e run, allo Spacobot, prima della fine del mondo? poteva essere solo un sogno, o un fottuto incubo.
    fece un cenno al suo avversario.
    quello rispose con un doppio occhiolino.
    weird.
    il movimento del braccio fu più o meno contemporaneo, scoordinato, ma i bicchieri arrivarono entrambi alle labbra dei rispettivi proprietari senza perdere una goccia; cos'era quello, il quarto shottino? ci fosse stato dell'alcol vero, dentro, euge avrebbe potuto ingollarne anche dieci prima che si facesse l'ora della merenda, ma la benzina di Spaco andava dosata. e se non ci si era abituati, come il trentaduenne si era abituato ormai da tempo, si finiva per— «jackson, stupido coglione, smettila di ammazzarmi i clienti» ora.
    the disrespect.
    solo perché l'ubriacone non sapeva riconoscere i suoi limiti ed era appena piombato sul tavolo con la bava alla bocca non significava per forza che fosse colpa sua «è la tua brodaglia di centesima scelta che li secca, Spachino, non io» batté il bicchiere vuoto sul legno, facendo sobbalzare la testa del tizio svenuto (o in coma. chi lo sa), prima di sollevare entrambe le braccia «GUARDA HEIDRUN, HO VINTO!» si meritava anche lui una birra annacquata con dentro ingredienti innominabili? si, certo.
    per questo la raggiunse al bancone.
    prese posto accanto a lei, come faceva da sette anni, senza mai mancare un'occasione. con il senno di poi, eh.
    se avesse potuto, Eugene Jackson avrebbe bloccato il tempo in quel preciso istante; aveva avuto giorni, anni, in cui la smania di muoversi e fare e colpire qualcosa era così forte da sembrare un martello pneumatico ficcato in testa. giorni in cui, frenetico e ferale, incapace di stare fermo, coglieva ogni stupida occasione per offrirsi volontario. ma aveva messo la testa a posto.
    si era fatto una famiglia.
    insegnava (male) ai ragazzini.
    faceva edit di video porno soft.
    eppure.
    «era un po' che non si vedeva in giro. mi sa di televendita» guardò fuori, il jackson, dove la gente si era radunata attorno ad uno schermo, mormorii agitati a penetrare attraverso pareti e finestre.
    eppure.
    run lo prese per la collottola, e euge si lasciò scuotere, le dita strette un po più forte intorno al bicchiere «porca troia, euge. porca troia. è serio» le labbra del professore si aprirono — sapeva di voler dire qualcosa, di dover dire qualcosa. le richiuse. c'era un cazzo di psicopatico su un palco che si atteggiava come dio sceso in terra; e c'era heidrun crane, al suo fianco, come fottutamente sempre. «run» avrebbe voluto che la benza di Spaco fosse stata ancora in grado di fargli qualche effetto, euge.
    avrebbe voluto essere meno lucido, meno preoccupato, meno, improvvisamente, smanioso. «cosa cazzo stai facendo.» non c'era accusa nel tono di voce del professore, nemmeno (uno di secondo) l'ombra. pensò alla propria famiglia, Eugene, a quelle persone semplici che di magia non capivano un cazzo eppure lo avevano amato comunque.
    poi incrociò lo sguardo della crane — aveva avuto quegli occhi davanti per una parte infinita della sua vita, euge. legati, a doppio filo, come il destino aveva voluto fin dall'inizio. pensò a quando l'avevano rapita.
    a come si era sentito; la rapidità con cui aveva rinunciato a tutto, rischiato qualunque cosa, per trovarla. a come aveva fallito, alla fine.
    e pensò a Delilah.
    a Jeremy.
    e pensò a jade.
    a suo figlio.
    quel figlio che lo guardava adorante e a volte faceva muovere gli oggetti con il pensiero. un bambino il cui futuro sembrava già segnato.
    «dimmi perché» convincimi, come sara @ rob.
    anche se lo era già, Eugene Jackson — lo sarebbe stato sempre: salti tu, salto io kinda thing.


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    1991
    casta
    prof
  9. .
    barry
    oswald
    master (+5pd) - difensore (anatema)
    barry: balestra
    oswald: lumocineta - bowie
    TEAM PRO ABBY
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali
    prendo i pe per: barry - euge - murphy - jay

    moka
    ekaterina
    apprendista - guerriero (cacciatore)
    moka: elettrocineta - glock17
    ekate: ombrocineta - PP19 (mitra)
    TEAM CONTRO ABBY
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali
    prendo i pe per: ty - clay - check - moka

    euge
    eddie
    master - rogue (sanguinario)
    euge: sig-sauer
    eddie: coltello a serramanico
    TEAM PRO ABBY
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali
    prendo i pe per: joni - marcus - meh - eddie


    SETTIMANA FINALE: barry / euge / moka


    Edited by j e r k . - 27/4/2023, 18:58
  10. .
    CITAZIONE
    «a me sembra abbastanza reale»
    (satan) E non era quello il problema? Che sembrasse così maledettamente, ed in maniera devastante, reale? Che Mood fosse in grado di sentire lo stomaco stringersi alle labbra di Cory sul collo, l'alito caldo a scaldare la pelle, i denti a stringere il lobo e - sai cosa, John Silver, vaffanculo. Spostò le dita fra i capelli biondi stringendo più del necessario, e odió ogni filo a solleticare il polso. Odió il respiro a rincorrersi e il cuore a pulsare sulla lingua. Odió la mano a premere sulla schiena, perché non era abbastanza, e sentirlo così concreto contro il proprio corpo da riuscire ad indovinarne il sapore - salato, si disse. Come il mare e le lacrime di Sara.
    Così caldo.
    E reale. E reale, santiddio.
    «non saresti male come pirata»
    Tiró abbastanza da costringerlo a guardarlo.
    Non che ce ne fosse bisogno.

    — mood

    [adesivo di javi: thinkin]
    [adesivo di Boyle]
    [adesivo di futurama]
  11. .
    gifs25 (ish)captain, thiefjohn cory silver
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    bülow
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    you and me, in an empty room, they can't get in, only room for two. if you play your part and i play mine too, I'll never takes my eyes off you

    acciaio freddo contro la pelle.
    ancora.
    sollevò la testa, il capitano, seguendo la lieve pressione della lama sotto il mento, le labbra asciutte unite in una linea sottile; lo avrebbe guardato comunque — perché voleva, ma se mood preferiva quei metodi chi era John per chiedergli di smetterla.
    a giudicare dalla luce liquida impressa nel suo sguardo, non era esattamente fastidio, quello che stava provando «bellissimo? affascinante?» «qualcosa di impossibile» ah. damn.
    inspirò.
    avrebbe potuto riconoscere quelle fragranze ad occhi chiusi: il bouquet spaziato del rum nelle botti di legno, il salmastro del mare che impregnava ogni centimetro della nave; l'odore acre delle lampade ad olio, quello pungente di polvere da sparo. conosceva ogni angolo, ogni pertugio (cit.), anche il più insignificante scricchiolio. che ci fosse anche il profumo della pelle di qualcun altro, a distorcere la sua percezione, questo Cory non lo aveva previsto — come cazzo avrebbe potuto.
    lasciò andare, liberando i polmoni, testardo nel suo tenere il mento sollevato e gli occhi aperti: non era la morte che temeva, il capitano silver. se mood avesse deciso di affondare finalmente il colpo, forse gliene sarebbe stato persino grato. solo, non adesso, cristosanto, aspetta anche un po'. non si ritrasse al contatto dei suoi polpastrelli contro la pelle, perché era quello che stava aspettando; ed era quello che desiderava, anche se non avrebbe dovuto. potuto?
    «non sei possibile» un guizzo nella mascella, muscoli tesi e nervi a vibrare come corde di violino sotto la pelle; riconosceva la propria rabbia, Cory, anche se non l'aveva mai provata — ricordava di averlo fatto, però. non era sufficiente? forse non per mood, non per il mondo reale che lo attendeva fuori dalla DA. ma lo era per lui, cazzo.
    e questo, con la dimensione di addestramento, non c'entrava proprio nulla.
    con Eugene Jackson e Frederik Faustus, c'entrava ancora meno.
    forse Augustus Campbell avrebbe potuto dare loro una spiegazione, vaga e superficiale, ma l'uomo non era lì con loro; non stava nemmeno guardando. nessuno di loro, per rispetto di qualcosa che non sarebbe dovuto nemmeno esistere, stava guardando.
    «non lo sono?» chiese, incisivi a spuntare da sotto le labbra screpolate, sapore di sangue e tempesta sulla lingua. si sentiva molto possibile, John Silver, forse piu in quel momento che in qualunque altro della propria non esistenza. allungò la mano che aveva premuto sulla ferita al fianco, le dita macchiate di rosso a stringersi intorno al suo polso; gli spinse la mano più giù, senza la delicatezza che avrebbe preferito usare se la frustrazione gliel'avesse concesso, portandosi il palmo di mood sul petto.
    lì, al centro della cassa toracica, sotto la stoffa sottile della casacca di lino cucita a mano rovinata per sempre. dove il cuore gli batteva con una furia riservata solo alle battaglie, e forse era proprio quella che stava combattendo ora — per sentirsi vivo ancora un po. «ti importa cosi tanto che sia possibile?» strinse con maggior forza, raddrizzando la schiena, la tensione nelle spalle a sciogliersi; ma non del tutto. non sorrise, alla domanda di mood.
    sapeva fosse chiaro ad entrambi, che non voleva se ne andasse.
    lo aveva reso così palese da ottenere persino una possibilità ad altri negata.
    ma se voleva sentirselo dire, se poteva cambiare qualcosa esprimere il concetto ad alta voce, poteva accontentarlo «non è quello che ho detto» risalì con le dita lungo il braccio dell'altro, soffermandosi sul bicipite; a premere contro la stoffa, tirando «il fatto che dovresti non vuol dire che io lo voglia» se avesse fatto resistenza, Cory avrebbe tirato di più.
    perché non mentiva, prima: il gioco era finito.
    che cazzata.
    gli rimaneva solo quello, e il respiro di mood sul viso — non poteva ammetterlo, fosse anche a se stesso, ma nemmeno negare un'evidenza che si portava comunque dentro, sotto strati di rabbia e incoscienza e crudo desiderio «lo sai—» le parole gli morirono in gola, labbra serrate tra loro. no, cazzo. fanculo. mood non sapeva: a malapena lo sapeva lui. capitano bastardo di sta minchia [affectionate perché ti voglio già bene mannaggia] «a me sembra abbastanza reale» la nave, loro, quel mondo che non poteva esistere.
    e glielo disse, e glielo provò — le labbra a cercare la gola del ragazzo, una smorfia di dolore soffocata contro la pelle; si era dimenticato delle ferite, e andava anche bene così. risalì lungo la linea solida della mandibola, soffermando la bocca sul lobo del suo orecchio. niente becco questa volta, ma denti. più grezzo, feroce, caldo: era il prezzo dell'essere di nuovo umano, i guess. fosse stato un nemico, avrebbe approfittato di quel preciso momento per puntargli contro la canna della scacciacane.
    been there done that.
    invece la mano libera gliela premette sulla schiena, a mood, a thero, spingendoselo contro, trattenendo — non aveva più tempo per lasciare andare, Cory.
    e comunque, porcaputtana, non ne aveva nessuna intenzione. «non saresti male come pirata» lo aveva visto maneggiare la sciabola; evitare la bottiglia zozza; tentare di affogarsi nel secchio. quell'ultima immagine gli strappò un sorriso che era più un verso strozzato, la gola a farsi carta vetrata e l'ossigeno inchiodato nei polmoni. ah, per tutti gli dei del mare, avrebbe dovuto piantargli gli artigli negli occhi quando ne aveva avuta l'occasione.
    sarebbe stato più facile per tutti, rob e freme comprese.
    glielo sussurrò all'orecchio, anche se non aveva più un pubblico (beh, a parte Jack e William. ma quelli, al contrario della ciurma di studenti, sapevano quando farsi i cazzi propri. they pretend they do not see it) e poi cercò per l'ennesima volta quegli occhi scuri che fingevano di non avere nulla da dire; forse ci stava solo leggendo dentro quello che voleva, Cory. a quel punto se lo faceva andare bene comunque.

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  12. .
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    la lama gli scivolò nel palmo, tagliando la superficie.
    quante volte era già successo?
    aveva dovuto imparare ad usarla, quella spada. fallendo, le gambe a cedere per la fatica, una cicatrice sotto il mento a testimoniare la sua costanza.
    se solo non fossero stati finti, tutti quei ricordi, irreali. se ne rendeva conto solo in modo vago, John Silver, un informazione troppo random relegata in un angolo del cervello.
    non sarebbe dovuta andare cosi ripetè a se stesso, ancora e ancora, in un loop infinito che non poteva interrompersi solo perché era stato sbattuto al muro.
    avrebbe potuto opporre resistenza, ma non lo fece. e non voleva.
    lo sapeva, mood?
    spalle curve e sopracciglia bionde inarcate, occhi come il mare a cercare una risposta — trovandola: certo che lo sapeva. non serviva lo dicesse per forza, perché dal momento stesso in cui si erano visti le parole avevano perso di significato; affinità, connessione (guarda Alessia, what have you done) «capitano,» reclinò la testa di lato, in attesa. gli insulti degli altri mozzi, cancellati — un rumore di fondo simile alle onde del mare stesso, una specie di sciacquettio. pensavano potesse offendersi, sentirsi ferito nel profondo? non avesse avuto il corpo di thero a premere contro il suo, avrebbe confermato le loro parole con un sorriso ampio e tutto canini.
    certo, certo che era un rompicazzo.
    (era un pg di rob.)
    e un ladro, un bastardo, un manipolatore. un giocatore d'azzardo, non solo con dei dadi truccati stretti nel pugno.
    avrebbe chiesto a Balt il sacrosanto favore di riflettere su quanto gli era appena successo — era disposto a sacrificare la propria vita, morire davvero, per salvare quella di un altro? senza la certezza di avere ancora tempo a disposizione, di fronte all'inevitabile dolore paralizzante che solo il terrore di aver lasciato troppe cose in sospeso poteva creare.
    ma aveva il corpo di thero a premere contro il suo, la lama della sciabola ancora stretta nel palmo della mano; una fitta rovente che poteva accettare con facilità. e non disse nulla.
    «cory» quello faceva già più fatica ad accettarlo. safeword. inspirò a fondo, il capitano, sollevando il mento al suono di quella parola come all'arrivo di un pugno — stava letteralmente rinunciando a combattere, John, ma resistere era comunque nella sua natura. scritta da qualcun altro, insieme ad una vita che il ragazzo ricordava perfettamente e non era mai stata vissuta «credevo di sì» sincero, ancora, contro ogni previsione. pensava di sapere tutto, john.
    era cory a non avere una cazzo di idea, non una. non mezza.
    strinse un po più forte la mano sul braccio dell'altro, e le dita intorno alla lama della spada; capiva la violenza e capiva il sangue, Silver. capiva il desiderio e l'urgenza. ma per quanto riguardava qualunque cosa gli stesse succedendo in quel preciso istante, brancolava nel buio.
    «comunque vaffanculo, mio fratello non è un cockblocker» ah, già. il suo pubblico unhinged era ancora lì. inarcò un sopracciglio, lasciando andare la presa sulla spada — ma non quella sull'altro —, il palmo strusciato distrattamente sul bavero della giacca. non ricordava di aver espresso ad alta voce quel giudizio nei confronti di Balt, ma magari liz poteva leggergli nel pensiero (pg17, parental control); oppure «lo fa così spesso che lo sanno tutti? » chiese, sinceramente incuriosito.
    dopo averlo visto con i propri occhi farsi ammazzare (senza motivo.) di proposito, non poteva più stupirsi.
    poi il sectumsempra gli aprì una ferita al fianco.
    e il foramen una alla coscia destra.
    ah, proprio cosi, a brucio.
    si stava giusto chiedendo quando quei tre avrebbero abbandonato la loro facciata rivelandosi per quello che erano: feral little gremlins (ciao bee ❤). nonostante il dolore, che avvertiva solo in un angolo remoto della sua mente, e il sangue a imbrattargli i vestiti —«era la mia giacca preferita.» — non poté fare a meno di concedere loro un sorriso: pirati, alla fine.
    perché era la fine, quella, e john silver lo sapeva.
    0ps, game over.
    abbandonò la stretta anche sul braccio di mood, e lo spinse via; avrebbe potuto liberarsi prima, con una certa facilità, e non l'aveva fatto. ma non voleva guardarlo negli occhi mentre gli si sgretolava tra le mani, come un sogno l'istante prima di svegliarsi. prese posto (si accasciò) su un barile, la schiena appoggiata alle travi di legno alle sue spalle. palpebre calate a nascondere le iridi acquamarina, una mano premuta sulla ferita più grave per la copiosa perdita di liquido cremisi. nero, sotto la fioca luce delle lanterne.
    avrebbe potuto dire qualcosa, ma non disse niente.
    li vide scomparire, solo un'occhiata distratta tra le ciglia bionde.
    e quando la figura di Mood rimase integra, tangibile, dovette fare uno sforzo per ricordare a se stesso che l'ossigeno gli era necessario — ancora per un po.
    lo aveva chiesto, cory, guardando dritto nella telecamera like he's on the office: solo un'opportunità; non che mood la cogliesse. «dovresti andare con loro»
    non andare
    «il gioco è finito»
    resta.
    piegò la testa in avanti, ciocche di capelli biondi a ricadere sul volto. aprendo la giacca (bestemmiò per la casacca rovinata? si) estrasse la pistola: sì, ne aveva sempre avuta una con sé, proiettili rotondi come biglie di ferro e una fatica boia per ricaricare. no, non l'aveva mai usata, anche se un paio di pallottole poteva sparargliele a bruciapelo, con tutte le volte che lo aveva avuto a tiro.
    era andata cosi, ormai.
    la tenne per per la canna intarsiata, appoggiando poi con delicatezza l'arma sul barile accanto al suo; non gli era servita prima, figurarsi ora. e di nuovo puntò le iridi chiare sul volto del ragazzo, senza dire altro — e in qualche modo dicendo tutto, come da prassi.
    mi dispiace, però, non era tra le opzioni. scusa, neanche per il cazzo.
    non voleva pentirsi di aver desiderato qualcosa per sé, cory. di aver ingannato per ottenerlo. il dispiacere prevedeva dei rimorsi, e il capitano non ne aveva: ciò che aveva era un po di tempo, una stiva vuota e il solo rumore del mare come sottofondo. poteva farselo bastare, per un po'.


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  13. .
    un giorno copierò lo schemino di creme, senza scriverci dentro assolutamente niente, ma non è questo il giorno.

    ALLORA.
    mi mancano sicuramente role con Jay, ma non so come proporlo, sta vivendo una vita pacifica.

    • in compenso prima o poi ne voglio una Markino + Rea. pensaci. non devono ler forza parlare di Amos (aiuto), ma sono entrambi non dichiarati, non disdegnano la violenza, fanno un lavoro simile, sono molto belli. e poi è intrigued per la storia di Elijah tenuto sottochiave in cantina, digli di più.
    per Rea ti accollare anche Euge (e) o..... lo dico? lo dico, Eddie, ma una tortura alla volta.

    • Mac ti rubo già con Joni, attendimi che arrivo!!!

    • KUGI!! sono a corto di role anche con Ty e devo rimetterlo su piazza altrimenti poraccio rimane a prendere polvere, visto che vive dai golden magari posso appiopparlo a Fake? lo porti a uccidere qualcuno bonding time tra cugini così gli viene un infarto e finalmente muore? tell me more

    non ho molte idee al momento no thoughts head empty, ma ti butto li anche un feral! Barry che fa sempre bene al cuore, Check e Clay perché è giusto che fatturino pure loro! se hai prompt random caotici sono sempre a tua disposizione freme ❤
  14. .
    CITAZIONE
    Era frustrante, avvilente, lo faceva sentire impotente e inutile, e fuori luogo, quasi di troppo: avrebbe voluto scambiare la sua esistenza e trasformarsi in un più minuto ex corvonero biondino, con il sorrisino timido e le braccia gracili ma dotate di un’innaturale forza, presentarsi alla Peetzah e dirle: “ehy sono Mac, eccomi, sto bene, è tutto bene, posso portarti da Hans, stiamo bene, quindi puoi stare bene anche tu”; avrebbe preferito decisamente quell’opzione a quella di dover restare a guardare senza poter fare niente.

    — Julian

    ❤❤❤❤❤❤
  15. .
    theu don't call me a fucking dumbass shithead idiot for nothing
    when & where
    October '22 | wicked park
    what
    dark arts professor
    who
    bridg3rton

    «non capisco se sia un clown figura-…quello, o se ci sia davvero un un clown» ma di che si fanno i giovani al giorno d'oggi? uno parla di pagliacci di merda malefici e questi ti chiedono se sono reali o un parto astratto della tua mente.
    the disrespect.
    ma euge non aveva né il tempo per spiegare alla kavinsky come girava realmente il mondo, o come la qualità delle droghe fosse - con chiara evidenza - cambiata in peggio negli ultimi quindici anni «quello stronzo ti sembra figurato???» chiese, indicando alla bionda il pagliaccio (in tutti i sensi) appena sbucato da dietro un angolo cespuglioso del labirinto, un passo di lato per mettersi alle sue spalle. se sersha voleva affrontare il male™ nella sua forma più infida e malevola, chi era lui per fermarla. gli dispiaceva soltanto non avere a portata di mano un telefono con cui registrare la scena per mandarla su YouTube.
    «Penso che ci sia stato un malinteso» al Jackson la situazione sembrava abbastanza cristallina (il clown di merda voleva i suoi sudati soldi, punto), ma man mano che la kavinsky proseguiva nella sua spiegazione anche ad euge venne da pensare che qualche dettaglio fosse stato travisato. inarcó entrambe le sopracciglia, osservando l'uomo vestito da pagliaccio Baraldi oltre la testa bionda di sersha «abbiamo fatto sesso?» chiese, sinceramente confuso «no dai me lo ricorderei» erano finiti i tempi in cui Eugene "cadeva a gambe aperte" (cit.) nei letti più disparati con la mente offuscata dall'alcol, così preso a divertirsi sul momento da non ricordare più nulla un attimo dopo; sotto sotto, lo faceva per dimenticare qualcosa dal quale non era mai riuscito a scappare del tutto, ma non ne aveva più bisogno ormai «poi ti pare che tradisco jade per un clown»
    potrebbe aver sognato di aver fatto sesso con jade vestita da clown, ma non era la stessa cosa.
    ok????
    «questo vuole i miei soldi..per darli in beneficenza. avvoltoio» un sibilo soffiato tra i denti, mentre si rivolgeva direttamente alla faccia dipinta di bianco, con quegli occhietti vuoti che rispecchiavano in modo perfetto l'assenza di un'anima. maledetto vampiro, peggio dell'esattore delle tasse. «vero, prof? dopotutto la prostituzione è un lavoro più che legittimo» ma per chi l'aveva preso. corrugó la fronte, portando entrambe le mani ai fianchi «é anche il più antico del mondo, kavinsky. una salvezza per l'intero genere umano» dopotutto, lo recitava anche il Vangelo secondo Spaco: tutta la notte
    coca e mignotte.

    e Eugene aveva sempre rispettato quel comandamento alla lettera, con vigore e devozione.
    «ma quel coso da me non avrà un centesimo. mostro infido. cioe, almeno dovessi pagargli una prestazione sessuale! e invece no, li vuole sulla fiducia» possibile che sersha non capisse? beh, in fondo non erano i suoi soldi che l'essere immondo agognava — a meno che: «ma, ehi, magari lei può farti un'offerta» dissez cambiando improvvisamente tono, rivolgendosi al tizio in costume con entrambe le mani sollevate, un sorriso amichevole dipinto sulle labbra. che tipo di offerta, e se il clown potesse o meno rifiutarla, questo stava alla bionda deciderlo.

    Eugene Jackson
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
207 replies since 25/11/2015
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