Posts written by pipe dream

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    Da lì ad un anno, Bells avrebbe perso tutto quanto di quel momento: il sorriso leggero sulle labbra, e la risata a brillare negli occhi chiari; la fama che l’aveva resa una stella nel firmamento del Quidditch, il posto da titolare nella squadra che sventolava sotto al naso di Ethan; poter vedere come il sole illuminasse il volto dell’Huxley rendendo i capelli fili d’oro. Di quella Arabells Dallaire, sarebbe rimasto solo il cuore – un po’ più feroce ed affilato, forse. Arrabbiato, e con giusta causa.
    Diversa.
    Nessuno rimane mai lo stesso.
    Alla ex Corvonero, era sempre piaciuto un po’ troppo avere ragione.
    Era stato improvviso. Nella Dallaire seduta al fianco del ragazzo, le dita a grattare Sherlock dietro le orecchie, non c’era traccia di quel che sarebbe stato. Beata ignoranza, mh? Così continuava a sorridere, e studiare come le espressioni del biondo cambiassero in continuazione. Aveva l’aria di essere uno spasso come avversario in una partita di poker, magari glielo avrebbe proposto.
    «i rapporti umani sono complicati.» Reale, ma non abbastanza da giustificarne l’allontanamento. Gli scoccò un’intensa occhiata di sottecchi, lasciando che un angolo della bocca si curvasse verso l’alto. Era il fatto che fossero complicati, a renderli interessanti. Mai banali o prevedibili, non del tutto, e sempre...elastici. Non erano orbite attorno a pianeti, quanto più elastici incastrati fra pollice ed indice di entrambe le mani, e tirati: tendevano ad allungarsi, ridursi. Spezzarsi. Annodarsi, quando scivolavano dai polpastrelli. Scottare la pelle in schiocchi secchi. «è quello il punto» osservò, lasciando da parte la vena polemica per ammorbidire il tono in gentilezza. Di natura selvatica, non riusciva ad essere troppo ruvida con mini Huxley, e la sua così palese energia da golden retriever. Voleva, piuttosto, allungare le mani, e fare i grattini anche a lui oltre che al Corgi. «E poi perché ci ha sempre pensato qualcun altro ad essere sempre al centro delle luci della ribalta.» Di nuovo, quell’ombra amara sul viso di Ethan, lo sguardo a rabbuiarsi e farsi distante. Avrebbe voluto chinarsi verso di lui, cercare i suoi occhi, e domandargli dove fosse, ma non lo fece. Lo lasciò vagare, rimanendo silente al suo fianco mentre Ethan ingollava il sapore acre dei suoi stessi pensieri. Non era invidia, a tingere la voce del ragazzo. Era… qualcosa di più complesso, e da cui distolse la propria attenzione per non invaderne la privacy. «Quando era su tutte le copertine per lo scandalo delle Arpie, i giornalisti sono venuti nella Riserva per chiedermi di lui, per avere qualche scoop, per conoscere dettagli sulla scabrosa vita del battitore di Quidditch più chiacchierato del momento. Cosa volevano sentirsi dire? Che era un idiota? Non c’era bisogno dessi loro una conferma.» Sbuffò una risata, perché non poteva dargli torto e perché il fatto che fossero andati alla riserva, sembrava averlo toccato più del necessario. Aprì la bocca per domandargli come si fosse sentito in merito a quell’invasione dei suoi spazi, se odiasse Elwyn perché era stato in grado, senza neanche muoversi, di togliergli anche quello, ma di nuovo, fu abbastanza saggia da tenere quelle domande per sé. Troppo personali per Ethan, e di parte per Bells, che nell’intonazione del biondo non poteva che trovare i bassi borbottii del maggiore che così poco sembrava tollerare. Dovette ricordare a sé stessa che qualunque problema avessero gli Huxley, non fosse suo. Terribile, la tendenza ad infilarsi nelle crepe delle persone che adorava, e cercare di incollarle con mera forza di volontà. Magari poteva andare a qualche incontro per ex alcolisti con Eli, e rubare uno dei loro consigli.
    «Non mi piacciono i giornalisti»
    Mostrò i denti in un ghigno, sospirando il proprio divertimento. Scontato che lei li adorasse: aveva stabilito un funzionale rapporto di utilità fra sé e loro, dove gli scandali la rendevano ancor più folgorante ed il suo nome veniva bisbigliato in ogni numero. «sono una razza a parte» confermò, non senza una punta d’affetto. «sai a chi non piacciono i giornalisti? A chi ha qualcosa da dire, ma non vuole farlo» alzò ed abbassò le sopracciglia, languida ed allusiva. «avete molti segreti, voi huxley?» sì; che ne sapeva, Arabells Dallaire.
    Planare sull’arte del SUB, e su come Elwyn Huxley si inserisse nel contesto, fu semplice. Naturale. La risata della Cercatrice, genuina ed allegra, spolverata di tutto ciò che la rendeva irraggiungibile agli occhi di chi non la conosceva; quella di Ethan, sorpresa e liquida, avrebbe voluto imbottigliarla e fargliela sentire ogni volta che s’incupiva, mormorando un visto? Vai alla grande con le persone, anche se è complicato. Si rese conto che avrebbero potuto diventare amici molto facilmente, lei e l’Huxley minore. Poteva perfino passare sopra al fatto che avesse vestito gli abiti Grifondoro: ce l’aveva fatta per Elijah, Nathaniel e Piz – cos’era uno in più? Poi basta, però. Abbastanza, era abbastanza. «è così strano. ma non ce la faccio proprio ad immaginare lui a commentare un Monet. Non ce la faccio» L’allegria rimase appesa al sorriso della Dallaire, e gli occhi che sollevò sull’altro. Se solo avesse saputo che, oltre a commentare le opere in esposizione, avesse contribuito in prima persona! «te lo mostro subito» Scattò in piedi, un occhiolino alle orecchie sollevate ed all’erta di Sherlock. Disegnò in aria il perimetro di un quadro, mostrandolo teatralmente all’Huxley, quindi inspirò, concentrandosi per entrare nel personaggio.
    Aggrottò le sopracciglia. Forzò le labbra a curvarsi verso il basso. Incrociò un braccio sul petto, e poggiò il mento sopra il dorso della mano.
    «mh.»
    Pausa.
    Roteò lo sguardo su Ethan, sorridendo. «fine. Ma ho deciso una traduzione per ogni mh. un dizionario molto specifico» e creativo: tutti i borbottii dell’Huxley contenevano almeno una metafora filosofica sulla vita, e sul posto dell’essere umano nell’universo. Elwyn non aveva sembrato apprezzare, ma d’altronde, non sembrava mai apprezzare nulla, quindi la Dallaire non l’aveva presa sul personale.
    «Ecco perché mi piacciono gli animali. Perché sono semplici. Ti fanno capire quello che vogliono senza troppi fronzoli, senza mai girarci intorno. Perché riescono a essere felici con poco, perché non sono in grado di mentire o di illuderti. Perché non ti abbandonano.» Oh, baby, who hurt you. Riprese posto al suo fianco, un ginocchio piegato contro il petto e la guancia premuta sulla gamba. Lo osservò seria una manciata di secondi, indecisa su come rispondere. Voleva dirgli fosse proprio quello, il bello delle persone. Come sapessero entrare sotto pelle, e lacerare. Lasciare il segno. «capita che scappino» butto lì, leggera, senza più guardarlo per non rendere la conversazione ancora più pesante. «e si perdano. O succeda qualcosa che gli impedisca di tornare» sospirò, occhi sul prato del parco. «se pensi che non mentano e non illudano, non hai mai avuto un gatto» sorrise bieca, tornando a guardare Ethan. «non così diversi da noi, quindi. dopotutto» e lo pensava davvero, malgrado, come Ethan, fosse stata abbandonata sia dalla sua famiglia, che da quello che pensava essere l’amore della sua vita. Ah, beata gioventù. Felice di essersi lasciata alle spalle quella ragazzina; dei cuori spezzati, la Dallaire, ci aveva ricamato un tappeto, e ci puliva le scarpe ogni volta che entrava nel suo appartamento. «Tu invece? In che tipo di arte ti si dovrebbe cercare?» Ed Arabells, essendo Arabells, rise di nuovo. Più mutata, tenendo quel divertimento personale. Più calda, perché Ethan le piaceva davvero, con quelle domande ingenue e morbide. «quella devastante» ammiccò, perché non poteva farne a meno. Quando, guardando un quadro, si sentiva qualcosa smuoversi dentro – l’emozione viscerale di scoprire le forme per la prima volta. La sorpresa, nell’immergere la mano nel colore, di poter creare qualcosa. Le fotografie scattate quando tutti guardavano, ed il marmo impossibilmente cesellato di statue secolari. «ovunque» tutto era arte, e tutto – specialmente al sub – era Bells, che del bello aveva fatto un modello personale. Liquidò la questione battendo le ciglia civettuola, permettendo al sorriso di farsi più serio. Tamburellò ritmata le dita sul proprio polpaccio. «pianoforte» confessò. «suono da anni. Non ho potuto vedere un quadro per più di metà della mia vita. La musica è una costante» si strinse nelle spalle, tenendo per sé quanto avesse avuto bisogno di sentire, negli anni in cui non le era stato permesso guardare. Come invece, ora, fosse meravigliata da tutto. «ogni tanto mi esibisco» perché fosse mai che la Dallaire potesse lasciare per troppo tempo le luci della ribalta solo al resto degli artisti – era un’egocentrica, d’altronde. «dovresti venire a sentirmi» sorrise, arcuando le sopracciglia nell’ennesimo invito al locale. Gli diede una spintarella con la gamba. «anche in incognito. Se mi dici che ci sei, ti troverò» se suonava come una minaccia, probabilmente era perché la fosse.
    "did it hurt? when i told you to google it and i was right"
    arabells "lies" dallaire, 22
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  2. .
    OMG! Ho trovato la figurina di irma buckley!
    link role: w/ stan


    OMG! Ho trovato la figurina di hamish jones!
    link role: w/ joe


    richiedo solo quelle che sono da fare, le altre le ho già rubate prrr
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    e poi basta.

    HTML
    <i class="fas fa-angle-right" aria-hidden="true"></i> [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62899324]i could be all sad, but i have shit to do[/URL] ft . bells [nov '23 - qg ribelle]
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    when
    nov. 2023
    where
    head quarter
    who
    aerokinesis - 23 y.o.

    sacrifice
    Arricciò il naso all’odore pungente della stanza. Teneva una mano sulla cornice della porta, l’altra stretta al lungo bastone da passeggio la cui punta tastava l’entrata alla ricerca di eventuali ostacoli. Arabells Dallaire non conosceva ancora abbastanza bene il Quartier Generale per spostarsi da un corridoio all’altro senza ausilio esterno, e per quanto adorasse appendersi al braccio degli altri per superflui tour della zona, ci teneva alla propria indipendenza. Le piaceva dipendere da terzi solo quando non le serviva, altrimenti qual era il punto.
    Asciugò il sottile strato di sudore dalla fronte con il dorso della mano, un sospiro drammatico a sgusciare dalle labbra. Avrebbe potuto andare a casa, certo, o oziare con il resto dei compagni nella sala ristoro, ma l’adrenalina ancora in corpo l’aveva spinta ed esplorare piuttosto che a fermarsi. L’allenamento, anziché stancarla, l’aveva svegliata, spingendola fino ai meandri di un ambiente nel quale non solo era completamente inutile, ma ogni movimento brusco o disattento avrebbe rischiato di far danni. Umettò le labbra, appoggiando la testa allo stipite.
    Sguardo vuoto e buio, quello di Bells.
    Erano passati cinque mesi da quando aveva perso la vista. Nelle settimane a seguire, le avevano suggerito in tanti di farsi vedere da un guaritore, o lasciare che al San Mungo provassero cure ibride. Il suo lavoro, dipendeva da quello: era una Cercatrice. La migliore. Difficile poter continuare ad esserlo, se il boccino non poteva vederlo – e se l’opinione pubblica avesse biasimato i suoi successi alla manipolazione dell’aria, cosa che sapeva sarebbe successa, ma che ancora non era un problema – ma non poteva. Non ancora. Se non provava, poteva rimanere dell’idea che potesse tornare a vedere in qualunque momento, e la cecità fosse solo provvisoria. Una fase. Avere la certezza di non poter riavere la propria vita, era un passo che non aveva avuto coraggio di compiere. Aveva lasciato la squadra, pur rimanendo al fianco di Elwyn per le decisioni operative; era, ovviamente, rimasta al SUB, sorrisi delicati e morbidi quando l’Huxley tentava, con una davvero scarsa vena poetica, di raccontarle i quadri degli artisti emergenti. Aveva i suoi amici. La sua famiglia. Nathaniel Henderson ancora la riteneva una sorellina, e si era offerto personalmente di aiutarla ad adattarsi al nuovo mondo – al suo nuovo essere.
    Era abbastanza. Di solito.
    Entrare nella Resistenza aveva riempito parte del vuoto lasciato da Abbadon. Avere la possibilità di fare qualcosa, e una comunità alle spalle che la pensasse come lei, aveva irrobustito il suo spirito spingendola a tornare quella di un tempo, strappandola dall’apatia dei primi giorni al San Mungo. Molti pensavano fosse lì per vendetta, e non poteva affermare fossero completamente nel torto, ma non era solo quello ad averla spinta fra le loro mura.
    Sapeva fosse la cosa giusta. Indipendentemente dalle diverse mentalità, gli screzi e le personalità più disparate incontrate al QG, Arabells sentiva che quello fosse il suo posto. Uno dei pochi in cui respirare non sembrasse un atto di guerra. Faceva ridere, ma anche un po’ piangere, che ad averla condotta lì fosse stato Gerry Wyatt Holland, ma d’altronde, qualcosa di giusto nella vita doveva pur farlo prima o poi. Statistica.
    Sentì un rumore all’interno del locale, e battè il bastone sulla porta per annunciare la propria entrata. Pionieri e specialisti avevano la terribile tendenza di rimanere così assorbiti dal loro lavoro, da non rendersi conto di nulla, e la Dallaire voleva evitare incidenti.
    Diplomatici o fisici che fossero.
    «quindi cos’è che fate qui?» Rivolto a chiunque fosse disposto a risponderle: qualcuno doveva pur saperlo.
    arabells
    dallaire
    You ain't gonna do the things that I did
    Things I had to do just get here
    Gave up everything so I could be this
    All my old friends think I'm real bitch
    gif: daisyjonhsons.tumblr.com
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it


    wow. sono più stanca di quanto mi aspettassi, perchè è stato molto difficile.

    ALLORA. CIAO AMICI. ovviamente aperta solo ai ribelli (duh) ma anche se chiede nello specifico cosa si fa nella stanza ricerca e sviluppo, può rispondere chiunque. gente già dentro la stanza, gente fuori, qualunque ruolo abbia all'interno della resistenza. Bells finge di essere stupida una novellina anche se è ribelle da mesi .
  5. .
    da neutrale a ribelle, ciaooo

    HTML
    </li><li>[URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=57677000]arabells dallaire[/URL]

    / / RIBELLE
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    nome personaggio + scheda:
    HTML
    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=57677000]Arabells Dallaire[/URL]

    risultato del test: 100/100
    ruolo nella resistenza: stratega
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    Ebbe qualche istante di deja-vu. Il tempo di un battito di palpebre, la scena a riavvolgersi e svolgersi di fronte a sé come una prima volta. Una di quelle tante finestre sugli universi alternativi, gli ”e se” che spopolavano fra le fanfiction, il fantomatico effetto farfalla per cui ad ogni azione corrispondeva una reazione differente. Durò poco, quanto bastò alla Dallaire perchè si formasse un solco d’espressione fra le sopracciglia – lo sguardo distratto, la testa leggermente piegata sulla spalla.
    (babbi...ma… a quale post hai risposto…., le parve quasi di sentire, come una voce a sovraimporsi alla narrazione.)
    Cessò d’improvviso così come era apparso, lasciando Bells disorientata ma con un vago sorriso sulle labbra. Prese la sacca con i croccantini, ampliando la smorfia divertita verso il biondo nel farne scendere qualcuno sul palmo della mano. Arabells Dallaire trovava che il comportamento animale non fosse poi così diverso da quello degli esseri umani: bastava essere pazienti, mostrarsi innocui ed amichevoli, offrire leccornie, e il gioco era fatto. Certo, la tecnica andava poi specializzata di caso in caso, ma i bombi, pur variando natura, quello restavano. Allungò la mano libera per accarezzare Sherlock fra le orecchie, mentre quello mangiucchiava di gusto i crocchi. Ugh, con quell’espressione felice, era davvero troppo adorabile per essere vero. «Se sopravvaluto Piz, sopravvaluto anche le Arpie?» ma guarda, un Huxley con un senso dell’umorismo, era davvero finita in un multiverso? Dove si era nascosto tutto quel tempo. Perché a lei era toccato quello imbronciato e con un’ilarità pari a quella di uno scalino di marmo? Battè le ciglia languidamente, un «ah ah, divertente» morbido e chiaramente non divertito. Gli diede una pacchetta amichevole sulle scarpe, tanto era già chinata per accarezzare il Corgi, facendogli così sapere che avesse apprezzato il tentativo, e potesse riprovarci un’altra volta. Era una ragazza fisica, ma rispettava i sensi degli spazi altrui, e non conosceva Ethan (punto) abbastanza da sapere come avrebbe preso un gentile coppino dietro la nuca. Matura, vero? «Ho visto che state andando bene in campionato, sono venuto a vedere qualche partita in incognito, quando il tempo me lo ha permesso» Reclinò il capo sulla spalla, tornando a poggiare la schiena sul sedile della panchina. Rivolse al ragazzo un’occhiata sorpresa, domandando un «in incognito?» di cui già immaginava la spiegazione, ma sentirselo dire non poteva far male. Non capiva come potesse essere così poco interessato alla fama ed alla pubblicità, un concetto decisamente alieno per qualunque Arabells Dallaire mai esistita. Perfino da bambina viveva per gli applausi e l’attenzione, e da giovane adulta, gli scandali li cavalcava sempre fino a portarli a proprio favore. O per dispetto, se si fosse trovata nei panni del mini Huxley. «Immagino mio fratello sia sempre lo stesso, se ancora non ti ha annoiato.» Notò come alla menzione dell’altro il sorriso si fosse scheggiato, pur rimanendo a pendere agli angoli delle labbra. Un’espressione che conosceva bene, Bells, perché di argomenti di cui non voleva parlare ne conosceva almeno una decina, e riguardavano tutti ciò che aveva di più caro. Non si spegneva un sole con poco più di una pioggerella estiva, servivano tifoni e lampi. Compensò allargando il proprio, di sorriso, studiandolo da sotto ciglia scure. «nessuno rimane mai lo stesso» osservò in tono leggero, lasciando però che portasse con sé il significato implicito di quelle parole. Uno che Ethan avrebbe potuto ignorare, non gliene avrebbe fatto una colpa e sarebbe andata tranquillamente avanti con la sua vita, o una su cui avrebbe potuto riflettere, applicandola ad un mondo che era più grande rispetto ad una riserva di draghi. Non erano cazzi suoi i motivi per cui la menzione del maggiore togliessero l’allegria al biondo, e onestamente, lo capiva – in generale come sorella minore, ma in effetti… anche nello specifico come Elwyn Huxley: aveva la capacità di togliere in fretta il sorriso a chiunque, con la sua sola e fantastica eccezione - ma voleva abbastanza bene al suo collega da spezzare alla cieca una lancia a suo favore. «spero» aggiunse poi, ammorbidendo l’espressione con entrambe le sopracciglia sollevate ed un sospiro greve. Non un discorso che la riguardava, lei era già la versione migliore di se stessa, ma confidava che il resto del genere umano lavorasse sulla propria derelitta psiche come un bambino con la pasta di sale, o quel pianeta non sarebbe durato ancora a lungo.
    (e infatti, spoiler alert, non l’aveva fatto.)
    «Scusa, ma non le traducevano in rumeno.» Che stronzetto. Era mediamente – e platonicamente, non preoccuparti Holden. - conquistata. Arricciò il naso facendogli la linguaccia, scimmiottando un NoN LE tRaDuCeVaNo In rOmEnO e schiccherando le dita di fronte al naso dell’altro. Senza colpirlo, eh.
    Per ora. Ancora un po’ di confidenza, e partiva la Bells WWE (da qualcuno doveva pur aver preso, Chelsey).
    «Ah. Spero continui a migliorare. Portagli i miei saluti, se pensi possa fargli piacere.» Liquidò la questione con un vago cenno della mano nell’aria, e lo sbuffo di una risata a grattare la gola. Con o senza memoria, «è elijah» quindi certo che gli avrebbe fatto piacere il saluto di qualcuno che neanche ricordava di aver conosciuto. E non era neanche ironica. La mente di suo fratello, perfino spolverata da ciò che l’aveva reso Elijah Dallaire, era davvero un posto peculiare, e per quanto la riguardava, non condivisibile. «Io mi sto riprendendo» Non sapeva da cosa, ma non aveva importanza. Apprezzava la sincerità di quell’ammissione, così diversa dal banale e sempre falso tutto bene. «hai un bel faccetto» confermò allora, piegando un angolo della bocca in un sorriso. Non aveva così tanti ricordi di Ethan Huxley da poter fare un paragone, ma almeno non era scavato e morto dentro come quel rimbambito del fratello. «E sono venuto al sub una volta, per l’inaugurazione. Il vostro locale è anche molto carino!» C’erano state molte persone quella sera, e tante altre ne erano seguite. L’aveva visto…? Parve rifletterci, l’ex Corvonero. Probabilmente sì; magari avevano anche scambiato convenevoli non dissimili a quelli. Non le faceva onore avere così poca memoria in merito all’incontro, ma a suo favore… non lo conosceva, e non era – ancora – abbastanza legata ad Elwyn da volerlo fare. Insomma, il SUB nasceva principalmente come mossa di marketing, ed in secondo luogo perché divertente. Il resto non l’aveva considerato, ai tempi. E dire che avrebbe dovuto immaginarlo che un uomo disfunzionale si sarebbe inserito perfettamente nella scacchiera della sua vita. Li raccoglieva come pietre di Thanos. «Preferisco gli animali alle persone e… anche all’arte. Non fraintendermi, so che la vostra è un’attività culturale, eppure… non ce lo vedo proprio. L’ho constatato con i miei occhi quello sì, ma non riesco proprio ad associare una scultura a quell’energumeno di mio fratello» Per il preferire gli animali alle persone, mood non il pg, manco gli animali erano più affidabili. anche se Bells poteva dirsi su territorio equo. Le persone la… affascinavano, e le piacevano abbastanza da averla portata, negli anni, a diventare una farfalla sociale. «perchè preferisci gli animali?» chiese curiosa, senza giudizio nel tono. T tutte le persone che la pensavano come Ethan rispondevano in maniera diversa, ed era sinceramente interessata su quale fosse il suo punto di vista.
    E poi rise, Bells. Alzò una mano per chiedere una pausa, piegandosi in due dalle risate, perché era semplicemente troppo divertente. Quando finì di ridere, tamponò elegantemente il sotto palpebra dalle lacrime, singhiozzando un’ultima risatina. «scusa, scusa. Dicevamo? mh. forse è perché l’hai cercato nell’arte sbagliata. Tuo fratello è più da quadri. Un giorno magari ti faccio vedere i suoi preferiti, ti danno tutta un’altra prospettiva sulle persone» soprattutto quando le tele erano state dipinte con l’altro mini Huxley.
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  8. .
    arabells dallaire
    she said
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    I know I'd do it all again
    No looking back if it's the end
    La voce non era più lontana o più vicina di quanto si fosse aspettata. A far irrigidire le spalle di Bells, e corrucciare le sopracciglia castane, fu riconoscere a chi appartenesse. Il San Mungo era un ospedale grande, enorme, e se poteva dirsi densamente frequentato in qualsiasi momento dell’anno, certo era pregno di persone al concludersi del conflitto mondiale. Tutto era contrario alla possibilità che alle macchinette incontrasse Wyatt Holland; non abbastanza da non farglielo trovare, evidentemente. «undici. è il nostro numero, no?» Non si girò a guardarlo, ma lasciò che un lampo divertito facesse tremare le labbra, la curva solo accennata verso l’alto. Dispregiativo era implicito nell’affermazione del ragazzo, perfino nel raro caso in cui avesse inteso fossero entrambi numero Uno, perché era ovvio non lo fossero – non allo stesso livello. Apprezzava la competitività dell’ex Grifondoro, ma non la trovava legittima: Arabells Dallaire era una creatura arrogante, sì. Ma anche oggettiva. Esitò con le dita sulla tastiera, non propriamente prona a fidarsi del giudizio di Wyatt – se era una bibita energetica, l’avrebbe bevuta e gliel’avrebbe risputata in bocca. - ma priva della voglia di trovare alternative. Avrebbe potuto premere il dodici o il dieci per mero dispetto; non le importava abbastanza. Premette l’indice sui numeri, reclinando il capo sulla spalla ai bip di accettazione. «sei indecisa, o...» Si fermò, prima di chinarsi a raccogliere il prodotto. Un guizzo sotto pelle, che non sapeva se fosse divertito o oh, estremamente stanco: quanto forte aveva battuto la testa? Poteva non essersene accorto sul momento, legittimato a farlo, ma non averne ancora avuto notizia…? Pensava non esistesse persona al mondo a non sapere che avesse perso la vista; meglio così, le piaceva essere stupita. Non sarebbe stata lei a farglielo notare, voleva esercitasse il neurone solitario così che magari si sentisse audace e decidesse di riprodursi. Inguaribile ottimista, l’ex Corvonero. «wyatt holland» scandì lentamente, rotolando il nome sulla lingua con un breve sospiro. «sono tante cose, lo concedo, ma indecisa?» Si conoscevano da anni, anche se durante la permanenza ad Hogwarts aveva imparato e dimenticato il suo nome solo per quanto concerneva il Quidditch. Da quando Piz l’aveva sostituita con lui, era diventato più personale – senza contare che trovasse adorabile pensasse di poter vincere contro di lei. Anche in quelle condizioni poteva afferrare il boccino prima dell’Holland, ed era cieca. «so sempre quello che voglio» mormorò chinandosi per aprire il cassetto, le dita a scivolare delicate sulla superficie della macchinetta per cercare lo sportello. Era presuntuosa, talvolta capricciosa, ma nessuno nella vita della Dallaire le avrebbe mai dato della indecisa. «talvolta, magari non mi importa» gli offrì una scusa concreta sorridendo morbida, strizzando le dita su quello che sperava essere un pacchetto di patatine, o praline al cioccolato - Dio, fa che siano praline al cioccolato. «oppure cosa.» roteò sul posto, volgendo il viso all’altro così che potesse provare a sforzare la sua natura da uomo per rispondersi da solo. Non aveva problemi ad avere quella conversazione, anche se non sprizzava propriamente gioia da tutti i pori, ma voleva credere nelle sue facoltà intellettive e di deduzione. Sentì il tintinnio delle monete in eccesso, e con un cenno del capo indicò la macchinetta a Wyatt, arricciando appena il naso. «tienile. comprati qualcosa di carino»
    gif code
    23 y.o.
    AEROKINESIS
    rebel ish
  9. .
    mi frego da sola incartandomi quando ancora sono ottimista e dico due HA! oppure una e un campo della scheda. insomma. qualcosa
  10. .
    rimango umile e dico una
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    respiro profondo

    nickname: pipe dream
    gruppo: wizard......................
    link in firma? totem
  12. .
    vabbè sa facciamolo.
    aiuto

    CODICE
    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=57677000]arabells dallaire[/URL] - <b>aereocinesi</b>
  13. .
    arabells dallaire
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    «quindi smettila di fare la predica a me, sei tu che mi stai attaccando come se fossi uno sconosciuto come un altro»
    Non avrebbe mai detto a Dominic Cavendish che era che si sbagliava. Non in quel momento, drizzando le spalle e lasciando che lo sguardo si facesse più duro e distaccato. Non in quello seguente, un passo indietro e le labbra tese in una linea severa. Non nei due successivi, la rabbia a scivolare oltre la linea segnata fra lei e loro per lasciare spazio a grigia indifferenza. Lo lasciò sfogare, perché evidentemente aveva bisogno di farci qualcosa con tutto quello che ondeggiava dietro le iridi chiare, e ne prese le distanze. Fisicamente, moralmente. Emotivamente.
    Degli sconosciuti non le importava. Di gente che aveva solo intravisto ad Hogwarts o a lavoro, non le importava. Le loro scelte, non le condivideva, non le capiva, e non le importavano, perché se non erano mai stati un problema suo, non vedeva perché dovessero iniziare sul campo di battaglia. Ma Isaac e Dominic? In vari tempi della loro vita, non necessariamente conseguenti o attuali, erano stati suoi amici, e non riusciva ad accettare che avessero scelto quella guerra. Quindi sì: voleva prenderlo a bastonate finché non l’avesse pensata come lei, proprio perché non era uno sconosciuto.
    Ma forse se non ci arrivava da solo, era meglio così.
    Spostò il bastone da una mano all’altra.
    Davvero non capiva? Aveva tutto il mondo dalla sua, il Cavendish; tutto il tempo che volesse per sognare l’utopico universo in cui sarebbero tornati a casa tutti interi a fingere che nulla sarebbe cambiato. Con il senno di poi, magari glielo avrebbe anche detto che i sognatori avessero vita breve. Che fosse troppo intelligente per credere davvero a quelle stronzate. Che avrebbe preferito la colpisse e le giustificasse il suo essere lì per qualcosa, piuttosto che ammettere fra le righe di esserci capitato per caso e non volerlo davvero.
    Che potesse permettersi di non voler vincere, lui. Non avevano tutti quel lusso.
    Gli indicò con un cenno del capo Wind, denti stretti. Se voleva fare carità cristiana, che almeno la facesse con un senso, e non perché volesse le cose potessero andare diversamente.
    Fu a quel punto che il terreno cominciò a tremare. Piantò il bastone a terra, cercando l’equilibrio in mezzo al caos. Allungò un braccio verso i più vicini, senza curarsi che fossero compagni od avversari, leggendo sulle espressioni di ambedue le fazioni che non fosse previsto.
    E quelli ci si erano arruolati volontariamente, in quella guerra; numeri da depennare e nulla più.
    Si domandò brevemente se fosse stata una trappola, e loro il miele su cui incastrargli le zampe. Brevemente, perché perse la presa e
    - si muoveva tutto, e si muoveva lei, e c’erano troppe scosse, e troppe persone, e massi -
    Un colpo alla testa. Un ronzio alle orecchie. Battè le palpebre per togliere il sangue dagli occhi, ed un ronzio alle orecchie. Sollevò il capo, senza sentire nulla; la vista offuscata e le dita allungate a cercare qualcuno, ma chi - Arci, altrimenti chi - e dove - troppe braccia, troppi polsi immobili, troppo peso sulle gambe e la schiena e non riusciva a respirare - e come. Tossì un grumo rosso e si pulì la bocca con il dorso della mano. Doveva - Arci. Aprì la bocca e non ne uscì alcun suono. Si trascinò sui gomiti ed alzò la testa. Gli occhi vuoti di un soldato la giudicarono, mentre premeva il pugno sulla tempia cercando di fermare qualcosa – il movimento o il sangue, non aveva importanza. Sentì la gola prudere di un verso che non riuscì a sentire, e dove cazzo era Arci. Calpestò il torso aperto di un soldato e si graffiò le braccia con le ossa spezzate. Affondò nel liquido freddo, troppo freddo, e si sentì affogare pur avendo la bocca sopra il livello dell’acqua. Non è acqua, Bells.
    Si lasciò sollevare da qualcuno. Un braccio attorno alle spalle di qualcun altro. Neanche sapeva chi fossero, ma era troppo impegnata a combattere le ondate di nausea e capo a ciondolare e ma dove cazzo è Arci per trovare la propria voce. Fece scivolare le proprie dita nelle tasche della divisa, imprecando piano in francese, perché dov’era la sua bacchetta. Provò a voltarsi e cercarla, ma le vertigini la costrinsero ad abbandonare il proprio peso su qualcuno. Chiunque.
    Battè le palpebre un’altra volta, e sentì gli occhi bruciare.
    L’istante successivo Archibald Leroy le teneva il viso con una mano spostandolo da una parte all’altra, e Bells serrò le labbra perché c’era troppo luce, ed era troppo veloce, ed alla fine andava bene anche così. Non fu meno doloroso respirare, ma fu comunque più facile mentre si aggrappava all’ex Serpeverde, denti a strizzare la guancia e polpastrelli a cercare almeno la sua bacchetta, perché doveva fare qualcosa. Poteva fare qualcosa.
    «è troppo tardi» e «mi dispiace» ed a Bells non fotteva un cazzo perché l’aveva saputo fin dall’inizio, e non era quello il suo problema.
    «dovresti andartene» pensò di mormorare, ma non ne fu così sicura. Sapeva non l’avrebbe fatto, perché lei non l’avrebbe fatto, ma doveva comunque provarci senza sentirsi in dovere di sacrificare se stessa. Perchè la Dallaire non se ne sarebbe andata: era arrivata fin lì, dopotutto. Se doveva morire, così fosse. C’erano tutti i loro compagni, e tutti i loro avversari, e dove maledettamente era la sua bacchetta -
    Era tutto finito.
    Bells lo seppe subito.
    Occhi chiusi.
    (con il senno di poi, li avrebbe tenuti aperti)
    Braccio sulla vita di Arci.
    (avrebbe dovuto stringere più forte)
    In silenzio.
    (e di cose da dirne ne avrebbe avute per tutti)
    Non aveva paura però, sapete? Era ancora rabbia quella ad alimentare il battito nello sterno. Orgoglio e consapevolezza a tenerla in piedi, e testardaggine a farle socchiudere le palpebre per guardare Abbadon. Ad ogni passo dell’uomo, un saltello fra le costole. Avrebbe preferito fosse terrore, piuttosto che furia: più facile da masticare ed ingoiare, che quell’odio a consumarle muscoli ed ossa.
    Immobile, e non per scelta.
    Le dita di lui sulla gola della ex? Pavor.
    Il silenzio.
    «pensate di odiarmi»
    Smise di respirare.
    «vi perdono»
    E Bells riusciva a pensare solo che fosse stata lei a chiedere ad Arci di andare. Che il Leroy avrebbe potuto essere ovunque, in quel momento. L’avrebbe preferito perfino dall’altra parte, a stringere il gomito di Dominic o Isaac o Nicky, che al proprio fianco. Aveva mentito quando aveva detto che avrebbe fatto di tutto perché rimanessero insieme, perché non lo voleva più. Non a quel prezzo. Non con quel vi perdono a far tremare la terra.
    Le radici a spostarsi.
    Stringersi.
    Bloccarli sul posto.
    Non voglio farlo, le aveva detto. Non voglio perdere tutto, e lei l’aveva messo in quella posizione comunque. Mentre i rami le strizzavano le gambe, pensava che non le importava più così tanto del mondo. Che non fosse valsa la pena metterlo sopra Arci; che il suo, di mondo, le interessava di più, ed avrebbe dovuto proteggerlo anziché trascinare entrambi a quell’esatto momento.
    Di lei non le importava. L’aveva scelto, e l’avrebbe rifatto.
    Ma avrebbe potuto essere meno egoista e non volerlo con sé.
    Le foglie sotto la pelle.
    I fiori a pungere le vene.
    Il sangue, a scivolare nella terra ed i fili d’erba. Le vertigini.
    La vista offuscata.
    E offuscata.
    E offuscata.
    Un singhiozzo asciutto, e le ginocchia a terra a impregnarsi di tutto quello che aveva perso.
    Vuota e sottile. Rigirò le mani davanti al proprio viso, ignorando una lacrima a rigare le guance sporche di terra e sudore.
    Chiuse gli occhi perché non le vedeva, e non le avrebbe viste comunque.
    Pianse in silenzio contro i propri palmi; aveva di nuovo quattordici anni, e
    - Dormi, Bells. Domani potrai vedere; Thèodore Dallaire neanche c’era più, a fare quel tipo di promesse. -
    era diverso, dopo averlo visto. Perderlo di nuovo. Tornare ad essere la bambina che sognava il mondo a linee ed angoli, con dita curiose a premere sul volto di Jeremy ed Arci per imprimerselo sui polpastrelli. Quella a cavalcioni della scopa di Elijah, un braccio a stringerla a sé mentre si allenava – e le lasciava prendere il boccino, soffiandole fra i capelli un visto? Puoi giocare anche tu. Quella a cui le persone venivano dipinte dagli altri; a cui era permesso di sognare.
    Scosse il capo e basta, perché non voleva sentire – non ancora.
    Non voleva sapere – non ancora.
    Non voleva capire – non ancora.
    Gliel’avrebbero raccontato dopo, di Javi e Moka e Sinclair ed Emilian e Wren e Justin e Jane. Per quei minuti – sette, dieci, trenta – rimase nella propria ignoranza, a sentire mormorii e discorsi utopici. Egoista, a non odiare ogni respiro.
    Arabells Dallaire non voleva morire, e non pensava che quello, qualunque cosa fosse, fosse un destino peggiore della morte. Pensava, però, che odiasse perdere, e che in quella radura a metà aveva perso tutto: vista, magia, ed il proprio futuro. Pensava che dovesse ricominciare.
    Pensava anche che le fosse concesso piangere, almeno per un po’.
    E poi non ci sarebbero stati cazzi per nessuno.

    «non ancora.» era stata ferma su quel proposito. Non ancora. Arabells Dallaire aveva deciso di non volerlo vedere ancora, il mondo di Abbadon.
    Di non voler sapere, se non potesse vederlo mai più.
    Le avevano detto che uno special con il potere della guarigione potesse aggiustarla.
    (probabilmente, aggiunto sotto voce)
    Aveva fatto notare che l’udito lo avesse ancora; “perfino un po’ di più” l’aveva tenuto stretto tra i denti, perché non era pronta alle implicazioni di quella consapevolezza.
    Era rimasta in silenzio con Jeremy ed Arci. «non ancora.» aveva mormorato, sentendoli respirare un po’ più a fondo, conscia che stessero per fare qualche battuta che la Dallaire ancora non volesse. Non si era giustificata con suo fratello per le proprie scelte. Non aveva cercato i compagni per assicurarsi che stessero - se non bene, almeno stessero e basta. Nei pochi giorni a seguito della Guerra di Primavera, era rimasta perlopiù in silenzio.
    Elaborando. Riflettendo.
    Chelsey Weasley le aveva detto che grazie alla Nuova Campagna di Inclusione, girava voce agli special fosse permesso giocare a Quidditch nel campionato. Bells aveva sorriso piatta.
    Non sarebbe stato lo stesso.
    Lo sapevano tutti. Lo sapeva Bells. L’avrebbero odiata per essere stata dalla parte sbagliata di quella guerra; disprezzata perché aveva perso la magia; dubitata, perché avrebbe potuto compromettere il risultato. «non ancora.»
    Era ferma da dieci minuti di fronte alle macchinette del San Mungo.
    In silenzio. Meditativa.
    Schioccò la lingua sul palato, le dita ad esitare sui tasti metallici. Utile che i numeri fossero in rilievo.
    Peccato non vedesse i prodotti.
    Sarebbe morta prima di chiedere a qualcuno, perfino conscia che qualcuno ci fosse perché riusciva a percepirne la presenza, per fottuto principio.
    «dimmi un numero» domandò però; roulette russa fosse.
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    23 y.o.
    AEROKINESIS
    rebel ish
  14. .
    PVE PRO: JERICHO
    PVE CONTRO: JANE

    PVP PRO: MAC
    PVP CONTRO: BELLS

    DAJE DAJE DAJE DAJE
  15. .
    arabells dallaire
    I think I've seen this film before
    And I didn't like the ending
    You're not my homeland anymore
    So what am I defending now?
    «Allora cambiamo il gioco. Creiamo nuove regole»
    Poggiò la guancia sul suo petto, sospirando piano. Doveva sapere che se avesse potuto, l'avrebbe fatto. Che le regole non le fossero comunque mai piaciute, e che preferisse riscriverle di sua mano ed adattarle, piuttosto che seguirle. Ma non era ragionevole quella richiesta, e Bells gli permise di essere la parte più umana dei due, quella che voleva aggrapparsi ai sentimenti come fossero state corde d'acciaio anzichè fili intrecciati fra loro. Non le costava nulla lasciarle credere che potessero scegliere - non in quel momento, almeno. Poteva perfino fingere di credergli, gli occhi chiusi a seguire l'irregolare battito nello sterno dell'ex Serpeverde. «Resta con me» stronzo sentimentale. Sempre ad apparire il più leggero ed inviolabile, solo per avere le fenditure più profonde. Una corazza dorata e fatta di plastica. «Se potrai scegliere, scegli me» Puntellò la lingua sulla guancia, respirando ancora il profumo di farina ed Arci conscia che in qualunque caso, nelle prossime ore - giorni? settimane? - avrebbe perso l'odore di casa per prenderne uno tutto nuovo. Si staccò quanto bastava a poterlo guardare di sottecchi, il mento appoggiato sulla cassa toracica. «è così che hai conquistato il gallagher? funziona» sorrise, a metà; l'altra parte diceva che avesse capito, e quello fosse il meglio che potesse offrire.
    Come se avesse potuto esistere un universo dove non l'avrebbe scelto. Perfino nell'AU, dove Billie e Dominique non si conoscevano neanche, avevano finito per trovarsi. «vedrò quel che posso fare, cowboy» allungò l'indice verso il suo viso per pizzicargli il naso, lasciando poi la presa sulle sue mani per poggiare i pugni chiusi sui fianchi.
    Non aveva un piano.
    «come vi eravate organizzati quando sono arrivati gli AU? Avevate un luogo di ritrovo a cui appoggiarvi?»
    Eh. I tempi erano cambiati. Roteò gli occhi chiari sul moro, entrambe le sopracciglia a scattare verso l'alto. «il platinum» doveva dirglielo che Isaac fosse un'altra persona rispetto a quei tempi? Che Niamh all'epoca era ancora in giro per il mondo? Che Jayson era a Bodie, per l'amor di Dio? Che Stiles fosse morto, e non fosse più una fonte affidabile? Strinse le labbra fra loro, scuotendo appena il capo.
    Un sospiro.
    Un altro sospiro, più forte.
    Non ci poteva credere che quella fosse la sua ultima risorsa, ma quando si facevano scelte stupide, c'erano misure stupide: «è il momento di chiamare i grifondoro» quelli cazzari e riottosi (ciao willa ♥).
    Una tragedia.

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    23 y.o.
    contro abby
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491 replies since 30/4/2015
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