I'm tired of waiting for the end of all days

@ l'Augurey, bigobigo-dino + clickba-it

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    Sembra la trama di un film o uno scherzo di pessimo gusto, ma non lo è: anche oggi hai aperto gli occhi alla stessa ora, sentito la stessa canzone passare alla radi, o provenire dalla strada fuori dalla tua finestra, e anche oggi gli eventi si sono ripetuti nella stessa identica maniera delle ultime tre volte. non importa quanto tu ci stia provando, bigobigo-dino, sembri - e sei - incastrato in un loop temporale e non sai come uscirne; ancora peggio, tutti quelli con cui interagisci sembrano non esserne minimamente coscienti... fino a che non incontri clickba-it, incastrato anche lui nello stesso loop.
    bigobigo-dino
    + clickaba-it
     
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    Il secondo primo giorno, Joe aveva incolpato la droga. Perchè no? Chimicamente parlando, c’era la concreta possibilità che la sostanza stupefacente avesse intaccato la parte del suo cervello adibita a scindere realtà da fantasia: l’aveva trovato divertente, come molte cose senza senso che capitavano nella sua assurda esistenza. Esilarante, con quel persistente senso di deja-vu a solleticare sorrisi a fior di labbra, ed occhi blu ridotti a fessura.
    Solo al terzo giorno aveva iniziato a domandarsi se quei danni fossero permanenti, e se dovesse fare qualcosa in merito.
    Le sue giornate non erano mai noiose, ma la sua mente, con un peculiare umorismo che non gli era sfuggito, sembrava essersi ingrippata nell’unico giorno nei suoi quasi ventitrè anni di vita in cui non era successo niente. Assolutamente nulla degno di nota. Renèe aveva lasciato l’appartamento senza svegliarlo, come ogni mattina, e gli aveva lasciato da parte una tazza di caffè, anche se avrebbe mormorato che fosse semplicemente avanzata e non fosse stata sua reale intenzione. Era andato al San Mungo, dove nessuna voce di corridoio aveva allietato la sua mattinata, e dove Kiel Kane gli ripeteva da tre giorni che quella giornata sembrasse essere infinita (la risata di Joe aveva assunto sfumature isteriche di alba in alba, ma non era mai stato in grado di spiegargli perchè fosse così divertente: era stupido, ma non abbastanza da dire a uno dei suoi capi che si fosse fottuto il cervello tra una pasticca e l’altra). Quand’era andato a pranzo, il Signore Dei Panini l’aveva nuovamente informato che avessero finito la maionese, e Joe, che era tutto tranne che un ragazzo previdente, aveva sospirato la propria delusione a denti stretti: fra tutti i dettagli che avrebbe desiderato cambiassero di quella giornata, l’assenza della maionese era il più pressante, e quello che non mancava di spezzargli il cuore.
    I primi due giorni si era fatto fregare dal sistema, decidendo per entrambi i pomeriggi di rifugiarsi al bar dove facevano karaoke per cantare le stesse identiche canzoni due volte, ma al terzo aveva deciso di rendere la sua vita un po’ più piccante, e come un qualsiasi essere umano dotato di senno e senso logico, aveva accoltellato un uomo in un vicolo qualsiasi di Londra, rimanendo a guardare fino ad assicurarsi che fosse morto morto (di quei tempi, non si era mai abbastanza sicuri neanche di quello). Quando il quarto giorno, ovverosia quello che stava vivendo, l’aveva ritrovato a spacciare nello stesso angolo, aveva deciso che fosse tutto un po’ troppo Truman Show per i suoi gusti.
    L’aveva di nuovo ucciso, perché oramai era una questione di principio. Così, senza pensarci troppo, perché era un ragazzo spontaneo e genuino. Non si era neanche pulito dal sangue, lasciando che le macchie cremisi sulle braccia fossero l’ennesimo effetto scenico di un Halloween ormai alle porte. Quando era arrivato all’entrata del teatro, edificio davanti a cui passava ogni giorno, anziché proseguire si era fermato, soppesando curioso la locandina appesa fuori dal locale.
    Di lì a poco sarebbe cominciato lo spettacolo pomeridiano del Flauto Magico.
    Ogni giorno. Ci passava ogni giorno. Non era un amante degli spettacoli teatrali, aveva una soglia d’attenzione troppo bassa per resistere dall’inizio alla fine senza fermarsi a vagare nei corridoi deserti fra il primo ed il secondo atto, ma guardava sempre le locandine, ed era abbastanza certo che il giorno prima non fosse quella l’operetta in programma. Avrebbe notato l’immagine dell’albero e di quegli strani uccelli dalla faccia umana che tormentavano i ricordi di Sara senza motivo apparente, perché non ricorda null’altro della storia che avevano attirato il suo sguardo in quel momento. Trovava impossibile passarci affianco, e non fermarsi ad osservare con orrore le piumette colorate su piccoli volti felici ed infernali. Fece vagare gli occhi dal manifesto al portone, e viceversa. Infilò una mano in tasca, scuotendola per cercare se avesse qualche spiccio con cui pagare l’entrata (non era solito pagare, Joe, ma trovava irrispettoso non offrire una somma di denaro per le arti: aiutava il fatto che lui, invece, non sapesse fare un cazzo, quindi rispettava le capacità altrui) e decise che fanculo, perché no.
    Tanto quei soldi gli sarebbero tornati. Ancora ed ancora, visti i precedenti.
    Ma non poteva incastrarsi il giorno in cui si erano sposati i suoi genitori? Avrebbe rivissuto quel momento all’infinito senza mai lamentarsene, Joe King, e la quantità di vino di Carmen in circolazione era solamente una minima parte del motivo che l’avrebbe spinto a fare da testimone a William Yolo Barrow ogni giorno per il resto della sua vita. No, non scenderemo nei dettagli di quanto Joe fosse un sappy motherfucker: aveva una reputazione da mantenere.
    Back on crack.
    «se avessi un centesimo per ogni volta che ho visto questo spettacolo, avrei esattamente un centesimo – che non è molto, ma è strano visto che per tutto il resto di questa giornata ne avrei almeno quattro» Sorrise, perfettamente conscio di non avere assolutamente, neanche alla lontana, un briciolo di senso. Gli importava? No, perché il giorno dopo avrebbe potuto tentare un approccio diverso. Ruotò lo sguardo sulla persona al proprio fianco, indicando il cubicolo dei biglietti con un cenno del capo. «se mi tieni compagnia, ti pago l’entrata»
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    Sarebbe potuto essere qualsiasi giorno. Qualsiasi altro.
    La vita di Hamish - a differenza di quella di qualcun altro - era, indeed, una palla mortale dal termine della guerra, un susseguirsi di giorni tutti simili che andavano a confondersi appena venivano mescolati, non shakerati, con alcol o fumo.
    Andava bene così.
    Il Jones si lasciava trascinare, camminando ancora, per il momento, in punta di piedi in un mondo che non capiva totalmente, sperando prima o poi di trovare un'ancora che lo tenesse vivo per una ragione, piuttosto che per pigrizia.
    Tuttavia il loop, ovviamente, doveva capitare non uno dei mille giorni passati sul vecchio divano di una casa che puzzava di morte (prima o poi avrebbe dovuto controllare che non ci fosse davvero un cadavere da qualche parte), bensì nell'unica giornata che non avrebbe voluto rivivere (si sarebbe chiesto, più tardi, se era rimasto bloccato in un ciclo temporale altre volte, e semplicemente non se ne fosse accorto).
    Primo giorno.
    Era uscito con l'intenzione di andare da un nuovo spaccino che gli avevano consigliato, cosa mai poteva esserci di interessante? Hamish non era neanche più in grado di controllare i suoi poteri, la telecinesi e la creazione di illusioni sparite con uno schiocco di dita appena tornato a Londra, la sua magia più caotica che mai (forse perchè *looks into the camera like he's on the office* aveva la mimesi).
    Quando aveva visto la ragazza sul marciapiede andargli incontro, il suo cuore si era fermato.
    Scientificamente, non era possibile, ma emotivamente? Era morto, per qualche istante, solo per rinascere. La sensazione era stata quella di riaffiorare fuori dall'acqua dopo essere quasi affogato, di prendere quella boccata d'aria e ricordarsi che cazzo, era vivo.
    Lei lo aveva superato sulla strada, e Hamish l'aveva seguita con una mezza corsa, le aveva afferrato il polso per fermarla e farla girare.
    «Alex»
    I ricordi della loro vita insieme erano confusi (le aveva mai detto di amarla? che l'aveva salvato? Che senza di lei era perso? Che ancora ricordava la buffa maglia rosa con i gattini che gli aveva regalato al primo incontro? Che le notti passate a parlare sul tetto erano state le più belle della sua vita? Non ricordava quando era stato davvero il loro ultimo incontro, o quanti mesi - anni - fossero passati) ma era la ragazza dei suoi sogni, la sua migliore amica, la sua musa, la sua salvatrice, la sua tutto, la sua e basta, tanto quanto lui reciprocamente le apparteneva-
    Oppure no.
    La ragazza che si era voltata a guardarlo non era chi pensava che lui fosse, e lo aveva capito prima ancora che questa gli intimasse di lasciare la presa se non voleva chiamasse la polizia. Era uguale, identica in modo inquietante, ma non era lei - e non solo perchè non si ricordava di hamish. Lo sentiva, che non era la sua Alex. «A-Alex? Sono io. Sono qui. ti ho trovata-» Ma avrebbe voluto disperatamente lo fosse.
    Mentre lui cercava istericamente di avvicinarla a sè, la ragazza se l'era scrollato di dosso con un pugno che Hamish non aveva evitato.
    La giovane se n'era andata, lui era rimasto a fissare il vuoto, l'aria a scomparire dai polmoni, il ronzio a farsi strada nella testa.
    Aveva passato gli ultimi mesi a credere che, anche in un universo alternativo, avrebbe trovato Alexandra Richards; che pur senza ricordarlo le avrebbe insegnato a farlo, che lei l'avrebbe salvato di nuovo da se stesso.
    Ma se il corpo della ragazza apparteneva a qualcun altro... Alex non esisteva?
    Alex era mai esistita?
    Non pensava ci fosse qualcosa di peggiore dell'immaginarla morta, non quando l'assenza di Alex significava che la parte più bella della sua vita fosse una fottuta farsa.
    Era andato ancora più veloce dello spacciatore, correndo, volendo solo mutare i propri pensieri e non pensare più. Aveva passato il resto della giornata a farsi senza neanche tornare a casa - e magari che fosse l'ultima giornata e basta, perchè senza la possibilità di Alex, chi era lui?
    Invece il giorno dopo si era svegliato, stranamente riposato e lucido
    a casa propria.
    Non ricordava di esserci tornato ma insomma, a quanto pare era fottuto in testa per un sacco di motivi, ricordava persone che non esistevano, credeva di venire da un altro universo, magari era pure sonnambulo e prima di coricarsi sul divano si era pulito il viso dopo che la non-Alex gli aveva fatto sanguinare il naso.
    «eeeeeee di nuovo non ho dosi» aveva borbottato.
    Era uscito per tornare a comprare la roba.
    E l'aveva vista di nuovo.
    Nello stesso posto.
    «...Alex?» La non-Alex si era accorta che la fissava, gli aveva chiesto se stava bene.
    Non stava bene.
    «Sono-... ci siamo visti ieri. Mi... dispiace, fra l'altro»
    Lei aveva inclinato la testa. «Scusami, non mi ricordo... vuol dire che ti ho già perdonato, immagino»
    Confuso, aveva sorriso nonostante facesse fottutamente male. «ti ho... scambiata per qualcun altro»
    «Alex»
    Aveva rabbrividito a sentirglielo dire.
    «già»
    «Sono Syria»
    Aveva annuito.
    Era tornato dalla spacciatore. Neanche lui si ricordava di Hamish.
    Minchia, era davvero così poco memorabile? Ok che il suo difetto fatale era sempre stato aumentare il proprio ruolo nella vita degli altri, ma fino a sto punto? Era almeno vivo? Visto che la droga non sembrava abbastanza per sentirsi vivo, aveva attaccato briga volontariamente con dei ragazzetti in un vicolo, e dopo un paio di colpi ben assestati se le era prese come poche volte in vita sua, ridendo all'idea che si sarebbe svegliato rotto anche fuori, oltre che dentro, ma provando per lo meno qualcosa di così forte che gli avrebbe fatto scordare la sua vita.
    La terza mattina, aveva finalmente capito che qualcosa era fottutamente sbagliato.
    «Oh. Syria, giusto?»
    «Uh... sì? Ci... conosciamo?»
    «Passi qua ogni mattina»
    «...È la prima volta che vengo in questa zona della città»
    Hamish aveva aggrottato le sopracciglia. «No. No è... ci siamo già...» si era massaggiato la tempia, osservandola confuso. «Sei... non sei reale? Sei come Ronan?»
    Chiaramente Syria aveva voglia di scappare via, e accennò un passo all'indietro, finchè ad Hamish venne un dubbio. «Che giorno è oggi?»
    Era corso dallo spaccino, anche se aveva già la sua conferma-
    e lo aveva trovato morto.
    «ma che cazzo.» aveva iniziato a ridere istericamente, guardandosi in giro. Era tutto cristoiddio uguale, se non per il cadavere e lui. «ma che cazzo???»
    E così era flippato del tutto, eh?
    Era andato nell'unico posto che sapeva lo avrebbe calmato: il teatro. Da quando era arrivato in inghilterra l'aveva sempre evitato, perchè era qualcosa che collegava ad Alex, ma tanto a sto punto, a chi importava? Magari era morto, e non se n'era neanche accorto.
    E poi, adorava cyrano de bergerac - persino da sobrio...
    «questo non è cyrano de bergerac.» avevano fucking sbagliato locandina??? PURE?? cioè, lo illudevano con lo spettacolo sbagliato??? Senza offesa per il flauto magico ma «che vita di merda.»
    Il quarto giorno, era successo di nuovo tutto.
    Si era svegliato nel lurido appartamento dove stava, senza un graffio nonostante la notte prima avesse, di nuovo, cercato rissa per il gusto di sentire qualcosa (avendo usato i soldi della droga per l'opera)
    Aveva, di nuovo, contanti in tasca.
    Aveva, di nuovo, visto Ale-... Syria.
    La locandina del teatro ancora era sbagliata, segnalando per lo spettacolo serale Cyrano invece del Flauto magico (con un sospiro l'aveva strappata, lanciandola alla maschera all'interno. «sta sera non date più cyrano, date il flauto magico. Fossi la direttrice, farei cadere qualche testa per un errore del genere»).
    Lo spaccino era di nuovo morto.
    «ma i primi due giorni eri vivo.» aveva mormorato toccandolo con un piede (........e, ripensandoci, si abbassò a derubarlo; oh tanto era morto, ne aveva più bisogno hamish).
    Con un flash, si rese conto di qualcosa: se era davvero in un loop, non era l'unico a saperlo. Cosa ve lo dico a fare, che prima ancora di (leggere il post di joe) trovare l'uomo morto, ad Hamish era venuto in mente di controllare in quello stesso modo se fosse finito in un terribile Giorno della marmotta?
    Aveva bisogno di trovare questa persona.
    Rifece la strada del giorno prima, cercando altre cose diverse e- oh, bravi, avevano messo finalmente la locandina giusta a teatro. hallelujah!
    «se avessi un centesimo per ogni volta che ho visto questo spettacolo, avrei esattamente un centesimo – che non è molto, ma è strano visto che per tutto il resto di questa giornata ne avrei almeno quattro»
    Si voltò verso il ragazzo. Joe????!! ARIANA WHAT ARE DOING HERE ??!?!??!?!
    «se mi tieni compagnia, ti pago l’entrata»
    «sono già venuto a vederlo ieri»
    il bigliettaio aggrottò le sopracciglia «ieri non davamo questo spettacolo....»
    Hamish agitò una mano in aria.
    «-ma, dicevo, anche se starei cercando qualcuno, mi fermo volentieri a riguardarlo con te, per la buona compagnia» ma sì, in fondo era in un cazzo di loop, il tempo era l'unica cosa che non gli mancava. indicò l'americano. «joe, vero? eravamo seduti vicini sul volo per londra. Ti trovo bene» sorrise divertito al sangue sul suo volto, e indicò il proprio, pulito (sebbene provato da pesanti occhiaie). «Non sapevo ci fosse un dress code. Un attimo-... posso?» Hamish aveva ancora le mani un po' sporche dopo aver rovistato nei vestiti dello spacciatore, ma visto che era molesto (e tanto anche se Jo gli avesse tagliato una mano, il giorno dopo gli sarebbe ricresciuta) allungò le dita per sfiorargli la guancia, cercando dove il sangue era ancora fresco, e se le portò poi sul proprio. «come sto?»
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    vabbè è un caos noiosissimo.
    ciao sara scusa mi becchi ancora. puoi anche solo leggere da "Lo spaccino era di nuovo morto." tipo, prima è solo fan service per me stessa uh


    ma secondo te posso contarlo come prompt poteri fisici visto che ha la mimesi? chissà
     
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    Le labbra del King si dischiusero in sorpresa, lo sguardo a scendere dal volto del ragazzo fino alla punta delle scarpe, arrampicandosi poi fino alla zazzera castana dei capelli.
    No, vabbè.
    Il destino era qualcosa che tangeva poco la vita di Joe, visto e considerato che si era ritrovato a crescere in California lontano da tutta la sua famiglia, ma non poteva credere che potesse trattarsi di qualcosa di diverso. Un segno, forse, che la sua vita stesse nuovamente per cambiare. Avevano condiviso un posto sul 104 volo di sola andata verso la Gran Bretagna, ma era stato più di quello: era stato un pacchetto di noccioline, e come aveva detto anche a Renny, quello era un profondo gesto d’amore. L’equivalente di un bracciale dell’amicizia, ma più intimo, perché le noccioline finivano in fretta ed erano un bene di lusso. Erano passati mesi da quando l’aveva visto l’ultima volta – era stata una storia molto breve la loro, ma non meno intensa: il tempo non era la misura di un amore, come cantava Marco Carta – tanto che (si era dimenticato della sua esistenza? sì) era ormai diventato un mito. Una leggenda.
    Il ragazzo delle noccioline.
    «joe, vero? eravamo seduti vicini sul volo per londra. Ti trovo bene»
    Conosciuto anche come «HAMISH!» Il fatto che l’altro si fosse ricordato il suo nome, non passò inosservato all’ex Grifondoro. Joe King non era esattamente… memorabile, anzi. Più un’ombra che lasciasse dietro di sé una mera impressione; vista la natura dei suoi passatempi, era meglio così, ma non poteva che pungolare il suo non-così-latente amor proprio sapere che invece qualcuno ne avesse memoria. Il sorriso sulle labbra del moro fu inevitabile, genuino come tutto quel che, nel bene e nel male, lo riguardava. «Non sapevo ci fosse un dress code. Un attimo-... posso?» Reclinò il capo, concedendo il permesso con una leggera scrollata di spalle. Battè le palpebre nel sentire la leggera pressione sul viso, gli occhi a scivolare sul polpastrello di Hamish umido di sangue. Are you flirting with me. Hamish perse l’occasione di portarlo alle labbra, che era probabilmente un bene per qualsiasi malattia portasse con sé lo spaccino eppure un male per i peculiari e discutibili gusti dell’americano, ma Joe sorrise comunque, ciglia a battere liquide verso l’altro. Se fosse stato un musical, quello sarebbe stato il momento perfetto per una canzone ed un ballo – e sì, sto pensando a Barbie la principessa e la povera, sei come me son come te - invece la realtà era molto più triste e cruda. «come sto?» Lo osservò, tamburellando distratto indice e medio sul mento. Notò le profonde occhiaie ed il viso scavato, ma non ci diede troppo peso – viveva con il re indiscusso delle borse Gucci sotto gli occhi, dopotutto – concentrandosi invece sul dettaglio importante. Lì lì per dire che sarebbe stato meglio con il proprio sangue addosso, ma visto che aveva lo sguardo di qualcuno che l’avrebbe fatto sul serio, e sarebbe stato proprio un modo di merda di morire, lo tenne per sé. «posso?» Strofinò invece le proprie dita sulla guancia, notando solo in quel momento che avesse fatto un lavoro decisamente meno discreto di quanto si fosse aspettato, e posò il palmo sporco sulla gola dell’altro, lasciando un’impronta cremisi a dare l’impressione che di chiunque fosse stato quel sangue, avesse posto resistenza. Non si poteva dire che Joe non fosse un’artista. «meglio» con tanto di pollice a premere sulla guancia, come tocco finale. Fece un passo indietro per guardare la propria opera, mostrando i denti in un sorriso soddisfatto. Un’occhiata puramente innocente, come se quello non fosse stato il sangue di un uomo che aveva appena ucciso, e quell’assurda giornata non si stesse ripetendo da tre notti consecutive. Fece un cenno con il capo verso il baracchino, frugando in tasca per trovare le monete che pagassero l’entrata di entrambi: aveva detto che gli avrebbe tenuto compagnia, no? «ti concedo anche di dormire sulla mia spalla, perché sono un gentiluomo e hai l’aria di averne bisogno» sorrise da sopra la spalla, acquistando i biglietti e tenendo anche la porta aperta perché potesse entrare. «oppure puoi raccontarmi cos’hai fatto in questi mesi, e se la risposta è “niente di che”, sentiti libero di inventare» perché era una risposta del cazzo, e Joe la odiava.
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    no secondo me se non lo usi non vale . PRRR
     
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    «HAMISH!» Oh, se il Jones non avesse già avuto uno stanco ghigno sul viso, questo sarebbe stato il momento in cui le sue labbra si sarebbero incurvate in un sorriso entusiasta. Joe si ricordava di lui - si ricordava il suo nome? Davvero troppo bello per essere vero, giornata migliorata!! Bastava quel tanto per rimpinzare l'ego dell'americano. solitamente, pur dando per scontato il suo ruolo nella vita degli altri fosse importante tanto quanto il loro nella sua, finiva per restare deluso nel rendersi conto che, invero, non era un cazzo di nessuno per chi lo circondava.
    E il fatto che io stia scrivendo man mano rileggendo il post, e noti solo ora come Joe abbia pensato quasi la stessa cosa ad Hamish che ricorda il suo nome, è adorabile.
    «posso?» Eccerto che poteva - qualsiasi cosa stesse chiedendo di poter fare. Scrivere col sangue sulla fronte del Jones come con le macchine a bordo strada "lavami", disegnare un pene, strozzarlo, se proprio gli andava (un modo veloce di scoprire se la morte avrebbe fermato il loop o meno; nel film Il giorno della marmotta, non bastava). Joe gli stropicciò ancora la guancia, e mentre Hamish inclinava la testa per facilitargli il lavoro, posò la mano sporca sul collo - senza comunque fare pressione.
    Hamish sollevò un sopracciglio. Particolare, indubbiamente. Si chiese se la sua idea fosse quella di farlo passare come sub appassionato al breath play - o magari un hint a cosa piaceva a lui.
    «meglio»
    «Risalta il colore dei miei occhi?» Il fu semidio sbattè languidamente le palpebre, comicamente visto che tutto poteva sembrare fuorchè una babygirl in cerca di complimenti, dall'alto del suo metro e ottanta, occhiaie e accenno di barba non rasata.
    Indossò un sorriso compiaciuto stringendo le mani fra loro davanti a sè, lasciando a Joe il piacere di pagare per entrambi mentre lui si limitava a fare la ragazza trofeo gigglando al suo fianco. Poteva solo immaginare cosa stesse pensando il commesso del teatro, ma non gli importava abbastanza per scusarsi per il proprio comportamento e quello dell'altro americano: in ogni caso, il giorno dopo il giovane si sarebbe scordato tutto.
    «ti concedo anche di dormire sulla mia spalla, perché sono un gentiluomo e hai l’aria di averne bisogno»
    Lo seguì ringraziando con un cenno del capo per la porta aperta «A dir la verità, mi piace il teatro» aveva un sapore amaro collegandolo ad Alex, ai pomeriggi passati a gridare canzoni di musical o alle serate a infilarsi nei retroscena degli spettacoli della madre di lei, ma stare lì lo faceva anche sentire... in pace. Il teatro era facile, comprensibile, sempre uguale. Gli dava una botta di vita che neanche l'eroina.
    «Posso appoggiarmi lo stesso, ma raccontarti i fun fact dello spettacolo» veri o falsi perchè, uh, arianna non li sa davvero e non ne ha trovati molti googlando. Se non che: «ad esempio, lo sapevi che ha messaggi non così subliminali sulla massoneria» e accompagnò la frase canticchiando la prima parte della musichetta di X-files.
    «oppure puoi raccontarmi cos’hai fatto in questi mesi, e se la risposta è “niente di che”, sentiti libero di inventare»
    Mh. Cosa aveva fatto negli ultimi mesi?
    Alzò la mano per farsi dare - o prendergli di mano - i biglietti e guardare i loro posti. Almeno erano diversi da quelli della sera prima - si sentiva già più distante dal loop.
    «Mi sono trasferito a Londra. Vivo sul divano di un- tipo» poteva definirlo amico quando erano insieme, per dargli fastidio e ridere del suo sguardo omicida, ma dubitava che potesse considerare davvero Sawyer suo amico. «Gli sono entrato in casa, e mi ha adottato tipo gatto randagio; pet play, senza la parte kinky del play. Un vero peccato, se lo chiedi a me: sarei adorabile con le orecchie da gatto e collare. Non ho ancora incontrato la regina- e mi sono reso conto dicendolo che deve essere perchè è morta. Vabbè, non ho incontrato neanche altri della famiglia reale, e sono molto offeso; credevo facessero parte della fauna locale e si incontrassero per strada un po' come i canguri in Australia. Poi, mh-...» si picchiettò il mento. «Sto imparando ad adattarmi a questo posto. Intanto, piove sempre, manco fossimo a Forks, poi il loro inglese è strano e mi fa ridere, sembrano la parodia di loro stessi; perchè chiamare le patatine fritte chips ma le chips le chiamano crisp?? in generale è tutto diverso da dove vengo io. Beh anche perchè lì esistono gli dei, ma quelli veri, mica "lode e onore e gloria ad Abbadon", capito? No? AH! E oggi in particolare sto cercando un assassino. Non uno qualsiasi eh, qualcuno che stia provando a rompere il loop in cui siamo rimasti incastrati, così possiamo mandare avanti la trama insieme, o soffrire in eterno la stessa agonia» scrollò le spalle, e arrivati alla loro fila si fermò, facendogli segno di passargli davanti per accomodarsi nei posti. «Non mi ricordo come siamo arrivati a questo discorso, ma penso sia arrivato il tuo turno di rispondermi, così guadagni la figurina» cosa? cosa.
    Aveva parlato a menetta un sacco come un Yejun qualunque? Sì. Capitava, di tanto in tanto - un problema dato dalla sua scarsa propensione a restare concentrato più di tre secondi sulla stessa cosa, ma di solito il suo interlocutore si spegneva alla prima frase ignorando il resto del discorso quindi Hamish non si faceva problemi a dire puttanate senza capo nè coda che non avevano senso. Non si ascoltava manco da solo, figuriamoci.
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    Ammiccò un congedo all’individuo in biglietteria, lasciando chiudere la porta del teatro alle spalle di entrambi. «A dir la verità, mi piace il teatro» E da quando era un buon motivo per non dormire? Joe era piuttosto neutrale riguardo le opere teatrali di per sé, ed apprezzava il lavoro degli artisti sul palco e non, ma non significava che non avrebbe dormito; con tutta probabilità, se non si fosse perso prima ad intrattenersi con qualche altro spettatore o girovagando per il teatro, sarebbe stato lui quello a sonnecchiare sul suo grembo, raggomitolato su se stesso come un gatto sulla poltrona. «Posso appoggiarmi lo stesso, ma raccontarti i fun fact dello spettacolo» Un uomo pieno di risorse! Gli sorrise di sottecchi, perché apprezzava qualunque tipo di passatempo – e poi dai, a chi non piacevano i fuk fun fact? - ma dubitava sarebbero bastati a tenerlo incollato alla seduta per l’intera durata dello spettacolo. «ad esempio, lo sapevi che ha messaggi non così subliminali sulla massoneria» Reclinò il capo da un lato, rimbalzando gli occhi blu dai biglietti ai numeri sul pavimento. Accennò un saluto a perfetti sconosciuti come se li conoscesse da una vita, giusto perché poteva, chinandosi perfino a prendere fra le proprie mani quelle di una vecchia per dirle che gli fosse mancata, e sembrasse più giovane dell’ultima (inesistente) volta in cui l’aveva vista. «beh, hamishjones, tutto ha messaggi sulla massoneria, se sai dove cercare» ma anche se ci credevi abbastanza punto, come la presenza di rettiliani fra la popolazione umana. Accompagnò l’osservazione con l’indice a picchiettare il naso dell’altro, lasciando che prendesse i biglietti e li guidasse alla fila giusta. Per quanto ne sapeva il King, l’avevano già superata diverse poltroncine cremisi prima. «Mi sono trasferito a Londra. Vivo sul divano di un- tipo» Aspirò l’aria fra i denti, premendo le mani libere contro il petto. Il sangue era ormai abbastanza secco da non lasciare dietro di sé altre macchie che non fossero quelle a decorare il tessuto di cotone. «oddio… noi» anche se il tipo in questione, per Joe, era suo fratello. Immaginava che Renny lo volesse sotto il proprio tetto con lo stesso fervente desiderio con cui il tipo voleva Hamish, quindi seppur in forme diverse, erano sulla stessa barca. Kayak e gommone? Lo sentì per tutto il tempo, annuendo o mugugnando vaghe risposte, ma non ascoltò proprio tutto: si era distratto quando aveva accennato al pet play, pensando che non avesse mai partecipato ad una convention di furry ma non gli sarebbe dispiaciuto, e chissà come si faceva ad entrare in una setta di amanti dei pelosi; quando si riscosse e tornò presente a se stesso ed il teatro, Hamish stava parlando di canguri. Si chiese se gli avesse letto nel pensiero ed i discorsi fossero collegati; decise che «il loro marsupio sembra comodo. Dici che -» non avrebbe elaborato ad altra voce quel pensiero, ma univa la mentalità furry a quella dei mommy issues - aveva pensieri di un certo spessore, Joe King. Continuò ad elaborare, con lentezza e salti temporali, le parole del ragazzo, interrompendolo per aggiungere la propria opinione tipo «così reale. Mai sentito parlare uno del sud yorkshire Procedette a rivolgere il quesito imitando l’accento citato, tutte parole a bocca aperta e mai concluse. Lo facevano sempre sorridere, anche quando si incazzavano perché li costringeva a ripetere quanto detto più volte per il puro gusto di sentirli pronunciare male ogni sillaba. Gli puntò un indice contro, corrugando le sopracciglia. Arrivava dalla terra degli dèi, quindi «los angeles? Non hai l’aria di un angelenos» battè languido le ciglia, sorridendo nello spostare una ciocca corvina lontana dalla fronte. «e tu lo sai di dove sono io?» l’accento marcato non lo faceva propriamente passare inosservato, e Joe aveva l’aria trasandata e superficiale che solo i Californiani indossavano con orgoglio piuttosto che vergogna.
    Si era di nuovo disconnesso, cullato dal vociare dell’altro verso il mondo migliore dove planavano sempre i pensieri del mago quando si distraeva – un posto lontano, ed irraggiungibile. Come i sogni, non avrebbe saputo dire cosa ci fosse in quegli angoli della sua mente. Pensieri persi nel momento esatto in cui batteva le palpebre e tornava alla realtà. Tornò riconoscendo una parola familiare, giusto il tempo di trovare i loro posti riservati, e potersi allargare prendendo parte delle poltrone vicine. Aveva uno spazio fisico, Joe, e poi uno morale ed emotivo, che riempiva tendendo ogni muscolo nel proprio corpo, e facendolo risonare con la propria personalità scoppiettante. Un modo elegante per dire che avesse le braccia sopra lo schienale di quelli vicini, ed i piedi sollevati su quello davanti in modo che le suole non toccassero il tessuto (non era così cafone, voleva solo stare comodo). «loop in cui siamo rimasti incastrati, così possiamo mandare avanti la trama insieme, o soffrire in eterno la stessa agonia» Si era perso il contesto, Joe. Era la trama di un film? Riguardava ancora i canguri e la regina? Poggiò la nuca sulla poltrona, ruotando il capo per poter guardare Hamish. Non pensava spesso – qualcuno, e perché proprio Renny, avrebbe detto mai - ma quando lo faceva, sembrava sempre… una persona sensata, Joe King. Concreta e pragmatica, ancorata al presente e con una soluzione già in tasca. Riflessivo, e più intelligente di quanto chiunque gli desse (giustamente.) credito. Stava pensando, in quel momento. Guardava il Jones senza realmente vederlo, ed al contempo studiandone ogni dettaglio. «loop, dici» Allargò un sorriso lento ed appiccicoso verso l’altro, piegando il capo sulla spalla per poter ammiccare di sottecchi. «no, dai. non mi dire» Portò le dita a sfiorare le labbra, la bocca dischiusa in sorpresa. Credeva nel destino a giorni alterni, l’ex Grifondoro; quello, era uno di loro. «stai cercando me
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    «beh, hamishjones, tutto ha messaggi sulla massoneria, se sai dove cercare»
    «color me shocked!» l'aveva detto copiando il tono di voce di veronica sawyer in Heathers (fitta di dolore; ciao Alex), e pur sapendo in cuor suo che Joe non avrebbe colto la citazione al musical, un pochino sperava lo facesse. Dai, sembrava il tipo da vedere l'episodio speciale di Riverdale su Heathers solo per sfotterlo (?? serial killer e psicopatico) «davvero?» schioccó la lingua sul palato «Questa me l'ero persa. Forse perché in realtà non so che cazzo sia la massoneria» che poi, c'è qualcuno al mondo che lo sa? O citiamo tutti Dan Brown sperando abbia fatto le sue ricerche prima di pubblicare dodici libri tutti uguali? Chiedo «sono la versione aliexpress degli illuminati, no?» agitò la mano in aria «società segrete, truschini, complotti, ma niente omicidi, alieni- insomma niente di ciò che lo rende divertente»
    E qui, Hamish iniziò a sproloquare, parlando di tutto e di niente, seguendo un filo conduttore muto, sordo e pure stupido, fermandosi tuttavia di tanto in tanto per rispondere a Joe, solo per riprendere a parlare poco dopo di altro.
    «non so se vorrei un marsupio incorporato. Insomma, bello per posarci le cose, ma poi come si pulisce? C'è gente che manco si pulisce l'ombelico»
    «a volte penso gli inglesi calchino apposta l'accento parlando con gli stranieri. un inside jokes loro»
    «nah, new york. Però Los Angeles sarebbe divertente, come in Lucifer»
    «california. Palese.»
    «sì sì loop e- aspetta cosa»
    Finalmente, prese fiato per più di dieci secondi, fissando il ragazzo.
    Fissandolo ancora.
    Fissandolo ancora (perchè arianna ha avuto dal Signore Dio il dono della parola, ma gesù non voglia sappia metterlo a frutto ponendo più di due parole una dopo l'altra dando loro un senso compiuto per creare un senso di attesa e suspense).
    Hamish si portò entrambe le mani sulle guance, con un sonoro ciaf e uno stupito «nnnnnnnnnnnnno!»
    Stava cercando lui? ERA LUI IL SUO GLITH NEL LOOP????? «vabbè!!» lo indicò con entrambe le mani. «lo spacciatore!» si guardò di sfuggita le dita sporche di sangue. Le macchie di sangue sul viso dell'altra americano. TUTTO TORNAVA (tranne hamish nel suo universo) «VABBÈ!!!! - comunque Pino ha prezzi buoni, me lo lasci domani fino alle 13 circa? - QUANTE POSSIBILITA' C'ERANO!»
    Si alzò di scattò in piedi, prendendo fiato per enunciare entusiasta- «giovanotto!! Siamo in un teatro!» «"DUE AMERICANI FERMI NEL TEMPO" suonava meglio nella mia testa, ma è capitalized ormai quindi è vero»
    Si risedette soddisfatto, guardando Joe con occhi nuovi.
    Pensava di essere flippato, di essere finalmente impazzito del tutto, di essersi bruciato il cervello... invece caso voleva che avesse davvero, cioè con quante possibilità, trovato un'altra persona nella sua stessa situazione, e andando a teatro.
    Oddio, forse era comunque pazzo, ma almeno la sua prigione mentale sarebbe stata più divertente, in compagnia. Non vedeva Ronan da giorni, quindi non disdegnava un compagno di avventure.
    «La tua giornata come va?» aggrottò le sopracciglia «Sei venuto a teatro anche ieri? Non ti ho visto, eppure è difficile non notarti, carino come sei» fluttering eyelash e qui ricordo che hamish era un bravo attore, canon, quindi sembrava sincero (ma con gli occhi dell'amore sei davvero carino Joe, davvero. O almeno credo, J dove sei)




    Guardò l'orologio al polso, se non che non indossava un orologio al polso. «merda, sono in anticipo di un giorno per farti gli auguri di compleanno. Buon natale tho?» cosa? cosa.
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    Considerando quante poche persone conoscesse Joe King, le probabilità di rimanere incastrato in una stessa, identica, giornata, con un HamishJones, erano davvero infime. Quell’incontro andava contro ogni legge della statistica, cadendo quindi nella prescrizione di fato. Fu incapace di sorprendersene, però, lasciando piuttosto che un fiotto di soddisfazione sciogliesse le labbra in un sorriso languido. Fino a quel momento, era stato tutto così banale da risultare triste; nella routine stava scomodo quanto un animale mai addomesticato. Quello, qualunque cosa fosse, rientrava più nelle sue corde.
    Assurdo e privo di senso, per intenderci. Il jolly in un mazzo in cui non ne erano previsti.
    «lo spacciatore!» Ignorò le occhiate dei vicini di poltrona, arcuando entrambe le sopracciglia verso l’alto e stringendosi umile nelle spalle. Non il suo lavoro più pulito; a favor dell’onestà, neanche il più sporco. «VABBÈ!!!! - comunque Pino ha prezzi buoni, me lo lasci domani fino alle 13 circa? - QUANTE POSSIBILITA' C'ERANO!» L’espressione divertita scivolò dalla bocca del King, a quella constatazione. Si fece solenne, le labbra premute fra loro ed intense pozze blu a studiare il viso di Hamish, permettendo ad un secondo di troppo d’insinuarsi fra loro a rendere il silenzio più denso. Pregno d’aspettativa. Un respiro trattenuto dai polmoni dell’universo. Senza distogliere lo sguardo dal Jones, sollevò lento l’indice di fronte a sé.
    Giusto perché era un po’ che Sara ed Ari non citavano uno dei loro meme preferiti. Quale miglior occasione.
    Lo guardò alzarsi, senza accennare a seguirlo in quel moto d’entusiasmo febbrile. Joe stava sulla poltrona con la stessa morbidezza liquida di un gatto satollo, impigrito da una chiazza di sole. Sollevò un angolo delle labbra in un sorriso intenerito, picchiettando sul posto ancora caldo perché tornasse a sedersi al suo fianco. «"DUE AMERICANI FERMI NEL TEMPO" suonava meglio nella mia testa, ma è capitalized ormai quindi è vero» Con ancora la testa poggiata sul sedile scarlatto, lo osservò da sotto pesanti palpebre parzialmente abbassate. «ho visto film che iniziavano così» candido nel frullare le ciglia, accompagnato da un mormorio dal tono meno innocente che avesse. Poi ci riflette, tamburellando distratto le dita della mancina sulla guancia. «un libro, in realtà» Di per sé, abbastanza strano da fargli corrugare le sopracciglia, riflessivo, per poi schioccare le dita e mostrare i denti in un sorriso. «geronimo stilton!» Cazzo, quanto amava quelle storie. Anche da bambino la sua soglia d’attenzione era stata bassa, ma le scritte in font diverso…? Le immagini che occupavano intere pagine? Strofinare i disegni per sentire gli odori? Quella sì che era roba che faceva per lui – infatti, appena aveva avuto un’età all’incirca legale, si era dato alle droghe, che davano più o meno lo stesso effetto. «La tua giornata come va? Sei venuto a teatro anche ieri? Non ti ho visto, eppure è difficile non notarti, carino come sei» Il fatto che potesse essere una menzogna ed un complimento vuoto, non l’aveva neanche sfiorato. Joe non aveva bisogno di essere bello, per sentirsi bello, e di conseguenza apparire tale anche agli altri. Non avrebbero saputo dire cosa li attirasse nel King, ma erano domande che tendevano a non avere più importanza quando non si indossavano le mutande. Era un mago. Un illusionista, un giocatore di prestigio. L’inganno era sotto gli occhi di tutti, ma compensava con un carisma che tendeva a far passare in secondo piano che non fosse piacevole agli occhi. Quindi sorrise, scuotendo con ostentata timidezza una spalla, ricambiando di sottecchi lo sguardo di Hamish. Poteva riempirlo di complimenti quanto voleva, avrebbero funzionato la millesima volta esattamente come la prima. «nah, è la prima volta» ed ultima, probabilmente, a meno che su quel palco non avesse deciso di salire un amico, e allora sarebbe stato sempre in prima fila per offrire il proprio supporto. Non era quello il caso, e viste le sue amicizie, dubitava lo sarebbe diventato. «di solito? cazzeggio. Non avevo programmi, il primo giorno, quindi non ho avuto… nulla da fare. Mi sono annoiato» Un lento sorriso a fior di labbra, la mano ad indicarsi il vestito sporco di sangue. «una noia mortale» ampliò la smorfia divertita come se non fosse stato da un passo dal fare la stessa cosa con qualunque passante, e tutto il pubblico del teatro. Forse anche Hamish, malgrado gli piacesse. «è difficile che non abbia nulla da fare, ma l’ironia ha voluto fosse proprio oggi a diventare sia ieri che domani» corrugò le sopracciglia, sporgendo le labbra all’infuori, prendendosi un istante per valutare l’ipotesi che forse non fosse ironia, e potesse essere voluto.
    Un istante molto breve. Nessuno odiava Joe King - manco lo conoscevano! - quindi l’ipotesi non poteva essere valida. Doveva essere successo per caso… a meno che non fosse colpa di Hamish, certo. Wow. Era strano pensare che per una volta, la colpa potesse non essere…. Sua. Reclinò il capo sulla spalla, osservando l’altro. «per caso sei un cronocineta? chiedo» sarebbe stato divertente. Strano, ma divertente. Avrebbe quasi all’incirca perfino spiegato la loro situazione, ma implicava davvero un livello di follia, e di mancanza di controllo, che avrebbe richiesto l’intervento di mamma – responsabile dei cacciatori. Sperava di… no. O di sì, mah, tanto certo non sarebbe stato lui a chiamare le autorità sul ragazzo. «e tu? avevi impegni speciali? Hai fatto arrabbiare qualcuno? Avremmo dovuto prendere dei popcorn» La lingua puntellata sull’arcata superiore dei denti – e si, una considerazione che fece nello stesso flusso delle domande, perché gli era venuto in mente e doveva necessariamente condividere. Fosse mai che Joe si tenesse un (1) pensiero per sé. Non ce l’aveva mica, tutto quello spazio.
    «chissà se dobbiamo solo non dormire allo scoccare della mezzanotte. Tu ci hai mai provato? Io no. cazzo. Era anche… una valida ed ovvia opzione. Mi sento un po’ stupido, ora» <o>Ora? Sh, mind yall business. Haters gonna hate, ecc ecc.
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